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mercoledì 22 ottobre 2014

L’Egitto costruisce il nuovo Canale di Suez: cattive notizie in arrivo per il Mediterraneo


L’Egypt state information service ha informato ufficialmente che «il primo ministro Ibrahim Mahlab ha assistito alla firma degli accordi tra la Suez Canal Authority e delle companies mondiali di dragaggio. Il capo dell’ Authority del Canale di Suez, Mohab Mamich, ha firmato questi accordi con i rappresentanti delle compagnie mondiali di dragaggio». Si tratta di 6 companies che hanno formato il consorzio “Challenge Coalition”: National Marine Dredging Company degli Emirati arabi uniti; le olandesi Royal Boskalis Westminster e Van Oord, both; i gruppi belgi Jan de Nul e Deme Group; le statunitensi Great Lakes Dredge e Dock Company. 
Chiamato il Canale di Suez Axis, il nuovo progetto sarà lungo 72 Km, con 37 Km di scavo all’asciutto e 35 Km di espansione e approfondimento del canale di Suez esistente.
 Mamich ha detto all’agenzia ufficiale del governo egiziano che «il progetto per la costruzione del nuovo Canale di Suez è sotto il controllo della Suez Canal Authority in cooperazione con le Forze Armate».
 Tradotto vuol dire che i lavori sono controllati dall’esercito che d’altronde, ormai, dopo aver annichilito i fratelli Musulmani e messo a tacere le componenti più laiche e progressiste della “primavera araba”, controlla anche la vita politica dell’Egitto, quindi è difficile credere, vista la storia di corruzione e malversazioni delle Forze Armate egiziane durante il regime di Hosni Mubarak, credere che «i cartelli sono stati scelti con trasparenza», come assicura Mamich, anche perché il capo della Suez Canal Authority non ha fornito dettagli finanziari sui contratti.  
Ma i mugugni non mancano nemmeno nell’Egitto “normalizzato”: il progetto del nuovo canale prevede l’esproprio di un’area di 76.000 Kmq intorno alla via d’acqua, per realizzarci un polo industriale e della logistica internazionale, per attirare più navi, almeno raddoppiare i transiti, e produrre reddito, ma le imprese egiziane lamentano l’ingombrante presenza dell’esercito come imprenditore, che annichilisce ogni possibilità di competere ad appalti e progetti. 

Il nuovo canale verrà realizzato accanto a quello esistente, costruito 145 anni fa, e a settembre il governatore della banca centrale egiziana aveva detto che lo Stato si è dato l’obiettivo di finanziare il progetto con 8,5 miliardi dollari, attraverso l’emissione di certificati di investimento sul mercato nazionale.
 L’Egitto spera che il nuovo canale entro il 2023 fornirà più del doppio dei ricavi, passando dagli attuali 5 miliardi di dollari a 13 miliardi di dollari. 
Memish ha detto che i lavori inizieranno subito e che si prevede che il nuovo canale «Sarà completato entro agosto 2015», un obiettivo ambizioso fissato dal Presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi in persona e il Capo Authority ha sottolineato che «Per completare questo lavoro entro un anno sarà necessario fare uso di macchinari di dragaggio enormi, macchinari da dragaggio internazionali, perché la quantità di dragaggio umido è molto grande». Gli ingegneri dell’esercito egiziano si erano portati avanti con i lavori: avevano cominciato a scavare nell’area già ad agosto, appena il governo rivelò l’esistenza del progetto di dragaggi di 6 zone per realizzare il nuvo Canbale di Suez, in 5 delle quali opererà la “Challenge Coalition”, in tutto verranno utilizzate almeno 36 draghe per rimuovere circa 250 milioni di m3 di materiale.


Pierre Catteau, del Deme Group, ha detto che «Per rispettare l’ambiziosa scadenza a del progetto, ci sarà una mobilitazione massiccia di attrezzature provenienti da tutto il mondo. Penso che siamo stati tutti sorpresi di quanto velocemente questo sia arrivato sul mercato, di quanto velocemente è stato assegnato e quanto velocemente verrà eseguito. Ma faremo ogni sforzo possibile per riuscirci» 

 Per il regime militare/civile egiziano il canale di Suez rappresenta una fonte vitale di valuta pregiata dopo il crollo del turismo e degli investimenti esteri provocati dalla rivoluzione del 2011 e poi dal colpo di Stato che ha messo fine al governo democraticamente eletto dei Fratelli Musulmani. Un colpo di Stato che è stato appoggiato e finanziato da molti dei Paesi occidentali e da Emirati arabi uniti, Arabia Saudita e Kuwait che hanno dato miliardi di dollari di aiuti all’ex capo dell’esercito Sisi e che il 1 ottobre presenziavano con i loro ambasciatori alla conferenza stampa di presentazione dell’appalto per il nuovo Canale di Suez. Tanto che William Murchison, di Great Lakes Dredge, ha commentato soddisfatto: «Gli aspetti tecnici del progetto sono semplici, ma la sfida è di scala e di tempi. In questo c’è un cosa fondamentale e buona: il finanziamento è a posto. I soldi ci sono. Abbiamo un datore di lavoro motivato».

 Forse anche troppo motivato, visto che un team di 18 scienziati specializzati in ecosistemi marini qualche giorno prima della firma dell’appalto aveva pubblicato su Biological Invasions un preoccupato avvertimento (“Double Trouble”) sulle conseguenze ecologiche del piano del governo egiziano per il nuovo canale di Suez. 
Gli scienziati hanno detto che si tratta di «una notizia inquietante» e che «è sicuro che il progetto avrà un vasto range di effetti, a livello locale e regionale del Mediterraneo, sia sulla diversità biologica che sui beni e servizi ecosistemici del Mediterraneo». 

Già il vecchio Canale che collega il Mar Rosso al Mediterraneo ha reso sicuramente più facile spedire le merci asiatiche ed africane verso l’Europa, ma ha causato enormi problemi ambientali, soprattutto con la moltiplicazione delle specie aliene nel Mediterraneo.
 La polemica è particolarmente forte in Israele, dove il quotidiano Haaretz ha rilanciato l’appello dei 18 scienziati di 12 Paesi diversi, che sottolineano come il problema sia destinato ad aumentare dato che un ulteriore riscaldamento degli oceani permetterà alle specie provenienti dall’Oceano Indiano di adattarsi ancora meglio nel Mar Mediterraneo. 
 Il corso d’acqua artificiale che collega il Mar Mediterraneo e Rosso è una delle fonti principali del paese di entrate in valuta estera, insieme al turismo e rimesse degli espatriati egiziani, ma gli scienziati sottolineano su Biological Invasions che «delle quasi 700 specie pluricellulari non autoctone attualmente riconosciute nel Mar Mediterraneo, una buona metà sono state introdotte attraverso il Canale di Suez dal 1869» e «influenzano negativamente lo stato di conservazione di specie ed habitat critici, così come la struttura e la funzione degli ecosistemi e la disponibilità di risorse naturali. Alcune specie sono nocive, tossiche o velenose e pongono chiare minacce per la salute umana». 
 Gli scienziati temono che l’invasione delle specie aliene possa solo crescere non appena il nuovo Canale di Suez entrerà in funzione: «Mentre il commercio e lo shipping globali sono di vitale importanza per la società, gli accordi internazionali esistenti riconoscono anche la necessità urgente di pratiche sostenibili che minimizzino gli impatti e le conseguenze a lungo termine indesiderate.
 Non è troppo tardi per i firmatari della “Convenzione di Barcellona” e della Convention on Biological Diversity per onorare i loro obblighi e sollecitare una supervisione regionale, una valutazione di impatto ambientale di vasta portata (comprese le opzioni di gestione innovativa del rischio) che limiti, se non impedisca, una nuova ondata di invasioni nel XXI secolo attraverso il Canale di Suez di nuova generazione». 

 Ma il regime militare/civile egiziano, è il caso di dirlo, ha tirato dritto. E gli ambientalisti dicono che parlare di ambiente per i progetti è un lusso in Egitto, dove le violazioni dei diritti umani e la povertà sono in crescita e dove il governo promette un milione di posti di lavoro a Canale di Suez Axis realizzato.


L’impatto delle specie invasive è particolarmente sentito nel Mediterraneo orientale, in particolare al largo delle coste di Israele, Libano e Siria, dove, uno studio del 2012, quasi tutte le specie invasive sono arrivate ​​attraverso il Canale.
 Bella S. Galil, del National Institute of Oceanography di Israele, ha scoperto al largo di Israele 338 specie aliene, tre volte di più di quelle presenti nel mare della Francia continentale, sono stati trovati in mare al largo di Israele. 
Pesci palla velenosi sono stati trovati lontanissimi da Suez, come in Italia. 
 Sciami di meduse velenose Rhopilema nomadica sono ormai diffuse dalla Tunisia al Levante, dove sono pizzicano i bagnanti e ingolfano le reti da pesca, mentre nel 2011 hanno addirittura ostruito il sistema di raffreddamento con acqua di mare di una centrale elettrica israeliana. 

 Nel Mar Rosso, le meduse causano qualche problema perché non hanno predatori naturali che le tengano sotto controllo; nel Mediterraneo, dove si nutrono di larve di pesci e crostacei, stanno perturbando la catena alimentare marina.
 «E’ un gioco a somma zero» ha detto Galil. Noi non sappiamo in anticipo quello che sarà l’ultima goccia che farà traboccare il vaso. Ogni ambiente ha qualche riserva, ma sappiamo che la riserva nel Mediterraneo orientale è chiaramente molto scossa. Non sappiamo quali specie entreranno o quando, ma sappiamo che stanno arrivando».

 Galil capisce che la dura realtà politica ed economica dell’Egitto rende difficile porre problemi come questi, ma sottolinea che il governo del Cairo dovrebbe prendere esempio dal Canale di Panama, dove gli ingegneri hanno creato un sistema di porte sia sul Pacifico che sull’Atlantico, che impediscono che le specie invasive passino attraverso le chiuse: 
«Gli scienziati non sono contro la realtà della globalizzazione del commercio. Quello che chiediamo è del tutto accettabile».

  http://www.greenreport.it

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