Ferdinando ha una passione, l’architettura, e un’idea: l’arte occidentale deriva da quella orientale.
Litiga con tutti per questa sua bizzarra convinzione che, però, continua a difendere a tutti i costi.
Ferdinando è il marchese Panciatichi Ximenes d’Aragona ed è ricco, molto ricco.
Possiede un edificio nel Valdarno, a Sammezzano, parte di un’enorme e antica tenuta di caccia sin dai tempi di Cosimo I de’ Medici, e decide di finanziare un’impresa faraonica: progettare e realizzare un castello in grado di rappresentare e fondere tutti gli stili orientali, dalla Siria, all’India, passando per lo stile moresco.
Si mette subito al lavoro: assume artigiani locali, alcuni li fa arrivare addirittura dal nord Africa, costruisce una fornace dove preparare la ceramica, progetta un palazzo di 365 stanze e un parco di svariati ettari dove fa piantare specie esotiche (ad esempio le sequoie, che attualmente hanno un tronco di 10 metri di diametro).
Siamo nel 1853 e, mentre l’Italia è in pieno Risorgimento, Ferdinando in quarant’anni realizza un castello dalle mille e una notte.
Motto del marchese “Todos contra nos. Nos contra todos” ci dà una vivida impressione del suo carattere ostinato. Ogni stanza del Castello rappresenta uno stile, e lo esprime fedelmente:
la Sala Bianca è modellata sull’Alhambra di Granada
la Sala dei Pavoni – ovvero la sala da pranzo – è perfettamente indiana con la riproduzione dello stile moghul
Ci sono molti altri ambienti dai nomi curiosi, come le Sale dei Gigli
delle Stalattiti
Una girandola di colori e forme straordinaria se si pensa che Ferdinando Ximenes d’Aragona non era mai stato fuori dall’Europa, e quell’architettura orientale l’aveva studiata solo sui libri.
365 sale come i giorni dell’anno.
Sono una diversa dall’altra, non esistono ripetizioni, se non l’unica incisione posta in vari punti delle sale, “non plus ultra”, a dimostrazione della straordinaria unicità e originalità del castello e del suo costruttore.
In questi spazi ampi e concatenati, gremiti di nicchie, di angoli nascosti, di aperture panoramiche, filari di colonne, percorsi quasi labirintici, trionfa la fantasia di un inesauribile campionario colori espresso in capitelli, peducci, archi, portali, volte a ventaglio, cupole, pennaccchi, grondanti ricami di rivestimenti con arabescate filigrane di gesso.
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