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domenica 27 aprile 2014

La Basilica di San Marco a Venezia


Il 31 gennaio 829 iniziò un nuovo corso per la storia di Venezia, con l’arrivo da Alessandria d’Egitto del corpo di san Marco. 
Il culto dell’Evangelista divenne religione di stato, officiato nella nuova chiesa che avrebbe presto soppiantato quella dedicata all’antico patrono Teodoro. 

 Fin dalle sue origini San Marco fu cappella palatina e teatro delle cerimonie ufficiali: vi era consacrato il doge neoeletto, vi venivano consegnate le insegne agli ammiragli, vi si rendeva grazie per la cessazione di guerre e pestilenze.
 Palinsesto dell’intera storia veneziana, la basilica venne riedificata e ampliata più volte, assecondando il crescente prestigio della città. Marmi, sculture e mosaici ne occultarono la spoglia facciata romanico-bizantina, trasformandola in uno schermo prezioso, come fosse la “quarta parete” porticata della piazza. 
Rilucente come una grotta marina per i mosaici che la rivestono interamente, San marco ripropose nella struttura la basilica imperiale dei Santi Apostoli e nelle funzioni quella di Santa Sofia a Costantinopoli, suggellando così lo stesso destino di Venezia, sospinta sull’acqua verso Oriente.


La storia di San Marco è anche quella dell’evoluzione architettonica di Venezia, dalle origini al Rinascimento.

 La prima basilica dalla planimetria probabilmente già a croce greca, venne consacrata nell’832 e subì un importante restauro nel 978, in seguito all’incendio appiccato nel 976 durante la rivolta popolare contro doge Pietro Candiano IV. 
 Nel 1063 il doge Domenico Contarini ne avviò la ricostruzione in forme bizantine, conclusa nelle strutture in laterizio nel 1094, quando la basilica venne consacrata. 
Tra l’inizio del XII secolo e la prima metà del XIII, un ampio atrio si estese a circondare i tre lati del braccio ovest.
 La struttura di San Marco era ormai definita e, mentre si contemplava la decorazione musiva e l’esterno veniva interamente rivestito di rilievi e marmi provenienti dall’Oriente, veniva interrata l’antistante darsena per far posto alla piazzetta.


Successivamente solo poche modifiche interessarono gli spazi interni, tra le quali, alla metà del Trecento, la trasformazione di parte dell’atrio in battistero e quella di altri ambienti nella cappella di Sant’Isidoro.
 Nel XV secolo furono aggiunte le decorazioni gotiche sommatali e la nuova sagrestia.
 Nel 1807 l’ex cappella ducale divenne cattedrale e dal 1836 fu oggetto di radicali restauri, spesso invasivi, che si estesero per gran parte del secolo. 
 Scintillante di mosaici, nel suo prospetto di matrice orientale, la facciata è animata solo dai cinque portali che immettono nell' atrio, restringendosi con un effetto prospettico. 
Le preziose colonne che li rivestono su due file giunsero da Costantinopoli nel 1204 assieme a molti rilievi decorativi.
 Le maggiori dimensioni del portale centrale, che supera il livello della terrazza, e del retrostante finestrone, aperto nel XV secolo, isolano il settore centrale.
 Come fosse un arco di trionfo, esso era ornato da quattro cavalli bronzei, gioiello del bottino costantinopolitano, oggi sostituiti da copie.
 Il coronamento delle lunette venne aggiunto tra il 1384 e il 1430 da Pietro Lamberti e altri scultori toscani.
 I motivi vegetali ne fanno un capolavoro del gotico tardo, detto fiorito.


Tra le guglie e nelle edicole stanno santi guerrieri ed evangelisti, a far corteo a san Marco e al suo simbolo, il leone andante.
 Alle estremità, l’arcangelo Gabriele e la Vergine Annunciata ricordano la festa che coincide con il giorno di fondazione della città, il 25 marzo.
 Le cupole erano già state innalzate nel XII secolo da alte armature lignee, rivestite poi di piombo, riprendendo la forma a cuffia di quella della cappella bizantina della Vergine della Rocce a Costantinopoli.
 La copertura a bulbo delle lanterne conferisce loro un sapore mediorientale.


Il destino dell’uomo, legato alla misericordia divina, è il tema sviluppato nei tre arcani, finemente scolpiti, che incorniciano il portale maggiore. 
Capolavori della scultura gotica veneziana, essi permettono di seguirne lo sviluppo tra il 1240 e il 1350, dalle prime manifestazioni del nuovo stile alla sua piena fioritura.
 I due più esterni, che racchiudono il mosaico col Giudizio Universale sono strettamente apparentati. Entrambi rappresentano sulla faccia rivolta in basso, l’intradosso, il lavoro umano.
 Dedicata a Dio, esso è rappresentato nel primo arco dai diversi Mesi dell’anno con le attività in essi svolte, e nel secondo da quindici tra i Mestieri veneziani.


I suoi frutti, l’onestà e l’equità, consentono alle Virtù o a Sibille e Profeti posti all’esterno, sull’arcivolto, di annunciare la venuta del Cristo.
 Alla salvezza si accede quindi solo grazie al sacrificio quotidiano, teso a espiare “col sudore della fronte” il peccato originale.


L’imponente atrio testimonia le antiche origini della basilica. 
Formato da due ampi corridoi, coperti da cupole e arconi, esso ricorda il portico esterno delle prime chiese, riservato agli adulti non ancora battezzati o neofiti, obbligati a uscire di chiesa al momento dell’Eucarestia.
 La sua solenne struttura è però quella di un nartece bizantino, lo spazio adibito alle processioni imperiali, il cui nome deriva dal greco nartex, “scrigno”, a ricordarne la preziosità.


Un tempo, l’atrio avvolgeva su tre lati il braccio orientale.
 Sul lato a sud era aperto sull’antica darsena e vi si accedeva trionfalmente dall’antica Porta da mar.
 Esso fu murato nel 1504 per ricavarvi la ricca cappella funebre del cardinale Zen, ornata da statue in bronzo modellate da Antonio Lombardo.


In origine l’atrio consentiva perciò di ripercorrere la storia della salvezza del popolo eletto, rappresentato sui suoi cupolini dalle storie della Genesi o quelle di Mosé, e accedere infine alla basilica dal transetto nord.
 Non a caso, al tempo del doge Andrea Dandolo (1343 – 54), sulla porta si aprì anche il battistero, ricavato nella parte dell’atrio meridionale e strutturato su tre sale comunicanti, ideale “presupposto” per questa narrazione legato al tema della salvezza.


All’interno la dorata continuità dei mosaici su volte e pareti rende difficile decifrare il gioco delle strutture, annullando quasi la materialità dell’edificio.
 In una simmetria grecizzante la basilica è scandita da cinque cupole, di aspetto bizantino per la calotta ribassata e aperta alla base da finestrelle, poste alle estremità dei bracci e al centro. 
 I grandi arconi che la sorreggono evocano l’imponenza delle basiliche tardoromane.
 Sono impostati su possenti piloni tetrapili (composti cioè da quattro pilastri, collegati da archi e cupolette), sotto i quali passano le navate minori. 
Questo articolato sistema bizantino si ripropone su ciascun braccio, ed è completato dalle esili gallerie pensili, elevate su colonne, che in origine furono i matronei, riservati alle donne, le matrone latine.


Anche se l’edificio sembra a croce greca, la navata principale è ridotta in profondità per la presenza dell’abside, affiancata da due absidi minori; essa risulta tuttavia predominante, sia per la maggiore dimensione delle sue cupole, sia per il presbiterio rialzato. 
Uno sviluppo longitudinale, tipico della nuova cultura romanica, si fonde quindi all’eredità di Bisanzio, in una ritrovata grandiosità antica. 

 NEL PRESBITERIO, UNA SECONDA CHIESA 

 Capolavoro dei fratelli Jacobello e Pierpaolo Dalle Masegne, l’iconostasi è posta a isolare il presbiterio, lo spazio attorno all’altare. 
A San Marco l’area era riservata alla corte del doge, che vi accedeva dal palazzo tramite un ingresso riservato.
 In pianta, essa sembra ricreare lo schema di una croce greca più piccola, incentrato sotto la cupola dell’Emmanuele: per questo motivo le fonti antiche definiscono il presbiterio “chiesa minore”.


Le decorazioni musive confermano questa destinazione, in quanto le storie dell’arrivo del corpo di san Marco a Venezia, origine del potere dogale, sono poste in relazione con la soprastante cupola dell’Emmanuele, in cui Cristo giunge a portare la salvezza.


Sotto il presbiterio si sviluppa la cripta, che ne innalza il pavimento. Sorretta da cinque colonne, è quasi una seconda chiesa, bassa e raccolta, che presenta tracce delle murature della prima basilica e, non a caso, riproduce esattamente la forma della “chiesa minore”. 

Sul presbiterio si apre la porta della sagrestia, capolavoro scultoreo di Jacopo Sansovino.
 Voluto dal doge Agostino Barbarico come segno iniziale del suo dogato, la sagrestia venne realizzata dal proto Giorgio Spavento tra il 1486 e il 1493. è un elegante ambiente a se stante, nel quale il nuovo gusto rinascimentale si riflette anche negli arredi finemente intagliati e intarsiati. 
Le essenziali linee architettoniche della volta ribassata, sorrette da arcatelle, sono occultate da raffinati mosaici con figure naturalistiche, inquadrate da motivi vegetali che culminano nella grande croce centrale.
Altrettanto discreta fu l’apertura, nel transetto, della precedente cappella dei Mascoli, che deriva il suo nome da un’antica confraternita e la cui volta a botte venne decorata da grandi mosaici prospettici, primizie del nuovo stile in città.


Separato da basilica sorge il campanile, segno della potenza veneziana e ideale modello per molti altri campanili veneti.

 Nato nel IX secolo forse come torre d’avvistamento, il che spiegherebbe la sua posizione isolata, fu edificato a più riprese e concluso nel XII secolo. 
Acquisì il suo aspetto definitivo e la caratteristica policromia, che alleggerisce col candore del marmo la massiccia struttura irrobustita da lesene, nel 1514, quando l’architetto Giorgio Spavento la restaurò ampliando la cella campanaria e aggiungendovi la cuspide con l’Arcangelo Gabriele.
 Nel 1537 Jacopo Sansovino ne ornò la base con le classicheggiante Soggetta, ornata da rilievi celebrativi e in seguito destinata a simbolico corpo di guardia per le maestranze scelte, gli Arsenalotti. 

Con le sue campane dai nomi espressivi – Trottiera, Marangona, Maleficio – il campanile chiamava a raccolta i nobili alle riunioni in palazzo, regolava gli orari dell’Arsenale e scandiva le esecuzioni capitali: dai veneziani, era chiamato il “padrone di casa”. 
Dopo quattro secoli di onorato servizio, nel luglio 1902 decise di crollare con discrezione su se stesso, senza far vittime. Per ricompensa, ma soprattutto per orgoglio civico, fu immediatamente ricostruito “com’era e dov’era” e inaugurato dieci anni dopo.

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