Fino alla metà del Settecento, gli esemplari di questa specie erano numerosi e si spostavano agevolmente in ogni parte dell'Asia, costituendo i propri territori ovunque vi fosse abbondanza di prede.
La loro popolazione complessiva superava la cifra di 100.000 unità, di cui 40.000 erano nelle giungle indiane.
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la situazione incominciò a cambiare radicalmente.
Le armi da fuoco, divenute più efficienti, misero gli esponenti delle classi agiate nella condizione di fare della caccia alla tigre un'attività elitaria.
Contemporaneamente, l'infittirsi dei rapporti commerciali con l'Europa provocò la forte richiesta sul mercato di legname di pregio, come per esempio il mogano, che cresce nelle foreste indiane.
La caccia indiscriminata alla tigre da parte dell'uomo, dovuta in particolar modo al bracconaggio per il commercio delle pelli, alle credenze della medicina tradizionale cinese e alla paura che l'animale incute per la fama di "mangiatrice di uomini", il tutto aggravato dalla costante riduzione del suo habitat naturale, hanno portato ad una diminuzione drastica del numero di esemplari in natura.
Nel 2006 una stima mondiale ha portato in evidenza che gli esemplari in natura si aggirerebbero tra i 3.402 e i 5.140, mentre gli ultimi rilevamenti pongono il numero intorno ai 3.200 esemplari. Razze ormai estinte
Tre di queste si sono estinte nel XX secolo, la tigre del Caspio, la tigre di Giava e la tigre di Bali, e purtroppo un'altra sottospecie rischia di entrare in questa lista, la tigre della Cina meridionale.
Le maggiori cause sono da imputarsi al fatto che la tigre è sempre stata vista come una minaccia per l'uomo, considerandola un animale nocivo da perseguitare.
Un caso molto simile è sicuramente quello del lupo, con il quale ha in comune la fama di animale cattivo e feroce.
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