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venerdì 5 aprile 2013

Lo specismo una stortura concettuale errata

Noi abbiamo bisogno di studi, di filosofi, di fiumi di parole, di dibattiti, di simposi per capire una cosa che gli animali hanno innata Lo specismo non esiste per loro, non hanno bisogno di elucubrazioni mentali per saperlo lo sanno e basta
Li definiamo esseri non senzienti
Ne abusiamo in ogni modo molto spesso ignobile
Ci autodefiniamo esseri superiori, ma da dove ci viene la supponenza di questa definizione?
Sappiamo scrivere libri, guidiamo macchine, facciamo le guerre, andiamo sulla luna è questo essere superiori?
Ma abbiamo capito a fondo cosa è la vita?NO
Sappiamo cosa significa veramente l'energia cosmica che unisce ogni cosa in un tutto?NO
Andiamo a tentoni in un mare di supposizioni, di teorie, di dogmi,di verità presunte,di bugie comode.
Dimenticandoci che tutto anche noi siamo parte della natura animale
Dimenticandoci che abbiamo sopito l'istinto a favore dell'esteriorità Loro no lo seguono come facevano gli uomini antichi
Ci abbiamo perso o guadagnato?
Io penso fermamente che abbiamo perso il gioco della vita

La specie è l'unità di base di classificazione degli organismi viventi. L'antispecismo è il movimento filosofico, politico e culturale che si oppone allo specismo.
Come l'antirazzismo rifiuta la discriminazione basata sulla razza e l'antisessismo quella basata sul genere sessuale.
L'antispecismo respinge quella basata sulla specie, sostenendo che la sola appartenenza a una diversa specie non giustifica eticamente il diritto di disporre della vita, della libertà e del lavoro di un essere senziente.
Il primo autore a parlare di «specismo» fu lo psicologo Richard D. Ryder.
Ryder sostiene l’esigenza di smascherare che il più grosso "errore morale" che contraddistingue la società occidentale antropocentrica risiede nel suo rifiutarsi di riservare un trattamento egualitario agli esseri non umani solo per ragioni connesse all’assenza di un legame di specie.
L'approccio antispecista ritiene che: le capacità di sentire (di provare sensazioni come piacere e dolore), di interagire con l'esterno, di manifestare una volontà, di intrattenere rapporti sociali, non siano prerogative della specie umana; l'attribuzione di tali capacità agli animali di specie non umana comporti un cambiamento essenziale del loro status etico, da equiparare a quello normalmente riconosciuto agli animali di specie umana; da ciò debba conseguire una trasformazione profonda dei rapporti tra individui umani ed individui non umani.
L’idea che sia possibile riconoscere agli animali non umani diritti validi all’interno delle comunità umane inizia a diffondersi verso la fine del XVIII secolo, in un clima di promozione di diritti per un numero sempre maggiore di individui in precedenza soggetti a discriminazione, quali le donne e gli schiavi.
Il filosofo Jeremy Bentham, in questo contesto, fu il primo a proporre di seguire un’impostazione etica fondata su un criterio capace di includere tutti gli animali all’interno di una medesima comunità morale.
Per quanto Bentham si opponga fortemente al causare sofferenza agli animali non umani, egli non mette tuttavia mai in discussione il nostro diritto di sfruttarli e ucciderli per fini umani – quando ciò avviene senza inutili torture.
Nonostante i forti limiti del suo utilitarismo, il pensiero dell'autore ha fornito una forte base concettuale all’animalismo filosofico perché riconosce nella capacità di provare piacere e dolore, non soltanto il movente originario dell’agire morale, ma anche qualcosa di cui sono intuitivamente (e non solo) dotati tutti gli animali.

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