Nel 1490 Isabella d’Este sposò Francesco II Gonzaga, signore di Mantova. Ben presto trasformò la corte in una fucina artistica, lasciando la propria impronta decisiva nella sistemazione del palazzo e nello sviluppo della cultura rinascimentale.
Il Palazzo Ducale di Mantova, sorto intorno al castello della dinastia, posto a ridosso di due dei tre laghi che circondano la città, crebbe nel corso dei secoli fino a diventare un complesso gigantesco di ben 34 000 metri quadrati di superficie.
Si tratta di una vera e propria “città in forma di palazzo”, come è stato detto, composta da molti edifici distinti per stile, struttura, caratteristiche ed epoca, con oltre 550 camere, piazze interne, giardini, porticati collegati da corridoi, passaggi e disimpegni di tutti i generi. Ed è anche, per così dire, un immenso, spettacolare contenitore artistico.
Nel 1328 Luigi Gonzaga riuscì a scalzare dal potere la famiglia Bonacolsi, fino a quel momento signora della città di Mantova.
Un anno dopo l’imperatore Ludovico IV il Bavaro lo nominò vicario imperiale nella città, dando così una veste legale alle ambizioni di dominio della dinastia.
Luigi usava, come sede del governo, il palazzo duecentesco in cui già avevano risieduto i Bonacolsi, comprendente il “palazzo del Capitano del Popolo” e la cosiddetta “Magna Domus”.
Quando Mantova, alla fine del Trecento, fu elevata a contea, i Gonzaga disposero nuovi lavori di ampliamento e aggiunsero agli edifici esistenti il “castello di San Giorgio”, preziosa costruzione fortificata realizzata da Bartolino da Novara.
Nel 1433 Gianfrancesco Gonzaga guadagnò per se e per i suoi eredi la dignità di marchese di Mantova.
Per onorare il nuovo titolo diede inizio ad altre opere di abbellimento del palazzo, iniziando la politica mecenatesca che sotto Francesco II e Isabella d’Este ne fece un centro di primo piano del Rinascimento.
Nel 1530 i Gonzaga diventarono duchi: e ancora una volata la loro residenza – da quel momento indicata con il nome di Palazzo Ducale – si riempì di architetti, artisti, letterati, motivo di vanto per la corte.
Nel 1627, quando l’ultimo duca morì, senza lasciare eredi maschi, il palazzo era ormai diventato una delle più grandi e complesse regge europee. Per la successione si scatenò una guerra europea: Mantova, rivendicata sia dai Asburgo che dai francesi, passò per un certo periodo al ramo francese dei Gonzaga – Nevers; poi, nel 1708, all’Austria, cui rimase, esclusa la parentesi napoleonica, fino all’Unità d’Italia.
Benché sia conosciuto come palazzo, il complesso mantovano è in realtà un intrico di palazzi, gallerie, scaloni, scalette, passaggi, corridoi. Comprende persino un grande castello, una quindicina di piazze, giardini, cortili interni e una grande chiesa.
La realizzazione cominciò nel Duecento, con due edifici costruiti dai Bonacolsi, il palazzo del Capitano del Popolo e la Domus Magna, in cui si installarono nel 1328 i Gonzaga. Nel Trecento Francesco I fece innalzare il castello di San Giorgio, sulla riva del lago. Tra i palazzi e il castello sorsero poi, con massimo sviluppo nell’epoca rinascimentale, altre costruzioni. Il complesso forma due blocchi principali: uno meridionale, che si stende da piazza Bordello fino al giardino del Padiglione, e uno settentrionale che dal giardino del Padiglione si stende fino al castello di San Giorgio. A cerniera tra i due blocchi la basilica palatina di Santa Barbara. All’interno le varie sale sono raggruppate in appartamenti.
Gianfrancesco (1394 – 1444), primo marchese della famiglia Gonzaga, incaricò Antonio Pisano, detto Pisanello, di affrescare una sala del palazzo con il ciclo del leggendario re Artù; nutriva l’ambizione di passare alla storia grazie a quelle fulgide saghe medievali.
Mezzo secolo dopo la giovane marchesa Isabella d’Este promosse un ampio rinnovamento in senso rinascimentale del già vasto complesso. Le nuove forme, derivate dall’antichità classica,contribuivano a rompere con il pensiero medievale e a mettere nuovamente l’uomo al centro dell’attività artistica: un programma di cui Isabella era ben cosciente, come è facile desumere dalle sue lettere, che costituiscono uno specchio fedele delle concezioni dell’epoca.
L’immenso palazzo è ricco di realizzazioni sorprendenti e di curiosità. Una tra le più inconsuete è costituita dall’appartamento “dei Nani”, cioè dalle stanze in cui vivevano i nani della corte. Si tratta di una serie di ambienti adattati, nelle dimensioni e negli effetti scenici, alla statura dei occupanti. Contrariamente alla credenza comune, i nani non venivano affatto disprezzati o derisi: al contrario, godevano di notevole considerazione e di una non secondaria posizione sociale, e svolgevano i compiti di servitori di fiducia, ma anche di musicisti o artisti. E talvolta le loro minuscole camerette venivano utilizzate come sede sicura per gli incontri amorosi dei sovrani o dei cortigiani.
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