domenica 31 marzo 2013
sabato 30 marzo 2013
A volte, se sei depresso...
A volte, se sei depresso, non vorresti fare niente. Tutto quel che vuoi fare è appoggiare la testa al braccio, e guardare nel vuoto. A volte puoi andare avanti così per ore. Se sei eccezionalmente depresso, devi perfino cambiare braccio.
Charlie Brown
I Dioscuri del Quirinale
I Dioscuri che dominano piazza del Quirinale a Roma sono tra le statue più significative che ci sono giunte dall'antichità. Inizialmente decoravano il tempio di Ercole e Bacco (creduto dedicato al Sole o a Serapide), voluto da Settimio Severo intorno al 198 d.C. in onore del futuro dei figli Caracalla e Geta. Le due statue furono trasferite nelle adiacenti terme di Costantino.
Dal Medioevo i Dioscuri furono un riferimento topografico in descrizioni della zona e piantine della città.
Nel 1470 vennero puntellati con muri in mattoni (così appaiono in stampe del Cinquecento).
Sisto V (1585-1590) fa integrare con il marmo le parti mancanti da Flaminio Vacca. Domenico Fontana, grande architetto dell'epoca, invece, libera piazza del Quirinale dai ruderi delle terme.
Nel 1783 Pio VI fa prelevare un obelisco dal Mausoleo di Augusto (compagno di quello attualmente visibile sull'Esquilino) per collocarlo tra le statue dei Dioscuri.
Sulle basi le iscrizioni "opus Phidiae" e "opus Praxitelis" furono fatte apporre da Sisto V.
In realtà gli studiosi non sono mai stati d'accordo su quest'attribuzione, preferendo, per motivi di congruità stilistica, l'attribuzione del gruppo marmoreo all'età Severiana.
IL MITO
"Sapevo di appartenere al pubblico e al mondo non perchè avessi bellezza o talento, ma perchè non ero mai appartenuta a nessuno.
Marilyn Monroe
DIVA indimenticata degli anni '50, stella intramontabile ancora ai nostri giorni, star delle stars al cinema e nella vita, icona di bellezza e glamour, che continua a incantare milioni di fans in tutto il mondo.
Un mito che resiste negli anni e che non è solo dovuto alla sua ammaliante sensualità, alla solare bellezza, alla simpatia, ma pone le sue radici nella vita stessa di questa creatura dall'infanzia bistrattata, che diventa una delle star più sfolgoranti e acclamate, il mito si forma in quel processo di trasformazione da Norma Jean a Marilyn Monroe, da ragazza povera e sballottata, ma piena di desiderio di riscatto, a grande diva sul set e fuori, che conquista la notorietà e il gran mondo per poi esserne travolta.
Marilyn rappresenta la forza e la debolezza, l'ambizione e l'ingenuità di chi vive esperienze meravigliose, forse al di sopra delle proprie possibilità, ma nello stesso tempo là dove passa riesce a lasciare un segno indelebile.
Marilyn Monroe
DIVA indimenticata degli anni '50, stella intramontabile ancora ai nostri giorni, star delle stars al cinema e nella vita, icona di bellezza e glamour, che continua a incantare milioni di fans in tutto il mondo.
Un mito che resiste negli anni e che non è solo dovuto alla sua ammaliante sensualità, alla solare bellezza, alla simpatia, ma pone le sue radici nella vita stessa di questa creatura dall'infanzia bistrattata, che diventa una delle star più sfolgoranti e acclamate, il mito si forma in quel processo di trasformazione da Norma Jean a Marilyn Monroe, da ragazza povera e sballottata, ma piena di desiderio di riscatto, a grande diva sul set e fuori, che conquista la notorietà e il gran mondo per poi esserne travolta.
Marilyn rappresenta la forza e la debolezza, l'ambizione e l'ingenuità di chi vive esperienze meravigliose, forse al di sopra delle proprie possibilità, ma nello stesso tempo là dove passa riesce a lasciare un segno indelebile.
Le persone dolci non sono ingenue né stupide, né tanto meno indifese. Anzi, sono così forti da potersi permettere di non indossare nessuna maschera. Libere di essere vulnerabili, di provare emozioni, di correre il rischio di essere felici"
-- Marilyn Monroe
Oggetti realizzati per rendere un omaggio a Marilyn Monroe come attrice, come cantante e come donna,
tecnica della vetro fusione con pittura a caldo oro e smalti GRAFFITI VETRO ARTE
OLIMPIA MAIDALCHINI, LA PIMPACCIA DI PIAZZA NAVONA
Olimpia Maidalchini, vissuta in un secolo - il XVII - che nessuno spazio concedeva alle donne, mise pienamente a frutto questa regola per ritagliarsi un posto da protagonista nella Roma aristocratica e papalina del seicento, lasciandosi alle spalle due mariti e un papa, semplici pioli della sua scalata sociale.
Intelligente, cinica, spregiudicata, non consentì mai ad un uomo di decidere per lei: a partire da suo padre, capitano d’industria viterbese, che la voleva monaca - al pari delle altre sue sorelle - per salvaguardare il patrimonio familiare a vantaggio dell’unico figlio maschio. Ma non aveva fatto i conti con il carattere ribelle e volitivo della ragazza che, sebbene quindicenne, aveva già le idee molto chiare, una su tutte: mai e poi mai avrebbe indossato il velo. E siccome il fine giustifica i mezzi ricorse alla calunnia per scampare il pericolo, accusando il suo direttore spirituale di aver tentato di abusare di lei. Naturalmente il sant’uomo, dopo i rigori di un’inchiesta ecclesiastica, fu scagionato e riabilitato, ma intanto la sedicenne Olimpia era convolata a nozze con un anziano e ricco borghese, Paolo Nini, che ebbe il buon gusto di lasciarla vedova (e ricca) dopo appena tre anni di matrimonio.
Potremmo definire questa serie di pur notevoli eventi come il prologo alla storia di Olimpia, poiché se la sua vicenda umana si fosse limitata a questo noi oggi non saremmo qui a ricordarla.
Fu il suo secondo matrimonio a far di lei la “Pimpaccia di Piazza Navona”: la donna più odiata, temuta e riverita della Roma seicentesca. Olimpia è giovane, non ancora ventenne, seppur non particolarmente bella; ricchissima, grazie al patrimonio ricevuto in dote e a quello ereditato dal marito; ambiziosa e determinata. Cosa le manca? forse solo un po' di sangue blu che nobiliti le sue origini borghesi. Ma a questo, con le suddette premesse, si può porre rimedio. Fu così che nel 1612 si unì in matrimonio con Pamphilio Pamphili, di antichissima nobiltà, seppur nel contingente a corto di contanti e più vecchio di lei di trent’anni.
Olimpia andò a vivere a Roma, nel palazzo Pamphili a piazza Navona, insieme al marito e ad un cognato che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica: Giovan Battista Pamphili, il futuro papa Innocenzo X.
Olimpia amava Pamphilio? non si fa grande fatica ad escluderlo, ma forse la medesima cosa potremmo anche dire del maturo consorte, distratto da altri interessi e in primo luogo dalle sue collezioni. Fatto sta che "Trascorso poco tempo dalle nozze", come scrive un cronista del tempo, "andava la giovane sposa più spesso in carrozza col cognato che col marito; si tratteneva molto più nello studiolo con quello che nel letto con questo".
Nasce cioè tra Olimpia e Giovan Battista quella straordinaria intesa umana e intellettuale che li accompagnerà per tutta la vita. Tra i due, è evidente, la personalità più forte è quella di Olimpia, ma ciò non indurrà lei alla prevaricazione, né lui alla sudditanza psicologica. Vi era, casomai, una compenetrazione di anime, un volere comune: Olimpia perseguiva genuinamente il bene e l'interesse di Giovan Battista e lui ne era consapevolmente convinto, al punto da accettare quasi con abbandono la sua guida. "Senza di te mi sento come una nave senza timone", le scrisse una volta dalla Spagna quando era ancora cardinale.
Roma, il Palazzo Pamphili a Piazza Navona
Una tale unione spirituale presuppone forse una profonda e intima complicità fisica? In altre parole Olimpia e Innocenzo furono amanti o il loro fu soltanto un grandissimo, seppur trattenuto, amore platonico? Noi saremmo propensi per la prima ipotesi, non ci vedremmo niente di strano: da sempre relazioni sessuali con uomini potenti costituiscono (talvolta) una scorciatoia per realizzare inconfessabili ambizioni. E non era certo un tabù, nella Roma del seicento, per un ecclesiastico avere un’amante.
Le fonti ci dicono però che il loro fu soltanto un amore spirituale e platonico, senza cedimenti sul piano fisico, se non su quello emotivo.
E’ a questo punto tuttavia che inizia la “leggenda nera” di Olimpia che agli occhi del popolo di Roma, in virtù della sua soverchiante influenza sul cardinal Pamphili prima e su papa Innocenzo X poi, diventa per sempre “la Pimpaccia di Piazza Navona”.
Non è del tutto pacifica l’origine di questo soprannome, che a noi appare come una storpiatura in senso dispregiativo del nome Olimpia. Altri ritengono sia mutuato dal nome, Pimpa, della intrigante protagonista di una commedia allora in voga.
Anche Pasquino ci mise del suo, con un pungente gioco di parole: “Olim Pia” (ovvero: una volta pia, devota), “Tunc impia” (ora empia, sacrilega), condito da ulteriori motteggi per più facili palati.
Fatto sta che Olimpia con pazienza e lungimiranza sostenne, anche economicamente, la carriera ecclesiastica del cognato, fino alla nomina a cardinale, fino alla conquista del soglio di Pietro.
Era notorio che chi volesse avvicinare il cardinale Pamphili per richieste, suppliche o favori dovesse preventivamente omaggiare Olimpia, il cui intervento era tutt’altro che disinteressato.
Quando poi il cognato assurse al papato il potere di Olimpia divenne tale che il popolo, con soggezione mista a spregio, cominciò a chiamarla la “papessa”. Sembra infatti che il pontefice, soggiogato dalla sua influenza, fosse incapace di prendere decisioni di un qualche rilievo senza l’avallo, più che il consiglio, di Olimpia.
Questo le consentì di acquisire un ruolo di assoluta preminenza nella corte papale, come pure di accumulare grandi ricchezze, mettendo a frutto i capitali investiti per favorire la carriera del cognato e la sua ascesa al papato.
Innocenzo X, la cui memoria iconografica è legata allo splendido ritratto di Velazquez reinterpretato nel novecento in modo visionario dall’artista inglese Francis Bacon, mostrò la sua riconoscenza alla “Pimpaccia” con atti di smaccato nepotismo: Camillo Pamphili, figlio di Olimpia e nipote del pontefice, dopo esser stato nominato Generale della Chiesa, Comandante della flotta e Governatore di Borgo ebbe nel 1644 la porpora cardinalizia, realizzando così una grande aspirazione della madre che aveva lungamente brigato per spingere il figlio ad intraprendere la carriera ecclesiastica.
Non solo, riuscì ad Olimpia, grazie al suo ascendente sul papa, di far posare la berretta cardinalizia anche sulla testa del nipote Francesco Maidalchini.
Per sé ottenne il sospirato titolo nobiliare di Principessa di San Martino al Cimino che onorò ricostruendo l’antica abbazia in rovina, il grande Palazzo Pamphili e ristrutturando il borgo secondo il caratteristico disegno di impronta militare che ancora lo distingue.
Busto di Olimpia di Alessandro Algardi
Tutto ciò le provocò, inevitabilmente, invidie e maldicenze. Quest’ultime, in particolare, di tale virulenza da apparire talvolta inverosimili.
Prendendo a spunto un suo interessamento per il recupero delle meretrici che numerosissime operavano nella Roma papalina fu accusata di gestire un vero e proprio traffico di prostituzione; il suo attivismo caritatevole per l’accoglienza dei pellegrini del giubileo del 1650 fu bollato come interessato e lucroso; addirittura si disse che Bernini per garantirsi l’appalto della “Fontana dei quattro fiumi” in Piazza Navona dovette ingraziarsi la “Pimpaccia” con un modello in argento della fontana stessa di un metro e mezzo di altezza! Trascurando le voci, totalmente inaccoglibili, che la vogliono avvelenatrice del marito ormai ottantenne, la sua smodata avidità di danaro troverebbe conferma in un episodio, oltremodo squallido, verificatosi nel 1655 alla morte del suo grande protettore, il pontefice Innocenzo X.
Si dice che Olimpia abbandonò di gran fretta il palazzo vaticano – la “sede vacante” che si verificava alla morte di un papa era sempre occasione di vendette e gravi disordini – dopo aver sottratto due casse piene di monete d’oro nascoste sotto il letto del papa.
Non solo, pare che si rifiutò di partecipare alle spese per le esequie papali dichiarandosi priva di risorse e giustificandosi col dire “che soldi volete che abbia una povera vedova?”.
Fatto sta che la salma del pontefice restò per un giorno in attesa che qualcuno provvedesse a deporla in una bara, cosa a cui infine si determinò il vecchio maggiordomo, spendendo del suo.
Con la morte di Innocenzo X viene a compimento la parabola esistenziale di Olimpia che si ritira nel suo feudo a San Martino al Cimino dove morirà di peste dopo solo due anni: fu sepolta, come da sua richiesta, sotto la navata centrale dell’abbazia.
La sorpresa, grande, fu per i suoi eredi che si videro investiti della favolosa cifra di due milioni di scudi, frutto della sua scaltra determinazione come pure della sua oculata amministrazione
LA PASQUA
Per la religione cristiana, gli eventi che condussero alla morte di Gesù sono commemorati ogni anno con la festività della Pasqua. Ecco cosa avvenne. Gesù e i dodici discepoli da lui scelti erano venuti a Gerusalemme per celebrare la Pasqua ebraica, una festa che ricordava la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù d'Egitto. Gesù sapeva di correre gravi rischi, perché i sacerdoti e i Romani consideravano molto pericolosa la sua influenza e volevano sbarazzarsi di lui. Questa speciale ricorrenza della Pasqua ebraica,perciò sarebbe stata l'ultima cena che Gesù e i dodici discepoli avrebbero consumato insieme.
Sedevano dunque a una lunga tavola su cui erano posati i vassoi con l'agnello pasquale, il pane e il vino. Tutti erano d'umore molto triste. " Sono contento di avere questa opportunità e di stare con voi." disse Gesù. " Perché sarà l'ultima volta che ceneremo insieme, in questa vita." Nessuno parlò. I discepoli non sapevano che cosa dire. Poi Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò in dodici parti e ne diede un pezzo a ciascuno dei suoi discepoli. " Mangiate questo pane" disse " in memoria di me". " Poiché questo é il mio corpo". Poi prese un bicchiere di vino e lo passò a turno a ciascuno di loro. " Bevete questo vino" disse " poiché questo é il mio sangue, che io verserò perché siano perdonati i peccati di tutti." Mangiarono senza parlare.
Quando ebbero finito, Gesù ruppe il silenzio con parole che fecero rabbrividire tutti i commensali. " Un'ultima cosa devo dirvi" disse profondamente turbato. " Questa sera uno di voi mi tradirà". I discepoli non credevano alle loro orecchie. Cominciarono a parlare tutti insieme, decisi a negare questa terribile accusa. Eppure Gesù era sicuro. " Ma chi sarà? Signore?" chiese Pietro. " Chi di noi tradirà?" Prima che Gesù avesse il tempo di rispondere, ci fu un certo scompiglio, in fondo alla tavolata. Uno dei dodici, di nome Giuda Iscariota, si era alzato di scatto rovesciando la sedia ed era uscito di corsa. Gesù non ebbe bisogno di parlare; la risposta era evidente. Sarebbe stato Giuda a tradirlo. Più tardi,quella sera, Gesù andò con i discepoli, all'orto di Getsemani. Mentre pregavano, ecco arrivare Giuda con un drappello di guardie del Tempio; qualche giorno prima aveva preso accordi con i sacerdoti per consegnare loro Gesù in cambio di trenta denari. "Quello che bacerò é l'uomo che volete!" bisbigliò Giuda ai soldati. E andò diritto a raggiungere Gesù. " Ti saluto Maestro" disse Giuda e baciò Gesù su una guancia. Immediatamente i soldati afferrarono Gesù e lo portarono via. I discepoli non poterono fare nulla. Scappò via anche Giuda, vergognandosi di quello che aveva fatto. Gesù fu condotto al Tempio, dove i sacerdoti lo stavano aspettando. Ora toccava a loro dimostrare che c'erano buone ragioni per mandare a morte Gesù.
Lo interrogarono per tutta la notte, sperando di coglierlo in fallo. Ma Gesù non disse nulla. Alla fine il sommo sacerdote gli pose una domanda: " Sei tu il figlio di Dio?" gli chiese. " Sì, lo sono" rispose Gesù. " E' una bestemmia!" gridarono gli altri sacerdoti. " Sostiene di essere Dio,mentre non lo é e non può esserlo!" dissero ancora. " Deve morire per questa bestemmia!" convennero tutti. I sacerdoti portarono Gesù davanti a Ponzio Pilato, il governatore romano, perché era necessario il suo consenso per poter condannare a morte Gesù. Pilato si trovò di fronte ad un dilemma; non voleva mettersi in contrasto con i sacerdoti, e al tempo stesso, era convinto che Gesù non meritasse la condanna a morte. Così condusse fuori Gesù e lo mostrò alla folla in attesa. " E' mia abitudine liberare un prigioniero in occasione della vostra Pasqua" disse alla gente. " Chi volete libero? Devo liberare Gesù?" " No!" gridò la folla. "libera Barabba, al posto suo!" I sacerdoti avevano pagato quella gente. " E Gesù invece sia crocifisso!". Pilato non ebbe altra scelta che liberare Barabba e consegnare Gesù ai soldati.
Gesù fu condotto sul Golgota, che vuol dire " il luogo del teschio" e qui venne inchiodato ad una croce, con un ladrone alla sua sinistra e un ladrone alla sua destra. " Perdonali, Padre Mio" pregò Gesù " poiché non sanno quello che fanno." Tutto il giorno Gesù restò appeso alla croce, diventando sempre più debole. Poi, quando cadde la notte, lanciò un ultimo grido. " E' compiuto!" disse, e con queste parole morì. Alcuni seguaci di Gesù pregarono Pilato di concedere il suo corpo per dargli degna sepoltura. Pilato acconsentì perché si sentiva un po' colpevole. I seguaci fecero scendere dalla croce il corpo di Gesù; lo avvolsero in un grande lenzuolo bianco e così fasciato lo portarono in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fecero rotolare una pietra all'ingresso della tomba e tornarono lentamente a casa; quello era il giorno più triste della loro vita. Passati tre giorni, Maria Maddalena ed alcuni discepoli tornarono al sepolcro.
Con loro enorme stupore, videro che la pietra era stata tolta e la tomba era vuota. Il corpo di Gesù era scomparso. I discepoli corsero ad avvisare gli altri, mentre Maria Maddalena rimase presso il sepolcro a piangere. D'un tratto alzò gli occhi e accanto a lei c'era un uomo. " Perché piangi?" le chiese l'uomo con grande dolcezza. " Cosa è successo?" La donna iniziò a parlargli della tomba vuota, ma lui la interruppe. " Non mi riconosci, Maria?" disse. " Sono io, Gesù. Và a dire ai miei amici che sono vivo e non essere più triste." Piena di gioia,Maria corse dai discepoli per raccontare quello che aveva visto. All'inizio non le credettero; era troppo bello per essere vero. Ma ben presto arrivarono delle conferme: altri l'avevano visto. E poi, un giorno venne a trovarli di persona. Dapprima pensarono che fosse un fantasma, ma Gesù mostrò i segni dei chiodi sulle mani e sui piedi, e mangiò il pesce e il miele che gli diedero. Poi disse ai discepoli di raccontare a tutti che era morto e resuscitato per loro, in modo che ciascuno, chiunque fosse, venisse perdonato dei propri peccati e conducesse una vita buona ed onesta.
Alla fine prese congedo dai discepoli, poi, sotto ai loro occhi, fu sollevato in cielo su una nuvola.La festa di Pasqua ripropone ogni anno questo messaggio di libertà e speranza. Anche la natura sembra coglierlo e farlo suo: l'erba ricresce nei prati, spuntano fiori e germogli, nascono cuccioli e pulcini. Tutto è promessa e speranza nel domani.
Sedevano dunque a una lunga tavola su cui erano posati i vassoi con l'agnello pasquale, il pane e il vino. Tutti erano d'umore molto triste. " Sono contento di avere questa opportunità e di stare con voi." disse Gesù. " Perché sarà l'ultima volta che ceneremo insieme, in questa vita." Nessuno parlò. I discepoli non sapevano che cosa dire. Poi Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò in dodici parti e ne diede un pezzo a ciascuno dei suoi discepoli. " Mangiate questo pane" disse " in memoria di me". " Poiché questo é il mio corpo". Poi prese un bicchiere di vino e lo passò a turno a ciascuno di loro. " Bevete questo vino" disse " poiché questo é il mio sangue, che io verserò perché siano perdonati i peccati di tutti." Mangiarono senza parlare.
Quando ebbero finito, Gesù ruppe il silenzio con parole che fecero rabbrividire tutti i commensali. " Un'ultima cosa devo dirvi" disse profondamente turbato. " Questa sera uno di voi mi tradirà". I discepoli non credevano alle loro orecchie. Cominciarono a parlare tutti insieme, decisi a negare questa terribile accusa. Eppure Gesù era sicuro. " Ma chi sarà? Signore?" chiese Pietro. " Chi di noi tradirà?" Prima che Gesù avesse il tempo di rispondere, ci fu un certo scompiglio, in fondo alla tavolata. Uno dei dodici, di nome Giuda Iscariota, si era alzato di scatto rovesciando la sedia ed era uscito di corsa. Gesù non ebbe bisogno di parlare; la risposta era evidente. Sarebbe stato Giuda a tradirlo. Più tardi,quella sera, Gesù andò con i discepoli, all'orto di Getsemani. Mentre pregavano, ecco arrivare Giuda con un drappello di guardie del Tempio; qualche giorno prima aveva preso accordi con i sacerdoti per consegnare loro Gesù in cambio di trenta denari. "Quello che bacerò é l'uomo che volete!" bisbigliò Giuda ai soldati. E andò diritto a raggiungere Gesù. " Ti saluto Maestro" disse Giuda e baciò Gesù su una guancia. Immediatamente i soldati afferrarono Gesù e lo portarono via. I discepoli non poterono fare nulla. Scappò via anche Giuda, vergognandosi di quello che aveva fatto. Gesù fu condotto al Tempio, dove i sacerdoti lo stavano aspettando. Ora toccava a loro dimostrare che c'erano buone ragioni per mandare a morte Gesù.
Lo interrogarono per tutta la notte, sperando di coglierlo in fallo. Ma Gesù non disse nulla. Alla fine il sommo sacerdote gli pose una domanda: " Sei tu il figlio di Dio?" gli chiese. " Sì, lo sono" rispose Gesù. " E' una bestemmia!" gridarono gli altri sacerdoti. " Sostiene di essere Dio,mentre non lo é e non può esserlo!" dissero ancora. " Deve morire per questa bestemmia!" convennero tutti. I sacerdoti portarono Gesù davanti a Ponzio Pilato, il governatore romano, perché era necessario il suo consenso per poter condannare a morte Gesù. Pilato si trovò di fronte ad un dilemma; non voleva mettersi in contrasto con i sacerdoti, e al tempo stesso, era convinto che Gesù non meritasse la condanna a morte. Così condusse fuori Gesù e lo mostrò alla folla in attesa. " E' mia abitudine liberare un prigioniero in occasione della vostra Pasqua" disse alla gente. " Chi volete libero? Devo liberare Gesù?" " No!" gridò la folla. "libera Barabba, al posto suo!" I sacerdoti avevano pagato quella gente. " E Gesù invece sia crocifisso!". Pilato non ebbe altra scelta che liberare Barabba e consegnare Gesù ai soldati.
Gesù fu condotto sul Golgota, che vuol dire " il luogo del teschio" e qui venne inchiodato ad una croce, con un ladrone alla sua sinistra e un ladrone alla sua destra. " Perdonali, Padre Mio" pregò Gesù " poiché non sanno quello che fanno." Tutto il giorno Gesù restò appeso alla croce, diventando sempre più debole. Poi, quando cadde la notte, lanciò un ultimo grido. " E' compiuto!" disse, e con queste parole morì. Alcuni seguaci di Gesù pregarono Pilato di concedere il suo corpo per dargli degna sepoltura. Pilato acconsentì perché si sentiva un po' colpevole. I seguaci fecero scendere dalla croce il corpo di Gesù; lo avvolsero in un grande lenzuolo bianco e così fasciato lo portarono in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fecero rotolare una pietra all'ingresso della tomba e tornarono lentamente a casa; quello era il giorno più triste della loro vita. Passati tre giorni, Maria Maddalena ed alcuni discepoli tornarono al sepolcro.
Con loro enorme stupore, videro che la pietra era stata tolta e la tomba era vuota. Il corpo di Gesù era scomparso. I discepoli corsero ad avvisare gli altri, mentre Maria Maddalena rimase presso il sepolcro a piangere. D'un tratto alzò gli occhi e accanto a lei c'era un uomo. " Perché piangi?" le chiese l'uomo con grande dolcezza. " Cosa è successo?" La donna iniziò a parlargli della tomba vuota, ma lui la interruppe. " Non mi riconosci, Maria?" disse. " Sono io, Gesù. Và a dire ai miei amici che sono vivo e non essere più triste." Piena di gioia,Maria corse dai discepoli per raccontare quello che aveva visto. All'inizio non le credettero; era troppo bello per essere vero. Ma ben presto arrivarono delle conferme: altri l'avevano visto. E poi, un giorno venne a trovarli di persona. Dapprima pensarono che fosse un fantasma, ma Gesù mostrò i segni dei chiodi sulle mani e sui piedi, e mangiò il pesce e il miele che gli diedero. Poi disse ai discepoli di raccontare a tutti che era morto e resuscitato per loro, in modo che ciascuno, chiunque fosse, venisse perdonato dei propri peccati e conducesse una vita buona ed onesta.
Alla fine prese congedo dai discepoli, poi, sotto ai loro occhi, fu sollevato in cielo su una nuvola.La festa di Pasqua ripropone ogni anno questo messaggio di libertà e speranza. Anche la natura sembra coglierlo e farlo suo: l'erba ricresce nei prati, spuntano fiori e germogli, nascono cuccioli e pulcini. Tutto è promessa e speranza nel domani.
GRAFFITI VETRO ARTE
IL MALTOLO per portare al "suicidio" i tumori. UNA RICERCA TUTTA ITALIANA
IL MALTOLO Nuova scoperta nel campo dei tumori, nuovamente di stampo italiano dopo quanto accaduto con Roberta Benetti.
Le ricerche sono portate avanti da due staff di ricerca, quello del dott.
Mirco Fanelli del Laboratorio di Patologia Molecolare “Paola”e quello del prof. Vieri Fusi, del Laboratorio di Chimica Supramolecolare, presso l'Università di Urbino.
Lo studio in questione porta alla luce come il MALTOLO, sostanza contenuta in molti cibi come il malto, il caffè, il cocco e la cicoria, possa portare all'autodistruzione le cellule tumorali, un vero e proprio "suicidio".
Ne parla Mirco Fanelli, a capo della ricerca, :
"Da subito abbiamo monitorato come alcuni modelli neoplastici (colture cellulari in vitro) fossero sensibili ai trattamenti con le due molecole denominate malten e maltonis :
le cellule, in risposta ai trattamenti, alterano dapprima la loro capacità di replicare e, successivamente, inducono un importante processo biologico che le conduce ad un vero e proprio suicidio, ovvero all'autodistruzione".
Gli scienziati spiegano che le prime dimostrazioni hanno prodotto risultanti interessanti, mostrando incredibili proprietà biologiche capaci di provocare una sensibile riduzione della massa tumorale.
Dice Fanelli:
"Queste nuove molecole sembrano agire attraverso dei meccanismi nuovi riconducibili a modificazioni strutturali della cromatina.
Tale meccanismo di azione, ad oggi mai osservato in molecole ad azione antineoplastica, è alla base per un potenziale sviluppo di molecole che possano sfruttare strategie alternative con cui bersagliare le cellule tumorali". La speranza dei ricercatori è quella di sviluppare una nuova arma partendo da una base naturale per sconfiggere il cancro, destinata soprattutto a quei tipi di tumore ancora sprovvisti di terapia o derivanti da una recidiva.
da http://www.inmeteo.net
venerdì 29 marzo 2013
Le erbe medicinali dei nostri nonni
Si sta avvicinando la stagione migliore dell’anno, per andar a cercare le erbe spontanee (da metà Marzo fino alla fine di Aprile).
Il contatto con la natura e la soddisfazione di cucinare qualcosa di buono, salutare e con gusti che appartengono alla tradizione passata, attraggono un numero
sempre maggiore di appassionati.
Il Taraxacum officinale è una delle piante erbacee selvatiche commestibile più note, facilmente reperibile nei prati e nei pascoli di tutto il nostro paese, nei luoghi incolti, lungo i bordi delle strade.
Le foglie hanno forma oblunga e presentano il margine seghettato o dentellato (da cui deriva appunto il nome di dente di leone). Si riconosce facilmente dai suoi fiori giallo intenso che lasciano presto il posto a globi soffici e piumosi chiamati soffioni.
Originariamente il tarassaco era diffuso in Europa, Asia centrale e settentrionale, Africa e America boreale.
Attualmente si trova in tutte le regioni temperate e fredde del pianeta; vegeta diffusamente e spontaneamente nei prati , nei campi, lungo le strade, nei cortili.
Il sapore di quest’erba è amaro, tonico, gradevole.
Si raccoglie in primavera prima che fiorisca, quando il primo sole tiepido comincia ad accarezzare i campi, ed è proprio allora che la sua azione depurativa è utile per il fegato quasi sempre un po’ intossicato dalla vita invernale.
Chi ha un sistema immunitario indebolito può trovare nel tarassaco un efficace alleato, grazie alla specifica sinergia tra l’acido caffeinico e taraxinico
Secondo una recente ricerca il tarassaco fresco possiede un’importante attività antivirale, efficace sia sulle comuni infezioni delle vie respiratorie sia sui processi infiammatori generali.
È, inoltre, una delle migliori fonti di pro vitamina A e anche di manganese, sostanza che agisce sulla capacità di eliminare le tossine, favorendo la diuresi.
Il consumo di tarassaco è dunque indicato alle persone gracili, intossicate.
Che si ammalano facilmente
Il tarassaco viene usato sia dalla cucina sia dalla farmacopea popolare.
La terapia a base di foglie o radici di tarassaco è chiamata "tarassaco terapia".
È una pianta di rilevante interesse in apicoltura, che fornisce alle api sia polline sia nettare.
Uso culinario Il tarassaco è usato per preparare un'apprezzata insalata primaverile depurativa, sia da solo che con altre verdure.
In Piemonte, dove viene chiamato "girasole", è tradizione consumarlo con uova sode durante le scampagnate di Pasquetta.
Anche i petali dei fiori possono contribuire a dare sapore e colore a insalate miste.
I boccioli sono apprezzabili se preparati sott'olio.
I fiori si possono preparare in pastella e quindi friggere.
Le tenere rosette basali si possono consumare con soddisfazione sia lessate e quindi condite con olio extravergine di oliva, sia saltate in padella con aglio (o ancor meglio con aglio orsino).
Il contatto con la natura e la soddisfazione di cucinare qualcosa di buono, salutare e con gusti che appartengono alla tradizione passata, attraggono un numero
sempre maggiore di appassionati.
Il Taraxacum officinale è una delle piante erbacee selvatiche commestibile più note, facilmente reperibile nei prati e nei pascoli di tutto il nostro paese, nei luoghi incolti, lungo i bordi delle strade.
Le foglie hanno forma oblunga e presentano il margine seghettato o dentellato (da cui deriva appunto il nome di dente di leone). Si riconosce facilmente dai suoi fiori giallo intenso che lasciano presto il posto a globi soffici e piumosi chiamati soffioni.
Originariamente il tarassaco era diffuso in Europa, Asia centrale e settentrionale, Africa e America boreale.
Attualmente si trova in tutte le regioni temperate e fredde del pianeta; vegeta diffusamente e spontaneamente nei prati , nei campi, lungo le strade, nei cortili.
Il sapore di quest’erba è amaro, tonico, gradevole.
Si raccoglie in primavera prima che fiorisca, quando il primo sole tiepido comincia ad accarezzare i campi, ed è proprio allora che la sua azione depurativa è utile per il fegato quasi sempre un po’ intossicato dalla vita invernale.
Chi ha un sistema immunitario indebolito può trovare nel tarassaco un efficace alleato, grazie alla specifica sinergia tra l’acido caffeinico e taraxinico
Secondo una recente ricerca il tarassaco fresco possiede un’importante attività antivirale, efficace sia sulle comuni infezioni delle vie respiratorie sia sui processi infiammatori generali.
È, inoltre, una delle migliori fonti di pro vitamina A e anche di manganese, sostanza che agisce sulla capacità di eliminare le tossine, favorendo la diuresi.
Il consumo di tarassaco è dunque indicato alle persone gracili, intossicate.
Che si ammalano facilmente
Il tarassaco viene usato sia dalla cucina sia dalla farmacopea popolare.
La terapia a base di foglie o radici di tarassaco è chiamata "tarassaco terapia".
È una pianta di rilevante interesse in apicoltura, che fornisce alle api sia polline sia nettare.
Uso culinario Il tarassaco è usato per preparare un'apprezzata insalata primaverile depurativa, sia da solo che con altre verdure.
In Piemonte, dove viene chiamato "girasole", è tradizione consumarlo con uova sode durante le scampagnate di Pasquetta.
Anche i petali dei fiori possono contribuire a dare sapore e colore a insalate miste.
I boccioli sono apprezzabili se preparati sott'olio.
I fiori si possono preparare in pastella e quindi friggere.
Le tenere rosette basali si possono consumare con soddisfazione sia lessate e quindi condite con olio extravergine di oliva, sia saltate in padella con aglio (o ancor meglio con aglio orsino).
Le percezioni umane
Caccia alla volpe: bloccata la strage a Siena dopo le proteste degli animalisti
La caccia alla volpe è stata annullata.
La Provincia di Siena ha deciso di rinviare il tutto, predisponendo una moratoria, sospendendo a data da destinarsi la delibera che è stata ampiamente contestata.
Non si è avuto un ritiro del provvedimento, per evitare un indebolimento giuridico dell’amministrazione. In ogni caso il risultato è soddisfacente, perché si è detto comunque stop al massacro.
Si può confermare la vittoria di chi si è battuto contro un atto sanguinario ce rischiava di incidere in maniera forte sugli equilibri della natura e che ha scandalizzato per la mancanza di sensibilità. Mauro Romanelli , il consigliere regionale che ha presentato un’interrogazione sulla questione, ha rivolto i propri ringraziamenti a chi s’è attivato.
Secondo il suo parere tutto ciò ha dimostrato che protestare serve a qualcosa e che i cittadini hanno sia il diritto che il dovere di far valere le ragioni che stanno loro a cuore. Il fermo della triste attività è stato reso possibile grazie al passaparola, che si è innescato anche a livello mediatico, toccando nel profondo le persone più sensibili.
La caccia alla volpe è un fenomeno balzato negli ultimi giorni all’attenzione dell’opinione pubblica, grazie alla denuncia delle associazioni animaliste, e ha provocato molte polemiche. Si tratta di una pratica che riceve un’autorizzazione specifica che sarebbe dovuta partire dal primo aprile, per essere messa in atto all’interno degli istituti faunistici della provincia di Siena.
Si tratterebbe teoricamente di un’attività di controllo, ma in realtà tutto si traduce in una vera e propria strage di animali indifesi. Fucili e cani: questi gli strumenti utilizzati, per perpetrare un massacro orribile. Lav, Oipa, Fiadaa, Enpa, Lega del cane e Leidaa si stanno battendo per fermare un disastro annunciato.
E non occorre essere animalisti convinti per inorridirsi di fronte a uno spettacolo assurdo. Una barbarie, insomma, di cui a fare le spese sono in particolare i cuccioli. Gli esemplari adulti, infatti, percependo il pericolo, riescono a scappare via e nelle tane lasciano i loro piccoli, troppo deboli per fuggire e alla fine sono proprio questi che vengono sbranati dai cani.
Ecco perché si può parlare di vero e proprio maltrattamento e non si è affatto lontano dagli esperimenti scientifici che prevedono i test dei prodotti cosmetici sugli animali. Come può la crudeltà umana arrivare a tanto? Lo sterminio barbaro di queste bestioline non è suffragato da nessuna giustificazione scientifica. Secondo molte associazioni ambientaliste sarebbero invece i cacciatori a volerle eliminare. Perché?
Le volpi si cibano di lepri e fagiani, prede venatorie ambite.
Secondo ciò che ha dichiarato Anna Maria Betti, assessore alla caccia della Provincia di Siena, le cose starebbero in un altro modo. Tutta la situazione sarebbe monitorata da uno specifico protocollo dell’Ispra, l’Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
In base a questi piani di controllo delle specie quest’anno ci sarebbero 500 volpi da abbattere, che sono pari a circa 200 in più rispetto all’anno scorso. L’assessore ha continuato affermando che la volpe, essendo un predatore, danneggia la fauna e proprio per questo si deve perseguire una logica di biodiversità, assicurando gli equilibri naturali.
C’è da chiedersi invece se lo sterminio possa servire veramente al raggiungimento di questo obiettivo.
Secondo le organizzazioni animaliste non è così. L’Enpa ha detto chiaramente che la “colpa” delle volpi è quella di essere un “competitor” delle doppiette. Sulla stessa lunghezza d’onda Andrea Cucini, responsabile della Lac di Siena. Anche il partito EcoAnimalista ha lanciato una petizione contro la caccia alla volpe in provincia di Siena.
Il WWF aveva chiesto che venisse annullata la carneficina e vorrebbe che il nuovo piano faunistico-venatorio, che si trova attualmente in fase di approvazione, venisse modificato proprio su questo argomento. In base a ciò che hanno detto i responsabili del WWF, il riequilibrio degli ecosistemi naturali è soltanto uno strumento usato indirettamente per favorire l’espandersi di popolazioni animali per l’interesse venatorio. Più decisa è stata la Lav, che promuove un’attività di mailbombing e che ha richiesto anche il sequestro preventivo degli animali, per impedire una pratica ritenuta fuori legge.
Secondo la normativa, infatti, ci sono metodi previsti, che si discostano da quelli usati, i quali a volte puntano anche a far morire i cuccioli di inedia. La Lega Antivivisezione aveva promesso di denunciare i colpevoli della strage.
E’ stata anche predisposta una lettera, dal titolo “Fermate la caccia alla volpe in tana: è crudele e sbagliata“. Fautore di questa iniziativa è stata la trasmissione che va in onda su Controradio in Toscana. Molti personaggi famosi hanno deciso di aderire. Hanno firmato, fra gli altri, Margherita Hack, Susanna Tamaro, Paola Maugeri, l’eurodeputato Andrea Zanoni, lo chef Simone Salvini. Il discorso è incentrato su motivazioni etiche e civili, ma anche su informazioni tecniche, ricavate dalla consulenza fornita dagli esperti. Viene specificato che l’Ispra aveva raccomandato di provvedere all’utilizzo di metodi non cruenti e che le operazioni si dovessero svolgere da agosto a gennaio, per non nuocere ai cuccioli e alle madri. Il periodo è completamente errato, perché ci troviamo nel momento in cui i cuccioli sono allattati. La volpe conduce una dieta molto flessibile e dà un contributo molto utile nel mantenere gli equilibri di invertebrati, topi, uccelli, anfibi e rettili. Riducendo il numero delle volpi, non si fa altro che sbilanciare la presenza di altre specie. Tra l’altro questi animali non costituiscono una popolazione invasiva nel territorio.
Mantova : Palazzo Ducale
Nel 1490 Isabella d’Este sposò Francesco II Gonzaga, signore di Mantova. Ben presto trasformò la corte in una fucina artistica, lasciando la propria impronta decisiva nella sistemazione del palazzo e nello sviluppo della cultura rinascimentale.
Il Palazzo Ducale di Mantova, sorto intorno al castello della dinastia, posto a ridosso di due dei tre laghi che circondano la città, crebbe nel corso dei secoli fino a diventare un complesso gigantesco di ben 34 000 metri quadrati di superficie.
Si tratta di una vera e propria “città in forma di palazzo”, come è stato detto, composta da molti edifici distinti per stile, struttura, caratteristiche ed epoca, con oltre 550 camere, piazze interne, giardini, porticati collegati da corridoi, passaggi e disimpegni di tutti i generi. Ed è anche, per così dire, un immenso, spettacolare contenitore artistico.
Nel 1328 Luigi Gonzaga riuscì a scalzare dal potere la famiglia Bonacolsi, fino a quel momento signora della città di Mantova.
Un anno dopo l’imperatore Ludovico IV il Bavaro lo nominò vicario imperiale nella città, dando così una veste legale alle ambizioni di dominio della dinastia.
Luigi usava, come sede del governo, il palazzo duecentesco in cui già avevano risieduto i Bonacolsi, comprendente il “palazzo del Capitano del Popolo” e la cosiddetta “Magna Domus”.
Quando Mantova, alla fine del Trecento, fu elevata a contea, i Gonzaga disposero nuovi lavori di ampliamento e aggiunsero agli edifici esistenti il “castello di San Giorgio”, preziosa costruzione fortificata realizzata da Bartolino da Novara.
Nel 1433 Gianfrancesco Gonzaga guadagnò per se e per i suoi eredi la dignità di marchese di Mantova.
Per onorare il nuovo titolo diede inizio ad altre opere di abbellimento del palazzo, iniziando la politica mecenatesca che sotto Francesco II e Isabella d’Este ne fece un centro di primo piano del Rinascimento.
Nel 1530 i Gonzaga diventarono duchi: e ancora una volata la loro residenza – da quel momento indicata con il nome di Palazzo Ducale – si riempì di architetti, artisti, letterati, motivo di vanto per la corte.
Nel 1627, quando l’ultimo duca morì, senza lasciare eredi maschi, il palazzo era ormai diventato una delle più grandi e complesse regge europee. Per la successione si scatenò una guerra europea: Mantova, rivendicata sia dai Asburgo che dai francesi, passò per un certo periodo al ramo francese dei Gonzaga – Nevers; poi, nel 1708, all’Austria, cui rimase, esclusa la parentesi napoleonica, fino all’Unità d’Italia.
Benché sia conosciuto come palazzo, il complesso mantovano è in realtà un intrico di palazzi, gallerie, scaloni, scalette, passaggi, corridoi. Comprende persino un grande castello, una quindicina di piazze, giardini, cortili interni e una grande chiesa. La realizzazione cominciò nel Duecento, con due edifici costruiti dai Bonacolsi, il palazzo del Capitano del Popolo e la Domus Magna, in cui si installarono nel 1328 i Gonzaga. Nel Trecento Francesco I fece innalzare il castello di San Giorgio, sulla riva del lago. Tra i palazzi e il castello sorsero poi, con massimo sviluppo nell’epoca rinascimentale, altre costruzioni. Il complesso forma due blocchi principali: uno meridionale, che si stende da piazza Bordello fino al giardino del Padiglione, e uno settentrionale che dal giardino del Padiglione si stende fino al castello di San Giorgio. A cerniera tra i due blocchi la basilica palatina di Santa Barbara. All’interno le varie sale sono raggruppate in appartamenti.
Gianfrancesco (1394 – 1444), primo marchese della famiglia Gonzaga, incaricò Antonio Pisano, detto Pisanello, di affrescare una sala del palazzo con il ciclo del leggendario re Artù; nutriva l’ambizione di passare alla storia grazie a quelle fulgide saghe medievali.
Mezzo secolo dopo la giovane marchesa Isabella d’Este promosse un ampio rinnovamento in senso rinascimentale del già vasto complesso. Le nuove forme, derivate dall’antichità classica,contribuivano a rompere con il pensiero medievale e a mettere nuovamente l’uomo al centro dell’attività artistica: un programma di cui Isabella era ben cosciente, come è facile desumere dalle sue lettere, che costituiscono uno specchio fedele delle concezioni dell’epoca.
L’immenso palazzo è ricco di realizzazioni sorprendenti e di curiosità. Una tra le più inconsuete è costituita dall’appartamento “dei Nani”, cioè dalle stanze in cui vivevano i nani della corte. Si tratta di una serie di ambienti adattati, nelle dimensioni e negli effetti scenici, alla statura dei occupanti. Contrariamente alla credenza comune, i nani non venivano affatto disprezzati o derisi: al contrario, godevano di notevole considerazione e di una non secondaria posizione sociale, e svolgevano i compiti di servitori di fiducia, ma anche di musicisti o artisti. E talvolta le loro minuscole camerette venivano utilizzate come sede sicura per gli incontri amorosi dei sovrani o dei cortigiani.
Il Palazzo Ducale di Mantova, sorto intorno al castello della dinastia, posto a ridosso di due dei tre laghi che circondano la città, crebbe nel corso dei secoli fino a diventare un complesso gigantesco di ben 34 000 metri quadrati di superficie.
Si tratta di una vera e propria “città in forma di palazzo”, come è stato detto, composta da molti edifici distinti per stile, struttura, caratteristiche ed epoca, con oltre 550 camere, piazze interne, giardini, porticati collegati da corridoi, passaggi e disimpegni di tutti i generi. Ed è anche, per così dire, un immenso, spettacolare contenitore artistico.
Nel 1328 Luigi Gonzaga riuscì a scalzare dal potere la famiglia Bonacolsi, fino a quel momento signora della città di Mantova.
Un anno dopo l’imperatore Ludovico IV il Bavaro lo nominò vicario imperiale nella città, dando così una veste legale alle ambizioni di dominio della dinastia.
Luigi usava, come sede del governo, il palazzo duecentesco in cui già avevano risieduto i Bonacolsi, comprendente il “palazzo del Capitano del Popolo” e la cosiddetta “Magna Domus”.
Quando Mantova, alla fine del Trecento, fu elevata a contea, i Gonzaga disposero nuovi lavori di ampliamento e aggiunsero agli edifici esistenti il “castello di San Giorgio”, preziosa costruzione fortificata realizzata da Bartolino da Novara.
Nel 1433 Gianfrancesco Gonzaga guadagnò per se e per i suoi eredi la dignità di marchese di Mantova.
Per onorare il nuovo titolo diede inizio ad altre opere di abbellimento del palazzo, iniziando la politica mecenatesca che sotto Francesco II e Isabella d’Este ne fece un centro di primo piano del Rinascimento.
Nel 1530 i Gonzaga diventarono duchi: e ancora una volata la loro residenza – da quel momento indicata con il nome di Palazzo Ducale – si riempì di architetti, artisti, letterati, motivo di vanto per la corte.
Nel 1627, quando l’ultimo duca morì, senza lasciare eredi maschi, il palazzo era ormai diventato una delle più grandi e complesse regge europee. Per la successione si scatenò una guerra europea: Mantova, rivendicata sia dai Asburgo che dai francesi, passò per un certo periodo al ramo francese dei Gonzaga – Nevers; poi, nel 1708, all’Austria, cui rimase, esclusa la parentesi napoleonica, fino all’Unità d’Italia.
Benché sia conosciuto come palazzo, il complesso mantovano è in realtà un intrico di palazzi, gallerie, scaloni, scalette, passaggi, corridoi. Comprende persino un grande castello, una quindicina di piazze, giardini, cortili interni e una grande chiesa. La realizzazione cominciò nel Duecento, con due edifici costruiti dai Bonacolsi, il palazzo del Capitano del Popolo e la Domus Magna, in cui si installarono nel 1328 i Gonzaga. Nel Trecento Francesco I fece innalzare il castello di San Giorgio, sulla riva del lago. Tra i palazzi e il castello sorsero poi, con massimo sviluppo nell’epoca rinascimentale, altre costruzioni. Il complesso forma due blocchi principali: uno meridionale, che si stende da piazza Bordello fino al giardino del Padiglione, e uno settentrionale che dal giardino del Padiglione si stende fino al castello di San Giorgio. A cerniera tra i due blocchi la basilica palatina di Santa Barbara. All’interno le varie sale sono raggruppate in appartamenti.
Gianfrancesco (1394 – 1444), primo marchese della famiglia Gonzaga, incaricò Antonio Pisano, detto Pisanello, di affrescare una sala del palazzo con il ciclo del leggendario re Artù; nutriva l’ambizione di passare alla storia grazie a quelle fulgide saghe medievali.
Mezzo secolo dopo la giovane marchesa Isabella d’Este promosse un ampio rinnovamento in senso rinascimentale del già vasto complesso. Le nuove forme, derivate dall’antichità classica,contribuivano a rompere con il pensiero medievale e a mettere nuovamente l’uomo al centro dell’attività artistica: un programma di cui Isabella era ben cosciente, come è facile desumere dalle sue lettere, che costituiscono uno specchio fedele delle concezioni dell’epoca.
L’immenso palazzo è ricco di realizzazioni sorprendenti e di curiosità. Una tra le più inconsuete è costituita dall’appartamento “dei Nani”, cioè dalle stanze in cui vivevano i nani della corte. Si tratta di una serie di ambienti adattati, nelle dimensioni e negli effetti scenici, alla statura dei occupanti. Contrariamente alla credenza comune, i nani non venivano affatto disprezzati o derisi: al contrario, godevano di notevole considerazione e di una non secondaria posizione sociale, e svolgevano i compiti di servitori di fiducia, ma anche di musicisti o artisti. E talvolta le loro minuscole camerette venivano utilizzate come sede sicura per gli incontri amorosi dei sovrani o dei cortigiani.
VOGLIA DI NUOVO
ESPERIMENTI
Il fantastico mondo della vetro fusione
Questa tecnica ci permette di fare mille esperimenti ; quando siamo diventati più padroni della materia possiamo unire vari materiali anche non prettamente per vetro e riuscire a creare bellissimi effetti riproducendo anche effetti antichi ......questi oggetti sono stati creati con l'unione di grisaglie evaporate a freddo con aggiunta di smalti per vetro e smalti per ceramica raku poi decorati a caldo con smalti per ceramica 3 fuoco a temperatura 950 gradi circa .
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Betta Splendens, il pesce combattente
Betta Splendens, conosciuto comunemente come pesce combattente o pesce siamese combattente, è un pesce d'acqua dolce appartenente alla famiglia Osphronemidae.
Il pesce combattente presenta un corpo cilindrico con evidenti pinne a forma di veli. In particolar modo il maschio ha una splendida livrea, con una varietà di colori che vanno dal rosso al blu, con riflessi verdi; inoltre tutto il corpo è attraversato da piccole striature longitudinali; possiede anche delle grandi pinne che vengono usate come armi nei combattimenti e per corteggiare le femmine.
L’azione dell’uomo ha selezionato gli individui con le pinne più sviluppate e variopinte così si è passati dalla forma un po’ meno vistosa in natura ad individui con eclettiche tonalità di colore, che possiamo osservare negli acquari.
Le femmine sono in genere più piccole dei maschi (questi raggiungono anche i 6,5 cm), e possiedono livree molto meno appariscenti e colorate e le pinne sono meno sviluppate.
La netta differenza tra maschi e femmine (nelle dimensioni, nei colori o nel possedere qualche altro evidente carattere distintivo) è definita dimorfismo sessuale.
Il nome di “combattente” deriva dalla ferocia con la quale i maschi si affrontano, sino a che uno dei due lascia il duello o muore. Diversamente le femmine si possono osservare raggruppate una accanto all’altra.
Originale è il metodo di riprodursi di questi pesci. Il maschio provvede prontamente a fecondare le uova che la femmina depone in prossimità di un “nido galleggiante”. Questo è creato dal compagno grazie a delle bolle d’aria, rivestite di saliva viscosa, che emette dalla bocca.
In ogni caso le uova vengono raccolte e trasportate nel nido dal maschio, dove queste si schiudono dopo circa 24-30 ore. E’ il maschio ad investire tutte le proprie energie nella cura della prole: veglia gelosamente il nido e nessuno, nemmeno la femmina, se male intenzionata, può avvicinarsi.
Il momento critico per i giovani pesci è la terza settimana, durante la quale si forma il “labirinto” che permette loro di respirare anche l’ossigeno contenuto nell’aria, e quindi di sopravvivere anche con poca acqua a disposizione.
E’ sicuramente una specie molto prolifica, anche se la mortalità tra i giovani è molto elevata. Sono carnivori e si nutrono di gamberetti, insetti, mosche.
In natura questo variopinto pesce lo possiamo ammirare nelle calme acque della Thailandia.
I maschi dei pesci combattenti sono così aggressivi che attaccano perfino la propria immagine riflessa in uno specchio.
In Thailandia essi vengono allevati per appositi combattimenti, sull’esito dei quali il pubblico può scommettere. La competizione comincia mettendo due pesci dalle caratteristiche simili in contenitori di vetro adiacenti. Quando essi cominciano ad attaccarsi, vengono tolti dai contenitori separati e messi in un’unica vasca più grande. Non appena gli animali si sono ripresi dal trauma del trasferimento, si dispongono fianco a fianco e cominciano a eseguire rapidi movimenti d’attacco. A causa delle piccole dimensioni dei denti, i morsi si concentrano sulle pinne.
A volte i combattimenti vengono interrotti, approfittando del momento in cui i pesci salgono in superficie per rifornirsi d’ossigeno. Sebbene i danni che gli animali subiscono durante i combattimenti siano spesso estesi, essi guariscono nell’arco di qualche settimana.
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Maacchhiisseenneeffrreeggaaaaaaa!!!! L'importante è la poltrona
Roma, 29-03-2013 Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avvia oggi un altro giro di consultazioni per verificare lo sviluppo del quadro politico istituzionale che ha portato Pier Luigi Bersani a non concludere con un esito risolutivo per la formazione del governo.
Agenda Si comincia questa mattina alle 11 con il Pdl,
Alle 16 toccherà salire al Colle al Movimento 5 Stelle.
Alle 17 Lista Civica.
Alle 18,30 la delegazione del Pd.
Le tre partite restano più che mai aperte:
sono quella per Palazzo Chigi, quella per il Quirinale, quella interna al Pd. Legate intimamente una all'altra, condizionano le possibilità di successo del presidente della Repubblica, determinato a evitare il ritorno al voto in tempi rapidi
Il Governo del presidente il Capo dello Stato si propone "senza indugio" di esperire "iniziative per gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale". In sostanza, valuterà in prima persona se ci sono ancora degli spiragli (soprattutto sul fronte del Pdl, determinatissimo a spuntare il nome del prossimo inquilino del Colle senza spazi di trattativa) che consentano al segretario del Pd di proseguire la sua corsa o se si dovranno cercare delle alternative come, per esempio, un governo del presidente con un programma definito e guidato da un tecnico di rango a cui affidare l'incarico in tempi strettissimi, forse già da domani sera, si ragiona in ambienti parlamentari. Tant'è che stanno già circolando i nomi di Saccomanni, Cancellieri e Giovannini, il presidente dell'Istat per questo ipotetico incarico.
Casella di partenza Il leader del Pd, dopo aver accettato "con la massima determinazione" il pre incarico, si ritrova dopo una settimana di consultazioni alla casella del via del gioco dell'oca.
A Napolitano spiega le ragioni dello stallo: "Difficoltà derivate da preclusioni e condizioni che non ho ritenuto accettabili", scandisce senza mai pronunciare la parola "rinuncia", della quale non v'e' traccia neppure nella nota del Quirinale, letta dal segretario generale Donato Marra.
La partita, dunque, resta aperta ed e' tutta nelle mani del Capo dello Stato. Bersani è ancora in campo, almeno finché Napolitano non avrà verificato che non ci siano ipotesi più forti e soluzioni più solide.
Non è difficile immaginare che il dialogo fra Napolitano e Bersani abbia per questo motivo sfiorato asperità inedite nel rapporto fra i due.
D'altra parte, ieri sera di fronte all'incredulità della stampa, il portavoce del Presidente, Pasquale Cascella, ha dovuto chiarire:
"No, l'incarico non è stato restituito, è ancora valido".
Formula irrituale che non modifica l'ipotesi molto accreditata che se non ci saranno novità sostanziali al termine degli incontri, o al più tardi sabato mattina, il Capo dello Stato affidi l'incarico a qualcun altro.
Tempi supplementari Il supplemento istruttorio avviato dal Quirinale viene incontro alle richieste di Bersani, ma ha le ore contate: lo stand by non può protrarsi all'infinito.
Né è ipotizzabile che il Quirinale, in assenza di novità di rilievo, mando Bersani in cerca di fortuna alle Camere, senza quei numeri certi al Senato cui ha fatto riferimento fin dal momento del conferimento del mandato al segretario Pd. La partita Pd "Bersani ha fatto mostra di un cinismo tipicamente comunista.
Ha perso un mese, messo a rischio i conti pubblici, e tutto al solo scopo di sfondare il muro di obiezioni del Capo dello Stato, farsi incaricare, andare in Parlamento e farsi bocciare e quindi gestire lui il ritorno alle urne come candidato premier.
Tutto questo, al solo scopo di sbarrare la strada a Matteo Renzi", accusa Osvaldo Napoli.
E' una lettura che arriva dal PdL e che naturalmente cerca di addossare a Bersani tutte le reponsabilità del fallimento.
Ma il problema dei rapporti di forza interni al Pd è ormai chiaro anche agli osservatori 'neutrali': differenti le visioni, differenti le strategie, differenti gli uomini.
Nell'ala bersaniana la presa di posizione del Colle viene letta come una non chiusura totale al tentativo del segretario e si spera in un 'secondo tempo' per Bersani.
Dall'altra parte, molti vedono nella scelta di Giorgio Napolitano di prendere personalmente la situazione il tentativo di verificare l'ipotesi di dare l'incarico a qualcun'altro.
Eventualita' che farebbe scoppiare le divisioni interne al partito.
Anche questo spiegherebbe il nervosismo di Bersani nei confronti del Colle.
Se un'ala del partito e'pronta ad andare al voto, non manca certo chi fa notare che il Pd, soprattutto dopo aver a piu' riprese sottolineato la necessità di dare un governo al Paese, non possa in quel caso esimersi dal favorirne una nascita.
Al momento, tutto tace.
Tace anche Matteo Renzi, piegato alla promessa di fedeltà e disciplina.
Ma ambienti vicini al sindaco di Firenze si dicono contrari a elezioni subito. Proprio come Napolitano.
Il che significa, alla fine, favorire la nascita di un governo sostenuto anche da Monti e Pdl, ipotesi alla quale Bersani continua a dirsi fortemente contrario.
Lo 'spettro' del governissimo agita le acque Pd.
Rosy Bindi avrebbe minacciato di rinunciare al suo incarico di presidente del partito se si dovessero avvallare 'inciuci'.
La partita del Quirinale I timori del Pd sono rivolti, inoltre, anche alla prossima partita del Colle.
La preoccupazione è quella che in caso di fallimento di Bersani si paghino care alcune scelte come quella di 'tenersi' entrambe le presidenze delle Camere senza darne una all'opposizione.
Decisione che a questo punto si può rivelare controproducente nella vicenda dell'elezione del nuovo capo dello Stato.
La partita del Quirinale è al momento, la più difficile ed incerta.
Quella più a cuore a tutti i partiti e proprio per questo la più ingombrante. Condiziona, ad esempio, anche l'autorevolezza di una soluzione provvisoria come quella del 'governo del presidente' per Palazzo Chigi.
L'eventuale premier, infatti, si troverà ben presto alle spalle un altro inquilino del Quirinale, diverso da Napolitano che potrebbe indicare, come accadde con Monti, quale figura può assumere il timone del governo.
Numeri e date La partita per il Quirinale prenderà il via in una data che sara' comunicata dai presidenti delle Camere il prossimo 15 aprile.
A riunirsi nell'aula di Montecitorio saranno i 630 deputati, i 319 senatori e i 58 rappresentanti scelti dalle regioni.
In totale 1007 "grandi elettori" che avranno la responsabilità di scegliere chi dovrà arbitrare il gioco politico per i prossimi sette anni dal colle più alto della capitale.
Una volta esaurite le prime tre votazioni, durante le quali la Costituzione prevede un quorum alto (due terzi del plenum), l'elezione del capo dello Stato potrà avvenire a maggioranza assoluta. Il numero magico e' 504: la meta' più uno dei grandi elettori.
Ebbene, la coalizione che ha vinto alla Camera ed è maggioranza relativa al Senato, si ferma poco sotto quella soglia.
Conti alla mano, il pallottoliere di Bersani e Vendola, anche considerando il pieno di tutti gli alleati, non supera quota 499.
Cinque voti in meno della fatidica soglia.
Il centrosinistra in Parlamento può contare su una base di 472 voti: ne fanno parte tutti i deputati e senatori del Pd, di Sel, nonche' quelli del centro di Tabacci, i socialisti di Nencini, gli altoatesini della Svp, i tre deputati del Maie eletti in America latina.
Nel calcolo rientra anche il senatore a vita Emilio Colombo, che ha presieduto la seduta inaugurale di Palazzo Madama (ma non l'ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, bloccato da problemi di salute).
A costoro vanno aggiunti i grandi elettori che arriveranno a Roma per rappresentare le Regioni nelle votazioni per il Colle.
Le Regioni si sono impegnate a procedere all'elezione entro il 15 aprile, in modo da evitare perdite di tempo.
Il Friuli Venezia Giulia, chiamato alle urne nella seconda meta' di aprile, si e' avvantaggiato e ha già eletto i suoi.
La Costituzione prevede che ogni consiglio regionale elegga tre delegati (tranne la Valle d'Aosta che ne elegge uno).
Due vanno alla maggioranza, e uno all'opposizione.
In totale si tratta di 58 voti "extra" che si aggiungono a quelli dei parlamentari nazionali.
Al centrosinistra ne andranno complessivamente 27, ai centristi dell'Udc 3, al centrodestra 26, ai grillini 2.
Fatte le somme, il centrosinistra si ferma a 499 grandi elettori. Cinque in meno di quelli necessari per eleggere il successore di Napolitano.
Con uno scarto cosi' ridotto, e con le votazioni che si svolgono a scrutinio segreto, ogni scenario diventa possibile: legittimo sperare nel centrosinistra nell'arrivo di voti in libertà dagli altri schieramenti, ma allo stesso modo può materializzarsi l'incubo dei franchi tiratori.
Anche per vincere la partita del Quirinale, insomma, il centrosinistra deve convincere qualcun altro.
In campo ci sono i 260 del centrodestra e i 165 dei grillini . Ma soprattutto i 71 voti dei montiani, che potrebbero essere il vero ago della bilancia.
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