La legge italiana è uguale per tutti, tranne che per i padri separati
A decretarlo, nero su bianco, è una sentenza della Corte di Strasburgo che condanna l’Italia per non essere riuscita, in dieci anni, a far rispettare il diritto di un genitore a vedere la propria bambina.
È la storia di Sergio Lombardo, un padre come purtroppo ce ne sono tanti, migliaia.
Dopo la separazione dalla moglie, nel 2003, l’uomo ottiene dal Tribunale di poter vedere la figlia di 2 anni per due pomeriggi a settimana, un weekend su due e per le festività.
Ma così non è stato.
Lombardo pur facendo la spola tra Roma, dove viveva, e Termoli, la città in cui si trasferì la ex moglie, riusciva ad incontrare la bimba per pochi minuti e sempre in presenza della madre e di uno zio materno.
Immediati e infiniti, dal 2003 al 2011, i ricorsi al tribunale di Roma e di Campobasso dove puntualmente vengono ribaditi i diritti del papà ma solo sulla carta.
Nel frattempo però la figlia cresce lontano dall’affetto paterno.
Fino alla sentenza di Strasburgo che ha bocciato i tribunali italiani per aver «delegato la gestione degli incontri tra padre e figlia ai servizi sociali» fondandosi su misure automatiche e stereotipate che hanno determinato una rottura del legame tra padre e figlia.
Per i giudici di Strasburgo i tribunali dovrebbero adoperarsi per far rispettare la legge e ristabilire i contatti fra genitore e figlia, prima che il tempo li allontani irrimediabilmente.
«Certi giudici non rispettano la Costituzione – denuncia Tiberio Timperi, in prima linea per i diritti dei padri separati – è una vergogna tutta italiana.
Non ce l’ho con chi non rispetta le sentenze ma con chi non le fa rispettare. Questa è una giustizia impotente».
Dello stesso avviso Maurizio Quilici, presidente dell'Istituto di studi sulla paternità.
di Lorena Loiacono
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