Da qualche tempo a questa parte mi trovo a pensare sempre più spesso alle sogliole. Mi accade mentre cammino per strada o nel breve attimo di sospensione della coscienza che precede il sonno. Non alle sogliole già cucinate, nel piatto, ma a quelle vive, celate con il loro colore mimetico sul fondo del mare. Chi è abituato a usare la maschera subacquea, sa che sono difficili da individuare, ci si accorge della loro presenza solo per il lieve e regolare movimento che compie la sabbia sui loro corpi. Visibili sono solo gli occhi, uno accanto all’altro. Sono infatti gli occhi – e non i denti o le pinne o la struttura aerodinamica del corpo – a permettere a questo timidissimo esemplare di sopravvivere comandando le modifiche cromatiche del manto, individuando i pericoli e segnalando l’avvicinarsi di possibili prede.
Non molti sanno però che la sogliola, similmente agli altri pleuronettiformi, non viene al mondo piatta, come noi la conosciamo, ma con una forma dorso-ventrale, come tutti gli altri pesci. Alla schiusa, la larva si fa trasportare dalla corrente, poi, appena il corpo prende consistenza, inizia a nuotare regolarmente, movendo la coda. Soltanto quando cominciano a plasmarsi le interiora si compie l’incredibile: l’intestino forma un’ansa che chiama a sé il resto del corpo. La prima a spostarsi è la bocca, seguita dalle ossa craniche, per ultimi migrano gli occhi.
Se Hans Christian Andersen avesse conosciuto la biologia della sogliola, di sicuro le avrebbe dedicato una fiaba di struggente tristezza e i pleuronettiformi, accanto alla sirenetta, al cigno e al soldatino di stagno, avrebbero raggiunto fama mondiale. Tutti si sarebbero commossi davanti a un destino così crudele che fa nascere una creatura a forma di pesce per poi trasformarla in un tappeto volante.
Leggendo i giornali, guardando la televisione, parlando con le persone, ho la netta impressione che anche
nel nostro cosiddetto mondo civile sia in corso un processo di “sogliolamento”. L’inizio del fenomeno non è recente, risale ad almeno tre secoli fa, ma il germe che ha dato il via a questa evoluzione è antico come l’uomo, da sempre vive nel suo cuore, ci parla con la voce rassicurante di chi dà buoni consigli. Proprio ascoltando queste voci suadenti, piano piano, con costanza e caparbietà, siamo riusciti a ottenere ciò che solo alcune specie di pleuronettiformi, in tutto il mondo vivente, hanno raggiunto.
La bocca sta ancora al suo posto e così il naso, ma gli occhi si sono spostati, invece di muoversi e scrutare lo
spazio circostante, sono fissi unicamente in avanti, al minuscolo orizzonte raggiungibile da mani e braccia, puntati su tutto ciò che si può prendere, afferrare, possedere. Il nostro sguardo ormai riesce a percepire una dimensione soltanto, quella della materia. Finalmente ce l’abbiamo fatta! Siamo una cosa, soltanto una cosa, felicemente immersa tra le altre cose. Al pari degli scimmioni di 2001: Odissea nello spazio, danziamo in circolo con le ossa in mano, ripetendo ossessivamente dei suoni che abbiamo imparato a modulare e che ci permettono di stare nel branco.
Susanna Tamaro
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