sabato 31 gennaio 2015
venerdì 30 gennaio 2015
Lavenham: il villaggio delle case storte
Un villaggio dove le case sono tutte storte.
Esiste davvero e ricorda una filastrocca inglese : "A Crooked Little Man."
There was a crooked man, and he walked a crooked mile. He found a crooked sixpence upon a crooked stile. He bought a crooked cat, which caught a crooked mouse, And they all lived together in a little crooked house.
C'era un uomo storto, e camminava un miglio storto. Ha trovato una moneta da sei pence storto su un stile storto. Ha comprato un gatto storto, che ha catturato un topo storto, E tutti vivevano insieme in una piccola casa storta.
Si tratta del villaggio di Lavenham, nel Suffolk, in Inghilterra. Questa località si trova circa 70 chilometri a nord-est di Londra. Quasi tutte le case del villaggio sono dipinte con colori vivaci ma la loro caratteristica principale riguarda le pareti, per lo più pendenti e realmente storte.
In passato Lavenham fu famoso come villaggio commerciale.
Il commercio della lana ne fece la fortuna nel Medioevo. Nel 15esimo secolo rappresentava una delle città più ricche d'Inghilterra grazie alle proficue attività commerciali.
Ora Lavenham è principalmente un'attrazione turistica per via dei suoi edifici bizzarri.
Come mai le case di Lavenham sono così storte?
Il motivo è molto semplice. La città è cresciuta così velocemente che molte delle case sono state costruite in fretta e furia con legno fresco.
Il legno, essiccandosi, ha portato le travi a deformarsi. Ed ecco che le case hanno iniziato a piegarsi con angolazioni inaspettate. Dopo il periodo del boom economico, dovuto al commercio della lana, gli abitanti del villaggio persero tutte le proprie ricchezze e così non poterono intervenire per ristrutturare le case.
La fine del benessere economico per Lavenham arrivò con l'inizio della produzione e della commercializzazione di stoffe a Clochester.
La stoffa era più leggera e più alla moda rispetto alla lana di Lavenham, ma soprattutto più economica.
Così ebbe fine la fortuna economica di Lavenham.
Nessuno nel corso del tempo si premurò di ristrutturare le case ed ora il risultato è ciò che vediamo nelle foto: abitazioni surreali che sembrano davvero lo sfondo ideale per un filastrocca divertente.
Fonte: greenme.it
Esiste davvero e ricorda una filastrocca inglese : "A Crooked Little Man."
There was a crooked man, and he walked a crooked mile. He found a crooked sixpence upon a crooked stile. He bought a crooked cat, which caught a crooked mouse, And they all lived together in a little crooked house.
C'era un uomo storto, e camminava un miglio storto. Ha trovato una moneta da sei pence storto su un stile storto. Ha comprato un gatto storto, che ha catturato un topo storto, E tutti vivevano insieme in una piccola casa storta.
Si tratta del villaggio di Lavenham, nel Suffolk, in Inghilterra. Questa località si trova circa 70 chilometri a nord-est di Londra. Quasi tutte le case del villaggio sono dipinte con colori vivaci ma la loro caratteristica principale riguarda le pareti, per lo più pendenti e realmente storte.
In passato Lavenham fu famoso come villaggio commerciale.
Il commercio della lana ne fece la fortuna nel Medioevo. Nel 15esimo secolo rappresentava una delle città più ricche d'Inghilterra grazie alle proficue attività commerciali.
Ora Lavenham è principalmente un'attrazione turistica per via dei suoi edifici bizzarri.
Come mai le case di Lavenham sono così storte?
Il motivo è molto semplice. La città è cresciuta così velocemente che molte delle case sono state costruite in fretta e furia con legno fresco.
Il legno, essiccandosi, ha portato le travi a deformarsi. Ed ecco che le case hanno iniziato a piegarsi con angolazioni inaspettate. Dopo il periodo del boom economico, dovuto al commercio della lana, gli abitanti del villaggio persero tutte le proprie ricchezze e così non poterono intervenire per ristrutturare le case.
La fine del benessere economico per Lavenham arrivò con l'inizio della produzione e della commercializzazione di stoffe a Clochester.
La stoffa era più leggera e più alla moda rispetto alla lana di Lavenham, ma soprattutto più economica.
Così ebbe fine la fortuna economica di Lavenham.
Nessuno nel corso del tempo si premurò di ristrutturare le case ed ora il risultato è ciò che vediamo nelle foto: abitazioni surreali che sembrano davvero lo sfondo ideale per un filastrocca divertente.
Fonte: greenme.it
Papa Formoso e il "processo cadaverico"
Il Concilio cadaverico è il nome attribuito al processo post-mortem per sacrilegio a papa Formoso (891-896), tenutosi nel gennaio dell'897.
Il processo fu istituito da papa Stefano VI su istigazione di Lamberto II di Spoleto, imperatore del Sacro Romano Impero, e di sua madre Ageltrude, che avevano appoggiato l'elezione di Stefano VI al soglio pontificio.
Per l'occasione fu riesumato il cadavere di Formoso e furono rinnovate le accuse di sacrilegio già formulate da papa Giovanni VIII nella sentenza di scomunica di Formoso nell'872.
Il processo, comunque, aveva anche delle ragioni politiche: intendeva "punire" l'appoggio manifestato da Formoso verso i Carolingi in occasione della successione al trono francese e verso il partito filogermanico in seno al Sacro Romano Impero.
Formoso aveva, infatti, sollecitato e ottenuto, nell'894, l'intervento di Arnolfo di Carinzia ad invadere l'Italia e spodestare Guido I di Spoleto e, successivamente, suo figlio Lamberto dal trono imperiale.
La macabra adunanza si svolse nella basilica di San Giovanni in Laterano con i cardinali e i vescovi riuniti sotto la presidenza di Stefano VI.
La mummia di Formoso fu riesumata dal sepolcro, abbigliata con i paramenti pontifici e collocata su un trono nella sala del concilio, per rispondere a tutte le accuse che erano già state avanzate da papa Giovanni VIII.
Un diacono venne nominato per rispondere in vece del pontefice deceduto, che venne condannato per aver svolto le mansioni di vescovo quando era stato deposto e per aver ricevuto il pontificato mentre era vescovo di Porto.
Il verdetto stabilì che il deceduto era stato indegno del pontificato. Il papa defunto fu accusato di ambizione smodata per l’ufficio di pontefice.
Tutti i suoi atti e le sue misure vennero annullati, e le ordinazioni da lui conferite vennero dichiarate invalide.
Le vesti papali vennero strappate dal suo corpo, le tre dita della mano destra, usate dal papa per le benedizioni, vennero amputate, e il cadavere fu poi trascinato "tra urla selvagge" per le vie di Roma e gettato nel Tevere.
Il cadavere percorse, per tre giorni, venti miglia trascinato dalla corrente del fiume, fino a arenarsi su una sponda presso Ostia ove fu riconosciuto da un monaco (si dice indirizzato lì da una visione del defunto pontefice) e tenuto nascosto dai suoi devoti finché fosse stato vivo papa Stefano.
Dopo la morte di Stefano e la deposizione del suo successore Romano, il corpo di Formoso venne inumato, per la seconda volta, nella Basilica di San Pietro, per volere di papa Teodoro II, che lo depose tra le tombe degli apostoli con una pomposa cerimonia. Ulteriori processi contro persone decedute vennero vietati.
Fonte: Wikipedia
Perché la neve zittisce il mondo ?
Il soffice manto bianco che si deposita al suolo durante una nevicata si comporta esattamente come i pannelli fonoassorbenti degli edifici.
La tipica forma dei fiocchi di neve e la loro consistenza voluminosa fanno sì che tra un fiocco e l'altro si crei molto più spazio di quello presente, per esempio, su una superficie d'acqua liquida.
Questi piccoli spazi d'aria assorbono il suono e impediscono alle onde sonore di rimbalzare facilmente come avviene in altre condizioni: di conseguenza, i rumori risultano attutiti.
L'effetto funziona meglio con la neve molto voluminosa, e quindi a temperature molto basse: 25 mm di pioggia a 0 gradi danno luogo a 25 cm di neve; ma se il termometro scende a -6 °C, i cm di neve possono diventare anche 50.
Mano a mano che il manto si appiattisce, gli spazi tra un fiocco e l'altro si comprimono e l'effetto isolante scema.
Naturalmente, al silenzio di un paesaggio innevato contribuiscono anche altri fattori, come il poco traffico dovuto alle strade ghiacciate, la presenza di meno persone all'aria aperta e il fatto che anche gli animali se ne stiano rintanati, anche a causa della minore disponibilità di cibo.
Fonte: focus.it
L'Isis distrugge parte delle antiche mura di Ninive
Se i talebani buttarono giù le gigantesche statue dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, una risalente a 1800 anni fa l'altra, più giovane, "solo" a 1500, ora i tagliagole dell'Isis compiono un altro scempio contro la cultura e la storia, distruggendo una parte delle antichissime mura assire di Ninive, a Mosul, la seconda città irachena nel nord del Paese, da giugno scorso in mano ai guerriglieri della jihad.
Lo scrive il il quotidiano panarabo al Hayat che cita Said Mumzini, portavoce del Partito democratico del Kurdistan, al potere nella regione autonoma dell’Iraq.
Mumzini rende noti altri particolari: i jihadisti hanno fatto saltare in aria il tratto murario vicino alla Grande Moschea di Mosul, nel quartiere di Tahrir, nella parte occidentale della città.
La notizia è stata ripresa anche dal sito Shaqaf News.
Le mura, fatte costruire dai re assiri nell’ottavo secolo avanti Cristo, erano considerate il più importante monumento storico di Mosul e dell’intera regione. Da quando, a giugno 2014, l’Is ha preso il controllo di ampie regioni dell’Iraq, ha distrutto molti monumenti antichi, santuari e siti archeologici considerati "profani" e quindi contrari all’Islam.
Ninive fu capitale dell’impero assiro nel primo millennio a.C. ed è uno dei più importanti siti archeologici dell’Iraq.
Situata sulla riva sinistra del Tigri, a nord della Mesopotamia, divenne fulcro degli Assiri sotto re Sennacherib (704 - 681 a.C.), raggiungendo il suo massimo splendore.
Il sovrano fece costruire nuove strade e piazze e palazzi imponenti tra i quali il "Palazzo senza Eguali" (503 per 242 metri) con ottanta camere. All'interno del palazzo è stata trovata una importantissima biblioteca di tavolette cuneiformi.
Le mura della città raggiungevano una lunghezza di circa 12 km. La città fu distrutta nel 612 a.C., ad opera di Medi e Caldei.
I residenti di Mosul nei giorni scorsi avevano lanciato l'allarme, facendo sapere che l’Isis intendeva distruggere alcuni tratti delle antiche mura.
Purtroppo la loro folle decisione è andata in porto.
Fonte: ilgiornale.it
giovedì 29 gennaio 2015
Le piramidi cinesi e le leggende sugli dei discesi dal cielo. Tracce di antichi astronauti e di civiltà antidiluviane?
Tra negazioni, ostacoli e reticenze, la verità sull’esistenza delle Grandi Piramidi cinese si è finalmente fatta strada fino a raggiungere il grande pubblico.
Si sospettava dell’esistenza di tali strutture in Cina fin dall’inizio del 20° secolo, ma le tormentate vicissitudini politiche e sociali, cominciate con la rivolta di Wuchang (1911), hanno rappresentato un ostacolo molte volte insormontabile.
«Il passato antico della Cina è negato a noi e alla sua popolazione, ma il suo grande passato viene lentamente svelato, come è successo per l’antico Egitto», scriveva lo storico Henri Cordier nel 1920. «Anche se riconosciuta come una grande civiltà, i suoi antichi tesori sono appena conosciuti. Voci parlano di piramidi in aree desolate del paese».
La conoscenza delle piramidi cinesi è avvenuta in diverse fasi e in maniera molto graduale.
La prima testimonianza risale al 1912. L’agente di viaggio americano Fred Meyer Schroeder, nel corso di uno spostamento nell’entroterra, riportò l’avvistamento di una serie di piramidi nella provincia dello Shaanxi.
«È stato più inquietante di quanto le avessimo trovate nel deserto», scrive nel suo diario. «Queste piramidi sono in qualche modo esposte agli occhi del mondo, ma ancora completamente sconosciute agli occidentali».
La guida di Schroeder, un monaco buddista, spiegò che le piramidi si trovavano lì almeno da 5 mila anni.
Schroeder stimò che la piramide principale raggiungeva almeno i 300 metri di altezza, con i lati della base lunghi 500 metri, dimensioni che darebbero una struttura dal volume dieci volte superiore a quello della Grande Piramide in Egitto.
La seconda testimonianza fu del pilota dell’US Army Air Force James Gaussman, il quale riportò l’avvistamento di una grande piramide bianca durante un volo tra l’India e la Cina nel 1945, in piena Seconda Guerra Mondiale.
Così fece rapporto il militare: «Volavo attorno ad una montagna, seguita da una valle. Direttamente sotto di noi abbiamo individuato una gigantesca piramide bianca. Sembrava di essere in una fiaba: la piramide era avvolta in un bianco luccicante. Potrebbe essere stata di metallo o di qualche altro tipo di pietra.
La cosa curiosa è che alla sua sommità c’era un grande pezzo di materiale prezioso, simile ad una gemma. Sono rimasto profondamente colpito dalle dimensioni colossali della struttura».
La terza testimonianza, documentata da una fotografia, si deve al colonnello Maurice Sheahan, direttore per l’Estremo Oriente della Trans World Airlines.
Nel 1947, durante un volo su una valle nei pressi delle montagne Qin Ling, Sheahan individuò una piramide gigantesca che riusci prontamente a fotografare.
La scoperta venne riportata sull’edizione del 28 marzo 1947 del New York Times.
Nell’articolo si stimava che la piramide raggiungesse i 300 metri di altezza con una base di 500 metri per lato, dimensioni che farebbero impallidire la piramide di Giza.
Due giorni dopo, nell’edizione domenicale, il New York Times pubblicava anche la foto scattata da Sheahan.
Nel frattempo, in una lettera inviata all’Associated Press, gli archeologi cinesi negavano che tale piramide esistesse.
La struttura è stata in seguito identificata come il ben noto tumulo Maoling, ovvero la tomba dell’imperatore Wu di Han (156-87 a.C.), posizionata nella provincia di Shaanxi, a circa 40 chilometri a ovest della capitale Xi’an.
Una mappa dettagliata dell’US Air Force della zona intorno alla città di Xian, realizzata con l’utilizzo di fotografie satellitari, mostra almeno 16 piramidi.
Interessante notare che le tre piramidi maggiori ricalcano la posizione delle piramidi di Giza e di Teotihuacàn, configurazione che secondo molti ricercatori richiama la posizione delle tre stelle della Cintura di Orione.
«La Cina conserva ancora molti misteri, di cui la stessa popolazione locale non è a conoscenza», scriveva il ricercatore tedesco Hartwig Hausdorf nel suo libro del 1994 “Die weisse Pyramide” (La Piramide Bianca).
«Ho parlato con gli archeologi cinesi, i quali in un primo momento hanno negato qualsiasi piramide, ma alla fine hanno riconosciuto la loro esistenza».
Tuttavia, l’impressione è che la Cina non rinuncerà a tutti i suoi misteri così facilmente.
Probabilmente, molte piramidi sono ancora da scoprire, altre non ancora fatte conoscere alla comunità scientifica e all’opinione pubblica.
Buona parte delle strutture piramidali note rappresentano antichi tumuli funerari realizzati per ospitare i resti di molti dei primi imperatori della Cina.
Il più famoso è il Mausoleo del Primo Imperatore cinese Qin Shi Huang, vicino a Xi’an, nella provincia Shaanxi della Cina. È qui che fu trovato il famoso Esercito di Terracotta, un gruppo stimato tra le 6 mila e le 8 mila statue di guerrieri, vestiti con corazze in pietra e dotati di armi, poste di guardia alla tomba dell’imperatore. Di queste statue sono state riportate alla luce circa 500 guerrieri, 18 carri in legno e 100 cavalli in terracotta.
Le strutture piramidali cinesi presentano cime piatte, quindi molto più simili nella forma alle piramidi messicane di Teotihuacàn, rispetto a quelle di Giza in Egitto.
Resta la domanda: come mai la piramide rimane la forma architettonica più diffusa dell’antichità?
Sulla base del fatto che molte civiltà del passato abbiamo preferito la forma piramidale come struttura fondamentale, alcuni ricercatori pensano che in un passato remoto sia esistita una civiltà globale che ha abitato il nostro pianeta, diffondendo la sua cultura in tutti i continenti della Terra.
Dopo essere stata spazzata via da un immenso cataclisma globale, questa antica civiltà avrebbe lasciato le tracce della sua esistenza nei monumenti piramidali sparsi su tutto il pianeta.
I pochi superstiti avrebbero poi ricostruito il mondo post-diluviano.
Si tratta della Teoria degli Antichi Umani.
Altri, tuttavia, pensano che nel passato dell’umanità ci sia qualcosa di molto più intricato: viaggiatori extraterrestri avrebbero preso contatto con i nostri antenati, alterandone la cultura e l’evoluzione. Data la loro abilità tecnologica, i nostri antenati avrebbero considerato questi viaggiatori alieni come divinità.
La mitologia cinese tramanda di esseri celesti discesi sulla terra in draghi volanti: costoro furono i primi sovrani cinesi che diedero inizio alla civiltà cinese e che sono conosciuti come i Tre Augusti: Fu Xi, Nüwa, Shen Nung.
Fu Xi, secondo la tradizione, visse tra il 2952 e il 2836 a.C. Aveva un ruolo di mediatore tra gli uomini e gli esseri divini. Le leggende vogliono che abbia insegnato la pesca e l’allevamento agli uomini. Inoltre, a lui vengono attribuite l’invenzione del sistema divinatorio Yi Jing, della metallurgia, della scrittura, del calendario e della la musica.
Nüwa era la sorella di Fu Xi e ne divenne anche la sposa.
Il suo aspetto è a metà strada tra l’essere umano, di cui appare la testa e l’animale, solitamente il corpo dalle sembianze di serpente o di pesce.
È considerata una divinità della creazione: è lei a creare gli uomini, plasmandoli dall’argilla.
A lei si deve anche l’introduzione dell’istituzione matrimoniale.
Fu Xi e Nüwa venivano rappresentati sempre allacciati per la coda. Fu Xi tiene in mano una squadra, Nüwa invece un compasso. I due strumenti (ad oggi, ancora adoperati nella simbologia massonica) indicano che i due sovrani inventarono norme, regole, standard.
Inoltre, nelle illustrazioni Fu Xi e Nüwa sono accompagnati da due soli.
In alcune tombe degli Ittiti datate intorno ai 4 mila anni fa, si trovano raffigurazioni simili di due gemelli, maschio e femmina, accompagnati da due soli.
Questi gemelli sono quelli che nei testi ittiti si identificano come dio del Sole e del Cielo e dea del Sole e della Terra.
Dunque, come spesso avviene quando si tratta di questi argomenti, le suggestioni sono molte, le coincidenze incredibili e le domande moltiplicate.
L’antica Cina ci consegna un ulteriore tassello del misterioso mosaico del passato del nostro pianeta.
Le piramidi cinesi potrebbe aiutarci a comprendere cosa è realmente accaduto?
Fonte: ilnavigatorecurioso.it
Liberati 1000 gatti: erano destinati alle cucine di un ristorante cinese
Leggere notizie di questo genere ci turba non poco, questo perché noi, nella nostra cultura occidentale, abbiamo sempre avuto una diversa visione e concezione dei cani e dei gatti, nostri piccoli grandi amici a quattro zampe.
Ma questa visione non può essere generalizzata a tutti, e così ecco che in alcune zone della Cina, sopratutto nel sud, a Canton, sia i cani che i gatti sono considerati delle vere e proprie prelibatezze della cucina locale.
C’è da dire, però, che da qualche tempo a questa parte sono molte le popolazioni che stanno rinunciando a questa usanza, probabilmente spinti dalle numerose associazioni animaliste sparse sul territorio cinese.
Sta di fatto che a Wuxi, nella provincia di Jiangsu, le autorità cinesi hanno fermato un camion con oltre mille gatti destinati alla macellazione a Guangzhou, dove sarebbero diventati pietanze nella cucina cinese.
L’autista del camion è stato arrestato, ma solo perché non aveva le autorizzazioni necessarie e perché i gatti risultavano sequestrati.
Gli agenti, però, non avendo una struttura in cui tenere questi felini hanno deciso di lasciarli liberi nelle colline circostanti, scatenando le proteste degli animalisti.
Sì, perché questi gatti, abituati come sono a vivere in cattività, non sono abbastanza autonomi per riuscire a sopravvivere da soli in libertà.
Alcuni gruppi animalisti si sono subito mobilitati per mettersi sulle loro tracce, purtroppo molti di questi felini, non essendo abituati a quell’habitat, sono già morti perché investiti dalle auto o perché non riuscivano a trovare cibo.
I volontari sono riusciti a recuperarne vivi solo una cinquantina, e alcuni di questi sono stati dati in adozione.
Per gli altri, invece, probabilmente non ci sarà nulla da fare.
Il problema, infatti, è proprio questo: spesso vengono intercettati e fermati mezzi di trasporto con animali domestici destinati alle tavole nei ristoranti del sud del Paese, ma, essendo sempre di gran numero, una volta liberati si pone il problema del loro affido.
Fonte: eticamente.net
I giorni della merla : perché si chiamano così
La tradizione vuole che il 29-30-31 di Gennaio, gli ultimi tre giorni di questo primo mese dell’anno, vengano ricordati come i “giorni o dì della Merla”, ad indicare uno tra i periodi più freddi dell’inverno. Ma da dove trae origine questa credenza, entrata oramai a far parte della vita di tutti noi?
Molte sono le versione che spiegano l’origine di questa leggenda, alcuni simili altre assi diverse, ma che vedono in tutte un unico protagonista: una Merla.
La prima nasce in tempi assai lontani, quando Gennaio non aveva ancora 31 giorni ma solo 28.
Si narra che Gennaio fosse particolarmente scherzoso e un po’ invidioso, in particolar modo con una Merla, molto ammirata per il suo grande becco giallo e per le penne bianchissime.
Per questo Gennaio si divertiva a tormentarla; ogni volta infatti che ella usciva in cerca di cibo egli scatenava bufera di neve e vento. Stufa di tutto questo un giorno la Merla andò da Gennaio e gli chiese:” Amico mio potresti durare un po’ di meno?”. Ma Gennaio, orgoglioso come era rispose: “ E no, carissima proprio non posso. Il calendario è quello che è, e a me sono toccati 28 giorni.”
A questa risposta la Merla decise di farsi furba e l’anno seguente fece una bella scorta di cibo che infilò nel suo nido così che rimase per tutti i 28 giorni al riparo senza bisogno di uscire.
Trascorsi i 28 giorni, la Merla uscì e cominciò a prendere in giro Gennaio: “Eh caro mio, quest’anno sono stata proprio bene, sempre al calduccio, e tu non hai potuto farmi congelare il becco nemmeno un giorno.”
Detto ciò Gennaio se la prese così tanto che andò dal fratello Febbraio, che vantava ben 31 giorni, e gli chiese in prestito 3 giorni.
Il fratello dubbioso domando: “ Cosa vuoi farne? “ e Gennaio rispose: “Ho da vendicarmi di una Merla impertinente. Stai a vedere”.
E così Gennaio tornò sulla terra e scatenò una tremenda bufera di neve che durò per tutti i 3 giorni.
La povera Merla, che era andata in giro a far provviste, per il forte vento non riuscì nemmeno a tornare al suo nido.
Trovato il comignolo di un camino, vi si rifugiò in cerca di un po’ di tepore.
Trascorsi quei freddissimi 3 giorni uscì dal comignolo sana e salva ma le sue candide penne erano diventate tutte nere a causa del fumo e della fuliggine.
Da allora Gennaio ha sempre 31 giorni e i merli hanno sempre le piume nere.
La seconda versione, ambientata nel capoluogo lombardo, ha come protagonisti un merlo, una merla e i loro tre figlioletti.
Erano venuti in città sul finire dell'estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova e poi per l'inverno sotto una gronda, al riparo dalla neve che in quell'anno era particolarmente abbondante.
Il gelo rendeva difficile trovare le provvigioni così che il merlo volava da mattina a sera in cerca di cibo, che tuttavia scarseggiava sempre di più.
Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia.
Intanto continuava a nevicare.
La merla, per proteggere i figlioletti intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po’ di tepore.
La tormenta tenne così lontano il merlo da casa per ben tre giorni (appunto gli ultimi tre di Gennaio).
Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino.
Nel primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale; anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine.
Da allora i merli nacquero tutti neri; i merli bianchi diventarono un'eccezione di favola.
Fonte: 3bmeteo.com
mercoledì 28 gennaio 2015
Scoperta una foresta sommersa da 10 mila anni sotto il Mare del Nord
È davvero entusiasta la sommozzatrice quarantacinquenne Alba Watson, protagonista di una scoperta davvero sorprendente.
Nel corso di un’immersione nel Mare del Nord, 300 metri al largo di Cley next to the Sea, Norfolk, la sub ha individuato una foresta preistorica sul fondo del mare, risalente a 10 mila anni fa. «Ho trovato querce complete con rami lunghi fino ad otto metri», spiega la Watson al Daily Mail.
«Gli esperti ritengono che sia stata sommersa alla fine dell’ultima era glaciale».
I ricercatori spiegano che i sedimenti che coprivano l’antica foresta sono stati rimossi da una tempesta recente, così da permettere alla sub di individuarla.
«In un primo momento, non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo», racconta la dottoressa Watson, del Marine Conservation Society.
«Il mare era molto agitato vicino la costa, così ho deciso di tuffarmi più al largo. Dopo un po’, a circa 300 metri dalla costa, ho cominciato a vedere qualcosa di simile al legno. Quando mi sono avvicinata ho visto interi tronchi d’albero adagiati come se fossero stati abbattuti».
Gli esperti ritengono che gli alberi individuati dalla Watson facessero parte di una grande foresta che misurava migliaia di ettari.
All’indomani dello scioglimento delle calotte polari alla fine dell’ultima era glaciale, e del conseguente innalzamento del livello del mare di circa 120 metri, la foresta preistorica si ritrovò a giacere sul fondo del mare.
Gli alberi adagiati sul terreno hanno formato una barriera naturale, fornendo un’efficace riparo a pesci e piante di ogni specie. «Un tempo sarebbe stata una foresta in piena regola, in stile Tolkien, con un’estensione di centinaia di chilometri», ha aggiunto la Watson. «Uno scenario perfetto per un film tipo “Il Signore degli Anelli”».
Il passo successivo sarà quello della datazione al carbonio-14, per scoprire se le stime dei geologi sono corrette.
«Abbiamo in programma anche altre immersioni, in modo da poter mappare la foresta e farci un’idea precisa delle sue dimensioni», continua la Watson. «Inoltre, potrebbero esserci molti fossili antichi di mammut e altre creature marine».
Fonte: ilnavigatorecurioso.it
Immagini: Rob Spray / Geoff Robinson Fotografia
L’Abbazia di Admont
L’Abbazia di Admont è un monastero benedettino e si trova sul fiume Enns nella città di Admont, Austria.
E' il più antico monastero rimasto in Stiria e si trova al suo interno la più grande biblioteca monastica del mondo.
L’abbazia è conosciuta per la sua architettura barocca, per l’arte e per i manoscritti.
Mentre l’abbazia è stata terminata nel 1074, la biblioteca (tardo barocco) non è stata completata fino al 1776.
Venne commissionata dall’abate Matthäus Offner (che ha regnato fra il 1751-1779) e costruita da Josef Hueber (1715-1787). La biblioteca è divisa in tre sezioni e ha una lunghezza complessiva di 70 m, una larghezza di 14 m e 11 m di altezza (12,7 m nella cupola centrale).
Adornano i soffitti un numero di sette affreschi di Bartolomeo Altomonte, mentre le sculture della biblioteca sono state realizzate dal maestro scultore barocco Josef Stammel.
Particolarmente famoso è I Novissimi, un gruppo di quattro presentazioni di grandi dimensioni della Morte, il Giudizio Universale, l'Inferno e il Paradiso.
La collezione della biblioteca comprende circa 200.000 volumi.
I tesori più preziosi sono gli oltre 1.400 manoscritti (il primo dell’8° secolo) e i 530 incunaboli (libri stampati in anticipo prima del 1500).
Un vero piacere visivo per gli appassionati di arte, architettura, storia e libri, infatti poco dopo il suo completamento nel 1776, la biblioteca del monastero benedettino di Admont è stata descritta come "sala particolarmente splendida" e anche chiamata "l'ottava meraviglia del mondo".
Da un lato, questa fama invidiabile deriva dalla magnifica decorazione artistica della stanza sotto forma di affreschi del soffitto di Bartolomeo Altomonte, dalle sculture in legno di Josef Stammel e dalle librerie bianche e oro con le numerose associazioni ivi contenute.
D'altra parte, l'occhio è affascinato dalla vista spaziale complessiva della struttura della camera stessa di questa biblioteca. Ma scendiamo nei particolari, descrivendo le eccellenze di questa "meraviglia".
Con dimensioni di 70 metri di lunghezza, larga 14 metri e alta circa 13 metri, la biblioteca del monastero di Admont è la più grande sala biblioteca di un monastero nel mondo.
Il creatore di questo spazio veramente magnifico fu l'architetto viennese Josef Hueber.
Josef Hueber ha preso esempio dalla Biblioteca Imperiale (oggi Biblioteca Nazionale) a Vienna come modello per il suo design, e progettato uno spazio suddiviso in tre sale e coperto da una serie di sette grandi cupole.
La sala centrale è coperta da un'unica grande volta, mentre ciascuna delle altre due stanze a Nord e a Sud possiede tre cupole ellittiche.
Questa divisione dello spazio in tre dà proporzioni al lungo il corridoio e un generale aspetto armonioso.
Una galleria sorretta da mensole corre lungo le due stanze in lungo, lateralmente, e sottolinea l’effetto di due piani, diminuendo nello stesso tempo la sensazione dell'altezza delle cupole.
La parte centrale è trattata in modo diverso: l'architetto ha deliberatamente dato un "accento verticale" attraverso le dodici colonne di marmo che sostengono la volta e non utilizzando la galleria sorretta da mensole.
Un'opera d'arte di un tipo molto particolare è il pavimento della biblioteca.
Oltre 7.000 lastre di pietra a forma di diamante di marmo bianco, rosso e grigio sono state così abilmente disposte in motivi geometrici che possono essere viste come nastri, linee a zig-zag, cubetti o aree di formazioni passo, a seconda del punto di vista soggettivo di chi guarda.
Il ciclo di affreschi nelle sette volte della cupola è stato creato da Bartolomeo Altomonte (1694-1783).
Il pittore aveva 80 anni quando ha intrapreso il lavoro e ha completato l’opera durante i mesi estivi tra gli anni 1775 e 1776. Il tema di base del ciclo di sette parti delle immagini è lo stretto rapporto della religione con le arti e le scienze.
Il tema della rivelazione come base della religione cristiana è posto indiscusso nella cupola centrale.
La personificazione della Sapienza Divina troneggia al centro di questa immagine. Alla sua sinistra è Mosè come rappresentante del Vecchio Testamento e alla sua destra è una figura femminile che indossa una tiara, una personificazione della Chiesa come rappresentante del Nuovo Testamento.
Sotto questo - per così dire il fondamento della dottrina Cristiana - vengono mostrati i quattro Padri della Chiesa latina.
Le cupole confinanti a Nord e Sud contengono rappresentazioni delle varie arti e delle scienze: la prima immagine con l'ingresso sud alla biblioteca è dedicata al tema delle arti e della tecnologia. Apollo è mostrato in centro come il dio della poesia sopra le nove Muse.
La scultura, musica e pittura sono ritratte come figure femminili allegoriche.
La seconda volta è dedicata alla medicina e alla scienza.
La figura principale è un uomo vestito in abito da medico che sta dando una prescrizione a una figura femminile che personifica farmacia.
Intorno a questo gruppo principale ci sono le personificazioni delle altre scienze: per esempio, fisica, mineralogia, astronomia, geografia e aritmetica.
Il terzo affresco presenta la teologia e la religione.
Nella teologia il centro è personificato da una figura femminile con il sole sul petto.
Accanto a lei sono la Colomba dello Spirito Santo e una donna che simboleggia la "verità".
Sotto - di nuovo come donne - sono le tre virtù divine, Fede, Speranza e Carità.
La Rivelazione, come centro e apoteosi di tutto, adorna - come sopra descritto - la volta della cupola centrale.
Le due figure allegoriche di diritto canonico e profano nel quinto affresco rappresentano la giurisprudenza.
Sopra di loro galleggia un genio con una bilancia, il noto simbolo di giustizia.
Nel centro del sesto affresco-cupola, che è inteso come un'allegoria della ricerca storica, si possono trovare un genio alato e una figura femminile che punta a un cesto, che contiene un certo numero di libri disordinati, simboleggiante le numerose fonti di storia.
Sotto queste figure Chronos appare come il dio del tempo.
La fine di questo ciclo di immagini, la settima della cupola, onora il risveglio dell'intelletto attraverso la parola e il pensiero. Aurora - la dea dell'alba - si trova al centro del dipinto. Una torcia fiammeggiante viene posta prima di lei per scacciare le tenebre e, quindi, in senso figurato, l'ignoranza.
Alla sua destra e sinistra sono le personificazioni della grammatica e dialettica come le discipline di base della padronanza di parola e di attività intellettuale.
Fonte: http://wsimag.com/
martedì 27 gennaio 2015
Cartamela e pellemela : i progressi del riciclaggio “made in Italy”
I limiti della sostenibilità e del riciclo non hanno confini, per fortuna.
Le ricerche in materia di reimpiego di scarti per la produzione di innovati materiali è attiva; dagli scarti della lavorazione industriale delle mele nasce la ‘cartamela’, carta sostenibile per la produzione di fazzolettini e rotoli da cucina e la ‘pellemela’ per calzature e rivestimenti di divani.
Quegli scarti organici già da diversi anni venivano utilizzati per alimentare gli impianti a biogas, cosa che avviene tuttora: ma attraverso nuove lavorazioni è stato possibile creare materiali innovativi e sono per giunta made in Italy.
Nel 2009, a Bolzano, Hannes Parth ha fondato la Frumat, un laboratorio di analisi chimiche che ha iniziato ad effettuare dei test per stabilire se, dagli scarti della lavorazione industriale delle mele era possibile ricavare delle materie prime da impiegare per realizzare prodotti ecocompatibili.
“Il primo prodotto che abbiamo realizzato è stata la cartamela – spiega Hannes Parth – un prodotto creato con pura cellulosa arricchita con gli scarti di lavorazione delle mele che dopo la l’iniziale produzione di carta igienica, oggi trova diverse declinazioni sia come rotoli da cucina, fazzolettini da naso, scatole per il packaging.
La nostra ricerca e le nostre sperimentazioni però non si fermano e ora siamo impegnati nella realizzazione della ‘pellemela’, un prodotto ottenuto sempre dagli scarti di lavorazione delle mele ma destinato alla legatoria, alle calzature e ai rivestimenti di divani e sedie.
I risultati parlano chiaro: in 5 anni le tonnellate di buccia di mele utilizzate sono arrivate a 30 tonnellate al mese.
“L’Italia- prosegue Parth- “sta dimostrando un particolare interesse verso i processi di trasformazione in materie prime ottenute da sottoprodotti e scarti di lavorazione alimentare.
Stiamo riscontrando un notevole interesse da parte dei fruitori di questi prodotti ecosostenibili non solo a livello nazionale, ma anche oltreconfine dove, in Paesi come la Germania, l’Austria, la Svizzera e la Francia la sensibilità verso queste produzioni ha radici ben più antiche rispetto a quelle italiane . "Eppure, e questo è un dato a mio avviso molto interessante – conclude Parth – nell’arco di pochi anni ho potuto constatare che anche nel nostro Paese le aziende interessate a produrre utilizzando scarti ottenuti dalla lavorazione industriale di alimenti, in questo caso specifico quelli delle mele, sono in continuo aumento”.
Fonte: adnkronos.com
Sopravvive ai laboratori, ai proiettili e al cancro: ecco la storia di Nelly
Nelly non ha mai smesso di scodinzolare.
Ha dovuto superare tante difficoltà, ma non ha mai smesso di scodinzolare, di ringraziare chiunque le donasse un po’ di felicità.
Nelly è una femmina di Beagle trovata, a inizio dicembre scorso, in uno scatolone abbandonato ai bordi di una strada di campagna in Florida (Stati Uniti). Era insieme ad altri cuccioli.
Qualcuno aveva sparato a tutti loro e li aveva abbandonati come fossero sacchi di immondizia.
Tutti morti, tranne Nelly che è rimasta aggrappata alla sua voglia di vivere.
Il proiettile era entrato e uscito nella zona sotto la giugulare e la ferita si era già quasi rimarginata.
Portata dai veterinari per essere curata, si è scoperto il suo passato: sull’orecchio dei quattro cani c’era un codice numerico tatuato. Il segno che erano stati utilizzati in laboratori per esperimenti sugli animali.
I suoi denti erano molto consumati, probabilmente nel tentativo di liberarsi dalle gabbie o catene con cui era tenuta prigioniera.
Ma c’era qualcosa di più importante che preoccupava il veterinario che l’ha visitata: un tumore che aveva intaccato l’area vicina alle sue zampe posteriori, nonché una ghiandola mammaria.
Ma questa piccola Beagle ha uno spirito da combattente e sta affrontando la malattia senza perdere la voglia di scodinzolare, dimostrando tutto il suo amore nei confronti degli operatori del Beagle Freedom Project che si stanno occupando di lei.
Per chi l’ha abbandonata e ha cercato di ucciderla lei era solo un numero identificatevo, ma Nelly ogni giorno dimostra di avere un coraggio e un amore che nessuna provetta potrà mai riprodurre.
Fulvio Cerutti
lunedì 26 gennaio 2015
Cappadocia: scoperta la piu' grande citta' sotterranea del mondo
Potrebbe essere la più grande città sotterranea di tutti i tempi.
Il 2014 si è concluso con una scoperta archeologica da far rabbrividire gli appassionati.
L'insediamento sotterraneo è stato trovato nella provincia di Nevşehir, una regione centrale della Turchia, nella zona storica della Cappadocia.
Quest'ultima è famosa per il suo gran numero di città sotterranee ma il nuovo sito, che si trova nei pressi della città di Kayseri, sembra far impallidire tutti gli altri reperti fino ad oggi trovati.
La città è stata scoperta grazie al cosiddetto TOKİ, un progetto di trasformazione urbana della Turchia che copre 75 ettari. Circa 1.500 costruzioni sono state distrutte all'interno e attorno alla fortezza di Nevşehir, ma la città sotterranea è stata scoperta quando è stato smosso il terreno per la costruzione dei nuovi edifici. E ne copre ben 45 ettari.
Conosciuta in tutto il mondo per i suoi Camini delle Fate, le celebri formazione rocciose di tufo o roccia vulcanica, la Cappadocia, una volta una provincia romana, era terreno fertile per le città sotterranee per via della sua morbida roccia vulcanica, facile da scolpire.
Per il leader di Toki, Mehmet Ergün Turan, si tratta di una zona archeologica da preservare: “Non è una città sotterranea conosciuta. Si parla di passaggi e tunnel lunghi 7 chilometri”.
Ad una prima analisi è stato stimato che la città potrebbe risalire a 5000 anni fa e si trova intorno alla fortezza di Nevşehir.
Al suo interno non solo enormi stanze ma anche gallerie di fuga e chiese nascoste.
Secondo Turan erano stati sborsati 90 milioni di lire turche per il progetto di costruzione, ma a suo avviso la scoperta della città sotterranea non è da vedere come una perdita, anzi. I reperti potrebbero testimoniare la presenza del più grande centro urbano sotterraneo del mondo.
Francesca Mancuso
La damnatio memoriae
La damnatio memoriae cancellava ogni traccia di una data persona dalla vita di Roma, come se non fosse mai esistita, al fine di preservare l'onore della città.
La pena appare ancora più aspra se si considera l'importanza che la società Romana dava all'immagine sociale, alla reputazione e all'orgoglio di essere un cittadino romano.
L'efficacia della pena era favorita dalla minore disponibilità di fonti storiche in età antica. Nell'Urbe, tale sanzione - generalmente applicata dal Senato - faceva parte delle pene che potevano essere inflitte a una maiestas e prevedeva la abolitio nominis: il praenomen del condannato non si sarebbe tramandato in seno alla famiglia e sarebbe stato cancellato da tutte le iscrizioni.
Inoltre si distruggevano tutte le raffigurazioni del condannato.
A volte la pena, in caso di voto positivo del Senato, era seguita dalla rescissio actorum (annullamento degli atti), ossia dalla completa distruzione di tutte le opere realizzate dal condannato nell'esercizio della propria carica, perché era ritenuto un pessimo cittadino.
Se tale atto avveniva in vita, allora - dal punto di vista giuridico - esso rappresentava una vera e propria morte civile.
La damnatio memoriae ebbe un processo di degenerazione in età imperiale, giungendo a colpire anche dopo la loro morte persino la memoria degli imperatori spodestati o uccisi.
La condanna comportava la cancellazione del nome dalle iscrizioni di tutti i monumenti pubblici, l'abbattimento di statue e monumenti onorari e lo sfregio dei ritratti presenti sulle monete.
Due famosi imperatori furono colpiti dalla damnatio memoriae: Caligola e Nerone.
L'istituto continuò anche nel Medioevo, giungendo a colpire perfino la memoria di papi, in particolare di Papa Formoso, oggetto di un oltraggioso processo post-mortem, il cosiddetto sinodo del cadavere.
Marino Faliero, cinquantacinquesimo Doge di Venezia, fu condannato alla damnatio memoriae dopo un fallito colpo di Stato.
In epoca moderna la damnatio memoriae è stata adoperata non solo nei confronti di singole persone, ma anche di ideologie o periodi storici: esempi recenti sono stati la cancellazione dei simboli legati al fascismo in Italia, compresa la conventio ad tacendum nei confronti della cosiddetta "Città del Duce", ossia Forlì, e quelli del nazismo in Germania, il disconoscimento del Governo di Vichy da parte della Repubblica Francese, la rimozione di alcune statue equestri di Francisco Franco in Spagna, la rimozione o lo sfregio delle statue e delle effigi raffiguranti Saddam Hussein in Iraq e Muammar Gheddafi in Libia.
Dopo lo smantellamento dell'Unione Sovietica e l'abbandono del comunismo da parte della Russia, a molti luoghi nominati in onore di autorità comuniste, come la città di Leningrado, fu restituito il nome precedente alla Rivoluzione russa, oppure uno nuovo non connotato ideologicamente.
Inoltre, le statue raffiguranti le personalità del Partito Comunista dell'Unione Sovietica furono rimosse o distrutte.
Fonte: wikipedia
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