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Una scoperta eccezionale riporta alla luce un nuovo capitolo della storia di Pompei: una sala affrescata di straordinaria bellezza, battezzata "Casa del Tiaso", dove il mito di Dioniso prende vita attraverso scene di iniziazione e cortei bacchici. A più di un secolo dalla scoperta della celebre Villa dei Misteri, un nuovo tesoro archeologico getta luce sui culti misterici dell'antichità. Nel cuore dell'antica città, durante gli scavi nella Regio IX, è emersa una "megalografia", un fregio a grandezza naturale che decora le pareti di una "sala per banchetti". Le immagini raffigurano il corteo di Dioniso, con baccanti danzanti e cacciatrici feroci, satiri che suonano il flauto e scene di sacrificio. Al centro della composizione, una donna, simbolo dell'inizianda, si prepara a essere introdotta ai misteri del dio del vino, in un rituale notturno. Le figure del fregio, dipinte su piedistalli come statue, appaiono sorprendentemente vive, grazie alla resa dei movimenti, della carnagione e degli abiti. Un secondo fregio, più piccolo, raffigura scene di caccia, con animali vivi e morti, aggiungendo un ulteriore elemento ai rituali dionisiaci. l fregio, risalente al I secolo a.C., offre uno spaccato unico sui culti misterici dell'epoca, dove l'iniziazione prometteva una nuova vita. La Casa del Tiaso, con i suoi affreschi carichi di simbolismo, si affianca alla Villa dei Misteri come testimonianza eccezionale di questi riti. |
domenica 2 marzo 2025
Una nuova scoperta a Pompei rivela una megalografia, un grande affresco di rara bellezza che dà uno spaccato unico sui culti misterici del I secolo a. C.
venerdì 21 febbraio 2025
Pompei non smette di emozionare: emerse magnifiche terme private (per gli ospiti) in una domus
Durante gli ultimi scavi nella Regio IX di Pompei, gli archeologi hanno riportato alla luce un complesso termale privato di straordinaria grandezza e raffinatezza. Si tratta di un’area termale annessa a una domus appartenente a una famiglia dell’élite locale, progettata per combinare il lusso della vita privata con il desiderio di esibire potere e ricchezza.
Questo complesso rappresenta uno dei più grandi esempi di terme private conosciute a Pompei, accanto a celebri strutture come quelle dei Praedia di Giulia Felice e della Casa del Labirinto. Il centro termale è composto da diverse stanze: il calidarium (sala calda), il tepidarium (sala tiepida), il frigidarium (sala fredda) e uno spogliatoio (apodyterium). In quest’ultimo, panchine in pietra suggeriscono che l’ambiente fosse in grado di accogliere fino a 30 persone.
Questa configurazione conferma come le case romane fossero progettate per impressionare e influenzare. Lussuosi banchetti, spesso preceduti da trattamenti termali, servivano non solo a intrattenere, ma anche a consolidare alleanze politiche o sociali. Secondo il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, queste occasioni rappresentavano una sorta di “spettacolo” dove il padrone di casa si presentava come figura di prestigio e cultura.
Le decorazioni presenti all’interno della domus sottolineano ulteriormente questa funzione scenografica. Le pitture in II e III stile romano raffigurano temi mitologici e atletici, richiamando atmosfere tipiche della cultura greca. La combinazione di architettura raffinata, opere d’arte e innovazioni tecniche, come il sistema di riscaldamento delle stanze e il movimento dell’acqua, dimostra la padronanza ingegneristica dei romani e il loro gusto per l’ostentazione.
Lo scavo è stato condotto con tecniche innovative, che hanno permesso di preservare le strutture architettoniche instabili. Grazie a questo approccio, il colonnato del peristilio è stato scavato senza smantellamenti, permettendo una conservazione ottimale per futuri progetti di restauro. Questa scoperta offre una nuova prospettiva sulla vita sociale ed economica della Pompei del I secolo d.C. e sul ruolo centrale della domus nella costruzione dell’identità sociale romana.
Rebecca Manzi
mercoledì 17 luglio 2024
Antichi Egizi, gli scribi avevano i nostri stessi problemi di schiena, lo studio
Mal di schiena, rigidità al collo, dolori alle articolazioni delle braccia e delle mani. Per farla semplice: "dolori da ufficio". Anche se l'espressione non è riconosciuta a livello medico, tutti li chiamiamo così, dato che nella maggior parte dei casi la causa è proprio la cattiva postura assunta quando si trascorrono tante ore seduti alla scrivania, davanti a un pc.
In realtà, a differenza di quanto ci potremmo aspettare, questo tipo di dolori è tutt'altro che esclusivo della nostra epoca. Esistevano addirittura già millenni fa: uno studio, appena pubblicato su Nature, ha scoperto che ne soffrivano perfino gli antichi egizi. Non tutti ovviamente, ma solo chi faceva lo scriba, una professione ritenuta allora molto nobile, se si pensa che solo l'1% della popolazione sapeva scrivere: un grande vanto, certo, ma anche una grande responsabilità (non senza conseguenze per la salute).
Gli studiosi dell'Università Carolina di Praga sono giunti a questa conclusione studiando i resti degli scheletri di 69 maschi adulti, vissuti tra il 2700 e il 2180 a.C., e ritrovati ad Abusir, località a sud-ovest del Cairo, dove sorge una delle più importanti necropoli dell'antico Egitto.
Osservando le illustrazioni presenti sui loro sarcofagi, i ricercatori hanno potuto identificare la loro professione: 30 erano scribi (gli altri 39 probabilmente svolsero mestieri più tradizionali).
Dallo studio di questi resti, è emerso che quelli appartenenti ai 30 scribi presentavano tratti specifici che li differenziavano dagli altri: in particolare, sono stati osservati segni che testimoniano la presenza di danni al collo, ai fianchi, ai pollici e alle mascelle. Tutti conseguenza possibile – spiegano gli autori – del rischio professionale associato al loro mestiere.
Ad esempio, i danni a livello delle anche e dell'omero probabilmente sono una conseguenza della postura tradizione assunta per scrivere, ovvero seduti a gambe incrociate o su una una gamba sola piegata in avanti (non avevano certo le nostre sedie ergonomiche). Oppure, il danno all'altezza della giuntura della mascella si deve probabilmente alla pratica di modellare con i denti, mordendoli, gli strumenti che usavano per scrivere. I ricercatori sono perfino pronti a scommettere, anche se non hanno potuto confermarlo per la mancanza di resti, che i nostri antichi colleghi conoscessero il fastidioso dolore da tunnel carpale.
fanpage.it
domenica 12 maggio 2024
Nel cuore di Madrid c’è un carillon gigante che nessuno conosce, ma che è meraviglioso
Nel centro di Madrid, tra le sue strade trafficate e le sue piazze animate, si cela un tesoro poco conosciuto: il carillon goyesco. Questo capolavoro di ingegneria precoce è un vero e proprio gioiello nascosto, nonostante si trovi in una posizione centrale della capitale spagnola.
Creato dal celebre cartoonista spagnolo Antonio Mingote, il carillon come si può evincere dal nome si ispira all’opera di uno dei più grandi pittori della storia spagnola, Francisco de Goya. Situato su uno dei balconi dell’edificio Plus Ultra, di fronte all’Hotel Palace e al Congresso di Spagna, il carillon si distingue per i suoi automi che prendono vita quattro volte al giorno.
Questi automi, disegnati da Mingote, rappresentano figure emblematiche dell’epoca di Goya, come un torero, una maja (donna di bell’aspetto), il re Carlos III, la duchessa d’Alba e lo stesso Goya. L’edificio Plus Ultra, risalente ai primi del XX secolo e progettato dall’architetto Joaquín Roig, è un altrettanto spettacolare. Tuttavia è il carillon goyesco ad attirare l’attenzione dei visitatori, offrendo uno spettacolo unico nel suo genere.
Inaugurato il 20 dicembre 1993, il carillon ha visto la presenza di illustri ospiti, tra cui l’Infanta Pilar de Borbón, membro della famiglia reale spagnola. Da allora è diventato una delle attrazioni meno conosciute ma più affascinanti di Madrid, incantando gli spettatori con le sue danze e il suono delle campane.
Per chi desidera vedere il carillon goyesco in azione, è importante sapere che gli automi come detto si esibiscono quattro volte al giorno: alle 12, alle 15, alle 18 e alle 20. Inoltre durante le festività di Natale e Capodanno, è possibile assistere a spettacoli speciali rispettivamente alle 22.00 e a mezzanotte.
Fonte: greenme.it
lunedì 15 gennaio 2024
Questa insolita spiaggia dalla sabbia viola è unica nel suo genere
Avete mai pensato a una spiaggia viola? Esiste un luogo così particolare e si trova in California, precisamente lungo la pittoresca costa del Big Sur.
Questa zona, famosa per le sue strade sinuose, cascate mozzafiato e panoramiche sull’Oceano Pacifico, ospita la singolare Pfeiffer Beach, un vero e proprio gioiello geologico.
Big Sur è una destinazione da non perdere per ogni viaggiatore appassionato, nonostante le difficoltà di accesso dovute a tempeste e frane che talvolta interrompono la California Highway 1, l’arteria principale della regione.
Pfeiffer Beach non è solo una spiaggia qualsiasi, ma una vera rarità con la sua sabbia di colore viola, un fenomeno unico al mondo che cattura l’attenzione di visitatori provenienti da tutto il mondo. Sebbene la spiegazione scientifica di questo fenomeno non sia stata ancora confermata al 100%, una teoria popolare suggerisce che il colore viola provenga da particelle di granato di manganese provenienti dalle colline e montagne circostanti.
La tonalità violacea della sabbia può variare a seconda del periodo in cui si visita la spiaggia, ma l’esperienza rimane incantevole in ogni momento, grazie anche alla tortuosa strada d’accesso e alla breve passeggiata dal parcheggio che offre viste spettacolari.
Pfeiffer Beach offre molto più della sua sabbia viola: è un paradiso per surfisti e un punto di partenza per gli avventurieri che desiderano esplorare il vasto Pfeiffer Big Sur State Park.
Al tramonto, la spiaggia diventa il palcoscenico perfetto per fotografi e appassionati di selfie che cercano di immortalare la suggestiva luce che filtra attraverso la Keyhole Rock, creando scenari da sogno.
Si ritiene che le pietre colorate presenti sulle colline sopra la costa siano la fonte del colore unico della sabbia di Pfeiffer Beach, aggiungendo un ulteriore tocco di mistero a questo luogo affascinante.
Fonte: greenme.it
domenica 14 gennaio 2024
Il luogo più surreale del mondo è una piscina di “Champagne”
È un viaggio da fare almeno una volta nella vita, quello che conduce nelle terre selvagge della Nuova Zelanda. Con i vulcani, i geyser, i ghiacciai e i fiordi, le lande sterminate e i laghi cristallini la natura fa da padrone in quello che sembra un territorio indomabile per l’uomo.
La Terra di Mezzo del Signore degli Anelli è un concentrato di meraviglie che lasciano senza fiato e che meritano di essere scoperte una ad una. Tra queste impossibile non menzionare l’area geotermica del Wai-o-Tapu Thermal Wonderland, un parco delle meraviglie creato e gestito da Madre Natura che ogni giorno diventa il palcoscenico dei suoi spettacoli più belli.
Questa grande vasca naturale, infatti, produce migliaia di bollicine ogni secondo, regalando la sensazione di trovarsi davanti a una piscina spumeggiante fatta di Champagne. Attenzione però, perché quello che sembra vino spumante francese non può essere toccato.
Sognare a occhi aperti, ma non toccare: la piscina di Champagne di Wai-o-Tapu Thermal Wonderland è, con tutta probabilità, una delle visioni più surreali del mondo intero. Ma guai ad avvicinarci. Quella situata nell’area geotermica, per quanto suggestiva, è una piscina di origine vulcanica riempita di fluido geotermico fatto di acqua e gas.
La temperatura della champagne pool, nella sua parte più profonda, raggiunge i 260 gradi, mentre in superficie se ne misurano circa 70. Le sue origini sono antichissime e risalgono a circa 1.000 anni fa, un tempo lunghissimo durante il quale la natura ha potuto scolpire il suo più grande capolavoro.
Grazie ai minerali presenti nell’acqua e alle temperature altissime, la piscina naturale di Wai-o-Tapu Thermal Wonderland si presenta carica di contrasti cromatici incredibili. Una sorta di arcobaleno di fuoco che incanta e stupisce a ogni sguardo.
Le altissime temperature, così come la presenza dei gas come anidride carbonica, azoto, idrogeno e ossigeno, spiegano la produzione delle infinite bollicine che si scorgono sulla superficie e che hanno fatto guadagnare al lago l’appellativo di piscina di champagne. Nessun incantesimo, dunque, ma solo l’infinita bellezza e potenza di Madre Natura.
Fonte: Si viaggia
giovedì 12 ottobre 2023
Sagrada Família, ci siamo: i lavori sono quasi terminati dopo 140 anni
I lavori di completamento della Sagrada Família, l’imponente cattedrale di Barcellona, sembrava non dovessero finire mai. E invece ora stanno per concludersi. Si stima infatti che nel 2026 sarà terminata la sesta e ultima torre centrale: dunque, la costruzione verrà terminata 144 anni dopo la posa della prima pietra.
L’imponente opera architettonica è stata progettata, tra gli altri, dall’architetto Antoni Gaudì, che subentrò a lavori già in corso nel 1882: Gaudì ne ridisegnò completamente il prospetto passando da neogotico a liberty.
La novità degli ultimi giorni riguarda un ulteriore passo in avanti verso la conclusione dei lavori: è stata posizionata sulla torre dedicata all’Evangelista Matteo l’ultima scultura mancante. In più la torre di Giovanni Evangelista è stata ultimata con la posa di una statua a forma di aquila.
Nell’annunciare queste novità, la pagina ufficiale della Sagrada Família ha reso noto che il 12 novembre si terrà una messa inaugurale nella cattedrale: per l’occasione verranno illuminate le quattro torri dedicate ai quattro Evangelisti.
La Sagrada Família, sito Patrimonio dell’Umanità Unesco, è stata consacrata, pur non essendo ancora pronta, nel 2010 da Papa Benedetto XVI, come si è soliti fare per i progetti architettonici che sono in costruzione ormai da decenni o secoli.
Il disegno iniziale dell’architetto catalano, infatti, prevedeva una struttura monumentale: 18 torri, che simboleggiavano, rispettivamente, i 12 apostoli, i quattro evangelisti, la Vergine Maria e Gesù. Come detto, manca una sola torre per segnare la fine di un cantiere che è stato avviato due secoli fa: la torre rimanente, che rappresenta Gesù Cristo, sarà alta 172 metri e sarà sormontata da una croce.
Ma perché uno degli edifici più noti al mondo ha impiegato così tanti decenni per essere concluso?
I lavori partirono a rilento e quando Gaudì morì, nel 1926, l’opera era solo al 10/15% del completamento totale. Ci furono poi diverse interruzioni durante gli anni Trenta a causa dello scoppio della Guerra Civile spagnola: nel Novecento, inoltre, furono necessarie diverse rimodulazioni del progetto iniziali.
In pochi sanno che fino al 2019, quando il Comune intervenne per rilasciare una licenza edilizia, i lavori erano di fatto portati avanti illegalmente perché privi di autorizzazione.
Non ci resta, dunque, che aspettare il 2026 per vedere il capolavoro modernista terminati: solo allora la Sagrada Família diventerà l’edificio di culto più alto al mondo.
Fonte: greenme.it
giovedì 5 ottobre 2023
Gobekli Tepe, uno dei luoghi più misteriosi e antichi del mondo
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Nel sud-est della Turchia, sulla cima di un altopiano calcareo chiamato Gobekli Tepe, negli anni Novanta l’archeologo tedesco Klaus Schmidt scoprì più di 20 recinti di pietra circolari, il più grande dei quali era di ben 20 metri di diametro, un cerchio di pietra con al centro due pilastri riccamente intagliati alti 5,5 metri.
I pilastri di pietra scolpita, figure umane stilizzate con le mani giunte e cinture di pelle di volpe, pesavano fino a 10 tonnellate.
Le strutture, risalenti a circa 11.500 anni, rappresentano le più antiche costruzioni monumentali conosciute dell’umanità.
Gli strumenti di pietra e altri manufatti che Schmidt e il suo team trovarono nel sito hanno mostrato che i recinti circolari erano stati edificati da cacciatori-raccoglitori che si sarebbero uniti 11.500 anni fa per scolpire i pilastri a forma di T di Gobekli Tepe con strumenti di pietra, usando come cava la roccia calcarea della collina sotto i loro piedi, abbastanza morbida da lavorare con la selce e altri strumenti di legno disponibili all’epoca.
Il sito, sosteneva Schmidt, era un centro rituale, forse una sorta di complesso di sepoltura o di culto, piuttosto che un insediamento.
Gli archeologi avevano a lungo pensato che i rituali complessi e la religione organizzata fossero “lussi” sviluppati dalla società dopo aver iniziato ad addomesticare animali e a coltivare, una transizione nota come Neolitico.
Gobekli Tepe, invece, ha capovolto quella linea temporale.
Gli strumenti in pietra del sito, supportati da datazioni al radiocarbonio, lo collocano infatti saldamente nell’era pre-neolitica
Più di 25 anni dopo i primi scavi, non esistevano ancora prove della presenza di piante o animali domestici: Schmidt riteneva che nessuno abitasse nel sito a tempo pieno e lo chiamò “cattedrale su una collina”.
Sotto la direzione del successore di Schmidt, Lee Clare, un team dell’Istituto Archeologico Tedesco ha poi scavato diverse trincee “a buco di serratura” fino al substrato roccioso del sito, molti metri sotto i pavimenti dei grandi edifici.
Ciò che Clare e i suoi colleghi hanno scoperto potrebbe riscrivere ancora una volta la preistoria.
Gli scavi hanno “a sorpresa” rivelato prove di case e insediamenti durante tutto l’anno, suggerendo che Gobekli Tepe non fosse un tempio isolato visitato in occasioni speciali bensì un fiorente villaggio con imponenti edifici al centro.
Il team ha anche identificato una grande cisterna e canali per la raccolta dell’acqua piovana, fondamentali in un insediamento sulla cima di una montagna arida, e migliaia di strumenti di macinazione per la lavorazione del grano, la cottura del porridge e la produzione della birra: un insediamento a tutti gli effetti con un’occupazione permanente.
Clare e i colleghi pensano così che Gobekli Tepe sia stato un tentativo di cacciatori-raccoglitori di aggrapparsi al loro stile di vita in via di estinzione mentre il mondo intorno a loro stava cambiando.
Prove dalla regione circostante mostrano infatti che le persone in altri siti stavano sperimentando la coltivazione e l’allevamento, una tendenza alla quale la gente di “Belly Hill” avrebbe cercato di resistere.
Clare sostiene inoltre che le incisioni rupestri del sito siano un indizio importante.
Sculture elaborate di volpi, leopardi, serpenti e avvoltoi che coprono i pilastri e le pareti di Gobekli Tepe “non sono animali che vedi tutti i giorni“, ha dichiarato. “Sono più che semplici immagini, sono narrazioni, che sono molto importanti per tenere insieme i gruppi e creare un’identità condivisa“.
Negli ultimi cinque anni, la cima della montagna alla periferia di Urfa è stata nuovamente ridisegnata.
Oggi strade, parcheggi e un centro visitatori accolgono viaggiatori da tutto il mondo.
Il Museo archeologico e del mosaico di Şanlıurfa, costruito nel 2015 nel centro di Urfa, è uno dei più notevoli musei della Turchia: conserva una replica in scala reale del recinto più grande del sito e dei suoi imponenti pilastri a T, permettendo ai visitatori di avere un’idea dei pilastri monumentali ed esaminare da vicino le loro sculture.
Nel 2018, Gobekli Tepe è stato dichiarato Patrimonio UNESCO e i funzionari del turismo turco hanno nominato il 2019 “Anno di Gobekli Tepe”, rendendo l’antico sito il volto della campagna nazionale di promozione turistica.
Gobekli Tepe, costruito 6.000 anni prima di Stonehenge, custodisce ancora nel mistero il significato esatto delle sue incisioni e il mondo in cui un tempo abitavano le persone.
Ogni nuova scoperta promette di cambiare ciò che ora sappiamo sul sito e sulla storia della civiltà umana.
E il suo fascino si fa sempre più ammaliante.
Fonte: siviaggia.
martedì 14 marzo 2023
Tiberio, l’italiano che scoprì la penicillina prima di Fleming
Figlio di buona famiglia Vicenzo Tiberio frequentava la facoltà di Medicina di Napoli quando, ospite a casa degli zii ad Arzano (Napoli), notò che il pozzo usato per le necessità domestiche incideva sulla salute di tutti: ogni volta che veniva ripulito dalle muffe, gli inquilini avevano infezioni intestinali che cessavano solo quando le muffe ricomparivano.
Il ragazzo iniziò a raschiare le muffe con una spatolina. Non solo: le portò in laboratorio per analizzarle e le catalogò una a una.
Farlo non fu difficile: in quegli anni frequentava l’istituto di Igiene di Napoli.
Tiberio non si limitò a osservare il fenomeno, ma si dedicò anche alla sperimentazione: dopo aver ottenuto i primi risultati in laboratorio, individuò un terreno di coltura adatto ed estrasse un siero concentrato di quello che può essere considerato un antesignano degli antibiotici. Lo iniettò in alcune cavie precedentemente infettate e attese. I topi di laboratorio guarirono
A questo punto mancava solo la sperimentazione sull’uomo e la messa in produzione dell’antibiotico.
Le sue ricerche in facoltà suscitarono poco interesse e soltanto nel 1895, dopo la laurea, pubblicò la sua ricerca "Sugli estratti di alcune muffe" negli Annali di Igiene sperimentale, una delle più importanti riviste scientifiche italiane dell’epoca.
Scriveva Tiberio: «Ho voluto osservare quale azione hanno sugli schizomiceti [batteri, ndr] i prodotti cellulari, solubili in acqua, di alcuni ifomiceti [un tipo di funghi, ndr] comunissimi: Penicillium glaucum, Mucor mucedo ed Aspergillus flavescens. […] Per le loro proprietà le muffe sarebbero di forte ostacolo alla vita e alla propagazione dei batteri patogeni».
Purtroppo però il nostro Paese, da poco diventato nazione, era alla periferia del mondo scientifico del tempo. Gli Annali di Igiene Sperimentale erano una rivista di nicchia nel panorama internazionale e la comunità scientifica italiana si dimostrò assai poco lungimirante: le conclusioni di Tiberio furono derubricate a semplici coincidenze e il fascicolo archiviato in uno scaffale dell’Istituto di igiene dove rimase per 60 anni, riscoperto solo 40 anni dopo la morte.
Oltremanica le cose andarono doversamente. Quando 35 anni dopo, nel 1929, Alexander Fleming annunciò la sua scoperta al Medical Research Club di Londra, la comunità scientifica inglese intuì immediatamente il potere rivoluzionario di quelle muffe che potevano essere il primo passo per la creazione di un farmaco in grado, almeno in linea teorica, di guarire da tubercolosi, broncopolmoniti, infezioni postoperatorie e soprattutto ferite di guerra.
Nei 12 anni successivi gli studi sulla penicillina proseguirono grazie al cosiddetto "gruppo di Oxford" composto dall'australiano Howard Florey e dall'ebreo tedesco Ernst Chain: nel 1940 fu possibile condurre le prime sperimentazioni.
Tutte diedero ottimi risultati e il primo uso che si fece della penicillina, mentre infuriava la Seconda Guerra Mondiale, fu proprio sui campi di battaglia. Non a caso già due anni dopo, nel 1943, la produzione a uso militare dell'arma segreta, come veniva chiamata la penicillina, ebbe un’impennata.
L'epilogo della storia è risaputo: nel 1945, a guerra finita, Fleming, Florey e Chain furono insigniti del premio Nobel per la medicina e la fisiologia. Nello stesso anno in Europa la penicillina sarà distribuita nelle farmacie anche ad uso civile.
E Tiberio? Lui morì nel 1915, ad appena 46 anni, stroncato da un infarto.
Deluso dalla tiepida accoglienza delle sue ricerche, dopo la sua scoperta (incompresa) abbandonò l’Università: partecipò al concorso per medico nel Corpo sanitario marittimo e si arruolò nella Marina militare, rinunciando alla carriera accademica.
Oggi sulla facciata della sua casa natale a Sepino (Campobasso) una lapide lo ricorda così: "Primo nella scienza, postumo nella fama".