È Strabone a raccontarlo: «…ad Antandros, sopra la quale vi è un monte chiamato Alexandreia, si dice abbia avuto luogo il Giudizio di Paride…». A lungo cercata, nel 2001 gli archeologi hanno individuato l’antica città greca sulla costa turca dell’Egeo, ai piedi del monte Ida. Antandros dovrebbe proprio essere la mitica sede del più antico concorso di bellezza della storia.
Da alcuni anni sono iniziati gli scavi della necropoli, in uso dal VII al I secolo a.C., mentre non sono ancora cominciati quelli della città, circondata da mura del V secolo a.C. conservate fino a un’altezza di circa un metro e mezzo. Intanto, accanto a quanto resta di Antandros, la missione diretta da Gurcan Polat dell’Università Ege di Smirne ha scoperto una splendida villa romana del IV secolo. Si tratta di una costruzione con 14 stanze disposte a terrazze lungo il pendio della collina, non lontano dal mare. Sei stanze si aprono su un porticato e due conservano mosaici integri con tratti di muri affrescati con una serie di personaggi in piedi, dipinti su pannelli inseriti tra colonne stilizzate.
Messalla il grande mecenate dei poeti latini: chi adora la letteratura latina, ha a cuore il nome del console che contribuì alla diffusione della cultura ai tempi di Ottaviano. In questi giorni gli archeologi hanno ritrovato proprio alle porte di Roma la sua villa.
Nell'area della via dei Laghi e Mura dei Francesi a Ciampino gli studiosi hanno scoperto grazie a dei bolli laterizi l'appartenenza della struttura al grande mecenate. Ritrovato il quartiere termale, tra cui gli ambienti della natatio, la piscina all'aperto lunga oltre venti metri, con le pareti dipinte di azzurro. Dall'interno della vasca sono riaffiorate una serie di sculture straordinarie. Sette statue integre, con alcune mutilazioni ricostruibili, di oltre due metri d'altezza. Un repertorio statuario che illustra il mito di Niobe e dei Niobidi.
"A Ciampino abbiamo una buona parte dell'intero gruppo originale" afferma la soprintendente Elena Calandra. "Le statue che ornavano la piscina di Messalla dovevano essere quindi molte di più - dichiara Alessandro Betori direttore scientifico a Repubblica - ma è stato comunque straordinario ritrovarne tante tutte insieme. L'altro grande gruppo, ritrovato nel 1583 a Roma in una vigna dell'Esquilino - continua- è esposto agli Uffizi: in quel caso però si tratta di statue che proprio in epoca rinascimentale hanno subito pesanti restauri".
"La scoperta è di un valore inestimabile - commenta Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio - da preservare e salvaguardare da qualsiasi assurda e ingiustificata cementificazione. L’équipe della Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio ha fatto un lavoro prezioso. Sono scoperte importantissime che raccontano quanto ancora ci sia da scavare e valorizzare a Roma e nel nostro paese, suggestioni che riportano subito alla mente quella stupefacente idea che è il parco dei Fori Imperiali, dal Colosseo fino ai castelli romani lungo l'intera via Appia Antica resa ciclo pedonale.
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| Le fasi dello sviluppo della rete neuronale rispettivamente nel cervello di un bambino neonato, di tre mesi e di due anni. |

Nel 1453 re Giovanni II di Castiglia concesse al vescovo Alonso de Fonseca il permesso di costruire un castello. De Fonseca, impegno tutto se stesso e profuse tutto il suo patrimonio nel ‘Castillo’, dando vita a una delle più belle opere fortificate della Spagna.
Il castello fu eretto in un punto strategico dell’altopiano casigliano e doveva quindi essere ben fortificato. Venne innalzata una triplice cinta muraria rinforzata da solide torri e protetta da un profondo fossato esterno. Ma Alonso de Fonseca non si accontentò di costruire un raffinato strumento di difesa: realizzò contemporaneamente una sontuosa opera d’arte. Usando le parole di un contemporaneo: “pretendeva che tutto ciò che utilizzava fosse di straordinaria qualità e assoluta perfezione artistica”.
Coca è una fortificazione ‘concentrica’: presenta un alto torrione centrale, circondato da un cortile, il ‘patio de Armas’ , racchiuso da una cinta muraria, a sua volta attorniata da un altro spazio libero, delimitato dalla cinta più esterna. Le fortificazioni più interne dominano, cioè sovrastano in altezza, quelle più esterne, cosi da avere la possibilità di colpirle, in caso di conquista da parte dei nemici. Secondo i criteri dell’epoca, era una fortificazione formidabile, anche se destinata a diventare obsoleta di lì a pochi anni, con la comparsa della polvere da sparo sui campi di battaglia. Per posizione e fasto può essere paragonata a una contemporanea realizzazione italiana: il castello di Torrechiara in Emilia, costruito da un condottiero invece che da un vescovo, ma nato con le stesse premesse di Coca. La sua caratteristica più evidente è l’insistita decorazione dei coronamenti, con le profonde scanalature e i merli fantasiosi, che danno a quest’opera massiccia, tutta in mattoni, un aspetto, un aspetto da fiaba. Anche il cortile interno era elaboratamene decorato con piastrelle che componevano figure geometriche colorate di rosso e azzurro. E’ evidente in tutto il complesso, benché eretto per un vescovo cristiano, l’influenza o l’opera diretta di maestranze musulmane, tanto da fare di Coca una delle maggiori opere ‘mudéjar’, cioè arabocristiane, di tutta la Spagna.
Il Castillo è fatto pressoché totalmente di mattoni (ladrillos): argilla e legna da ardere erano largamente disponibili sul posto, al contrario delle pietre. Solo per qualche colonna e alcune decorazioni vennero venero usate pietre calcaree. L’arte delle costruzioni in mattoni si era sviluppata nei califfati arabi di Spagna e la tradizione rimase viva tra gli spagnoli musulmani, detti ‘mudayun’, poi diventati in lingua spagnola ‘mudéjaren’. Il loro stile venne chiamato mudéjar (in italiano mozarabo). Sua caratteristica è l’utilizzo dello stesso materiale costruttivo per realizzare anche gli elementi ornamentali. I mattoni venivano disposti in modo tale da formare molteplici disegni, arrotondamenti, angoli e da suscitare un’impressione di vivace e geometrica policromia. Questo gusto per la decorazione passò dal mondo musulmano anche a quello cristiano.
Coca è oggi famosa per il suo castello, ma ha una storia antica. Il nome deriverebbe dal celtico ‘kauke’, valle fluviale, e si riferisce al Rio Voltola, sulle cui rive sorse il castello. Fu poi florido centro romano, con il nome di ‘Cauca’. Qui nacque Teodosio I il Grande (347 – 395), l’imperatore che fece del cristianesimo la religione del Stato. Teodosio divise l’impero tra i due figli, Onorio e Arcadio, dando l’origine all’impero romano d’Occidente, destinato a cadere nel V secolo, e all’impero romano d’Oriente, che sopravvisse fino alla fine del XV secolo.
La Carta costituzionale disciplina la formazione del Governo con una formula semplice e concisa: "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri". Stando a tale formula sembrerebbe che la formazione del Governo non sia frutto di un vero e proprio procedimento. Invece, nella prassi, la sua formazione si compie mediante un complesso ed articolato processo, nel quale si può distinguere la fase delle consultazioni (fase preparatoria), da quella dell'incarico, fino a quella che caratterizza la nomina; a queste potrebbe aggiungersene una ulteriore che si risolve nell'effettuazione del giuramento prescritto dall'art. 93 e della fiducia dei due rami del Parlamento.
Ho ancora gli occhi impastati di sogni quando gli esseri strani a due zampe entrano nella stalla e mi svegliano.
Ogni giorno è un nuovo giorno.
Potrebbe essere una delle scoperte più notevoli realizzate nel famoso sito archeologico di Machu Pichu, ma la burocrazia sta mettendo i bastoni tra le ruote agli archeologi.
Per più di quindici anni, Thierry Jamin, un archeologo e esploratore francese, ha vagato per la giungle del sud del Perù in ogni possibile direzione, alla ricerca di indizi sulla civiltà Inca nella foresta amazzoni e della leggendaria città di Paititi, una città perduta dell'epoca pre-inca, che si dice essere esistita ad est delle Ande, nascosta da qualche parte nella foresta pluviale.
Nel corso di diverse esplorazioni nella giungla di Madre de Dios, l'avventuriero francese ha studiato le misteriose piramidi di Paratoari, conosciute anche come Piramidi di Pantiacolla, 12 monticcioli di circa 150 metri di altezza, individuate per la prima volta dai satelliti della NASA negli anni Settanta.
La stessa spedizione è stata occasione anche per uno studio approfondito delle incisioni rupestri di Pusharo, segni incisi nella roccia considerati dagli esperti come i più importanti dell'Amazzonica.
Dopo la scoperta di una trentina di siti archeologici a nordi di Cuzco, rinvenuti tra il 2009 e il 2011, che comprendono numerose fortezze, sepolture cerimoniali e centri urbani composte da centinaia di edifici e strade, Thierry Jamin ha intrapreso l'esplorazione di Machu Picchu.
Alcuni mesi fa, nel corso dello studio del sito, Jamin e il suo team hanno fatto quella che pensano sia una scoperta archeologica più straordinaria dai tempi della scoperta della antica città Inca ad opera di Hiram Bingham nel 1911. La scoperta è avvenuta grazie ad una segnalazione di un ingegnere francese, David Crespy.
Nel 2010, mentre era in visita a Machu Pichu, Crespy notò la presenza di uno strano rifugio situato nel cuore della città, in fondo a uno degli edifici principali. L'ingegnere non ebbe dubbi: stata guardano una porta, una sorta di ingresso sigillato dagli Incas. Nel mese di agosto 2011, lesse per caso un articolo sul quotidiano francese Le Figaro che parlava di Thierry Jamin e il suo lavoro in Sud America. Immediatamente decise di contattare l'esploratore francese.
Thierry ascoltò con attenzione il resoconto di Crespy, decidendo di voler verificare la storia andando direttamente sul posto. Accompagnato da un gruppo di archeologi dell'Ufficio Regionale della Cultura di Cusco, l'archeologo riusci a visitare il sito per diverse volte.
Le sue conclusioni preliminari furono inequivocabili: si trattava di un ingresso in una camera sconosciuta di Machu Pichu, che gli Incas avevano bloccato per una qualche ragione ignota. (Scoperta una camera segreta a Puma Punko).
Tra l'altro, Thierry si rese conto che il sito somigliava stranamente ai luoghi di sepoltura che lui e suoi compagni avevano individuato nelle valli di Lacco e Chunchusmayo.
La posizione della “porta” al centro di uno degli edifici principali della città, e che domina l'intera area urbana, ha portato Thierry a ipotizzare che possa trattarsi di una sepoltura di primaria importanza.
Le tradizioni inca e alcune cronache, come quella di Juan de Betanzos, sostengono che Pachacutec, l'imperatore considerato come il fondatore dell'Impero inca, sia sepolto proprio a Machu Pichu. E' possibile che il recinto funerario sia proprio il sepolcro dove riposa la mummia del nono sovrano del Tawantinsuyu (Impero Inca).
Fino ad oggi, nessuna mummia della stirpe degli imperatori inca è mai stata trovata. Sarebbe una scoperta senza precedenti.
Al fine di confermare l'esistenza della cavità nel seminterrato del palazzo, a dicembre del 2011, Thierry e il suo team hanno presentato una richiesta ufficiale al Ministero della Cultura di Lima per effettuare delle indagini geofisiche con l'aiuto di strumenti per la risonanza elettromagnetica. Nell'aprile del 2012 il ministero ha dato il via libera agli archeologi.
Le indagini effettuate tra il 9 e il 12 aprile, non solo hanno confermato la presenza di una stanza sotterranea, ma addirittura di diversi ambienti! Appena dietro il famoso ingresso, è stata rilevata quella che sembra essere una scala.
Le risonanze hanno mostrato l'esistenza di due percorsi che sembrano portare alle varie aree del sotterraneo, tra cui una principale di forma quadrata. Inoltre, il georadar ha rilevato una grande quantità di depositi di metallo, presumibilmente oro e argento.
Infine, l'uso di telecamere endoscopiche conferma l'ipotesi che i blocchi di pietra disposti all'ingresso dell'edificio hanno la sola funzione di nascondere e proteggere il passaggio e non a sostenere le strutture edilizie come si è sempre pensato. Ampi spazi vuoti lasciano ipotizzare l'esistenza di un misterioso corridoio.
Thierry Jamin e il suo team non avevano torto. Si tratta di una porta chiusa dagli Incas per nascondere qualcosa di molto importante. Questo è forse il principale tesoro archeologico di Machu Picchu. ( gli archeologi entrano per la prima volta nella toma maya di Palenque ).
Tutto sembrava andare per il meglio e Thierry e il suo team si stavano preparando per il passo successivo: l'apertura dell'ingresso sigillato dagli Incas più di cinque secoli fa.
Il 22 maggio 2012, Thierry ha presentato una richiesta alle autorità peruviane per un nuovo progetto di ricerca archeologica (con scavo) per procedere con l'apertura delle camere.
Ma con una risposta arrivata il 5 novembre del 2012, il Ministero della Cultura di Lima, questa volte ha dato picche!
Evidentemente, la posta in gioco è molto alta. Si parla di una delle scoperte più importanti per l'archeologia del Sud America e non si fa fatica ad immaginare le pressioni degli archeologi locali che temono di farsi soffiare la scoperta da un europeo.
Inoltre, si parla di grosse quantità di oro e di argento, fatto che ha spinto i funzionari governativi ad una riflessione più prolungata.
Ma Thierry Jamin, da buon esploratore, non si è perso d'animo e il 5 dicembre 2012 ha presentato una nuova richiesta alle autorità peruviane, invitandole a riconsiderare la loro decisione. A questo punto, non possiamo fare altro che attendere!
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Riciclatori di veleno
La maggior parte dei nudibranchi misura dai 3 millimetri ai 30 centimetri circa, e predilige i bassi e caldi fondali tropicali.
Un'esistenza fugace
La vita di queste creature dura poco, quasi sempre meno di un anno e, talvolta, anche meno di un mese.
Accoppiamenti bizzarri
I nudibranchi sono ermafroditi simultanei:
Guardami, sono qui!
Un nudibranchio del genere Flabellina, comune anche nel Mar Mediterraneo fino ai 50 metri di profondità.
Mutilati a fin di bene
Immaginate gli enormi camion per la nettezza urbana disposti in una fila ordinata l’uno dopo l’altro: se all’interno dei loro comparti si mettesse tutta la plastica che sarà presente sulla superficie del Pianeta entro il 2050, servirebbero 3 milioni di veicoli, la cui lunga coda potrebbe fare il giro della terra circa 800 volte. Non poco per un materiale che, benché venga trattato praticamente come tutti gli altri rifiuti solidi urbani e senza particolari o specifiche attenzioni, continua ad essere prodotto (il più delle volte in omaggio al dio dello spreco) e ad accumularsi in ogni angolo del globo.
La dispersione della plastica nell’ambiente è capace di provocare danni serissimi all’ambiente, con l’aggravante dei tempi di distruzione estremamente lunghi che necessita questo materiale: basti pensare che tra un secolo, i nostri discendenti si ritroveranno tra i piedi ancora i nostri accendini e le nostre bottiglie, quasi completamente integri; e lo sanno bene anche le acque marine, dove sempre più sono le creature che rischiano la vita a causa dei micro-rifiuti che vengono spesso inavvertitamente ingeriti. Insomma, è lecito parlare già di emergenza-plastica? Di fatto sì se si considera che, tra meno di quarant’anni, avremo a che fare con circa 33 miliardi di tonnellate di rifiuti non biodegradabili, distribuite lungo tutta la superficie della Terra.
Questa è la conclusione a cui sono giunti i ricercatori della University of California di Davis che, in un articolo di Nature, mettono in guardia contro una situazione che potrebbe diventare ingestibile nel giro di pochissimo tempo e che dovrebbe spingere le autorità di ciascun singolo Paese ad iniziare a classificare la plastica come rifiuto dannoso e pericoloso: un’iniziativa che andrebbe coniugata ad una serie di politiche atte a contenere, ad esempio, la produzione della plastica per fare in modo che entro il 2050 le tonnellate di rifiuti siano “soltanto” 4 miliardi, anziché 33; e che, soprattutto, dovrebbe prevedere investimenti e ricerche per scoprire materiali più moderni, adatti alla contemporaneità e, al tempo stesso, non totalmente distruttivi dell’ambiente.
L'uso del conclave, il luogo chiuso a chiave (cum-clave) dove si riuniscono i cardinali, risale all'elezione di Onorio III, avvenuta a Perugia nel 1216: i Perugini, stanchi di aspettare le decisioni dei cardinali, pensarono di rinchiuderli obbligandoli così a una rapida decisione.