giovedì 31 gennaio 2013
Buon appetito
INGREDIENTI
300 g farina 00 300
g zucchero
200g burro
5 uova
100 ml acqua
1 busta di lievito per dolci
1 pizzico di sale
Aroma di vaniglia
frutta mista
1 busta di tortagel
500 g di marmellata di pesche
Procedimento
Scaldare l'acqua e scioglierci in sequenza il burro, lo zucchero, il sale e la farina cuocendo a fuoco lento fino a quando il preparato non si stacca dal tegame.
Lasciar raffreddare il composto ed aggiungere una alla volta le uova e per ultimo il lievito.
Imburrare ed infarinare una teglia da forno, versare il composto e cuocere per circa 20-30 minuti a 180 gradi.
Togliere dal forno e far asciugare la base del nostro dolce su una gratella. Prima di guarnire la nostra torta sarà necessario farla raffreddare completamente.
Preparare la frutta ed iniziare la composizione del dolce.
Tagliare a metà la base della torta con la quale si possono ottenere due torte di frutta oppure una torta molto grande ideale per una festa di compleanno. Spalmare la marmellata sulla base e partendo dall'esterno della torta mettere la frutta a piacere.
Finire il dolce versando sopra la torta il tortagel preparato portandolo ad ebollizione in acqua e zucchero
300 g farina 00 300
g zucchero
200g burro
5 uova
100 ml acqua
1 busta di lievito per dolci
1 pizzico di sale
Aroma di vaniglia
frutta mista
1 busta di tortagel
500 g di marmellata di pesche
Procedimento
Scaldare l'acqua e scioglierci in sequenza il burro, lo zucchero, il sale e la farina cuocendo a fuoco lento fino a quando il preparato non si stacca dal tegame.
Lasciar raffreddare il composto ed aggiungere una alla volta le uova e per ultimo il lievito.
Imburrare ed infarinare una teglia da forno, versare il composto e cuocere per circa 20-30 minuti a 180 gradi.
Togliere dal forno e far asciugare la base del nostro dolce su una gratella. Prima di guarnire la nostra torta sarà necessario farla raffreddare completamente.
Preparare la frutta ed iniziare la composizione del dolce.
Tagliare a metà la base della torta con la quale si possono ottenere due torte di frutta oppure una torta molto grande ideale per una festa di compleanno. Spalmare la marmellata sulla base e partendo dall'esterno della torta mettere la frutta a piacere.
Finire il dolce versando sopra la torta il tortagel preparato portandolo ad ebollizione in acqua e zucchero
Il limoncello fatto in casa
Per confezionare 2 litri di Limoncello.
- 10 limoni di media grandezza non trattati,
- 1 litro di alcol a 90°,
- 700 gr di zucchero
- 800 gr di acqua
Poi procedete in questo modo:
per prima cosa lavate accuratamente i limoni e tagliatene la scorza sottilissima, stando attenti a non tagliare la parte bianca,il pelapatate è l'attrezzo adatto.
Raccogliete le listarelle di limone in un barattolo di vetro a chiusura ermetica, versateci sopra tutto il litro di alcol, chiudete e lasciate in infusione per 15 giorni.
Al 16 giorno far bollire l'acqua con lo zucchero per alcuni minuti in modo da far sciogliere bene lo zucchero e lasciare raffreddare bene anche un intera giornata.
Unite lo sciroppo all'alcol in infusione mescolando bene.
Prendete un secondo recipiente e trasferitevi tutto il liquore filtrandolo con un imbuto rivestito da una garza o da carta filtro.
Ripetete l'operazione al contrario una seconda volta, strizzando bene le scorzette di limone.
Infine, sempre servendovi dell'imbuto filtrante, riempite le bottiglie, chiudetele e riponetele a riposare in una dispensa asciutta e al buio per circa un mesetto .
- 10 limoni di media grandezza non trattati,
- 1 litro di alcol a 90°,
- 700 gr di zucchero
- 800 gr di acqua
Poi procedete in questo modo:
per prima cosa lavate accuratamente i limoni e tagliatene la scorza sottilissima, stando attenti a non tagliare la parte bianca,il pelapatate è l'attrezzo adatto.
Raccogliete le listarelle di limone in un barattolo di vetro a chiusura ermetica, versateci sopra tutto il litro di alcol, chiudete e lasciate in infusione per 15 giorni.
Al 16 giorno far bollire l'acqua con lo zucchero per alcuni minuti in modo da far sciogliere bene lo zucchero e lasciare raffreddare bene anche un intera giornata.
Unite lo sciroppo all'alcol in infusione mescolando bene.
Prendete un secondo recipiente e trasferitevi tutto il liquore filtrandolo con un imbuto rivestito da una garza o da carta filtro.
Ripetete l'operazione al contrario una seconda volta, strizzando bene le scorzette di limone.
Infine, sempre servendovi dell'imbuto filtrante, riempite le bottiglie, chiudetele e riponetele a riposare in una dispensa asciutta e al buio per circa un mesetto .
Sardegna all'asta
OLBIA - È stata depositata negli scorsi giorni la perizia che ha dato un valore all'Isola di Budelli: tre milioni di euro.
Questo sarebbe il prezzo per acquistare l'isola dell'Arcipelago de La Maddalena, che nei prossimi mesi potrebbe venir messa all'asta dal giudice delle esecuzioni immobiliari del Tribunale di Tempio Pausania.
L'Isola, infatti, si trova al centro di una vicenda fallimentare che vede da una parte una società milanese, attuale proprietaria dello squarcio di paradiso, e un immobiliarista olbiese e il vecchio custode che hanno richiesto, e ottenuto, la perizia, passaggio obbligatorio per poi mettere all'asta l'Isola di Budelli. L'asta potrebbe saltare se il Governo, e in particolare il Ministero dell'Ambiente, farà prevalere il diritto di prelazione sull'isola, visto che Budelli è inserita all'interno di un sito di interesse comunitario del Parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio.
L'Isola di Budelli, che ospita la Spiaggia «rosa», autentica perla del Parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena, tutelata da vincoli di conservazione che includono anche il divieto di calpestio, è un vero paradiso naturale, ed è quindi sottoposta a vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici.
Tratto da Leggo
Questo sarebbe il prezzo per acquistare l'isola dell'Arcipelago de La Maddalena, che nei prossimi mesi potrebbe venir messa all'asta dal giudice delle esecuzioni immobiliari del Tribunale di Tempio Pausania.
L'Isola, infatti, si trova al centro di una vicenda fallimentare che vede da una parte una società milanese, attuale proprietaria dello squarcio di paradiso, e un immobiliarista olbiese e il vecchio custode che hanno richiesto, e ottenuto, la perizia, passaggio obbligatorio per poi mettere all'asta l'Isola di Budelli. L'asta potrebbe saltare se il Governo, e in particolare il Ministero dell'Ambiente, farà prevalere il diritto di prelazione sull'isola, visto che Budelli è inserita all'interno di un sito di interesse comunitario del Parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio.
L'Isola di Budelli, che ospita la Spiaggia «rosa», autentica perla del Parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena, tutelata da vincoli di conservazione che includono anche il divieto di calpestio, è un vero paradiso naturale, ed è quindi sottoposta a vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici.
Tratto da Leggo
La prima assoluta
Nella sala biliardo di un caffè italiano a Parigi tutto è pronto, ci sono un paio di file di sedie al posto dei tavoli, le persone sono in silenzio e a luci spente: lo spettacolo sta per cominciare. Dietro il proiettore ci sono Luoise e Auguste Lumière che proiettano per la prima volta davanti al pubblico un film: la ripresa dell’uscita degli operai dalla loro fabbrica (“L’uscita dalle officine Lumiere”). Uno spettatore incredulo davanti alle immagini “vere” si alza per scoprire cosa si nasconde dietro lo schermo.
Nulla in confronto a quello che successe in seguito: quando i Lumière proiettarono “L’arrivo del treno alla stazione della Ciotat”, molti spettatori spaventati dal treno che correva sullo schermo e che “entrava” in sala scapparono fuori.
I Lumière nella loro carriera di primi cineasti si dedicarono alle riprese di scene di vita quotidiana, il cinematografo (come chiamavano la macchina da presa) era un mezzo di riproduzione del reale. Il cinema come spettacolo venne dopo e la prima opera di finzione si ebbe nel 1902 con il film di Georges Méliès “Il viaggio sulla Luna”.
L'uomo di Cherchen
Nella regione cinese dello Xinjiang ai margini del bacino del Tarim, gli archeologi hanno portato alla luce svariate decine di cadaveri in stato di mummificazione, dovuta sia all’atmosfera arida che alle sabbie salate dove erano stati sepolti.
Alcuni di questi resti risalgono a 4000 anni fa, altri a date forse precedenti, il loro stato di conservazione è eccellente, con carne, pelle, capelli ed organi interni intatti. I resoconti dei ricercatori parlavano di questi uomini come dei giganti per quell’epoca, e “l’UOMO DI CHERCHEN” dal nome della zona in cui era la sua sepoltura, non era da meno, la sua statura era di 2 centimetri inferiore ai due metri, mentre la sua probabile donna raggiungeva il metro e novantadue.
I ritrovamenti non avevano avuto molto clamore, infatti il governo cinese riteneva non consona e problematica da discutere, la presenza di insediamenti marcatamente europei nella Cina preistorica.
La Barber, era anche un’esperta di tessuti antichi, ed esaminando gli stili di tessitura degli abbigliamenti trovò ancora più conferma della loro provenienza occidentale, i cappelli soprattutto di varie tipologie, ed alcuni ricordavano quelli degli arcieri Frigi di stanza nella regione anatolica; una donna inoltre aveva ancora in testa un cappello a cono altissimo, proprio come quello attribuito alle streghe, o ai maghi.(La parola “mago” di origine persiana era propria di una popolazione i” Magi”, essi erano sacerdoti e sapienti [o Re nella tradizione Cristiana, i Magi della grotta di Betlemme] in particolare nella religione Zoroastriana, si distinguevano per i cappelli a cono ed erano esperti di astronomia, astrologia, medicina, affermavano di essere in grado di dominare gli agenti atmosferici con la potenza della magia, e di essere in contatto con l’ultranaturale ed il mondo degli spiriti.
Nell’antico cinese il termine MAG, era il mago di corte, ed il carattere ideografico cinese corrispondente è una croce con le punte leggermente allargate, guarda caso identica a quella dei templari.)
Continuando nell’analisi della tecnica della tessitura, essa è molto sofisticata, infatti oltre ad essere in grado di fabbricare il feltro, queste persone producevano un tessuto spinato a disegni policromi ed erano abilissimi nella tessitura di arazzi, precedentemente queste tecniche era creduto fossero nate in Egitto, verso il 1500 a.C. Gli uomini e le donne di Cherchen tessevano anche una striscia con un motivo decorativo che in Giappone è conosciuta con il nome di Kumihimo, possiamo ipotizzare che questa gente fosse giunta o avesse avuto contatti anche con il Giappone.
Un rilievo particolare per questa popolazione lo aveva il motivo della “losanga” esso era inserito nella stoffa in varie forme ed occorreva un’accuratissima progettazione della tessitura per ottenere la precisione ottimale. Una cosa stupefacente è che le stoffe in uso per vestire le mummie sia la tecnica della tessitura e sia il motivo della decorazione sono identici alle stoffe con riquadri di tipo “scozzese”, come il plaid ed il tartan, che sono presenti nella cultura di Hallstatt ed in quella celtica di La Tene, originarie dell’ Europa centrale.
Potrebbe dunque essere cosa certa che gli uomini di Cherchen in primis per le caratteristiche somatiche e poi per l’identicità di uso, decoro e fabbricazione dei tessuti hanno avuto una relazione diretta con la popolazione celtica delle isole britanniche e magari anche dal primo popolo conosciuto come quello delle “ceramiche a solchi” (Erano forse Rossi di capelli ed Irlandesi?).
Secondo un’analisi compiuta all’università di Nanjing su di un campione di materiale organico ricavato dalle tombe delle mummie, esso doveva risalire al 4500a.C. poi l’università di Pechino ha stabilito che un campione di carbone risaliva al 2000a.C.
L’aria del deserto rapidamente li disidratava e poi venivano sepolti, sia da soli che in compagnia, in bare scarne e prive di decori oppure addirittura ricoperti da tronchi di legno precedentemente svuotati. Queste mummie indossavano pantaloni, stivali, calze, giacche, cappelli e tuniche colorate, e furono trasportate nel museo del capoluogo Urumchi.
Alla loro vista, l’archeologa Elizabeth Barber, rimase colpita sia dalla perfetta conservazione dei resti, che dall’enigma che le si poneva davanti, le loro caratteristiche somatiche non erano di tipologia né cinese né mongola, ma sicuramente avevano fattezze europee. Le mummie infatti, avevano il ponte nasale alto, grandi orbite degli occhi, mascelle pronunciate, con le arcate dentarie superiori sovrapposte a quelle inferiori, i capelli erano di un colore biondo o rosso e non mancava neppure una folta barba sul volto di molti fra uomini.
Fantasia o Realtà ?
I vigilanti (Nella mitologia irlandese questi possono essere considerati come i Thuata de Danann la misteriosa tribù dei “figli della luce” creati da Danu la madre terra.),come narra il libro di Enoc videro che le figlie degli uomini erano belle, e le presero come spose dando origine ad una prole di giganti, che corruppero il mondo e furono da Dio destinati alla distruzione, per mezzo del diluvio universale.
Questi giganti speravano di essere risparmiati dall’imminente disastro (la caduta di una cometa o di frammenti che causò il diluvio, il più grande dei vari che ciclicamente hanno quasi distrutto la vita sulla Terra), ed avevano bisogno di un rifugio sicuro, sapevano infatti che avrebbero avuto maggiore probabilità di salvarsi e sopravvivere in un luogo sopraelevato ed il più possibile lontano dal mare.
Il popolo della “ceramica a solchi” dovevano quindi sapere che il luogo più sicuro in tutto il pianeta si trovava nell’Asia Centrale, e la località perfetta sarebbe stata quella odiernamente chiamata regione autonoma dello Xinjiang Uygur, nella Cina occidentale, un altopiano al centro delle colossali montagne del Tibet, e della Mongolia, al riparo dalle enormi ondate di maremoto.
Fu questa la destinazione dei giganti e l’Uomo di Cherchen era il loro diretto erede? Fantasia sfrenata o fondo di verità, una cosa è certa, quest’uomo non appartiene al luogo ed alla popolazione che viveva e vive tuttora intorno a lui…
Alcuni di questi resti risalgono a 4000 anni fa, altri a date forse precedenti, il loro stato di conservazione è eccellente, con carne, pelle, capelli ed organi interni intatti. I resoconti dei ricercatori parlavano di questi uomini come dei giganti per quell’epoca, e “l’UOMO DI CHERCHEN” dal nome della zona in cui era la sua sepoltura, non era da meno, la sua statura era di 2 centimetri inferiore ai due metri, mentre la sua probabile donna raggiungeva il metro e novantadue.
I ritrovamenti non avevano avuto molto clamore, infatti il governo cinese riteneva non consona e problematica da discutere, la presenza di insediamenti marcatamente europei nella Cina preistorica.
La Barber, era anche un’esperta di tessuti antichi, ed esaminando gli stili di tessitura degli abbigliamenti trovò ancora più conferma della loro provenienza occidentale, i cappelli soprattutto di varie tipologie, ed alcuni ricordavano quelli degli arcieri Frigi di stanza nella regione anatolica; una donna inoltre aveva ancora in testa un cappello a cono altissimo, proprio come quello attribuito alle streghe, o ai maghi.(La parola “mago” di origine persiana era propria di una popolazione i” Magi”, essi erano sacerdoti e sapienti [o Re nella tradizione Cristiana, i Magi della grotta di Betlemme] in particolare nella religione Zoroastriana, si distinguevano per i cappelli a cono ed erano esperti di astronomia, astrologia, medicina, affermavano di essere in grado di dominare gli agenti atmosferici con la potenza della magia, e di essere in contatto con l’ultranaturale ed il mondo degli spiriti.
Nell’antico cinese il termine MAG, era il mago di corte, ed il carattere ideografico cinese corrispondente è una croce con le punte leggermente allargate, guarda caso identica a quella dei templari.)
Continuando nell’analisi della tecnica della tessitura, essa è molto sofisticata, infatti oltre ad essere in grado di fabbricare il feltro, queste persone producevano un tessuto spinato a disegni policromi ed erano abilissimi nella tessitura di arazzi, precedentemente queste tecniche era creduto fossero nate in Egitto, verso il 1500 a.C. Gli uomini e le donne di Cherchen tessevano anche una striscia con un motivo decorativo che in Giappone è conosciuta con il nome di Kumihimo, possiamo ipotizzare che questa gente fosse giunta o avesse avuto contatti anche con il Giappone.
Un rilievo particolare per questa popolazione lo aveva il motivo della “losanga” esso era inserito nella stoffa in varie forme ed occorreva un’accuratissima progettazione della tessitura per ottenere la precisione ottimale. Una cosa stupefacente è che le stoffe in uso per vestire le mummie sia la tecnica della tessitura e sia il motivo della decorazione sono identici alle stoffe con riquadri di tipo “scozzese”, come il plaid ed il tartan, che sono presenti nella cultura di Hallstatt ed in quella celtica di La Tene, originarie dell’ Europa centrale.
Potrebbe dunque essere cosa certa che gli uomini di Cherchen in primis per le caratteristiche somatiche e poi per l’identicità di uso, decoro e fabbricazione dei tessuti hanno avuto una relazione diretta con la popolazione celtica delle isole britanniche e magari anche dal primo popolo conosciuto come quello delle “ceramiche a solchi” (Erano forse Rossi di capelli ed Irlandesi?).
Secondo un’analisi compiuta all’università di Nanjing su di un campione di materiale organico ricavato dalle tombe delle mummie, esso doveva risalire al 4500a.C. poi l’università di Pechino ha stabilito che un campione di carbone risaliva al 2000a.C.
L’aria del deserto rapidamente li disidratava e poi venivano sepolti, sia da soli che in compagnia, in bare scarne e prive di decori oppure addirittura ricoperti da tronchi di legno precedentemente svuotati. Queste mummie indossavano pantaloni, stivali, calze, giacche, cappelli e tuniche colorate, e furono trasportate nel museo del capoluogo Urumchi.
Alla loro vista, l’archeologa Elizabeth Barber, rimase colpita sia dalla perfetta conservazione dei resti, che dall’enigma che le si poneva davanti, le loro caratteristiche somatiche non erano di tipologia né cinese né mongola, ma sicuramente avevano fattezze europee. Le mummie infatti, avevano il ponte nasale alto, grandi orbite degli occhi, mascelle pronunciate, con le arcate dentarie superiori sovrapposte a quelle inferiori, i capelli erano di un colore biondo o rosso e non mancava neppure una folta barba sul volto di molti fra uomini.
Fantasia o Realtà ?
I vigilanti (Nella mitologia irlandese questi possono essere considerati come i Thuata de Danann la misteriosa tribù dei “figli della luce” creati da Danu la madre terra.),come narra il libro di Enoc videro che le figlie degli uomini erano belle, e le presero come spose dando origine ad una prole di giganti, che corruppero il mondo e furono da Dio destinati alla distruzione, per mezzo del diluvio universale.
Questi giganti speravano di essere risparmiati dall’imminente disastro (la caduta di una cometa o di frammenti che causò il diluvio, il più grande dei vari che ciclicamente hanno quasi distrutto la vita sulla Terra), ed avevano bisogno di un rifugio sicuro, sapevano infatti che avrebbero avuto maggiore probabilità di salvarsi e sopravvivere in un luogo sopraelevato ed il più possibile lontano dal mare.
Il popolo della “ceramica a solchi” dovevano quindi sapere che il luogo più sicuro in tutto il pianeta si trovava nell’Asia Centrale, e la località perfetta sarebbe stata quella odiernamente chiamata regione autonoma dello Xinjiang Uygur, nella Cina occidentale, un altopiano al centro delle colossali montagne del Tibet, e della Mongolia, al riparo dalle enormi ondate di maremoto.
Fu questa la destinazione dei giganti e l’Uomo di Cherchen era il loro diretto erede? Fantasia sfrenata o fondo di verità, una cosa è certa, quest’uomo non appartiene al luogo ed alla popolazione che viveva e vive tuttora intorno a lui…
Le grotte di Burrows
Le grotte di Burrows, dal nome dell’ americano Russel Burrows di Olney, nell’Illinois, che nel 1982, le scoprì per puro caso .
Queste sono un sistema di cunicoli e grotte, all’interno dei quali, erano nascosti, non soltanto corpi mummificati racchiusi in sarcofagi, ma anche migliaia di incisioni su pietra, sculture, tavole e manufatti in oro massiccio.
Naturalmente pochi scienziati hanno mostrato interesse per questi reperti, quasi subito classificati come falsi, poiché le incisioni mostrano influenze degli stili culturali più disparati, con associazioni con le culture fenicie o egizie che , in teoria non potevano avere avuto alcun contatto con il continente americano (infatti è ormai prassi comune quando viene repertato qualcosa che va contro il “paradigma”prima ignorarlo poi se proprio ciò rimane impossibile, la strada più semplice è quella di dare del falsario allo scopritore e screditarlo, un po’ come è successo al povero Fradin ed al sito di Glozel in Francia dove sono stati trovati reperti ed una forma di scrittura o simboli che richiamano per assoluta similitudine le scritte sui reperti di Burrows e quelli di padre Crespi.)
Su alcuni reperti di Burrows, grandi quanto un piatto, sono raffigurati motivi straordinari : esseri alati metà uomo, metà animale; uomini con elmi, rappresentazioni della volta celeste, medaglioni ed iscrizioni, impossibili da decifrare, sono presenti decine e decine di motivi che possono essere interpretati come rappresentazioni di “visitatori” provenienti da altri mondi.
Insieme ad animali di terra e di mare, e ad alcune creature, abbigliate in modo strane, sono raffigurati quelli che sembrerebbero oggetti volanti, alcuni posati a terra, altri sarebbero in volo.
Joseph Mahan , esperto di indubbia fama in storia indiana e presidente dell’Institute for the Study of American Cultures, studiando l’enigma delle Grotte di Burrows fino a poco prima della sua morte, avvenuta nel 1995, era giunto ad una conclusione sensazionale:” I resti umani trovati nelle grotte appartengono- a mio avviso- a creature del cosmo, sepolte assieme alle proprie mogli, figli , ai loro vestiti, ai loro beni e al cibo di cui avevano bisogno per il viaggio oltre la morte. Questi semidei erano i discendenti di creature immortali provenienti da altri mondi che, nella notte dei tempi, giunsero sulla terra a bordo di veicoli spaziali “infuocati” e che vi rimasero abbastanza a lungo da portare a termine delle manipolazioni genetiche.
Hanno trasmesso alla loro progenie una parte delle loro conoscenze, da tramandare di generazione in generazione, dall’arte della navigazione all’architettura. Le hanno poi insegnato a “governare” con saggezza ed a curare le malattie. Lasciarono quindi la terra con la promessa che un giorno sarebbero ritornati”.
Mahan sarebbe riuscito ad acquistare ben 107 reperti in pietra delle Grotte di Burrows, dopo la sua morte imballati e riposti in un magazzino. E tutto ciò a significare come la storia dell’America precolombiana sia di gran lunga più interessante ed insolita ma soprattutto diversa da quanto è raccontato dai nostri migliori storici
Queste sono un sistema di cunicoli e grotte, all’interno dei quali, erano nascosti, non soltanto corpi mummificati racchiusi in sarcofagi, ma anche migliaia di incisioni su pietra, sculture, tavole e manufatti in oro massiccio.
Naturalmente pochi scienziati hanno mostrato interesse per questi reperti, quasi subito classificati come falsi, poiché le incisioni mostrano influenze degli stili culturali più disparati, con associazioni con le culture fenicie o egizie che , in teoria non potevano avere avuto alcun contatto con il continente americano (infatti è ormai prassi comune quando viene repertato qualcosa che va contro il “paradigma”prima ignorarlo poi se proprio ciò rimane impossibile, la strada più semplice è quella di dare del falsario allo scopritore e screditarlo, un po’ come è successo al povero Fradin ed al sito di Glozel in Francia dove sono stati trovati reperti ed una forma di scrittura o simboli che richiamano per assoluta similitudine le scritte sui reperti di Burrows e quelli di padre Crespi.)
Su alcuni reperti di Burrows, grandi quanto un piatto, sono raffigurati motivi straordinari : esseri alati metà uomo, metà animale; uomini con elmi, rappresentazioni della volta celeste, medaglioni ed iscrizioni, impossibili da decifrare, sono presenti decine e decine di motivi che possono essere interpretati come rappresentazioni di “visitatori” provenienti da altri mondi.
Insieme ad animali di terra e di mare, e ad alcune creature, abbigliate in modo strane, sono raffigurati quelli che sembrerebbero oggetti volanti, alcuni posati a terra, altri sarebbero in volo.
Joseph Mahan , esperto di indubbia fama in storia indiana e presidente dell’Institute for the Study of American Cultures, studiando l’enigma delle Grotte di Burrows fino a poco prima della sua morte, avvenuta nel 1995, era giunto ad una conclusione sensazionale:” I resti umani trovati nelle grotte appartengono- a mio avviso- a creature del cosmo, sepolte assieme alle proprie mogli, figli , ai loro vestiti, ai loro beni e al cibo di cui avevano bisogno per il viaggio oltre la morte. Questi semidei erano i discendenti di creature immortali provenienti da altri mondi che, nella notte dei tempi, giunsero sulla terra a bordo di veicoli spaziali “infuocati” e che vi rimasero abbastanza a lungo da portare a termine delle manipolazioni genetiche.
Hanno trasmesso alla loro progenie una parte delle loro conoscenze, da tramandare di generazione in generazione, dall’arte della navigazione all’architettura. Le hanno poi insegnato a “governare” con saggezza ed a curare le malattie. Lasciarono quindi la terra con la promessa che un giorno sarebbero ritornati”.
Mahan sarebbe riuscito ad acquistare ben 107 reperti in pietra delle Grotte di Burrows, dopo la sua morte imballati e riposti in un magazzino. E tutto ciò a significare come la storia dell’America precolombiana sia di gran lunga più interessante ed insolita ma soprattutto diversa da quanto è raccontato dai nostri migliori storici
Perché il cane ulula ?
Il cane è un animale sociale e comunica di continuo con i propri simili, con gli appartenenti al proprio branco e con l’uomo. L'ululato è uno dei suoi modi di comunicazione che ha mantenuto in comune con il suo parente più stretto, il lupo.
Il cane utilizza essenzialmente due codici comportamentali. La postura del corpo, comprese le espressioni facciali, e le vocalizzazioni, ossia il guaito, il ringhio, l’abbaio e l’ululato. In natura l’ululato ha principalmente la funzione di segnalare la propria presenza e riunire un branco. Lo utilizzano i lupi, in particolare all’arrivo della stagione invernale, quando richiamano gli altri individui del branco per cacciare le grandi prede e meglio ispezionare l’areale di caccia.
Alcuni cani, ad esempio i siberian husky e gli alaskan malamute, vocalizzano solamente attraverso l’ululato in quanto il loro legame genetico con i progenitori lupi è ancora forte.
Fratello dove sei?
In tutte le altre razze canine che pure abbaiano, invece, l’ululato non ha perso l’antico significato di trasmettere ai simili la propria presenza sul territorio. E’ più che altro una ricerca di contatto a distanza tra i membri del branco. Capita spesso che ululino di più i cani che vengono lasciati soli in case o giardini. In situazioni di isolamento, infatti, questi animali manifestano con l’ululato il naturale desiderio di comunicare con i propri simili e l’uomo, al quale è talvolta riconosciuto lo status di capo branco.
Ululare alle sirene.
E’ spesso questo il caso dei cani che rispondono con l’ululato ad una sirena che ascoltano in lontananza. Alcune sirene difatti possono avere frequenze di emissione simili all’ululato, e cani particolarmente sensibili e desiderosi di contatto sociale possono rispondere con una simile vocalizzazione, così come appunto i lupi fanno per riunire e consolidare il branco di un grande territorio. A volte il rispondere a stimoli sonori diversi come appunto sirene, campane, suonerie di cellulari potrebbe però avere un significato da ricercarsi nell’apprendimento che i cuccioli hanno avuto nei primi mesi di vita da parte del genitore che, a tali stimoli usa abbaiare o replicare con l’ululato.
(Piero Papa)
Il cane utilizza essenzialmente due codici comportamentali. La postura del corpo, comprese le espressioni facciali, e le vocalizzazioni, ossia il guaito, il ringhio, l’abbaio e l’ululato. In natura l’ululato ha principalmente la funzione di segnalare la propria presenza e riunire un branco. Lo utilizzano i lupi, in particolare all’arrivo della stagione invernale, quando richiamano gli altri individui del branco per cacciare le grandi prede e meglio ispezionare l’areale di caccia.
Alcuni cani, ad esempio i siberian husky e gli alaskan malamute, vocalizzano solamente attraverso l’ululato in quanto il loro legame genetico con i progenitori lupi è ancora forte.
Fratello dove sei?
In tutte le altre razze canine che pure abbaiano, invece, l’ululato non ha perso l’antico significato di trasmettere ai simili la propria presenza sul territorio. E’ più che altro una ricerca di contatto a distanza tra i membri del branco. Capita spesso che ululino di più i cani che vengono lasciati soli in case o giardini. In situazioni di isolamento, infatti, questi animali manifestano con l’ululato il naturale desiderio di comunicare con i propri simili e l’uomo, al quale è talvolta riconosciuto lo status di capo branco.
Ululare alle sirene.
E’ spesso questo il caso dei cani che rispondono con l’ululato ad una sirena che ascoltano in lontananza. Alcune sirene difatti possono avere frequenze di emissione simili all’ululato, e cani particolarmente sensibili e desiderosi di contatto sociale possono rispondere con una simile vocalizzazione, così come appunto i lupi fanno per riunire e consolidare il branco di un grande territorio. A volte il rispondere a stimoli sonori diversi come appunto sirene, campane, suonerie di cellulari potrebbe però avere un significato da ricercarsi nell’apprendimento che i cuccioli hanno avuto nei primi mesi di vita da parte del genitore che, a tali stimoli usa abbaiare o replicare con l’ululato.
(Piero Papa)
Il ballo degli uccelli
A bird ballet | Short Film from Neels CASTILLON on Vimeo.
A Bird Ballet, il ballo degli uccelli, è un video realizzato dal regista Neels Castillon. Durante le riprese di uno spot nelle campagne di Marsiglia (Francia) si è imbattuto un uno stormo di storni (Sturnus vulgaris) che danzava in un ipnotico balletto. Al crepuscolo, quando rientrano nei loro quartieri invernali, questi passeriformi gregari regalano spettacoli mozzafiato, disegnando nel cielo forme sempre diverse. Centinaia di uccelli si muovono come fossero un solo corpo: lo scopo di queste evoluzioni è quello di intimidire e disorientare i loro predatori, puntando sulla forza del numero e sul gioco di luci e ombre dei continui cambi di movimento.
Fratello Cane nasce
Fratello Cane si muove nella pancia di mamma.
Ecco le prime contrazioni.
Mamma comincia a respirare in maniera ritmata, si interrompe all’arrivo della contrazione e spinge, un attimo dopo ricomincia a respirare, altra interruzione, contrazione e spinta… finalmente appare un involucro bluastro.
Mamma accuratamente incide il sacchetto e comincia a leccare il piccolo salsicciotto fuoriuscito.
Sotto quei baci, a contatto con la calda e morbida lingua di Mamma, il cucciolo saluta la vita.
Fino alla nuova contrazione, causata dalla chiamata di un fratellino, Mamma si occuperà esclusivamente di lui.
Piano, piano il cucciolo, sempre più consapevole di essere al mondo, cercherà di alimentarsi.
Il calore del corpo di Mamma e l’odore forte del suo latte, gli indicheranno la via da seguire.
Mediante dei movimenti striscianti, formando dei piccoli cerchi, presto arriverà a meta. Mentre lui è alla ricerca della mammella,
Mamma mangerà il sacchettino che lo conteneva, oltre al fatto che la ‘tana’ o ‘cuccia’ deve essere sempre pulita per far si che non ci siano problemi di igiene, tale involucro è ricco di sostanze nutrienti, le farà bene.
Uno sguardo al cucciolo, un altro bacio, una sbirciata in giro per controllare se tutto è pulito ed ecco arrivare un’altra contrazione, il fratellino sta bussando, vuole uscire.
Come per il primogenito, ugualmente senza disparità e preferenze, Mamma si occuperà di lui e, appena sarà pronto per alimentarsi, dividerà le sue attenzioni fra i due fratellini.
Attenzione, eccone un altro che vuole unirsi alla compagnia. Senza sosta, senza mostrare alcun segno di stanchezza, Mamma si rimette all’opera.
I tre fratellini sono ora uno accanto all’altro.
Invece di riposare Mamma comincia a pulirli, a scaldarli, a stimolargli le pancine rosa.
Ah, quelle pance, mi ci perderei fra quelle mitiche pance… Schh… silenzio adesso, i cuccioli sazi, accoccolati nella culla di Mamma, si sono addormentati, e Mamma, tranquilla, sapendo di non aspettare più sorprese dell’ultimo momento, si lascia andare un pochino alla stanchezza.
Chiude la testa verso il grembo, copre delicatamente i suoi cuccioli, i respiri si confondono, si uniscono.
La parola famiglia ha acquistato il suo significato più vero.
di - Roberto Pino Covelli
Ecco le prime contrazioni.
Mamma comincia a respirare in maniera ritmata, si interrompe all’arrivo della contrazione e spinge, un attimo dopo ricomincia a respirare, altra interruzione, contrazione e spinta… finalmente appare un involucro bluastro.
Mamma accuratamente incide il sacchetto e comincia a leccare il piccolo salsicciotto fuoriuscito.
Sotto quei baci, a contatto con la calda e morbida lingua di Mamma, il cucciolo saluta la vita.
Fino alla nuova contrazione, causata dalla chiamata di un fratellino, Mamma si occuperà esclusivamente di lui.
Piano, piano il cucciolo, sempre più consapevole di essere al mondo, cercherà di alimentarsi.
Il calore del corpo di Mamma e l’odore forte del suo latte, gli indicheranno la via da seguire.
Mediante dei movimenti striscianti, formando dei piccoli cerchi, presto arriverà a meta. Mentre lui è alla ricerca della mammella,
Mamma mangerà il sacchettino che lo conteneva, oltre al fatto che la ‘tana’ o ‘cuccia’ deve essere sempre pulita per far si che non ci siano problemi di igiene, tale involucro è ricco di sostanze nutrienti, le farà bene.
Uno sguardo al cucciolo, un altro bacio, una sbirciata in giro per controllare se tutto è pulito ed ecco arrivare un’altra contrazione, il fratellino sta bussando, vuole uscire.
Come per il primogenito, ugualmente senza disparità e preferenze, Mamma si occuperà di lui e, appena sarà pronto per alimentarsi, dividerà le sue attenzioni fra i due fratellini.
Attenzione, eccone un altro che vuole unirsi alla compagnia. Senza sosta, senza mostrare alcun segno di stanchezza, Mamma si rimette all’opera.
I tre fratellini sono ora uno accanto all’altro.
Invece di riposare Mamma comincia a pulirli, a scaldarli, a stimolargli le pancine rosa.
Ah, quelle pance, mi ci perderei fra quelle mitiche pance… Schh… silenzio adesso, i cuccioli sazi, accoccolati nella culla di Mamma, si sono addormentati, e Mamma, tranquilla, sapendo di non aspettare più sorprese dell’ultimo momento, si lascia andare un pochino alla stanchezza.
Chiude la testa verso il grembo, copre delicatamente i suoi cuccioli, i respiri si confondono, si uniscono.
La parola famiglia ha acquistato il suo significato più vero.
di - Roberto Pino Covelli
I DIRITTI DEI BAMBINI prima e sempre al di sopra di tutto e tutti
La legge italiana è uguale per tutti, tranne che per i padri separati
A decretarlo, nero su bianco, è una sentenza della Corte di Strasburgo che condanna l’Italia per non essere riuscita, in dieci anni, a far rispettare il diritto di un genitore a vedere la propria bambina.
È la storia di Sergio Lombardo, un padre come purtroppo ce ne sono tanti, migliaia.
Dopo la separazione dalla moglie, nel 2003, l’uomo ottiene dal Tribunale di poter vedere la figlia di 2 anni per due pomeriggi a settimana, un weekend su due e per le festività.
Ma così non è stato.
Lombardo pur facendo la spola tra Roma, dove viveva, e Termoli, la città in cui si trasferì la ex moglie, riusciva ad incontrare la bimba per pochi minuti e sempre in presenza della madre e di uno zio materno.
Immediati e infiniti, dal 2003 al 2011, i ricorsi al tribunale di Roma e di Campobasso dove puntualmente vengono ribaditi i diritti del papà ma solo sulla carta.
Nel frattempo però la figlia cresce lontano dall’affetto paterno.
Fino alla sentenza di Strasburgo che ha bocciato i tribunali italiani per aver «delegato la gestione degli incontri tra padre e figlia ai servizi sociali» fondandosi su misure automatiche e stereotipate che hanno determinato una rottura del legame tra padre e figlia.
Per i giudici di Strasburgo i tribunali dovrebbero adoperarsi per far rispettare la legge e ristabilire i contatti fra genitore e figlia, prima che il tempo li allontani irrimediabilmente.
«Certi giudici non rispettano la Costituzione – denuncia Tiberio Timperi, in prima linea per i diritti dei padri separati – è una vergogna tutta italiana.
Non ce l’ho con chi non rispetta le sentenze ma con chi non le fa rispettare. Questa è una giustizia impotente».
Dello stesso avviso Maurizio Quilici, presidente dell'Istituto di studi sulla paternità.
di Lorena Loiacono
A decretarlo, nero su bianco, è una sentenza della Corte di Strasburgo che condanna l’Italia per non essere riuscita, in dieci anni, a far rispettare il diritto di un genitore a vedere la propria bambina.
È la storia di Sergio Lombardo, un padre come purtroppo ce ne sono tanti, migliaia.
Dopo la separazione dalla moglie, nel 2003, l’uomo ottiene dal Tribunale di poter vedere la figlia di 2 anni per due pomeriggi a settimana, un weekend su due e per le festività.
Ma così non è stato.
Lombardo pur facendo la spola tra Roma, dove viveva, e Termoli, la città in cui si trasferì la ex moglie, riusciva ad incontrare la bimba per pochi minuti e sempre in presenza della madre e di uno zio materno.
Immediati e infiniti, dal 2003 al 2011, i ricorsi al tribunale di Roma e di Campobasso dove puntualmente vengono ribaditi i diritti del papà ma solo sulla carta.
Nel frattempo però la figlia cresce lontano dall’affetto paterno.
Fino alla sentenza di Strasburgo che ha bocciato i tribunali italiani per aver «delegato la gestione degli incontri tra padre e figlia ai servizi sociali» fondandosi su misure automatiche e stereotipate che hanno determinato una rottura del legame tra padre e figlia.
Per i giudici di Strasburgo i tribunali dovrebbero adoperarsi per far rispettare la legge e ristabilire i contatti fra genitore e figlia, prima che il tempo li allontani irrimediabilmente.
«Certi giudici non rispettano la Costituzione – denuncia Tiberio Timperi, in prima linea per i diritti dei padri separati – è una vergogna tutta italiana.
Non ce l’ho con chi non rispetta le sentenze ma con chi non le fa rispettare. Questa è una giustizia impotente».
Dello stesso avviso Maurizio Quilici, presidente dell'Istituto di studi sulla paternità.
di Lorena Loiacono
La foto che sta commuovendo il mondo...
Tutto è una conseguenza:
E' mostruoso che esista questo commercio ma se c'è un mercato è perchè i compratori esistono.
Quindi dico che se c'è richiesta c'è offerta.
Chi compra oggetti in avorio non è meno colpevole di chi fornisce la materia prima.
TUTTO QUESTO VALE per pellicce(anche di cani e gatti) oggetti in pelle di coccodrillo e di serpente ossa di tigre,bile di orso e l'elenco sarebbe lunghissimo.
Straziante constatare che l'animale uomo per i suoi capricci inutili UCCIDA, (anche con sistemi atroci) le altre razze animali che condividono con lui la terra.
Un giorno arriverà per noi la resa dei conti,la natura tirerà le somme sui nostri misfatti e decreterà la fine della cosiddetta razza eletta (come amiamo definirci) puerilmente.
E' già avvenuto in passato e non abbiamo ancora imparato quanto anche noi siamo fragili e indifesi nonostante la nostra tecnologia e le nostre armi.
La mamma elefante è stata uccisa da alcuni bracconieri, i quali hanno strappato e portato via le zanne d'avorio.
Per più di 56 ore, la sua cucciola non si è schiodata dalla sua mamma... Le guardie hanno dovuto sedarla, per poi portarla in un luogo protetto, affinché possa nuovamente acquistare fiducia nei confronti dell'essere umano.
Perché dovremmo considerare di minor valore la sofferenza inflitta ad altre creature, per il semplice fatto che queste appartengono ad una specie diversa dalla nostra?
di: Polizia Postale Web Site Fans
E' mostruoso che esista questo commercio ma se c'è un mercato è perchè i compratori esistono.
Quindi dico che se c'è richiesta c'è offerta.
Chi compra oggetti in avorio non è meno colpevole di chi fornisce la materia prima.
TUTTO QUESTO VALE per pellicce(anche di cani e gatti) oggetti in pelle di coccodrillo e di serpente ossa di tigre,bile di orso e l'elenco sarebbe lunghissimo.
Straziante constatare che l'animale uomo per i suoi capricci inutili UCCIDA, (anche con sistemi atroci) le altre razze animali che condividono con lui la terra.
Un giorno arriverà per noi la resa dei conti,la natura tirerà le somme sui nostri misfatti e decreterà la fine della cosiddetta razza eletta (come amiamo definirci) puerilmente.
E' già avvenuto in passato e non abbiamo ancora imparato quanto anche noi siamo fragili e indifesi nonostante la nostra tecnologia e le nostre armi.
La mamma elefante è stata uccisa da alcuni bracconieri, i quali hanno strappato e portato via le zanne d'avorio.
Per più di 56 ore, la sua cucciola non si è schiodata dalla sua mamma... Le guardie hanno dovuto sedarla, per poi portarla in un luogo protetto, affinché possa nuovamente acquistare fiducia nei confronti dell'essere umano.
Perché dovremmo considerare di minor valore la sofferenza inflitta ad altre creature, per il semplice fatto che queste appartengono ad una specie diversa dalla nostra?
di: Polizia Postale Web Site Fans
L'uomo albero
Kowara Dedé, 37 anni, è giavanese.
A seguito di un banale incidente nell'adolescenza, a quindici anni, Dede s'infortunò al ginocchio. normalità nella la vita di un bambino ma diventò l'incubo della sua vita. Una verruca piccola appare al ginocchio, seguito da una colonia comincia a invadere ogni angolo del suo corpo in maniera incontrollata. La vita di Kowara Dede diventa sempre più sgradevole. Perde il suo lavoro e la moglie e i figli lo lasciano. Un giorno attraverso i mezzi di comunicazione, più precisamente, grazie al quotidiano britannico The Telegraph e il canale documentari Discovery Channel hanno presola decisione di portare in Indonesia il dottor Anthony Gaspari, dermatologo per incontrare Dede, al fine di osservare la natura delle verruche che lo stavano trasformando in un albero con radici. Il dermatologo, (è anche un ricercatore presso l'Università del Maryland), ha concluso che Dede Kowara soffre a causa di un virus il papilloma umano che fa un'infezione abbastanza comune e che provoca focolai di verruche. Il problema Dede è in realtà a causa di una forma estremamente rara di compromissione del sistema immunitario, l'organismo non è in grado di combattere le verruche. Il virus contratto durante la lesione iniziale,ordina alle cellule di produrre in serie la sostanza che ha provocato queste escrescenze così simili alle radici degli alberi. Il numero di globuli bianchi nel sangue di Dede era così bassa che il dottor Gaspari inizialmente sospettò che l'uomo fosse colpito da AIDS. Dopo questa scoperta fondamentale, Dede fu più volte operato in Indonesia nel 2008.
I medici hanno rimosso quasi due chili di verruche, ora si possono intravvedere la forma delle sue dita. Per rafforzare il sistema immunitario, Dede viene trattato con la vitamina A sintetica. Diverse operazioni sono ancora in programma nei prossimi mesi, compreso l'innesto di tessuto cutaneo danneggiato in alcune zone del corpo, soprattutto nelle dita, per consentirgli di trovare una migliore mobilità di quest'ultime. Ma la grande novità è che, nonostante i molti effetti ancora visibili, Dede, per la prima volta dopo anni, è stato in grado di recuperare l'uso delle dita. I medici sono molto orgogliosi di annunciare che potrà socializzare più facilmente in futuro e lavorare di nuovo. E lui, nel suo letto d'ospedale, ha scoperto un nuovo hobby il sudoku. Speriamo che questa persona riesca a ritrovare la sua vita e come spera lui di trovare una nuova donna da sposare!
A seguito di un banale incidente nell'adolescenza, a quindici anni, Dede s'infortunò al ginocchio. normalità nella la vita di un bambino ma diventò l'incubo della sua vita. Una verruca piccola appare al ginocchio, seguito da una colonia comincia a invadere ogni angolo del suo corpo in maniera incontrollata. La vita di Kowara Dede diventa sempre più sgradevole. Perde il suo lavoro e la moglie e i figli lo lasciano. Un giorno attraverso i mezzi di comunicazione, più precisamente, grazie al quotidiano britannico The Telegraph e il canale documentari Discovery Channel hanno presola decisione di portare in Indonesia il dottor Anthony Gaspari, dermatologo per incontrare Dede, al fine di osservare la natura delle verruche che lo stavano trasformando in un albero con radici. Il dermatologo, (è anche un ricercatore presso l'Università del Maryland), ha concluso che Dede Kowara soffre a causa di un virus il papilloma umano che fa un'infezione abbastanza comune e che provoca focolai di verruche. Il problema Dede è in realtà a causa di una forma estremamente rara di compromissione del sistema immunitario, l'organismo non è in grado di combattere le verruche. Il virus contratto durante la lesione iniziale,ordina alle cellule di produrre in serie la sostanza che ha provocato queste escrescenze così simili alle radici degli alberi. Il numero di globuli bianchi nel sangue di Dede era così bassa che il dottor Gaspari inizialmente sospettò che l'uomo fosse colpito da AIDS. Dopo questa scoperta fondamentale, Dede fu più volte operato in Indonesia nel 2008.
I medici hanno rimosso quasi due chili di verruche, ora si possono intravvedere la forma delle sue dita. Per rafforzare il sistema immunitario, Dede viene trattato con la vitamina A sintetica. Diverse operazioni sono ancora in programma nei prossimi mesi, compreso l'innesto di tessuto cutaneo danneggiato in alcune zone del corpo, soprattutto nelle dita, per consentirgli di trovare una migliore mobilità di quest'ultime. Ma la grande novità è che, nonostante i molti effetti ancora visibili, Dede, per la prima volta dopo anni, è stato in grado di recuperare l'uso delle dita. I medici sono molto orgogliosi di annunciare che potrà socializzare più facilmente in futuro e lavorare di nuovo. E lui, nel suo letto d'ospedale, ha scoperto un nuovo hobby il sudoku. Speriamo che questa persona riesca a ritrovare la sua vita e come spera lui di trovare una nuova donna da sposare!
mercoledì 30 gennaio 2013
Il Barone rosso
Eroe dei tedeschi e rispettato dai suoi nemici, Manfred von Richthofen fu una delle principali figure della prima guerra mondiale, ricordato con l'appellativo di Barone rosso.
Talento puro dell'aviazione, ottenne ottanta vittorie aeree confermate durante il conflitto del 1914-1918 prima di essere abbattuto il 21 aprile 1918 dal capitano Arthur Roy Brown durante l'ennesimo combattimento aereo sulle linee inglesi attestate nel dipartimento francese della Somme (anche se Brown non rivendicò mai ufficialmente la vittoria, sostenendo che l'abbattimento era dovuto al sergente Popkin o all'artigliere Robert Buie della contraerea australiana).
Avrebbe compiuto, da lì a undici giorni, ventisei anni di età.
Quello che per i francesi era le diable rouge e per gli inglesi the red baron, nacque a Breslavia, Germania (ora in Polonia), sotto il regno del Kaiser Guglielmo II, ed ancora bambino si trasferì con la famiglia a Schweidnitz (oggi Swidnica, Polonia).
In gioventù praticò caccia ed equitazione e, completato l'addestramento nel corpo dei cadetti, nella primavera del 1911 fu assegnato come alfiere al 1° Reggimento Ulani "Imperatore Alessandro III". Sottotenente nel 1912, il 2 agosto 1914 passò la frontiera russa col suo reggimento, che poco dopo fu trasferito a ovest. Fu in Lussemburgo, entrò in Belgio sempre col 1° Ulani e combatté contro i Francesi davanti a Verdun.
Il 23 settembre 1914 ricevé la Croce di Ferro, prestando servizio anche in trincea.
Nel maggio del 1915 fu accolta la sua domanda d'entrare nella Luftstreitkräfte, cioè in aviazione e, superato l'addestramento, ai primi di giugno venne destinato a Colonia al 7° Reparto Complementi dell'aviazione per un corso osservatori. Nei mesi di giugno, luglio e agosto del 1915 tornò al fronte orientale e operò come osservatore aereo durante l'avanzata di Mackensen da Gorlice a Brest-Litovsk.
Il 21 agosto, in seguito a un nuovo improvviso trasferimento, ripassò al fronte occidentale e fu assegnato a Ostenda e iniziò l'addestramento come osservatore su un "aereo da battaglia".
Ebbe il suo primo duello aereo il 1º settembre del 1915 contro un apparecchio inglese e rientrò senza troppi danni e senza alcun successo. Segnò la sua prima vittoria nel corso della battaglia della Champagne abbattendo un Farman biposto, che però precipitò dieci chilometri oltre le linee, in territorio alleato, per cui, secondo le regole del tempo, non gli fu accreditato.
Il 1º ottobre 1915 conobbe il miglior pilota da caccia tedesco dell'epoca, Oswald Boelcke, che molto contribuì al suo futuro successo. Nel novembre del 1915 Von Richthofen andò a Berlino per sostenere gli esami da pilota a Doeberitz. Il 25 dicembre 1915 superò il terzo esame e nel marzo del 1916 fu assegnato al 2° Stormo da combattimento, in quel periodo a Verdun.
Ebbe la sua prima vittoria da pilota da caccia abbattendo un Nieuport sul forte di Douamont il 26 aprile 1916, ma, di nuovo, l'aereo cadde entro le linee francesi e non gli fu accreditato. Nel giugno del 1916 venne trasferito in Russia con tutto il suo reparto e operò prevalentemente come bombardiere dalla base di Kowel. In agosto Boelcke arrivò a Kowel per visitare il fratello e per cercare piloti per lo Stormo da Caccia che gli era stato ordinato d'organizzare e portare in combattimento sulle Somme e chiese personalmente a Von Richthofen se voleva farne parte.
Von Richthofen accettò e il 17 settembre 1916 nei pressi di Cambrai costrinse un aereo inglese all'atterraggio nei pressi d'un campo di volo tedesco: fu la sua prima vittoria ufficialmente riconosciuta. Alla fine del 1916 fu decorato con il "Pour le mérite" in occasione della sua sedicesima vittoria e gli fu affidato il comando della Jasta 11, la squadriglia da caccia che in seguito sarebbe diventata nota come il Circo Volante in virtù dei vivaci colori che decoravano gli apparecchi, ma anche per l'abilità dei piloti, scelti attentamente da Richtofen. Tra di essi spiccava il nome, divenuto poi famoso, di Hermann Goering, futuro capo della Luftwaffe e massimo gerarca nazista.
L'appellativo di Barone Rosso gli venne appunto dal fatto che molti degli aerei da lui pilotati, a partire dall'Albatros D.III, erano completamente dipinti di rosso.
Abbattuto senza conseguenze a metà marzo del 1917, continuò a cogliere una vittoria dopo l'altra. Il 24 giugno 1917 ricoprì l'incarico di comandante di una nuova unità appena formata, il Primo stormo da caccia che comprendeva la squadriglie (Jasta) 4,6,10,11. Questo Jageschwader (stormo da caccia) doveva essere una unità autosufficiente, con lo scopo di ottenere la superiorità aerea in settori decisivi, per contrastare le sempre più consistenti formazioni del Royal Flying Corps britannico.
Il 21 aprile 1918, decollò dal campo di Cappy con altri nove piloti, fra cui suo cugino Wolfram von Richthofen, che era alle sue prime missioni di guerra: insieme incontrarono i Sopwith Camel della 209ª squadriglia della Royal Air Force.
Il giovane tenente canadese Wilfrid May vide che Wolfram von Richthofen restava, come lui, ai margini del combattimento aereo, e gli andò in caccia mettendosi in coda. Accorgendosi che suo cugino era in pericolo, il Barone Rosso inseguì Wilfrid May, che cercava di allontanarsi, con la mitragliatrice inceppata.
Questa era di solito la sua tecnica abituale, cercare gli aerei in difficoltà e prenderli in caccia. Tuttavia stava sempre attento a non portarsi sulle linee nemiche, ma quel giorno non prese questa precauzione.
Forse era molto stanco o forse la battaglia aerea si era piano piano spostata a ovest, sulle linee alleate. Vedendo il triplano di Manfred von Richthofen in procinto d'attaccare May, il capitano Arthur Roy Brown, altro pilota canadese, decise a sua volta di attaccare il Barone Rosso.
Ben presto i tre aerei si ritrovarono a bassissima quota sulla terra di nessuno che separava i due fronti. Richthofen desistette dall'inseguimento, ma sembra che avesse calcolato male la sua posizione, per cui quando fece la virata per tornare indietro, sorvolò una delle zone più munite del fronte della Somme. Colpito da proiettili provenienti dalle trincee, il triplano atterrò intatto. Alcuni testimoni oculari raccontarono che Richthofen era già morto, riverso sulla cloche; altri che sopravvisse ancora alcuni minuti prima di emettere un ultimo sospiro, Kaputt, riferito al suo aeroplano. Un caccia inglese lasciò cadere sul campo-base tedesco di Cappy il seguente messaggio: "AL CORPO D'AVIAZIONE TEDESCO. Il capitano barone Manfred von Richtofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari". Le sue spoglie furono ospitate nel cimitero del villaggio di Bertangles vicino Amiens, finita la guerra, nel 1919 furono trasferite nel Cimitero Militare Tedesco di Fricourt, sulla Somme.
Il 16 novembre 1925 il feretro del Barone Rosso attraversò il Reno e fu accolto da una folla raccolta a Kehl, gli furono tributati grandi funerali di stato e fu seppellito insieme ai più grandi eroi tedeschi nell'Invalidenfriedhof a Berlino. Questo cimitero monumentale dopo la seconda guerra mondiale si ritrovò nel settore Est di Berlino, allora la famiglia, temendo che la tomba non venisse più curata chiese e ottenne nel 1976 la traslazione delle spoglie a Wiesbaden nella cappella di famiglia, vicino a sua madre e sua nonna.
Fonte: Wikipedia
Talento puro dell'aviazione, ottenne ottanta vittorie aeree confermate durante il conflitto del 1914-1918 prima di essere abbattuto il 21 aprile 1918 dal capitano Arthur Roy Brown durante l'ennesimo combattimento aereo sulle linee inglesi attestate nel dipartimento francese della Somme (anche se Brown non rivendicò mai ufficialmente la vittoria, sostenendo che l'abbattimento era dovuto al sergente Popkin o all'artigliere Robert Buie della contraerea australiana).
Avrebbe compiuto, da lì a undici giorni, ventisei anni di età.
Quello che per i francesi era le diable rouge e per gli inglesi the red baron, nacque a Breslavia, Germania (ora in Polonia), sotto il regno del Kaiser Guglielmo II, ed ancora bambino si trasferì con la famiglia a Schweidnitz (oggi Swidnica, Polonia).
In gioventù praticò caccia ed equitazione e, completato l'addestramento nel corpo dei cadetti, nella primavera del 1911 fu assegnato come alfiere al 1° Reggimento Ulani "Imperatore Alessandro III". Sottotenente nel 1912, il 2 agosto 1914 passò la frontiera russa col suo reggimento, che poco dopo fu trasferito a ovest. Fu in Lussemburgo, entrò in Belgio sempre col 1° Ulani e combatté contro i Francesi davanti a Verdun.
Il 23 settembre 1914 ricevé la Croce di Ferro, prestando servizio anche in trincea.
Nel maggio del 1915 fu accolta la sua domanda d'entrare nella Luftstreitkräfte, cioè in aviazione e, superato l'addestramento, ai primi di giugno venne destinato a Colonia al 7° Reparto Complementi dell'aviazione per un corso osservatori. Nei mesi di giugno, luglio e agosto del 1915 tornò al fronte orientale e operò come osservatore aereo durante l'avanzata di Mackensen da Gorlice a Brest-Litovsk.
Il 21 agosto, in seguito a un nuovo improvviso trasferimento, ripassò al fronte occidentale e fu assegnato a Ostenda e iniziò l'addestramento come osservatore su un "aereo da battaglia".
Ebbe il suo primo duello aereo il 1º settembre del 1915 contro un apparecchio inglese e rientrò senza troppi danni e senza alcun successo. Segnò la sua prima vittoria nel corso della battaglia della Champagne abbattendo un Farman biposto, che però precipitò dieci chilometri oltre le linee, in territorio alleato, per cui, secondo le regole del tempo, non gli fu accreditato.
Il 1º ottobre 1915 conobbe il miglior pilota da caccia tedesco dell'epoca, Oswald Boelcke, che molto contribuì al suo futuro successo. Nel novembre del 1915 Von Richthofen andò a Berlino per sostenere gli esami da pilota a Doeberitz. Il 25 dicembre 1915 superò il terzo esame e nel marzo del 1916 fu assegnato al 2° Stormo da combattimento, in quel periodo a Verdun.
Ebbe la sua prima vittoria da pilota da caccia abbattendo un Nieuport sul forte di Douamont il 26 aprile 1916, ma, di nuovo, l'aereo cadde entro le linee francesi e non gli fu accreditato. Nel giugno del 1916 venne trasferito in Russia con tutto il suo reparto e operò prevalentemente come bombardiere dalla base di Kowel. In agosto Boelcke arrivò a Kowel per visitare il fratello e per cercare piloti per lo Stormo da Caccia che gli era stato ordinato d'organizzare e portare in combattimento sulle Somme e chiese personalmente a Von Richthofen se voleva farne parte.
Von Richthofen accettò e il 17 settembre 1916 nei pressi di Cambrai costrinse un aereo inglese all'atterraggio nei pressi d'un campo di volo tedesco: fu la sua prima vittoria ufficialmente riconosciuta. Alla fine del 1916 fu decorato con il "Pour le mérite" in occasione della sua sedicesima vittoria e gli fu affidato il comando della Jasta 11, la squadriglia da caccia che in seguito sarebbe diventata nota come il Circo Volante in virtù dei vivaci colori che decoravano gli apparecchi, ma anche per l'abilità dei piloti, scelti attentamente da Richtofen. Tra di essi spiccava il nome, divenuto poi famoso, di Hermann Goering, futuro capo della Luftwaffe e massimo gerarca nazista.
L'appellativo di Barone Rosso gli venne appunto dal fatto che molti degli aerei da lui pilotati, a partire dall'Albatros D.III, erano completamente dipinti di rosso.
Abbattuto senza conseguenze a metà marzo del 1917, continuò a cogliere una vittoria dopo l'altra. Il 24 giugno 1917 ricoprì l'incarico di comandante di una nuova unità appena formata, il Primo stormo da caccia che comprendeva la squadriglie (Jasta) 4,6,10,11. Questo Jageschwader (stormo da caccia) doveva essere una unità autosufficiente, con lo scopo di ottenere la superiorità aerea in settori decisivi, per contrastare le sempre più consistenti formazioni del Royal Flying Corps britannico.
Il 21 aprile 1918, decollò dal campo di Cappy con altri nove piloti, fra cui suo cugino Wolfram von Richthofen, che era alle sue prime missioni di guerra: insieme incontrarono i Sopwith Camel della 209ª squadriglia della Royal Air Force.
Il giovane tenente canadese Wilfrid May vide che Wolfram von Richthofen restava, come lui, ai margini del combattimento aereo, e gli andò in caccia mettendosi in coda. Accorgendosi che suo cugino era in pericolo, il Barone Rosso inseguì Wilfrid May, che cercava di allontanarsi, con la mitragliatrice inceppata.
Questa era di solito la sua tecnica abituale, cercare gli aerei in difficoltà e prenderli in caccia. Tuttavia stava sempre attento a non portarsi sulle linee nemiche, ma quel giorno non prese questa precauzione.
Forse era molto stanco o forse la battaglia aerea si era piano piano spostata a ovest, sulle linee alleate. Vedendo il triplano di Manfred von Richthofen in procinto d'attaccare May, il capitano Arthur Roy Brown, altro pilota canadese, decise a sua volta di attaccare il Barone Rosso.
Ben presto i tre aerei si ritrovarono a bassissima quota sulla terra di nessuno che separava i due fronti. Richthofen desistette dall'inseguimento, ma sembra che avesse calcolato male la sua posizione, per cui quando fece la virata per tornare indietro, sorvolò una delle zone più munite del fronte della Somme. Colpito da proiettili provenienti dalle trincee, il triplano atterrò intatto. Alcuni testimoni oculari raccontarono che Richthofen era già morto, riverso sulla cloche; altri che sopravvisse ancora alcuni minuti prima di emettere un ultimo sospiro, Kaputt, riferito al suo aeroplano. Un caccia inglese lasciò cadere sul campo-base tedesco di Cappy il seguente messaggio: "AL CORPO D'AVIAZIONE TEDESCO. Il capitano barone Manfred von Richtofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari". Le sue spoglie furono ospitate nel cimitero del villaggio di Bertangles vicino Amiens, finita la guerra, nel 1919 furono trasferite nel Cimitero Militare Tedesco di Fricourt, sulla Somme.
Il 16 novembre 1925 il feretro del Barone Rosso attraversò il Reno e fu accolto da una folla raccolta a Kehl, gli furono tributati grandi funerali di stato e fu seppellito insieme ai più grandi eroi tedeschi nell'Invalidenfriedhof a Berlino. Questo cimitero monumentale dopo la seconda guerra mondiale si ritrovò nel settore Est di Berlino, allora la famiglia, temendo che la tomba non venisse più curata chiese e ottenne nel 1976 la traslazione delle spoglie a Wiesbaden nella cappella di famiglia, vicino a sua madre e sua nonna.
Fonte: Wikipedia
A buon intenditor..............
Cosa intendeva dire Monti, con quella mezza frase, degna del contorcimento mentale di un uomo che parla come tassa?
"Io la manovra la escludo, ma non escludo niente in certi casi di esiti del voto"
Apparentemente, che se sarà lui a governare non farà una manovra lacrime e sangue bis, mentre se non vincerà, non potrà escludere niente.
Ma perché "escludere" o "non escludere" una manovra nel caso altri dovessero governare?
Che formula bislacca è?
Se lui dovesse perdere, è infatti implicito che non potrebbe garantire nulla, né a lui si chiede di "garantire" su qualcosa cui non sarebbe chiamato ad essere responsabile.
Dunque perché dirlo? E perché parlare di "certi casi di esiti del voto", o di "maggioranze" (come fa la sua economista di punta) e non di "governi", come sarebbe più logico?
La risposta, anche se appare celata tra le righe, è semplice: hanno in testa un Monti Bis, qualunque maggioranza (i casi di esiti del voto) esca fuori dalle urne.
Una maggioranza con Mario Monti nuovamente al Governo.
Un Governo dei tecnici con la foglia di fico del voto a legittimarlo.
Spiegato in parole povere, "non garantire in certi casi di esiti di voto" è una frase senza senso.
Nessuno garantisce niente se non vince, ovviamente.
Ma allora perché lo dice? E perché, per spiegarla, nell'intervista con la D'Amico la Tinagli non parla mai di "governo" ma di "maggioranze"?
Perché il soggetto, il convitato di pietra, è il Monti Bis e il senso è: "se Scelta Civica ha la maggioranza, garantisco che non ci sarà una manovra.
Se invece dovrò governare con una maggioranza diversa, non garantisco nulla". Ha in mente un nuovo governo tecnico, fintamente legittimato con il voto.
Gli Argonauti, eroi navigatori
Gli Argonauti furono degli eroi del mito greco che presero il nome dalla loro nave, Argo e che navigarono lungo tutto il mondo conosciuto allora.
Il termine Argonauta significa letteralmente Navigante con Argo.
Il mito narra di poco più di cinquanta persone scelte da Giasone per andare alla conquista del Vello d’oro, difeso dal re Etea nelle dure terre della Colchide.
I componenti della ciurma, che avrebbe attraversato tutto il Mediterraneo, furono scelti tra i più famosi eroi dell’antica Grecia. Il capo e organizzatore della spedizione, Giasone, era figlio di Esone, ed era discendente del dio Eolo.
L’eroe viveva a Iolco, dove suo zio Pelia usurpò il regno a Esone. Il giovane Giasone venne affidato, per crescere bene, alle cure del Centauro Chirone, che gli insegnò la medicina.
L’avventura per la conquista del Vello iniziò quando Giasone, divenuto adulto, tornò al suo paese, vestito in modo bizzarro: indossava una pelle di pantera, ed aveva un piede scalzo. Il giovane arrivò nella piazza di Iolco mentre Pelia sta eseguendo dei sacrifici per gli dei.
Il re non riconobbe Giasone, ma si spaventò davanti a quella strana figura perché un oracolo gli predisse sciagure causate da un uomo che camminava con un piede nudo. Dopo qualche giorno Giasone richiese allo zio il trono.
Pelia richiese il Vello d'oro dell'ariete che aveva trasportato Frisso in salvo in cambio del regno. Nonostante la pericolosità dell’impresa. Giasone accettò.
La nave Argo venne costruita grazie al contributo della dea Atena, ella aveva personalmente preparato la prua della nave con una quercia sacra. La parte quindi aveva il dono della parola, per essere più precisi aveva il potere della profezia.
La missione per il recupero del Vello iniziò da Pagase, la prima tappa del loro peregrinare fu l’isola di Lemno, dove restarono con le donne di lì, che in precedenza avevano uccisi i loro uomini.
Dopo molte avventure, gli Argonauti giunsero ad Ea, la città dov’era gelosamente custodito il vello dal re Etea. Giasone riuscì a conquistare il Vello grazie alla collaborazione di Medea, maga e la figlia del re, che si era innamorata dell’eroe greco.
La nave Argo, a missione compiuta, salpò per tornare a casa, ma venne inseguita dagli abitanti della città.
La liberazione dagli ostici nemici avvenne grazie a Medea, che era ripartita con Giasone, in qualità di sua sposa, e che riuscì a battere suo fratello Absirto, riducendo a pezzi. La navigazione degli Argonauti iniziò così con pessimi auspici.
Oltre all’assalto degli abitanti di Ea, la ciurma fu costretta a subire la deviazione imposta dal dio Zeus, che li portò a navigare nell’Adriatico.
La magica prua della nave avvertì gli eroi che per tornare a casa sarebbe stata necessaria la purificazione da effettuare dalla maga Circe. Così gli Argonauti, navigando sull’Eridano (il fiume Po) e i suoi affluenti, riuscirono a raggiungere la Liguria e da lì navigarono verso la Sardegna, fino a giungere al Monte Circeo, casa della maga.
Circe, accettò di purificare la ciurma, ma non di ospitarli.
Così gli Argonauti furono costretti a ripartire, superando i pericoli delle Sirene e di Scilla e Cariddi.
Proseguendo la rotta verso casa, la ciurma del vello raggiunse l’isola dei Feaci di cui è re Alcinoo. Su queste sponde gli Argonauti furono costretti a scontrarsi di nuovo con i loro inseguitori, battendoli.
Il viaggio proseguì e i nostri eroi riuscirono finalmente ad arrivare sull’isola di Egina e da lì, in breve tempo sbarcarono a Iolco, dopo un viaggio durato ben quattro mesi.
Giasone, prima di recuperare il regno, decise di portare la nave a Corinto, per consacrarla a Poseidone. Dopo aver onorato gli dei con questo dono, consegnato il vello a Pelia, Giasone ottenne il regno.
Il mito narra di poco più di cinquanta persone scelte da Giasone per andare alla conquista del Vello d’oro, difeso dal re Etea nelle dure terre della Colchide.
I componenti della ciurma, che avrebbe attraversato tutto il Mediterraneo, furono scelti tra i più famosi eroi dell’antica Grecia. Il capo e organizzatore della spedizione, Giasone, era figlio di Esone, ed era discendente del dio Eolo.
L’eroe viveva a Iolco, dove suo zio Pelia usurpò il regno a Esone. Il giovane Giasone venne affidato, per crescere bene, alle cure del Centauro Chirone, che gli insegnò la medicina.
L’avventura per la conquista del Vello iniziò quando Giasone, divenuto adulto, tornò al suo paese, vestito in modo bizzarro: indossava una pelle di pantera, ed aveva un piede scalzo. Il giovane arrivò nella piazza di Iolco mentre Pelia sta eseguendo dei sacrifici per gli dei.
Il re non riconobbe Giasone, ma si spaventò davanti a quella strana figura perché un oracolo gli predisse sciagure causate da un uomo che camminava con un piede nudo. Dopo qualche giorno Giasone richiese allo zio il trono.
Pelia richiese il Vello d'oro dell'ariete che aveva trasportato Frisso in salvo in cambio del regno. Nonostante la pericolosità dell’impresa. Giasone accettò.
La nave Argo venne costruita grazie al contributo della dea Atena, ella aveva personalmente preparato la prua della nave con una quercia sacra. La parte quindi aveva il dono della parola, per essere più precisi aveva il potere della profezia.
La missione per il recupero del Vello iniziò da Pagase, la prima tappa del loro peregrinare fu l’isola di Lemno, dove restarono con le donne di lì, che in precedenza avevano uccisi i loro uomini.
Dopo molte avventure, gli Argonauti giunsero ad Ea, la città dov’era gelosamente custodito il vello dal re Etea. Giasone riuscì a conquistare il Vello grazie alla collaborazione di Medea, maga e la figlia del re, che si era innamorata dell’eroe greco.
La nave Argo, a missione compiuta, salpò per tornare a casa, ma venne inseguita dagli abitanti della città.
La liberazione dagli ostici nemici avvenne grazie a Medea, che era ripartita con Giasone, in qualità di sua sposa, e che riuscì a battere suo fratello Absirto, riducendo a pezzi. La navigazione degli Argonauti iniziò così con pessimi auspici.
Oltre all’assalto degli abitanti di Ea, la ciurma fu costretta a subire la deviazione imposta dal dio Zeus, che li portò a navigare nell’Adriatico.
La magica prua della nave avvertì gli eroi che per tornare a casa sarebbe stata necessaria la purificazione da effettuare dalla maga Circe. Così gli Argonauti, navigando sull’Eridano (il fiume Po) e i suoi affluenti, riuscirono a raggiungere la Liguria e da lì navigarono verso la Sardegna, fino a giungere al Monte Circeo, casa della maga.
Circe, accettò di purificare la ciurma, ma non di ospitarli.
Così gli Argonauti furono costretti a ripartire, superando i pericoli delle Sirene e di Scilla e Cariddi.
Proseguendo la rotta verso casa, la ciurma del vello raggiunse l’isola dei Feaci di cui è re Alcinoo. Su queste sponde gli Argonauti furono costretti a scontrarsi di nuovo con i loro inseguitori, battendoli.
Il viaggio proseguì e i nostri eroi riuscirono finalmente ad arrivare sull’isola di Egina e da lì, in breve tempo sbarcarono a Iolco, dopo un viaggio durato ben quattro mesi.
Giasone, prima di recuperare il regno, decise di portare la nave a Corinto, per consacrarla a Poseidone. Dopo aver onorato gli dei con questo dono, consegnato il vello a Pelia, Giasone ottenne il regno.
I giardini pensili di Babilonia
Splendida doveva essere Babilonia allorché Nabucodonosor, nel 604 a.C., dopo aver distrutto l'assira Ninive, instaurò il II impero; ma quando la figlia di Ciassare, re dei Medi, andò sposa al grande re, questi volle abbellire maggiormente la città, facendo dono all'amata di un giardino tale che, per l'originalità della struttura e la varietà dei fiori, fosse degno della sua bellezza.
E gli architetti di Babilonia misero in opera un ardito progetto: su di un'area di 10.000 metri quadrati, essi elevarono una sequenza di terrazze in pietra, sorrette da ampi archi e della larghezza di 6 metri, si che, visto dal basso, il giardino pensile sembrasse una alta gradinata traboccante di fiori: sotto gli archi si celavano vaste sale rilucenti di decorazioni dove i sovrani potevano sostare; inoltre perché l'acqua non venisse mai meno, fu ideato un geniale sistema d'irrigazione che terminava, sull'ultima terrazza, in una fontana zampillante.
Poco o nulla rimane ormai di Babilonia e dei giardini pensili; ma i pochi resti che la zappa dei pazienti archeologi ha tratto alla luce, valgono a testimoniare la veridicità della descrizione che ne fecero gli antichi scrittori.
Oggetti perduti nelle terme romane
Sono moltissimi, tra gli oggetti ritrovati, quelli strettamente legati alla balneazioni: flaconi di profumo, strumenti per la pulizia delle unghie, pinzette, contenitori di oli.
La Withmore ha anche ritrovato tracce della presenza di medici nelle terme. In uno scarico, per esempio, è stato rinvenuto un bisturi e nei bagni di Caerleon, in Galles, gli archeologi hanno scoperto tre denti appartenuti ad adolescenti e due denti di adulti, che fanno pensare anche alla presenza di un dentista.
Sono stati trovati, anche, frammenti di piatti, ciotole e bicchieri nelle fognature, segno che i Romani usavano prendere anche i pasti alle terme.
A Caerleon i bagnanti si nutrivano di cozze e crostacei, per esempio; a Silchester, in Gran Bretagna, sono stati ritrovati semi di papavero, ossa di manzo, montone, capra, maiale, pollo e cervi selvatici.
Gli archeologi hanno rinvenuto anche reperti inerenti giochi d'azzardo nelle saune: si tratta per lo più di dadi e monete.
Il ritrovamento più sorprendente è stato quello di aghi in osso e bronzo che sta ad indicare lo svolgimento, all'interno dei bagni, di un'attività tessile di qualche tipo.
Ma i Romani hanno perso anche pezzi di gioielleria, durante i rilassanti bagni. Sono stati ritrovati forcine per capelli, perline, spille, ciondoli, gemme incise soprattutto negli scarichi. Probabilmente, pensano gli archeologi, le persone indossavano questi oggetti durante il bagno per paura di subire un furto.
martedì 29 gennaio 2013
I ricercatori affermano che la nostra intelligenza è in diminuzione
Nonostante le scoperte scientifiche e gli avanzamenti tecnologici, l'uomo duemila anni fa era molto più intelligente di oggi e, almeno da un punto di vista evoluzionistico, sarebbe ormai sul viale del tramonto. A dirlo è Gerald Crabtree, genetista alla Stanford University (California) che ha condotto uno studio pubblicato dalla rivista Trends in Genetics su come si sia modificato il patrimonio genetico e intellettivo del genere umano. Il responso non è confortante: i nostri giorni migliori sarebbero già passati.
Alla base del pensiero di Crabtree, racconta il Guardian, c’è un’idea molto semplice. Ancora prima dell’invenzione dell’agricoltura e della scrittura, quando l’uomo viveva ancora di ciò che riusciva a cacciare, chi compiva un passo falso semplicemente soccombeva alle dure leggi della natura. Ad andare avanti e a riprodursi erano i più forti e più intelligenti. Oggi però non è più così. Con tutta probabilità, la nostra forza intellettuale ha cominciato a calare proprio con l’invenzione dell’agricoltura e con il sorgere delle prime comunità stanziali.
Spiega Crabtree: "Un cacciatore che non riusciva a procacciarsi il cibo o un rifugio moriva insieme alla sua progenie, mentre oggi un funzionario di Wall Street che commette un errore concettualmente simile riceverà comunque un bonus finanziario e probabilmente verrà considerato un potenziale partner da più donne. La selezione estrema è una cosa che appartiene al passato".
E quindi, in quale tempo si colloca l’apice dell’umanità? Crabtree non ha dubbi: dopo aver studiato il corredo genetico degli uomini nelle varie epoche, è emerso che l’uomo avrebbe subito numerose variazioni negli ultimi 3.000 anni: una spirale discendente che ha portato l’umanità verso un progressivo e ineluttabile istupidimento genetico nell’arco di 120 generazioni.
Non a caso, infatti, la storia incorona il tempo della Grecia classica come uno dei periodi più intellettualmente fecondi della storia dell’umanità, secoli che hanno fissato i cardini delle società occidentali moderne, fondamenti che si sono tramandati fino ai nostri giorni. "Siamo una specie sorprendentemente fragile dal punto di vista intellettuale – scrive ancora Crabtree – e probabilmente abbiamo raggiunto il nostro picco di intelligenza tra i 6.000 e i 2.000 anni fa. È sufficiente che la selezione naturale diventi meno severa che subito il nostro patrimonio intellettuale si indebolisce".
La tesi dello scienziato californiano potrebbe essere presto confutata da altri studi, tuttavia Crabtree chiude la ricerca con una nota positiva: anche se il nostre genoma sembra diventare ogni giorno più fragile, la nostra società può contare su un forte sistema di trasmissione delle conoscenze che, diversamente rispetto al passato, riesce a diffondere la cultura velocemente e in modo capillare.
"Entro 3000 anni da oggi, è probabile che tutti gli esseri umani saranno stati sottoposti almeno a due ulteriori mutazioni genetiche che ridurranno la stabilità intellettuale ed emotiva, ma è molto probabile che la scienza progredirà a tal punto da essere in grado di risolvere il problema", ha puntualizzato il prof. "Non c'è bisogno di immaginare un giorno in cui non potremo più comprendere il problema, o contrastare la lenta decadenza nei geni alla base del nostro benessere intellettuale, o di avere visioni della popolazione mondiale guardando tranquillamente le repliche su televisori che non si potranno più costruire".
Un incanto chiamato musica
Ci sono melodie che entrano dentro , ti sfiorano, ti accarezzano, ti avvolgono in un abbraccio morbido e vellutato...e tu stai lì , immobile.Ascolti, respiri, chiudi gli occhi e...ti lasci andare in quell'incanto chiamato musica
Il Lago Verde: un parco sommerso dall’acqua in Austria
Water Level 8.0 m from globaldivemedia.com on Vimeo.
Uno dei fenomeni naturalistici più sorprendenti che siano mai stati documentati. Si tratta del Grüner See (il Lago Verde) in Austria, un lago verde che si forma ogni anno a seguito dello scioglimento dei ghiacciai, le cui acque affluiscono in questa conca: un vero e proprio parco sommerso, per la gioia dei sub. Nei mesi invernali, infatti, la conca del Grüner See è asciutta e ricoperta di vegetazione: ma, quando in primavera le temperature iniziano a salire e far sciogliere i ghiacciai, questa conca viene sommersa, formando un lago provvisorio, che prende il nome dalla particolare colorazione verde che gli viene conferita dalla vegetazione del luogo. Durante l’estate il lago comincia ad evaporare, per poi asciugarsi totalmente in autunnno.
La funivia di Tatev
La funivia di Tatev, nota anche col nome di Wings of Tatev (Ali di Tatev), è una funivia a va e vieni lunga 5,7 km che collega il villaggio di Halidzor al monastero di Tatev nell'Armenia meridionale.
La stazione di partenza di Halidzor, situata a 1.546 metri sul livello del mare, è separata da quella di arrivo nei pressi del monastero di Tatev (1537 m s.l.m.) dal canyon del fiume Vorotan, largo 2,7 km e profondo circa 500 m.
La funivia è costituita da una singola sezione di 5.750 m, molto superiore ai 4.467 m del Sandia Peak Tramway di Albuquerque, New Mexico, Stati Uniti. Risulta quindi essere la funivia aerea più lunga del mondo.
La funivia è stata inaugurata il 16 ottobre 2010.
La funivia viaggia ad una velocità di 37 chilometri all'ora e un viaggio di sola andata dura 11 minuti. Nel punto più alto sopra la gola, la cabina viaggia ad una altezza di 320 m dal suolo.
Ha due cabine, ognuna capace di trasportare fino a 25 passeggeri.
Il 23 ottobre 2010 è stata registrata ufficialmente nel Guinness World Records
Il bisonte europeo
Il Bisonte Europeo (Bison bonasus) è uno di quei grandi mammiferi che hanno pagato caro le conseguenze del disboscamento: è questo, infatti, il motivo originario della sua estinzione per quanto riguarda la popolazione selvatica. Animale antichissimo, è stato presente dalla preistoria (spesso lo troviamo raffigurato nei graffiti delle caverne) fino all'XI secolo in modo massiccio in tutte le foreste europee, dalle isole britanniche, alla Scandinavia fino al Peloponneso e giù ancora verso il Nord Africa e l'Asia sud occindentale.
Assurdamente devIl bisonte europeoe la sua salvezza al fatto che, dal punto di vista venatorio, rappresentava un trofeo estremamente ambito e riservato ai Re ed ai potenti d'Europa.
Più elegante e più alto del "cugino" americano, è facilmente distinguibile da quest'ultimo anche per la differenza decisamente meno marcata tra quarti posteriori ed anteriori, per la testa più piccola con corna maggiormente sviluppate e per il manto meno fitto e di un colore più chiaro.
Come la maggior parte dei Bovidi, è un animale gregario, ma, a differenza del Bisonte Americano ed a causa della conformazione delle foreste europee, i branchi non superano mai la decina di individui.
Dicevamo che la causa primaria della sua estinzione è stata l'opera dell'uomo nella deforestazione. In effetti, grazie alla sua mole, è praticamente privo di nemici naturali ed anche i cuccioli, protetti costantemente dalle madri, difficilmente diventano bersaglio di grandi predatori, come l'orso, o di quelli che agiscono in branco, come i lupi. Dal punto di vista strutturale, poi, il Il Bisonte Europeo è perfettamente attrezzato per resistere ai climi rigidi ed a camminare nella neve alta grazie all'ampia superficie dei suoi zoccoli.
Il periodo degli amori va da agosto-settembre, periodo nel quale i combattimenti tra maschi per la conquista della femmina (e la possibilità di tramandare il proprio patrimonio genetico) sono violenti ma mai estremi. La maturità sessuale in entrambi i sessi è raggiunta dopo il secondo anno di vita.
E' un animale parco per quanto riguarda l'alimentazione: assolutamente erbivoro, per sopravvivere e riprodursi gli bastano cortecce, licheni, o poche erbe anche ingiallite.
Dopo una gestazione di circa nove mesi viene solitamente dato alla luce un cucciolo di circa 40 Kg. L'allattamento dura oltre sei mesi.
E' la foresta-parco di Bialowieza l'unico luogo in Europa che ancora ospita questo splendido mammifero, foresta che con i suoi 124.000 ettari è ormai la più grande d'Europa e dà rifugio e sicurezza a 1.000 specie di piante superiori e centinaia di muschi, licheni e funghi oltre a rarissimi ormai esemplari di uccelli (l'allocco degli urali, ad esempio), 62 specie di mammiferi tra cui anche il tarpan, progenitore del cavallo.
Tanto preziosa, la foresta-parco di Bialowieza da venir dichiarata nel 1977 Riserva della Biosfera dell'Unesco e nel 1979 patrimonio dell'umanità
I 3.000 esemplari di Bisonte Europeo presenti in quest'area sono i discendenti dei sette esemplari rimasti in tutta Europa negli anni '30: quindi se il pericolo di estinzione in questo momento è leggermente meno pressante, rimane grave la modesta variabilità genetica di quei 3.000 esemplari, tutti consanguinei da 80 anni almeno.