mercoledì 30 gennaio 2013
Il Barone rosso
Eroe dei tedeschi e rispettato dai suoi nemici, Manfred von Richthofen fu una delle principali figure della prima guerra mondiale, ricordato con l'appellativo di Barone rosso.
Talento puro dell'aviazione, ottenne ottanta vittorie aeree confermate durante il conflitto del 1914-1918 prima di essere abbattuto il 21 aprile 1918 dal capitano Arthur Roy Brown durante l'ennesimo combattimento aereo sulle linee inglesi attestate nel dipartimento francese della Somme (anche se Brown non rivendicò mai ufficialmente la vittoria, sostenendo che l'abbattimento era dovuto al sergente Popkin o all'artigliere Robert Buie della contraerea australiana).
Avrebbe compiuto, da lì a undici giorni, ventisei anni di età.
Quello che per i francesi era le diable rouge e per gli inglesi the red baron, nacque a Breslavia, Germania (ora in Polonia), sotto il regno del Kaiser Guglielmo II, ed ancora bambino si trasferì con la famiglia a Schweidnitz (oggi Swidnica, Polonia).
In gioventù praticò caccia ed equitazione e, completato l'addestramento nel corpo dei cadetti, nella primavera del 1911 fu assegnato come alfiere al 1° Reggimento Ulani "Imperatore Alessandro III". Sottotenente nel 1912, il 2 agosto 1914 passò la frontiera russa col suo reggimento, che poco dopo fu trasferito a ovest. Fu in Lussemburgo, entrò in Belgio sempre col 1° Ulani e combatté contro i Francesi davanti a Verdun.
Il 23 settembre 1914 ricevé la Croce di Ferro, prestando servizio anche in trincea.
Nel maggio del 1915 fu accolta la sua domanda d'entrare nella Luftstreitkräfte, cioè in aviazione e, superato l'addestramento, ai primi di giugno venne destinato a Colonia al 7° Reparto Complementi dell'aviazione per un corso osservatori. Nei mesi di giugno, luglio e agosto del 1915 tornò al fronte orientale e operò come osservatore aereo durante l'avanzata di Mackensen da Gorlice a Brest-Litovsk.
Il 21 agosto, in seguito a un nuovo improvviso trasferimento, ripassò al fronte occidentale e fu assegnato a Ostenda e iniziò l'addestramento come osservatore su un "aereo da battaglia".
Ebbe il suo primo duello aereo il 1º settembre del 1915 contro un apparecchio inglese e rientrò senza troppi danni e senza alcun successo. Segnò la sua prima vittoria nel corso della battaglia della Champagne abbattendo un Farman biposto, che però precipitò dieci chilometri oltre le linee, in territorio alleato, per cui, secondo le regole del tempo, non gli fu accreditato.
Il 1º ottobre 1915 conobbe il miglior pilota da caccia tedesco dell'epoca, Oswald Boelcke, che molto contribuì al suo futuro successo. Nel novembre del 1915 Von Richthofen andò a Berlino per sostenere gli esami da pilota a Doeberitz. Il 25 dicembre 1915 superò il terzo esame e nel marzo del 1916 fu assegnato al 2° Stormo da combattimento, in quel periodo a Verdun.
Ebbe la sua prima vittoria da pilota da caccia abbattendo un Nieuport sul forte di Douamont il 26 aprile 1916, ma, di nuovo, l'aereo cadde entro le linee francesi e non gli fu accreditato. Nel giugno del 1916 venne trasferito in Russia con tutto il suo reparto e operò prevalentemente come bombardiere dalla base di Kowel. In agosto Boelcke arrivò a Kowel per visitare il fratello e per cercare piloti per lo Stormo da Caccia che gli era stato ordinato d'organizzare e portare in combattimento sulle Somme e chiese personalmente a Von Richthofen se voleva farne parte.
Von Richthofen accettò e il 17 settembre 1916 nei pressi di Cambrai costrinse un aereo inglese all'atterraggio nei pressi d'un campo di volo tedesco: fu la sua prima vittoria ufficialmente riconosciuta. Alla fine del 1916 fu decorato con il "Pour le mérite" in occasione della sua sedicesima vittoria e gli fu affidato il comando della Jasta 11, la squadriglia da caccia che in seguito sarebbe diventata nota come il Circo Volante in virtù dei vivaci colori che decoravano gli apparecchi, ma anche per l'abilità dei piloti, scelti attentamente da Richtofen. Tra di essi spiccava il nome, divenuto poi famoso, di Hermann Goering, futuro capo della Luftwaffe e massimo gerarca nazista.
L'appellativo di Barone Rosso gli venne appunto dal fatto che molti degli aerei da lui pilotati, a partire dall'Albatros D.III, erano completamente dipinti di rosso.
Abbattuto senza conseguenze a metà marzo del 1917, continuò a cogliere una vittoria dopo l'altra. Il 24 giugno 1917 ricoprì l'incarico di comandante di una nuova unità appena formata, il Primo stormo da caccia che comprendeva la squadriglie (Jasta) 4,6,10,11. Questo Jageschwader (stormo da caccia) doveva essere una unità autosufficiente, con lo scopo di ottenere la superiorità aerea in settori decisivi, per contrastare le sempre più consistenti formazioni del Royal Flying Corps britannico.
Il 21 aprile 1918, decollò dal campo di Cappy con altri nove piloti, fra cui suo cugino Wolfram von Richthofen, che era alle sue prime missioni di guerra: insieme incontrarono i Sopwith Camel della 209ª squadriglia della Royal Air Force.
Il giovane tenente canadese Wilfrid May vide che Wolfram von Richthofen restava, come lui, ai margini del combattimento aereo, e gli andò in caccia mettendosi in coda. Accorgendosi che suo cugino era in pericolo, il Barone Rosso inseguì Wilfrid May, che cercava di allontanarsi, con la mitragliatrice inceppata.
Questa era di solito la sua tecnica abituale, cercare gli aerei in difficoltà e prenderli in caccia. Tuttavia stava sempre attento a non portarsi sulle linee nemiche, ma quel giorno non prese questa precauzione.
Forse era molto stanco o forse la battaglia aerea si era piano piano spostata a ovest, sulle linee alleate. Vedendo il triplano di Manfred von Richthofen in procinto d'attaccare May, il capitano Arthur Roy Brown, altro pilota canadese, decise a sua volta di attaccare il Barone Rosso.
Ben presto i tre aerei si ritrovarono a bassissima quota sulla terra di nessuno che separava i due fronti. Richthofen desistette dall'inseguimento, ma sembra che avesse calcolato male la sua posizione, per cui quando fece la virata per tornare indietro, sorvolò una delle zone più munite del fronte della Somme. Colpito da proiettili provenienti dalle trincee, il triplano atterrò intatto. Alcuni testimoni oculari raccontarono che Richthofen era già morto, riverso sulla cloche; altri che sopravvisse ancora alcuni minuti prima di emettere un ultimo sospiro, Kaputt, riferito al suo aeroplano. Un caccia inglese lasciò cadere sul campo-base tedesco di Cappy il seguente messaggio: "AL CORPO D'AVIAZIONE TEDESCO. Il capitano barone Manfred von Richtofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari". Le sue spoglie furono ospitate nel cimitero del villaggio di Bertangles vicino Amiens, finita la guerra, nel 1919 furono trasferite nel Cimitero Militare Tedesco di Fricourt, sulla Somme.
Il 16 novembre 1925 il feretro del Barone Rosso attraversò il Reno e fu accolto da una folla raccolta a Kehl, gli furono tributati grandi funerali di stato e fu seppellito insieme ai più grandi eroi tedeschi nell'Invalidenfriedhof a Berlino. Questo cimitero monumentale dopo la seconda guerra mondiale si ritrovò nel settore Est di Berlino, allora la famiglia, temendo che la tomba non venisse più curata chiese e ottenne nel 1976 la traslazione delle spoglie a Wiesbaden nella cappella di famiglia, vicino a sua madre e sua nonna.
Fonte: Wikipedia
Talento puro dell'aviazione, ottenne ottanta vittorie aeree confermate durante il conflitto del 1914-1918 prima di essere abbattuto il 21 aprile 1918 dal capitano Arthur Roy Brown durante l'ennesimo combattimento aereo sulle linee inglesi attestate nel dipartimento francese della Somme (anche se Brown non rivendicò mai ufficialmente la vittoria, sostenendo che l'abbattimento era dovuto al sergente Popkin o all'artigliere Robert Buie della contraerea australiana).
Avrebbe compiuto, da lì a undici giorni, ventisei anni di età.
Quello che per i francesi era le diable rouge e per gli inglesi the red baron, nacque a Breslavia, Germania (ora in Polonia), sotto il regno del Kaiser Guglielmo II, ed ancora bambino si trasferì con la famiglia a Schweidnitz (oggi Swidnica, Polonia).
In gioventù praticò caccia ed equitazione e, completato l'addestramento nel corpo dei cadetti, nella primavera del 1911 fu assegnato come alfiere al 1° Reggimento Ulani "Imperatore Alessandro III". Sottotenente nel 1912, il 2 agosto 1914 passò la frontiera russa col suo reggimento, che poco dopo fu trasferito a ovest. Fu in Lussemburgo, entrò in Belgio sempre col 1° Ulani e combatté contro i Francesi davanti a Verdun.
Il 23 settembre 1914 ricevé la Croce di Ferro, prestando servizio anche in trincea.
Nel maggio del 1915 fu accolta la sua domanda d'entrare nella Luftstreitkräfte, cioè in aviazione e, superato l'addestramento, ai primi di giugno venne destinato a Colonia al 7° Reparto Complementi dell'aviazione per un corso osservatori. Nei mesi di giugno, luglio e agosto del 1915 tornò al fronte orientale e operò come osservatore aereo durante l'avanzata di Mackensen da Gorlice a Brest-Litovsk.
Il 21 agosto, in seguito a un nuovo improvviso trasferimento, ripassò al fronte occidentale e fu assegnato a Ostenda e iniziò l'addestramento come osservatore su un "aereo da battaglia".
Ebbe il suo primo duello aereo il 1º settembre del 1915 contro un apparecchio inglese e rientrò senza troppi danni e senza alcun successo. Segnò la sua prima vittoria nel corso della battaglia della Champagne abbattendo un Farman biposto, che però precipitò dieci chilometri oltre le linee, in territorio alleato, per cui, secondo le regole del tempo, non gli fu accreditato.
Il 1º ottobre 1915 conobbe il miglior pilota da caccia tedesco dell'epoca, Oswald Boelcke, che molto contribuì al suo futuro successo. Nel novembre del 1915 Von Richthofen andò a Berlino per sostenere gli esami da pilota a Doeberitz. Il 25 dicembre 1915 superò il terzo esame e nel marzo del 1916 fu assegnato al 2° Stormo da combattimento, in quel periodo a Verdun.
Ebbe la sua prima vittoria da pilota da caccia abbattendo un Nieuport sul forte di Douamont il 26 aprile 1916, ma, di nuovo, l'aereo cadde entro le linee francesi e non gli fu accreditato. Nel giugno del 1916 venne trasferito in Russia con tutto il suo reparto e operò prevalentemente come bombardiere dalla base di Kowel. In agosto Boelcke arrivò a Kowel per visitare il fratello e per cercare piloti per lo Stormo da Caccia che gli era stato ordinato d'organizzare e portare in combattimento sulle Somme e chiese personalmente a Von Richthofen se voleva farne parte.
Von Richthofen accettò e il 17 settembre 1916 nei pressi di Cambrai costrinse un aereo inglese all'atterraggio nei pressi d'un campo di volo tedesco: fu la sua prima vittoria ufficialmente riconosciuta. Alla fine del 1916 fu decorato con il "Pour le mérite" in occasione della sua sedicesima vittoria e gli fu affidato il comando della Jasta 11, la squadriglia da caccia che in seguito sarebbe diventata nota come il Circo Volante in virtù dei vivaci colori che decoravano gli apparecchi, ma anche per l'abilità dei piloti, scelti attentamente da Richtofen. Tra di essi spiccava il nome, divenuto poi famoso, di Hermann Goering, futuro capo della Luftwaffe e massimo gerarca nazista.
L'appellativo di Barone Rosso gli venne appunto dal fatto che molti degli aerei da lui pilotati, a partire dall'Albatros D.III, erano completamente dipinti di rosso.
Abbattuto senza conseguenze a metà marzo del 1917, continuò a cogliere una vittoria dopo l'altra. Il 24 giugno 1917 ricoprì l'incarico di comandante di una nuova unità appena formata, il Primo stormo da caccia che comprendeva la squadriglie (Jasta) 4,6,10,11. Questo Jageschwader (stormo da caccia) doveva essere una unità autosufficiente, con lo scopo di ottenere la superiorità aerea in settori decisivi, per contrastare le sempre più consistenti formazioni del Royal Flying Corps britannico.
Il 21 aprile 1918, decollò dal campo di Cappy con altri nove piloti, fra cui suo cugino Wolfram von Richthofen, che era alle sue prime missioni di guerra: insieme incontrarono i Sopwith Camel della 209ª squadriglia della Royal Air Force.
Il giovane tenente canadese Wilfrid May vide che Wolfram von Richthofen restava, come lui, ai margini del combattimento aereo, e gli andò in caccia mettendosi in coda. Accorgendosi che suo cugino era in pericolo, il Barone Rosso inseguì Wilfrid May, che cercava di allontanarsi, con la mitragliatrice inceppata.
Questa era di solito la sua tecnica abituale, cercare gli aerei in difficoltà e prenderli in caccia. Tuttavia stava sempre attento a non portarsi sulle linee nemiche, ma quel giorno non prese questa precauzione.
Forse era molto stanco o forse la battaglia aerea si era piano piano spostata a ovest, sulle linee alleate. Vedendo il triplano di Manfred von Richthofen in procinto d'attaccare May, il capitano Arthur Roy Brown, altro pilota canadese, decise a sua volta di attaccare il Barone Rosso.
Ben presto i tre aerei si ritrovarono a bassissima quota sulla terra di nessuno che separava i due fronti. Richthofen desistette dall'inseguimento, ma sembra che avesse calcolato male la sua posizione, per cui quando fece la virata per tornare indietro, sorvolò una delle zone più munite del fronte della Somme. Colpito da proiettili provenienti dalle trincee, il triplano atterrò intatto. Alcuni testimoni oculari raccontarono che Richthofen era già morto, riverso sulla cloche; altri che sopravvisse ancora alcuni minuti prima di emettere un ultimo sospiro, Kaputt, riferito al suo aeroplano. Un caccia inglese lasciò cadere sul campo-base tedesco di Cappy il seguente messaggio: "AL CORPO D'AVIAZIONE TEDESCO. Il capitano barone Manfred von Richtofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari". Le sue spoglie furono ospitate nel cimitero del villaggio di Bertangles vicino Amiens, finita la guerra, nel 1919 furono trasferite nel Cimitero Militare Tedesco di Fricourt, sulla Somme.
Il 16 novembre 1925 il feretro del Barone Rosso attraversò il Reno e fu accolto da una folla raccolta a Kehl, gli furono tributati grandi funerali di stato e fu seppellito insieme ai più grandi eroi tedeschi nell'Invalidenfriedhof a Berlino. Questo cimitero monumentale dopo la seconda guerra mondiale si ritrovò nel settore Est di Berlino, allora la famiglia, temendo che la tomba non venisse più curata chiese e ottenne nel 1976 la traslazione delle spoglie a Wiesbaden nella cappella di famiglia, vicino a sua madre e sua nonna.
Fonte: Wikipedia
A buon intenditor..............
Cosa intendeva dire Monti, con quella mezza frase, degna del contorcimento mentale di un uomo che parla come tassa?
"Io la manovra la escludo, ma non escludo niente in certi casi di esiti del voto"
Apparentemente, che se sarà lui a governare non farà una manovra lacrime e sangue bis, mentre se non vincerà, non potrà escludere niente.
Ma perché "escludere" o "non escludere" una manovra nel caso altri dovessero governare?
Che formula bislacca è?
Se lui dovesse perdere, è infatti implicito che non potrebbe garantire nulla, né a lui si chiede di "garantire" su qualcosa cui non sarebbe chiamato ad essere responsabile.
Dunque perché dirlo? E perché parlare di "certi casi di esiti del voto", o di "maggioranze" (come fa la sua economista di punta) e non di "governi", come sarebbe più logico?
La risposta, anche se appare celata tra le righe, è semplice: hanno in testa un Monti Bis, qualunque maggioranza (i casi di esiti del voto) esca fuori dalle urne.
Una maggioranza con Mario Monti nuovamente al Governo.
Un Governo dei tecnici con la foglia di fico del voto a legittimarlo.
Spiegato in parole povere, "non garantire in certi casi di esiti di voto" è una frase senza senso.
Nessuno garantisce niente se non vince, ovviamente.
Ma allora perché lo dice? E perché, per spiegarla, nell'intervista con la D'Amico la Tinagli non parla mai di "governo" ma di "maggioranze"?
Perché il soggetto, il convitato di pietra, è il Monti Bis e il senso è: "se Scelta Civica ha la maggioranza, garantisco che non ci sarà una manovra.
Se invece dovrò governare con una maggioranza diversa, non garantisco nulla". Ha in mente un nuovo governo tecnico, fintamente legittimato con il voto.
Gli Argonauti, eroi navigatori
Gli Argonauti furono degli eroi del mito greco che presero il nome dalla loro nave, Argo e che navigarono lungo tutto il mondo conosciuto allora.
Il termine Argonauta significa letteralmente Navigante con Argo.
Il mito narra di poco più di cinquanta persone scelte da Giasone per andare alla conquista del Vello d’oro, difeso dal re Etea nelle dure terre della Colchide.
I componenti della ciurma, che avrebbe attraversato tutto il Mediterraneo, furono scelti tra i più famosi eroi dell’antica Grecia. Il capo e organizzatore della spedizione, Giasone, era figlio di Esone, ed era discendente del dio Eolo.
L’eroe viveva a Iolco, dove suo zio Pelia usurpò il regno a Esone. Il giovane Giasone venne affidato, per crescere bene, alle cure del Centauro Chirone, che gli insegnò la medicina.
L’avventura per la conquista del Vello iniziò quando Giasone, divenuto adulto, tornò al suo paese, vestito in modo bizzarro: indossava una pelle di pantera, ed aveva un piede scalzo. Il giovane arrivò nella piazza di Iolco mentre Pelia sta eseguendo dei sacrifici per gli dei.
Il re non riconobbe Giasone, ma si spaventò davanti a quella strana figura perché un oracolo gli predisse sciagure causate da un uomo che camminava con un piede nudo. Dopo qualche giorno Giasone richiese allo zio il trono.
Pelia richiese il Vello d'oro dell'ariete che aveva trasportato Frisso in salvo in cambio del regno. Nonostante la pericolosità dell’impresa. Giasone accettò.
La nave Argo venne costruita grazie al contributo della dea Atena, ella aveva personalmente preparato la prua della nave con una quercia sacra. La parte quindi aveva il dono della parola, per essere più precisi aveva il potere della profezia.
La missione per il recupero del Vello iniziò da Pagase, la prima tappa del loro peregrinare fu l’isola di Lemno, dove restarono con le donne di lì, che in precedenza avevano uccisi i loro uomini.
Dopo molte avventure, gli Argonauti giunsero ad Ea, la città dov’era gelosamente custodito il vello dal re Etea. Giasone riuscì a conquistare il Vello grazie alla collaborazione di Medea, maga e la figlia del re, che si era innamorata dell’eroe greco.
La nave Argo, a missione compiuta, salpò per tornare a casa, ma venne inseguita dagli abitanti della città.
La liberazione dagli ostici nemici avvenne grazie a Medea, che era ripartita con Giasone, in qualità di sua sposa, e che riuscì a battere suo fratello Absirto, riducendo a pezzi. La navigazione degli Argonauti iniziò così con pessimi auspici.
Oltre all’assalto degli abitanti di Ea, la ciurma fu costretta a subire la deviazione imposta dal dio Zeus, che li portò a navigare nell’Adriatico.
La magica prua della nave avvertì gli eroi che per tornare a casa sarebbe stata necessaria la purificazione da effettuare dalla maga Circe. Così gli Argonauti, navigando sull’Eridano (il fiume Po) e i suoi affluenti, riuscirono a raggiungere la Liguria e da lì navigarono verso la Sardegna, fino a giungere al Monte Circeo, casa della maga.
Circe, accettò di purificare la ciurma, ma non di ospitarli.
Così gli Argonauti furono costretti a ripartire, superando i pericoli delle Sirene e di Scilla e Cariddi.
Proseguendo la rotta verso casa, la ciurma del vello raggiunse l’isola dei Feaci di cui è re Alcinoo. Su queste sponde gli Argonauti furono costretti a scontrarsi di nuovo con i loro inseguitori, battendoli.
Il viaggio proseguì e i nostri eroi riuscirono finalmente ad arrivare sull’isola di Egina e da lì, in breve tempo sbarcarono a Iolco, dopo un viaggio durato ben quattro mesi.
Giasone, prima di recuperare il regno, decise di portare la nave a Corinto, per consacrarla a Poseidone. Dopo aver onorato gli dei con questo dono, consegnato il vello a Pelia, Giasone ottenne il regno.
Il mito narra di poco più di cinquanta persone scelte da Giasone per andare alla conquista del Vello d’oro, difeso dal re Etea nelle dure terre della Colchide.
I componenti della ciurma, che avrebbe attraversato tutto il Mediterraneo, furono scelti tra i più famosi eroi dell’antica Grecia. Il capo e organizzatore della spedizione, Giasone, era figlio di Esone, ed era discendente del dio Eolo.
L’eroe viveva a Iolco, dove suo zio Pelia usurpò il regno a Esone. Il giovane Giasone venne affidato, per crescere bene, alle cure del Centauro Chirone, che gli insegnò la medicina.
L’avventura per la conquista del Vello iniziò quando Giasone, divenuto adulto, tornò al suo paese, vestito in modo bizzarro: indossava una pelle di pantera, ed aveva un piede scalzo. Il giovane arrivò nella piazza di Iolco mentre Pelia sta eseguendo dei sacrifici per gli dei.
Il re non riconobbe Giasone, ma si spaventò davanti a quella strana figura perché un oracolo gli predisse sciagure causate da un uomo che camminava con un piede nudo. Dopo qualche giorno Giasone richiese allo zio il trono.
Pelia richiese il Vello d'oro dell'ariete che aveva trasportato Frisso in salvo in cambio del regno. Nonostante la pericolosità dell’impresa. Giasone accettò.
La nave Argo venne costruita grazie al contributo della dea Atena, ella aveva personalmente preparato la prua della nave con una quercia sacra. La parte quindi aveva il dono della parola, per essere più precisi aveva il potere della profezia.
La missione per il recupero del Vello iniziò da Pagase, la prima tappa del loro peregrinare fu l’isola di Lemno, dove restarono con le donne di lì, che in precedenza avevano uccisi i loro uomini.
Dopo molte avventure, gli Argonauti giunsero ad Ea, la città dov’era gelosamente custodito il vello dal re Etea. Giasone riuscì a conquistare il Vello grazie alla collaborazione di Medea, maga e la figlia del re, che si era innamorata dell’eroe greco.
La nave Argo, a missione compiuta, salpò per tornare a casa, ma venne inseguita dagli abitanti della città.
La liberazione dagli ostici nemici avvenne grazie a Medea, che era ripartita con Giasone, in qualità di sua sposa, e che riuscì a battere suo fratello Absirto, riducendo a pezzi. La navigazione degli Argonauti iniziò così con pessimi auspici.
Oltre all’assalto degli abitanti di Ea, la ciurma fu costretta a subire la deviazione imposta dal dio Zeus, che li portò a navigare nell’Adriatico.
La magica prua della nave avvertì gli eroi che per tornare a casa sarebbe stata necessaria la purificazione da effettuare dalla maga Circe. Così gli Argonauti, navigando sull’Eridano (il fiume Po) e i suoi affluenti, riuscirono a raggiungere la Liguria e da lì navigarono verso la Sardegna, fino a giungere al Monte Circeo, casa della maga.
Circe, accettò di purificare la ciurma, ma non di ospitarli.
Così gli Argonauti furono costretti a ripartire, superando i pericoli delle Sirene e di Scilla e Cariddi.
Proseguendo la rotta verso casa, la ciurma del vello raggiunse l’isola dei Feaci di cui è re Alcinoo. Su queste sponde gli Argonauti furono costretti a scontrarsi di nuovo con i loro inseguitori, battendoli.
Il viaggio proseguì e i nostri eroi riuscirono finalmente ad arrivare sull’isola di Egina e da lì, in breve tempo sbarcarono a Iolco, dopo un viaggio durato ben quattro mesi.
Giasone, prima di recuperare il regno, decise di portare la nave a Corinto, per consacrarla a Poseidone. Dopo aver onorato gli dei con questo dono, consegnato il vello a Pelia, Giasone ottenne il regno.
I giardini pensili di Babilonia
Splendida doveva essere Babilonia allorché Nabucodonosor, nel 604 a.C., dopo aver distrutto l'assira Ninive, instaurò il II impero; ma quando la figlia di Ciassare, re dei Medi, andò sposa al grande re, questi volle abbellire maggiormente la città, facendo dono all'amata di un giardino tale che, per l'originalità della struttura e la varietà dei fiori, fosse degno della sua bellezza.
E gli architetti di Babilonia misero in opera un ardito progetto: su di un'area di 10.000 metri quadrati, essi elevarono una sequenza di terrazze in pietra, sorrette da ampi archi e della larghezza di 6 metri, si che, visto dal basso, il giardino pensile sembrasse una alta gradinata traboccante di fiori: sotto gli archi si celavano vaste sale rilucenti di decorazioni dove i sovrani potevano sostare; inoltre perché l'acqua non venisse mai meno, fu ideato un geniale sistema d'irrigazione che terminava, sull'ultima terrazza, in una fontana zampillante.
Poco o nulla rimane ormai di Babilonia e dei giardini pensili; ma i pochi resti che la zappa dei pazienti archeologi ha tratto alla luce, valgono a testimoniare la veridicità della descrizione che ne fecero gli antichi scrittori.
Oggetti perduti nelle terme romane
Sono moltissimi, tra gli oggetti ritrovati, quelli strettamente legati alla balneazioni: flaconi di profumo, strumenti per la pulizia delle unghie, pinzette, contenitori di oli.
La Withmore ha anche ritrovato tracce della presenza di medici nelle terme. In uno scarico, per esempio, è stato rinvenuto un bisturi e nei bagni di Caerleon, in Galles, gli archeologi hanno scoperto tre denti appartenuti ad adolescenti e due denti di adulti, che fanno pensare anche alla presenza di un dentista.
Sono stati trovati, anche, frammenti di piatti, ciotole e bicchieri nelle fognature, segno che i Romani usavano prendere anche i pasti alle terme.
A Caerleon i bagnanti si nutrivano di cozze e crostacei, per esempio; a Silchester, in Gran Bretagna, sono stati ritrovati semi di papavero, ossa di manzo, montone, capra, maiale, pollo e cervi selvatici.
Gli archeologi hanno rinvenuto anche reperti inerenti giochi d'azzardo nelle saune: si tratta per lo più di dadi e monete.
Il ritrovamento più sorprendente è stato quello di aghi in osso e bronzo che sta ad indicare lo svolgimento, all'interno dei bagni, di un'attività tessile di qualche tipo.
Ma i Romani hanno perso anche pezzi di gioielleria, durante i rilassanti bagni. Sono stati ritrovati forcine per capelli, perline, spille, ciondoli, gemme incise soprattutto negli scarichi. Probabilmente, pensano gli archeologi, le persone indossavano questi oggetti durante il bagno per paura di subire un furto.