BUONANOTTE MONDO |
domenica 21 ottobre 2012
LA ROSA CHINENSIS
Secondo alcuni si chiama Rosa viridiana, secondo altri Rosa chinensis viridiflora, gli inglesi la chiamano monster rose: è la rosa verde. Si tratta di una varietà antica, molto particolare. Il fiore è dello stesso colore delle foglie e quasi non si vede anche per le dimensioni ridotte. Anche la forma è particolare: sembra quasi più un garofano che una rosa. Queste particolarità sono dovute al fatto che la rosa verde non ha petali mentre stami e pistilli si sono trasformati in petaloidi, sorta di petali stretti e allungati. Anche per questo motivo la catalogazione di questa pianta è incerta. Quelli che la chiamano Rosa viridiana la vorrebbero specie a sé mentre chi la chiama Rosa chinensis “viridiflora” la definisce come sottospecie della Rosa chinensis. Io appartengo a quest’ultima scuola. Le foglie e il portamento della pianta sono quelli tipici della R. chinensis.
Questa rosa è di facile coltivazione, si riproduce agevolmente da talea ed è abbastanza resistente alle malattie anche se a volte compare un po’ di oidio o di ticchiolatura. Non è possibile la riproduzione da seme. Poiché stami e pistilli sono trasformati in petaloidi la pianta risulta sterile.
Indiani d'America "I Dieci Comandamenti"
I nativi americani sono stati un popolo saggio proprio grazie al loro contatto con la natura. Questo ha dato loro la saggezza e l'umiltà per scoprire le regole di giusto comportamento senza le quali non possiamo vivere una vita in armonia. Quindi non leggi imposte dall'esterno ma una autoregolamentazione necessaria per vivere
Tamerlano
Timur-i lang (il cui nome occidentalizzato è Tamerlano), ossia Timur “lo zoppo” (1336-1405).
Fu il fondatore della dinastia timuride, attiva in Asia Centrale e nella Persia orientale tra il 1370 e il 1507.
Nato nell’antica città di Kesh, nello stato della Transoxiana (l’odierno Uzbekistan), Tamerlano proveniva dalla tribù turco-mongola dei Barlas stanziale in quella regione.
Da ragazzino era un abile ladruncolo di pecore, ma fallì un colpo ed il pastore, dopo averlo sorpreso, lo azzoppò ad una gamba con una freccia.
Messosi a capo del suo clan dopo essersi liberato del suo capo, egli sconfisse Khwaja Ilyas,allora al governo costringendo ad abbandonare la regione nel 1364. In questa fase della sua ascesa,
Tamerlano si attribuì anch’egli discendenze mongole, grazie al matrimonio con una principessa di stirpe mongola, e assunse il titolo di “genero” (Küregen) di cui si fregerà poi nel corso della sua vita per indicare il proprio legame con la dinastia ciagataica.
L'impero di Tamerlano
Divenne definitivamente capo del dominio dei Chagatay, dopo il un’assemblea che si tenne a Balkh (nell’odierno Afghanistan) nel 1370. In questa occasione Tamerlano acquisì anche il titolo di Amīr Gurkhan (Comandante universale),e avviò da quel momento la costruzione del proprio impero.
Esauritasi la prima espansione e stabilita definitivamente la propria capitale a Samarcanda, Tamerlano progettò un’invasione sistematica dell’Iran.
Nel 1381 Tamerlano iniziò l’invasione dell’Iran, La conquista dell’Iran continuò con l’aggressione all’Azerbaijan, allora dominato dal sovrano Sultan Ahmad, della dinastia dei Gialairidi.
In questa campagna Tamerlano distrusse il regno della Georgia, catturando il sovrano Bagrat V e penetrando poi ulteriormente nel Caucaso.
Nel 1387, Tamerlano poté finalmente attaccare l’Iran centrale, forse l’oggetto principale delle sue conquiste in terra persiana. il massacro che seguì fu determinato dal rifiuto della popolazione locale di pagare tributo o forse anche dall’uccisione di alcuni soldati della guardia.
Alcune fonti ricordano le orribili torri di teste ammassate nella città a seguito dell’immane strage della popolazione (circa 100.000 morti). La bandiera di Tamerlano
Ritornato in patria, a Samarcanda, intraprese alla fine del Trecento, una serie di campagne che rimarranno memorabili per la facilità con la quale queste furono realizzate e per gli orrendi massacri che egli vi compì. Nel 1398 Tamerlano conquistò in tempi brevissimi conquistò tutta l’India settentrionale Ritornato da questa campagna, Tamerlano poté finalmente sentirsi legittimato a compiere la campagna contro l’Impero ottomano, allora governato dal quarto sultano Beyazid I Yïldïrïm, “La Folgore”
Lo scontro tra i due sovrani avvenne ad Angora (Ankara), in una battaglia campale che si svolse nel 1402.Con la sconfitta di Beyazid non solo rallentò l’ascesa della dinastia ottomana, ma ritardò la presa di Costantinopoli da parte degli Ottomani di cinquanta anni. Tornato a Samarcanda Tamerlano progettò la conquista della Cina.
Morì però ad Otrar l’8 febbraio del 1405.
Il mausoleo di Tamerlano
Fu il fondatore della dinastia timuride, attiva in Asia Centrale e nella Persia orientale tra il 1370 e il 1507.
Nato nell’antica città di Kesh, nello stato della Transoxiana (l’odierno Uzbekistan), Tamerlano proveniva dalla tribù turco-mongola dei Barlas stanziale in quella regione.
Da ragazzino era un abile ladruncolo di pecore, ma fallì un colpo ed il pastore, dopo averlo sorpreso, lo azzoppò ad una gamba con una freccia.
Messosi a capo del suo clan dopo essersi liberato del suo capo, egli sconfisse Khwaja Ilyas,allora al governo costringendo ad abbandonare la regione nel 1364. In questa fase della sua ascesa,
Tamerlano si attribuì anch’egli discendenze mongole, grazie al matrimonio con una principessa di stirpe mongola, e assunse il titolo di “genero” (Küregen) di cui si fregerà poi nel corso della sua vita per indicare il proprio legame con la dinastia ciagataica.
L'impero di Tamerlano
Divenne definitivamente capo del dominio dei Chagatay, dopo il un’assemblea che si tenne a Balkh (nell’odierno Afghanistan) nel 1370. In questa occasione Tamerlano acquisì anche il titolo di Amīr Gurkhan (Comandante universale),e avviò da quel momento la costruzione del proprio impero.
Esauritasi la prima espansione e stabilita definitivamente la propria capitale a Samarcanda, Tamerlano progettò un’invasione sistematica dell’Iran.
Nel 1381 Tamerlano iniziò l’invasione dell’Iran, La conquista dell’Iran continuò con l’aggressione all’Azerbaijan, allora dominato dal sovrano Sultan Ahmad, della dinastia dei Gialairidi.
In questa campagna Tamerlano distrusse il regno della Georgia, catturando il sovrano Bagrat V e penetrando poi ulteriormente nel Caucaso.
Nel 1387, Tamerlano poté finalmente attaccare l’Iran centrale, forse l’oggetto principale delle sue conquiste in terra persiana. il massacro che seguì fu determinato dal rifiuto della popolazione locale di pagare tributo o forse anche dall’uccisione di alcuni soldati della guardia.
Alcune fonti ricordano le orribili torri di teste ammassate nella città a seguito dell’immane strage della popolazione (circa 100.000 morti). La bandiera di Tamerlano
La bandiera di Tamerlano |
Morì però ad Otrar l’8 febbraio del 1405.
Il mausoleo di Tamerlano
Il ponte di Brooklyn
Il Ponte di Brooklyn collega i due distretti newyorchesi di Manhattan e di Brooklyn.
Sorretto da due imponenti piloni in granito con doppia arcata neogotica (alti 89 m), che lo tengono sospeso a circa 40 m sul fiume, il ponte ha una lunghezza di 1052 m (senza contare le rampe d'accesso) e una larghezza di circa 26. I quattro cavi d'acciaio galvanizzato con zinco che lo sostengono hanno un diametro di 28 cm e sono composti da ben 5700 fili. Una passerella, cui si accede a est della City Hall in Park Row/Centre Street e che è situata al di sopra del nastro stradale destinato alla circolazione automobilistica, permette di attraversare il ponte a piedi e offre, in particolare nelle ore notturne, una suggestiva veduta di Manhattan e dei suoi grattacieli, oltre che di South Street Seaport e della Upper Bay con, sullo sfondo, l'inconfondibile sagoma della Statua della Libertà. Sotto i due piloni di sostegno in pietra sono inoltre collocati alcuni punti di osservazione da cui è possibile ammirare lo splendido panorama circostante. Alcuni edifici di notevoli dimensioni si elevano ai due lati di accesso al Brooklyn Bridge: le Southbridge Towers (a sud), le Governor A.E. Smith Houses e le Chatham Green Houses & Towers (a nord).
Il Ponte di Brooklyn venne progettato nel 1867, dopo regolare autorizzazione dello Stato di New York, da Johann August Roebling, un ingegnere di origine prussiana che, gravemente ferito nel 1869 in un incidente, morì di tetano prima che iniziassero i lavori di costruzione. L'opera di Roebling venne proseguita dal figlio Washington il quale, colpito da embolia gassosa mentre lavorava sott'acqua alla costruzione dei piloni di sostegno, dovette seguire la prosecuzione dei lavori osservandoli, tramite un telescopio e con l'assistenza della moglie Emilie, dal letto della sua abitazione di Columbia Heights. Il ponte venne finalmente inaugurato nel 1883 con una cerimonia a cui, per disaccordi con la compagnia finanziatrice, Washington si rifiutò di presenziare. I lavori erano durati quattordici anni con l'utilizzo di manodopera non solo locale, visto il cospicuo impiego, nel cantiere, di immigrati di origine italiana, irlandese e tedesca. La costruzione del ponte aveva dovuto fare i conti con ripetuti problemi di bilancio, era costata sedici milioni di dollari e fu completata al prezzo della vita di ben venti operai. Nel giugno dello stesso anno, inoltre, quando il ponte venne aperto al pubblico, si verificò una imprevedibile tragedia: uno sconosciuto urlò, forse per scherzo, che il ponte stava per crollare, provocando, tra la folla presa dal panico, un disordinato fuggi-fuggi che causò la morte di dodici persone. Il Ponte di Brooklyn può comunque vantare, a oggi, tre non indifferenti primati: è il più antico ponte eretto a New York sull'East River (lo seguirono il ponte di Williamsburg nel 1903, quelli di Manhattan e Queensboro nel 1909 e il Triborough Bridge negli anni Trenta), è stato il primo ponte sospeso in acciaio mai costruito e, all'epoca della sua apertura, era considerato il più lungo tra tutti i ponti del mondo.
Il Ponte di Brooklyn venne progettato nel 1867, dopo regolare autorizzazione dello Stato di New York, da Johann August Roebling, un ingegnere di origine prussiana che, gravemente ferito nel 1869 in un incidente, morì di tetano prima che iniziassero i lavori di costruzione. L'opera di Roebling venne proseguita dal figlio Washington il quale, colpito da embolia gassosa mentre lavorava sott'acqua alla costruzione dei piloni di sostegno, dovette seguire la prosecuzione dei lavori osservandoli, tramite un telescopio e con l'assistenza della moglie Emilie, dal letto della sua abitazione di Columbia Heights. Il ponte venne finalmente inaugurato nel 1883 con una cerimonia a cui, per disaccordi con la compagnia finanziatrice, Washington si rifiutò di presenziare. I lavori erano durati quattordici anni con l'utilizzo di manodopera non solo locale, visto il cospicuo impiego, nel cantiere, di immigrati di origine italiana, irlandese e tedesca. La costruzione del ponte aveva dovuto fare i conti con ripetuti problemi di bilancio, era costata sedici milioni di dollari e fu completata al prezzo della vita di ben venti operai. Nel giugno dello stesso anno, inoltre, quando il ponte venne aperto al pubblico, si verificò una imprevedibile tragedia: uno sconosciuto urlò, forse per scherzo, che il ponte stava per crollare, provocando, tra la folla presa dal panico, un disordinato fuggi-fuggi che causò la morte di dodici persone. Il Ponte di Brooklyn può comunque vantare, a oggi, tre non indifferenti primati: è il più antico ponte eretto a New York sull'East River (lo seguirono il ponte di Williamsburg nel 1903, quelli di Manhattan e Queensboro nel 1909 e il Triborough Bridge negli anni Trenta), è stato il primo ponte sospeso in acciaio mai costruito e, all'epoca della sua apertura, era considerato il più lungo tra tutti i ponti del mondo.
✤Venezia - Palazzo Ducale✤
Il Palazzo Ducale, uno dei simboli della città di Venezia e capolavoro del gotico veneziano, sorge nell'area monumentale di piazza San Marco. Antica sede del Doge e delle magistrature veneziane, ne ha seguito la storia, dagli albori sino alla caduta, ed è oggi sede del Museo Civico di Palazzo Ducale.
L'edificazione del palazzo iniziò presumibilmente nel IX secolo, a seguito del trasferimento della sede ducale da Malamocco all'odierna Venezia, definitivamente sancito nell'812 durante il dogato di Angelo Partecipazio.
Seguì la ricostruzione avviata da Pietro I Orseolo (976-979), un nucleo fortificato costituito da un corpo centrale e da torri angolari, circondato dall'acqua, le cui tracce ancora si intuiscono nell'assetto del piano loggiato.
Il complesso subì una prima grande ristrutturazione, che trasformò la fortezza originaria in un elegante palazzo privo di fortificazioni, nel XII secolo durante il dogato Sebastiano Ziani. Un nuovo ampliamento fu realizzato tra la fine del '200 e i primi del 300, per servire le nuove esigenze dello stato repubblicano seguite alla Serrata del Maggior Consiglio, la cui sala venne ampliata. Nel 1310 venne represso un tentativo di assalto al palazzo nel corso di una congiura guidata da Bajamonte Tiepolo.
A partire dal 1340, sotto il dogato di Bartolomeo Gradenigo, il palazzo cominciò una radicale trasformazione verso la forma attuale. Nel 1404 venne terminata la facciata sul molo, nel 1423, vennero avviati i lavori sul lato verso la piazzetta e la basilica, nel 1439 iniziarono anche i lavori per la Porta della Carta. Dopo il grande incendio del 1483 venne riedificata la parte interna, cioè quella sul lato del rio di Palazzo che termina con il Ponte della Paglia,i cui lavori che proseguirono sino al 1492 e la costruzione della Scala dei Giganti.
L'11 maggio 1574 un incendio distrusse alcune sale di rappresentanza al piano nobile. Decisa immediatamente la ricostruzione, la direzione tecnica ed esecutiva venne affidata al "proto" Antonio da Ponte, affiancato da Andrea Palladio
La presenza di Palladio a Palazzo Ducale è documentata pure tra il 1577 e il 1578, per il restauro dell'edificio danneggiato da un secondo grave incendio (20 dicembre 1577) in cui andarono perduti importanti cicli pittorici. Anche in questo caso, le ipotesi di una sua proposta concreta lasciano dubbi tra la critica. Tra il 1575 e il 1580 Tiziano e Veronese vennero a loro volta chiamati a decorare gli interni del palazzo e la loro opera finì per inserirsi nella ricostruzione delle sale dell'ala meridionale seguita all'incendio del 20 dicembre 1577.
All'inizio del XVII secolo furono aggiunte le cosiddette Prigioni Nuove, al di là del rio, ad opera dell'architetto Antonio Contin. Questo nuovo corpo di fabbrica, sede dei Signori della Notte, magistrati incaricati di prevenire e reprimere reati penali, viene collegato al Palazzo tramite il Ponte dei Sospiri, percorso dai condannati tradotti dal Palazzo, sede dei tribunali, alle prigioni.
Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, la cui fine fu decretata nella seduta del Maggior Consiglio del 12 maggio 1797, il Palazzo non venne più utilizzato come sede del principe e delle magistrature, ma fu adibito a sede di uffici amministrativi degli imperi napoleonico e asburgico. Le prigioni, denominate Piombi, conservarono la loro funzione e furono oggetto degli scritti di Silvio Pellico. Con l'annessione di Venezia al Regno d'Italia il Palazzo subì cospicui restauri e nel 1923 venne destinato a museo, quale è tuttora.
Craigievar Castle
Osservando per la prima volta Craigievar Castle si ha come la sensazione di averlo già visto. Infatti, Walt Disney si ispirò alla residenza del mercante William Forbes per disegnare un caratteristico castello da favola. E fece, curiosamente, della casa di un borghese l’archetipo fantastico del mondo aristocratico.
All’inizio del Seicento il mercante William Forbes acquistò la tenuta di Craigievar dalla famiglia aristocratica scozzese Mortimer, che si trovava in gravi difficoltà economiche. I Mortimer avevano già cominciato a costruire la loro residenza, una tipica casa-forte scozzese, innalzata su vari piani, con pianta a “L”. il nuovo proprietario continuò l’edificazione, affidando la prosecuzione dei lavori all’architetto John Bell, progettista di numerose opere analoghe. Nel 1623, finalmente, l’edificio era pronto. Osservandolo con attenzione si nota quanto fosse aumentato, nel frattempo, il patrimonio di Forbes: dalla semplicità decorativa dei piani inferiori, costruiti appena comperata la proprietà, si passa via via all’esuberanza architettonica di quelli superiori, ricchi di torrette, sporti, guglie e fregi.
La Scozia non è un paese ricco: ogni risorsa va attentamente utilizzata, perché nulla può essere sciupato. Questa regola vale anche per la costruzione dei castelli. La struttura tradizionale dei manieri scozzesi era infatti condizionata – come tutto in quella terra – da un problema economico: per i tetti degli edifici fortificati si doveva impiegare un materiale, il legno, abbastanza raro sul luogo, e quindi assai dispendioso. Riducendo il perimetro di base e aumentando il numero dei piani era però possibile ottenere la stessa superficie abitativa con tetti più piccoli e quindi a costi inferiori. Craigievar Castle non si sottrae a questa modalità edilizia. L’edificio ha un ingresso minuscolo, facilmente barricabile dall’interno, e presenta pochissime finestre nella parte inferiore. Più in alto, invece, il castellano dimostrò di aver adottato la classica architettura scozzese, non per mancanza dei soldi ma in omaggio alla tradizione. Sopra la cornice, che percorre l’intera facciata, spuntano dal tetto frontoni, torrette, guardiole, pinnacoli riccamente ornati e profilati, che culminano con una terrazza panoramica dal parapetto in pietra. L’ACRONIMO WFM William Forbes riusì ad abitare nel castello solo negli ultimi tre anni della sua vita, cioè tra il 1623 e il 1626. Ciò nonostante lasciò ampia traccia di sé. In molti punti della casa si notano per esempio le iniziali del suo nome seguite da una “M” che indica il titolo accademico di “Master” conseguito presso l’università di Edimburgo. Il castello è rimasto per secoli in possesso della famiglia. Attualmente è sotto la tutela del ‘National Trust of Scotland’ ed è aperto al pubblico nei mesi estivi.
All’inizio del Seicento il mercante William Forbes acquistò la tenuta di Craigievar dalla famiglia aristocratica scozzese Mortimer, che si trovava in gravi difficoltà economiche. I Mortimer avevano già cominciato a costruire la loro residenza, una tipica casa-forte scozzese, innalzata su vari piani, con pianta a “L”. il nuovo proprietario continuò l’edificazione, affidando la prosecuzione dei lavori all’architetto John Bell, progettista di numerose opere analoghe. Nel 1623, finalmente, l’edificio era pronto. Osservandolo con attenzione si nota quanto fosse aumentato, nel frattempo, il patrimonio di Forbes: dalla semplicità decorativa dei piani inferiori, costruiti appena comperata la proprietà, si passa via via all’esuberanza architettonica di quelli superiori, ricchi di torrette, sporti, guglie e fregi.
La Scozia non è un paese ricco: ogni risorsa va attentamente utilizzata, perché nulla può essere sciupato. Questa regola vale anche per la costruzione dei castelli. La struttura tradizionale dei manieri scozzesi era infatti condizionata – come tutto in quella terra – da un problema economico: per i tetti degli edifici fortificati si doveva impiegare un materiale, il legno, abbastanza raro sul luogo, e quindi assai dispendioso. Riducendo il perimetro di base e aumentando il numero dei piani era però possibile ottenere la stessa superficie abitativa con tetti più piccoli e quindi a costi inferiori. Craigievar Castle non si sottrae a questa modalità edilizia. L’edificio ha un ingresso minuscolo, facilmente barricabile dall’interno, e presenta pochissime finestre nella parte inferiore. Più in alto, invece, il castellano dimostrò di aver adottato la classica architettura scozzese, non per mancanza dei soldi ma in omaggio alla tradizione. Sopra la cornice, che percorre l’intera facciata, spuntano dal tetto frontoni, torrette, guardiole, pinnacoli riccamente ornati e profilati, che culminano con una terrazza panoramica dal parapetto in pietra. L’ACRONIMO WFM William Forbes riusì ad abitare nel castello solo negli ultimi tre anni della sua vita, cioè tra il 1623 e il 1626. Ciò nonostante lasciò ampia traccia di sé. In molti punti della casa si notano per esempio le iniziali del suo nome seguite da una “M” che indica il titolo accademico di “Master” conseguito presso l’università di Edimburgo. Il castello è rimasto per secoli in possesso della famiglia. Attualmente è sotto la tutela del ‘National Trust of Scotland’ ed è aperto al pubblico nei mesi estivi.
Il Rotolo di Isaia Grande - Qumran
Il rotolo grande Isaia è uno dei primi sette rotoli del Mar Morto scoperti a Qumran nel 1947. È la più grande (734 cm) e meglio conservato di tutti i rotoli biblici, e l'unico che è quasi completo. Le 54 colonne contengono tutti i 66 capitoli della versione ebraica del libro biblico di Isaia. Risalente al ca. 125 aC, è anche uno dei più antichi della Rotoli del Mar Morto, un migliaio di anni più vecchio di più antichi manoscritti della Bibbia ebraica a noi note prima i rotoli 'scoperta. La versione del testo è generalmente in accordo con la versione Masoretic o tradizionale codificata in codici medievali, come il Codice di Aleppo, ma contiene molte lezioni varianti, alternative, ortografia, errori di scrittura e correzioni. Diversamente dalla maggior parte dei rotoli biblici di Qumran, ha una grafia molto pieno (ortografia), rivelando come l'ebraico è stato pronunciato nel periodo del Secondo Tempio. Circa 20 copie del Libro di Isaia, sono stati trovati anche a Qumran (una copia di più è stato scoperto più a sud a Wadi Muraba'at), nonché sei pesharim (commenti) sulla base del libro, Isaia viene spesso citato in altri rotoli (un fenomeno letterario e religioso presente anche negli scritti del Nuovo Testamento). Lo stato autorevole e scritturale del Libro di Isaia è coerente con le credenze messianiche della vita in comunità di Qumran, dal momento che Isaia è noto per le sue profezie di giudizio e di consolazione, e le sue visioni della fine dei giorni e la venuta del Regno di Dio. Il Libro di Isaia, è un'antologia, le due composizioni principali che sono il vero e proprio libro di Isaia (capitoli 1-39, con alcune eccezioni), contenente le parole del profeta Isaia stesso, risalente al tempo della Primo Tempio, intorno al 700 aC, e il secondo Isaia (Deutero-Isaia, capitoli 40-66), che comprende le parole di un profeta anonimo, che ha vissuto circa 150 anni più tardi, intorno al periodo dell'esilio babilonese e il ripristino della il Tempio nel periodo persiano. Con il tempo il nostro Rotolo di Isaia è stato copiato (l'ultimo terzo del II secolo aC), il libro è stato già considerato come una singola composizione. Diversi profetizza che appare nel libro di Isaia sono diventati pietre miliari della civiltà giudeo-cristiana. Forse il più famoso di questi è la visione di Isaia di pace universale alla fine dei giorni: "Ed essi forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci: un popolo non tiene più la spada contro un altro popolo, ma mai più conoscono la guerra"
Lettera di Claretta Petacci a Mussolini
Quella che segue è una della lettere del carteggio fra Claretta Petacci e Benito Mussolini conservato per 60 anni nei faldoni dell’Archivio centrale dello Stato e che solo ora viene reso liberamente accessibile agli studiosi. La lettera è senza data ma risale al gennaio 1944, considerati i riferimenti al processo di Verona, in cui erano imputati coloro che avevano votato a favore dell’ordine del giorno Grandi il 25 luglio 1943; vennero tutti conmdannati a morte, anche il genero di Mussolini Galeazzo Ciano. La lettera contiene duri attacchi al re Vittorio Emanuele III, al maresciallo Pietro Badoglio e a Edda Ciano Mussolini, figlia del Duce e moglie di Galeazzo Ciano.
Ben, ti mando un buongiorno, con una tenerezza speciale, sento tutta la pena, la tua ansia nel seguire questo processo che vaglia i traditori. Io ti comprendo ma devi essere forte. Il destino dei grandi è forse quello di essere traditi. È triste. Cesare da suo figlio… Napoleone da tutti, dalla stessa moglie Maria Luisa e Giuseppina… Tu da tuo genero e dai tuoi ministri. Oggi è il sangue e solo il sangue che può lavare l’onta. Oggi è la forza, e solo la tua forza, dura, violenta, crudele che potrà seppellire la vergogna. Non si può né si deve dimenticare che uno dei primi responsabili della tua tragedia, oltre che quel vecchio incartapecorito e invigliacchito del sabaudo, e di quel massone venduto lercio di Badoglio, è stato Ciano uno dei maggiori istigatori – vile sudicio interessato e falso. E così non devi né puoi dimenticare che la sua degna compagna, per certo tua figlia, è stata degna compagna delle trame di suo marito. Come ha dimenticato di essere una Mussolini mentre si affilavano le armi contro il suo stesso padre così non può vantare oggi legami di sangue. È facile fare la figlia ravveduta o pentita. Quando si è tradito una volta il proprio sangue, si può tradirlo anche due. E se adesso che suo marito è alle soglie della meritata punizione, lei se ne frega e viene da te, fedele figlia devota e pentita, è indegna, così come sarebbe indegna nel chiederti pietà per lui. Poiché nel primo caso rinnegando il marito del quale ha seguito la sporca e vile politica partecipandovi vivamente – rinnega il suo stesso essere di moglie fedele. E se lo rigetta da sé – ora dopo averlo ella stessa aiutato nel tradimento contro suo padre – è infamia. Così com’è infamia e viltà se tenta salvarlo dal giusto castigo. Se cominci a punire e colpire così possiamo essere veramente sicuri di avere soddisfazione contro i vigliacchi e i traditori e di ricostruire sui cocci sporchi di melma. Via Ben! è inutile tergiversare oggi chi ha mancato deve pagare. Se il tribunale nasce sotto auspici di debolezza e di acquiescenza, è inutile crearlo ed è inutile fare processi. Il popolo non vuole né può più essere preso in giro. Ho il diritto di dirti queste cose per quello che ho sofferto e ho il dovere perché ti amo, ti amo come uomo e soprattutto come capo. Ricordati, o oggi o mai più.
Monete del Principe Bernardo
I Paesi Bassi hanno emesso la serie divisionale 2011, dedicata al 100° anniversario della nascita del principe Bernardo (1911-2011), consorte della regina Giuliana.
Il folder contiene le otto monete di circolazione ed una medaglia in argento . La tiratura è di 5.000 pezzi, il prezzo di emissione di 35 euro.
Il principe Bernhard van Lippe-Biesterfeld nacque a Jenail 29 giugno 1911. Appartenente ad una nota famiglia sovrana tedesca, fu affiliato al Partito Nazista tedesco (tessera 2583009 del 1 maggio 1933), fino al termine della sua carriera universitaria.
Secondo rivelazioni della rivista Newsweek del 5 aprile 1976, le attività di spionaggio di van Lippe a favore delle unità speciali delle SS (o Schutzstaffel) nella industria chimica IG Farbenindustrie (la stessa che fabbricò lo Zyklon-B, usato nelle camere a gas) sono documentate dalle testimonianze del processo di Norimberga.
Durante la guerra, in Gran Bretagna, ha partecipato alla resistenza e poi alla liberazione di Amsterdam. Nel 1937, in seguito al suo matrimonio con l’erede al trono, divenne principe consorte dei Paesi Bassi; inoltre fu fondatore e presidente del Worldwide Fund for Nature (WWF) dalla fondazione nel 1961 fino al 1971.
Nel dopoguerra assunse importanti posizioni nell’industria petrolifera, in particolare con la Royal Dutch Petroleum (Shell Oil) e nella Société Générale de Belgique.
Dopo aver contribuito alla sua fondazione, divenne presidente del Gruppo Bilderberg fino a quando, nel 1976, diede le dimissioni per lo scandalo di una tangente da 1,1 milioni di dollari dalla Lockheed Corporation per la vendita di aerei caccia all’aviazione olandese.
Morì a Utrecht il 1° dicembre 2004.
Il principe Bernhard van Lippe-Biesterfeld nacque a Jenail 29 giugno 1911. Appartenente ad una nota famiglia sovrana tedesca, fu affiliato al Partito Nazista tedesco (tessera 2583009 del 1 maggio 1933), fino al termine della sua carriera universitaria.
Secondo rivelazioni della rivista Newsweek del 5 aprile 1976, le attività di spionaggio di van Lippe a favore delle unità speciali delle SS (o Schutzstaffel) nella industria chimica IG Farbenindustrie (la stessa che fabbricò lo Zyklon-B, usato nelle camere a gas) sono documentate dalle testimonianze del processo di Norimberga.
Durante la guerra, in Gran Bretagna, ha partecipato alla resistenza e poi alla liberazione di Amsterdam. Nel 1937, in seguito al suo matrimonio con l’erede al trono, divenne principe consorte dei Paesi Bassi; inoltre fu fondatore e presidente del Worldwide Fund for Nature (WWF) dalla fondazione nel 1961 fino al 1971.
Nel dopoguerra assunse importanti posizioni nell’industria petrolifera, in particolare con la Royal Dutch Petroleum (Shell Oil) e nella Société Générale de Belgique.
Dopo aver contribuito alla sua fondazione, divenne presidente del Gruppo Bilderberg fino a quando, nel 1976, diede le dimissioni per lo scandalo di una tangente da 1,1 milioni di dollari dalla Lockheed Corporation per la vendita di aerei caccia all’aviazione olandese.
Morì a Utrecht il 1° dicembre 2004.
Il matrimonio
Nozze deriva dal latino "pubere" che significa avvolgersi in una nube (sottinteso il velo), allusione al velo giallo zafferano che copriva la sposa romana in segno di protezione.
Meno romantico il termine "matrimonio" (contratto, alleanza ufficializzata per avere figli).quanto alla luna di miele, è un modo di dire di origine romana.
Gli sposi dovevano cibarsi di miele per tutta la durata di una lunazione.
Venere è sposa di Vulcano, ma consuma movimentati giochi con Marte.
Iside, invece, è così innamorata del marito Osiride che riesce a riunificate le membra disperse e a partorirgli un figlio.
Hera ritorce con musi e dispetti le corna del marito Zeus, ma se lo tiene stretto.
Peggio fa il gelosissimo Plutone, che rapisce la fanciulla Proserpina e la sposa imprigionandola nel suo palazzo.
Le storie sentimentali degli dei riflettono i comportamenti amorosi degli uomini, con colpi di fulmine, tradimenti, rotture, nonché tutte le pecche e le delizie dei matrimoni.
Un usanza è che lo sposo, giunto alla nuova abitazione, sollevi la moglie tra le braccia per farle oltrepassare la soglia senza irritare gli spiriti della casa,è un atto magico, riflesso di antichi rituali di passaggio.
A tutti gli effetti il matrimonio è un passaggio iniziatici che sottolinea un cambiamento di condizione, abitudini e stato sociale."quo men" significa sia sposarsi sia oltrepassare la soglia.
Una leggenda orientale affida il compito dell'unione a un vecchio abitante di un monte impervio, il cui lavoro consisteva nel legare col filo rosso della felicità la gamba di un bambino e di un bambina destinati, una volta cresciuti, a formare una coppia.
Il lancio del riso,secondo il rito cinese, è il dono di un buon genio della palude che sacrifica i suoi denti per salvare gli uomini dalla carestia. Per magia dall'acqua nascono piantine di riso, simbolo di abbondanza, fertilità e fortuna.
Nell'antica Grecia, gennaio era il mese dedicato alle nozze ed il perno della cerimonia erano l'addio al passato e i gesti bene augurali per il futuro.
La ragazza sacrificava le chiome e bruciava i giochi d'infanzia, poi, assieme allo sposo faceva un bagno con acqua di fiume dalle supposte virtù fecondatrici. Seguiva il banchetto nuziale a base di fichi, datteri, mandole e dolci di sesamo, ritenuti afrodisiaci.
A casa la sposa assaggiava uno spicchio di melagrana, rivivendo il mito di Plutone e Persefone.
Infine di corsa al talamo, dopo aver appeso sulla soglia 2 potenti simboli di fecondità.. pestello e tegame
Nell'antica Roma. la data era stabilita dall'augure: un giorno al mese propizio (giugno o settembre, mentre erano proibiti maggio ed agosto, perché dedicati ai morti).
Era lei, la futura sposa, avvolta in un velo giallo zafferano, a pronunciare la formula di rito " ubi tu Cais, ego Caia".
Solenne promessa di seguire il marito ovunque e comunque. Una stretta di mano tre i due sanciva il patto, seguiva il banchetto e il ritorno, a sera, alla nuova casa, dove toccava allo sposo sollevare la moglie oltre la soglia, perché non inciampasse.
Qui le porgeva i doni.fuoco e acqua, simboli del sole e della rugiada, alcune monete d'oro, auspicio di una via equilibrata freschezza, calore e ricchezza e la chiave dell'alloggio di cui sarebbe divenuta signora.
In Israele . il rito lungo un anno. Il primo passo è la firma della "ketubah", il contratto matrimoniale scritto in aramaico su pergamena..quindi gli sposi si recano insieme dal rabbino, sotto il baldacchino rosso dove ricevono la benedizione, scambiandosi gli anelli.
Il passo successivo si chiama "nissim" e a luogo un mese o persino un anno più tardi: lo sposo indossa il "tallith", mantellina da preghiera in lana o in seta con il quale copre anche la sposa, quasi fossero sotto una tenda in ricordo dell'antico nomadismo.
Seguono 6 benedizioni rabbiniche e quindi il banchetto, dove gli sposi brindano e poi frantumano i bicchieri in ricordo della distruzione del tempio si Salomone e a simbolo della rottura con il passato per iniziare una nuova vita.
In Giappone.Prima di raggiungere lo sposo davanti all'altare delle divinità shinto, la fidanzata giapponese, avvolta in un kimono bianco e con un panno bianco ripiegato sul capo, fa la solenne promessa di non tormentare mai il marito con la sua gelosia.
Durante il banchetto..un brindisi "sansankudo".. gli sposi devono insieme 9 sorsi di liquore di riso per aprire la porta della loro casa alla felicità.
Il rito nuziale gitano .. il capofamiglia spezza il pane, lo cosparge di sale e lo porge alla coppia dicendo "Quando sarete stanchi di questo pane e di questo sale, che è simbolo di ricchezza e di fecondità, sarete stanchi anche l'uno dell'altro". Per assicurarsi la fedeltà della sposa, il marito la invita a camminare su alcuni dischi di legno di tiglio, ciascuno dei quali reca inciso un simbolo augurale.
Durante il banchetto , gli sposi devono rompere una marmitta di coccio piena di grano. I frammenti dovranno essere conservati con cura, fino a che ne rimarrà almeno uno l'unione durerà. (tratto da Airone, 2010)
Meno romantico il termine "matrimonio" (contratto, alleanza ufficializzata per avere figli).quanto alla luna di miele, è un modo di dire di origine romana.
Gli sposi dovevano cibarsi di miele per tutta la durata di una lunazione.
Venere è sposa di Vulcano, ma consuma movimentati giochi con Marte.
Iside, invece, è così innamorata del marito Osiride che riesce a riunificate le membra disperse e a partorirgli un figlio.
Hera ritorce con musi e dispetti le corna del marito Zeus, ma se lo tiene stretto.
Peggio fa il gelosissimo Plutone, che rapisce la fanciulla Proserpina e la sposa imprigionandola nel suo palazzo.
Le storie sentimentali degli dei riflettono i comportamenti amorosi degli uomini, con colpi di fulmine, tradimenti, rotture, nonché tutte le pecche e le delizie dei matrimoni.
Un usanza è che lo sposo, giunto alla nuova abitazione, sollevi la moglie tra le braccia per farle oltrepassare la soglia senza irritare gli spiriti della casa,è un atto magico, riflesso di antichi rituali di passaggio.
A tutti gli effetti il matrimonio è un passaggio iniziatici che sottolinea un cambiamento di condizione, abitudini e stato sociale."quo men" significa sia sposarsi sia oltrepassare la soglia.
Una leggenda orientale affida il compito dell'unione a un vecchio abitante di un monte impervio, il cui lavoro consisteva nel legare col filo rosso della felicità la gamba di un bambino e di un bambina destinati, una volta cresciuti, a formare una coppia.
Il lancio del riso,secondo il rito cinese, è il dono di un buon genio della palude che sacrifica i suoi denti per salvare gli uomini dalla carestia. Per magia dall'acqua nascono piantine di riso, simbolo di abbondanza, fertilità e fortuna.
Nell'antica Grecia, gennaio era il mese dedicato alle nozze ed il perno della cerimonia erano l'addio al passato e i gesti bene augurali per il futuro.
La ragazza sacrificava le chiome e bruciava i giochi d'infanzia, poi, assieme allo sposo faceva un bagno con acqua di fiume dalle supposte virtù fecondatrici. Seguiva il banchetto nuziale a base di fichi, datteri, mandole e dolci di sesamo, ritenuti afrodisiaci.
A casa la sposa assaggiava uno spicchio di melagrana, rivivendo il mito di Plutone e Persefone.
Infine di corsa al talamo, dopo aver appeso sulla soglia 2 potenti simboli di fecondità.. pestello e tegame
Nell'antica Roma. la data era stabilita dall'augure: un giorno al mese propizio (giugno o settembre, mentre erano proibiti maggio ed agosto, perché dedicati ai morti).
Era lei, la futura sposa, avvolta in un velo giallo zafferano, a pronunciare la formula di rito " ubi tu Cais, ego Caia".
Solenne promessa di seguire il marito ovunque e comunque. Una stretta di mano tre i due sanciva il patto, seguiva il banchetto e il ritorno, a sera, alla nuova casa, dove toccava allo sposo sollevare la moglie oltre la soglia, perché non inciampasse.
Qui le porgeva i doni.fuoco e acqua, simboli del sole e della rugiada, alcune monete d'oro, auspicio di una via equilibrata freschezza, calore e ricchezza e la chiave dell'alloggio di cui sarebbe divenuta signora.
In Israele . il rito lungo un anno. Il primo passo è la firma della "ketubah", il contratto matrimoniale scritto in aramaico su pergamena..quindi gli sposi si recano insieme dal rabbino, sotto il baldacchino rosso dove ricevono la benedizione, scambiandosi gli anelli.
Il passo successivo si chiama "nissim" e a luogo un mese o persino un anno più tardi: lo sposo indossa il "tallith", mantellina da preghiera in lana o in seta con il quale copre anche la sposa, quasi fossero sotto una tenda in ricordo dell'antico nomadismo.
Seguono 6 benedizioni rabbiniche e quindi il banchetto, dove gli sposi brindano e poi frantumano i bicchieri in ricordo della distruzione del tempio si Salomone e a simbolo della rottura con il passato per iniziare una nuova vita.
In Giappone.Prima di raggiungere lo sposo davanti all'altare delle divinità shinto, la fidanzata giapponese, avvolta in un kimono bianco e con un panno bianco ripiegato sul capo, fa la solenne promessa di non tormentare mai il marito con la sua gelosia.
Durante il banchetto..un brindisi "sansankudo".. gli sposi devono insieme 9 sorsi di liquore di riso per aprire la porta della loro casa alla felicità.
Il rito nuziale gitano .. il capofamiglia spezza il pane, lo cosparge di sale e lo porge alla coppia dicendo "Quando sarete stanchi di questo pane e di questo sale, che è simbolo di ricchezza e di fecondità, sarete stanchi anche l'uno dell'altro". Per assicurarsi la fedeltà della sposa, il marito la invita a camminare su alcuni dischi di legno di tiglio, ciascuno dei quali reca inciso un simbolo augurale.
Durante il banchetto , gli sposi devono rompere una marmitta di coccio piena di grano. I frammenti dovranno essere conservati con cura, fino a che ne rimarrà almeno uno l'unione durerà. (tratto da Airone, 2010)
Le cariatidi
Secondo l'architetto romano Vitruvio, che ne parla già all'inizio del primo libro del suo "De Architectura", il nome Cariatide (karyàtis) significherebbe "donna di Karya": le donne di quella città del Peloponneso sarebbero infatti state rese schiave, pur mantenendo le loro vesti e attributi matronali, dopo la sconfitta e la distruzione della loro patria, come punizione per l'appoggio fornito ai Persiani. In seguito gli architetti greci le avrebbero raffigurate come sorreggenti il peso dell'edificio per tramandare il ricordo dell'evento. La spiegazione di Vitruvio va tuttavia correlata con antecedenti le guerre tra Greci e Persiani che si svolsero all'inizio del V secolo a.C.: le cariatidi erano fanciulle danzanti di quella città famosa per i cori annuali. L'architettura greca le aveva raffigurate già nel secolo precedente (tesoro dei Sifni nel santuario di Apollo a Delfi). Le stesse celeberrime cariatidi dell'Eretteo, sull'Acropoli di Atene, a cui probabilmente Vitruvio aveva pensato, non sembrano tradire la fatica derivante dal reggere il peso ma sembrano piuttosto rappresentare delle imperturbabili giovani donne
Le cariatidi dell'Erecteion
Nell'arte romanica la frequente applicazione della figura umana alla decorazione architettonica produce alcuni esempi di figure utilizzate come sostegni (ad esempio "capitello delle tre cariatidi" all'esterno del Duomo di Modena). In epoca rinascimentale il motivo viene nuovamente ripreso insieme a molti altri elementi decorativi di origine classica. Un esempio si trova nel ninfeo eseguito da Bartolomeo Ammannati per Villa Giulia a Roma, del papa Giulio III. La ricerca di una sovrabbondanza decorativa ne favorì l'uso durante il Seicento e il Settecento (un esempio nella facciata della Casa degli Omenoni a Milano) e il motivo fu ampiamente utilizzato anche in ambito neoclassico.
Fonte : Wikipedia
Le cariatidi dell'Erecteion
Nell'arte romanica la frequente applicazione della figura umana alla decorazione architettonica produce alcuni esempi di figure utilizzate come sostegni (ad esempio "capitello delle tre cariatidi" all'esterno del Duomo di Modena). In epoca rinascimentale il motivo viene nuovamente ripreso insieme a molti altri elementi decorativi di origine classica. Un esempio si trova nel ninfeo eseguito da Bartolomeo Ammannati per Villa Giulia a Roma, del papa Giulio III. La ricerca di una sovrabbondanza decorativa ne favorì l'uso durante il Seicento e il Settecento (un esempio nella facciata della Casa degli Omenoni a Milano) e il motivo fu ampiamente utilizzato anche in ambito neoclassico.
Fonte : Wikipedia
Storia del cacao e del cioccolato
La storia del cacao è legata alla pianta di cacao che, secondo alcune ricerche botaniche, si presuppone fosse presente già 6000 anni fa nel Rio delle Amazzoni e nell’Orinoco. Le prime coltivazioni di cacao furono effettuate dai Maya indicativamente nel 1000 A.C. e successivamente anche gli Atzechi si dedicarono alla coltura del cacao e alla produzione della cioccolata, associando il cioccolato alla dea della fertilità.
Oltre ad un impiego liturgico e cerimoniale, nelle Americhe il cioccolato veniva consumato come bevanda, chiamata xocoatl, spesso aromatizzata con peperoncino, vaniglia e pepe; tale bevanda era ottenuta a caldo o a freddo con l'aggiunta di acqua e eventuali altri componenti addensanti o nutrienti, quali farina di mais e minerali e miele. La bevanda aveva l'effetto di alleviare la sensazione di fatica, effetto probabilmente dovuto alla teobromina in esso contenuta. Nell’epoca pre-colombiana nelle zone dell’America Centrale i semi di cacao erano usati come moneta di scambio e anche come unità di misura. Il cacao veniva consumato durante le cerimonie religiose e veniva offerto insieme all’incenso come sacrificio alle divinità.
La civiltà europea venne a conoscenza del cacao solo nel 1502 grazie a Cristoforo Colombo; questi, durante il suo quarto e ultimo viaggio in America, sbarcò in Honduras ed ebbe l'occasione di assaggiare una bevanda a base di cacao. Al suo ritorno, portò con sé alcuni semi di cacao da mostrare a Ferdinando ed Isabella di Spagna, ma non diede alcuna importanza alla scoperta, probabilmente non particolarmente colpito dal gusto amaro della bevanda. Solo con Hernàn Cortéz nel 1519 si ha l'introduzione del cacao in Europa in maniera più diffusa. Egli arriva nel Nuovo Mondo proveniente dalla Spagna e la popolazione locale lo scambia per il Dio Quetzalcoatl, che, secondo la leggenda, sarebbe dovuto tornare proprio in quell'anno. L'imperatore Montezuma allora, lo accoglie a braccia aperte e gli offre un'intera piantagione di cacao coi relativi proventi. Nel 1585 arrivò il primo carico documentato di cacao a Siviglia, città nella quale aveva sede il “Reale consiglio delle Indie” attraverso cui la corona spagnola controllava tutti i traffici commerciali, l’amministrazione , gli aspetti militari e religiosi delle proprie colonie d’oltre oceano.
Il cioccolato veniva sempre servito come bevanda, ma gli ordini monastici spagnoli, depositari di una lunga tradizione di miscele e infusi, ci aggiunsero la vaniglia e lo zucchero per correggerne la naturale amarezza . Per tutto il '500 il cioccolato rimane un'esclusiva della Spagna, che ne incrementa le coltivazioni. Il cacao arriva in Italia solo nel '600 grazie ad un commerciante di Firenze e nello stesso periodo viene diffusa nel resto dell'Europa. Nel XVII secolo divenne un lusso tra i nobili d'Europa e gli Olandesi, abili navigatori, strapparono agli Spagnoli il controllo mondiale e il predominio commerciale. Fino a tutto il XVIII secolo il cioccolato viene considerato la panacea di tutti i mali, e gli si attribuiscono virtù miracolose. Il Brasile, la Martinica e le Filippine aumentano la coltivazione di cacao; contemporaneamente molte città europee si pregiano della fama per la lavorazione del cioccolato, dove poco alla volta la preparazione di bevande al cioccolato diventa una passione per molti.
La storia del cacao è legata alla pianta di cacao che, secondo alcune ricerche botaniche, si presuppone fosse presente già 6000 anni fa nel Rio delle Amazzoni e nell’Orinoco. Le prime coltivazioni di cacao furono effettuate dai Maya indicativamente nel 1000 A.C. e successivamente anche gli Atzechi si dedicarono alla coltura del cacao e alla produzione della cioccolata, associando il cioccolato alla dea della fertilità.
Oltre ad un impiego liturgico e cerimoniale, nelle Americhe il cioccolato veniva consumato come bevanda, chiamata xocoatl, spesso aromatizzata con peperoncino, vaniglia e pepe; tale bevanda era ottenuta a caldo o a freddo con l'aggiunta di acqua e eventuali altri componenti addensanti o nutrienti, quali farina di mais e minerali e miele. La bevanda aveva l'effetto di alleviare la sensazione di fatica, effetto probabilmente dovuto alla teobromina in esso contenuta. Nell’epoca pre-colombiana nelle zone dell’America Centrale i semi di cacao erano usati come moneta di scambio e anche come unità di misura. Il cacao veniva consumato durante le cerimonie religiose e veniva offerto insieme all’incenso come sacrificio alle divinità.
La civiltà europea venne a conoscenza del cacao solo nel 1502 grazie a Cristoforo Colombo; questi, durante il suo quarto e ultimo viaggio in America, sbarcò in Honduras ed ebbe l'occasione di assaggiare una bevanda a base di cacao. Al suo ritorno, portò con sé alcuni semi di cacao da mostrare a Ferdinando ed Isabella di Spagna, ma non diede alcuna importanza alla scoperta, probabilmente non particolarmente colpito dal gusto amaro della bevanda. Solo con Hernàn Cortéz nel 1519 si ha l'introduzione del cacao in Europa in maniera più diffusa. Egli arriva nel Nuovo Mondo proveniente dalla Spagna e la popolazione locale lo scambia per il Dio Quetzalcoatl, che, secondo la leggenda, sarebbe dovuto tornare proprio in quell'anno. L'imperatore Montezuma allora, lo accoglie a braccia aperte e gli offre un'intera piantagione di cacao coi relativi proventi. Nel 1585 arrivò il primo carico documentato di cacao a Siviglia, città nella quale aveva sede il “Reale consiglio delle Indie” attraverso cui la corona spagnola controllava tutti i traffici commerciali, l’amministrazione , gli aspetti militari e religiosi delle proprie colonie d’oltre oceano.
Il cioccolato veniva sempre servito come bevanda, ma gli ordini monastici spagnoli, depositari di una lunga tradizione di miscele e infusi, ci aggiunsero la vaniglia e lo zucchero per correggerne la naturale amarezza . Per tutto il '500 il cioccolato rimane un'esclusiva della Spagna, che ne incrementa le coltivazioni. Il cacao arriva in Italia solo nel '600 grazie ad un commerciante di Firenze e nello stesso periodo viene diffusa nel resto dell'Europa. Nel XVII secolo divenne un lusso tra i nobili d'Europa e gli Olandesi, abili navigatori, strapparono agli Spagnoli il controllo mondiale e il predominio commerciale. Fino a tutto il XVIII secolo il cioccolato viene considerato la panacea di tutti i mali, e gli si attribuiscono virtù miracolose. Il Brasile, la Martinica e le Filippine aumentano la coltivazione di cacao; contemporaneamente molte città europee si pregiano della fama per la lavorazione del cioccolato, dove poco alla volta la preparazione di bevande al cioccolato diventa una passione per molti.
La "Venaria Reale" Torino
Di Amedeo di Castellamonte. Nel 1659 si concretò il grandioso progetto del duca Carlo Emanuele II Di Savoia di edificare una sede stabile per la pratica venatoria per celebrare attraverso la ritualità della caccia la "magnificenza del Duca, ponendo un fondamentale tassello a quel disegno di "delitie" seicentesche a corona di Torino Capitale. L'impianto castellamontiano, iniziato nel 1659 e ultimato nel 1675 ca., realizzava un "unicum", rappresentato da Borgo-Reggia-Giardini che si sviluppava lungo un asse di circa 2 Km.
La Reggia propriamente detta comprendeva due corti e aveva come nucleo centale il "Salone di Diana". A sud erano le scuderie, i canili, ad ovest la citroniera, il "Parco alto dei cervi" e, in affaccio al Borgo, la cappella di S. Rocco.
IL RITROVAMENTO DEL TEMPIO DI DIANA
Sono stati di recente riportate alla luce le fondamenta del Tempio di Diana, una splendida architettura castellamontiana, che un tempo sorgeva al termine del parco della Reggia e che le fonti celebrative dell'epoca definivano come "da annoverarsi fra la meraviglie dell'arte". In questo tempietto spesso si recavano i cortigiani, per trovare riposo e quiete o per consumare amori furtivi.
Le fondamenta sono tornate alla luce durante gli scavi in corso, finalizzati al ritracciamento dei percorsi dei giardini che un tempo ornavano la Reggia. Questa scoperta è molto interessante per ovvi motivi storico-archeologici.
L'antico Tempio di Diana fu smantellato nel 1700 secondo il volere di Vittorio Amedeo II in vista di un ripristino dei giardini che prevedeva articolati percorsi d'acqua e prospettive all'infinito (alla Francese). I preziosi marmi che rivestivano il tempio vennero riutilizzati (otto colonne vennero usate per la Cappella di S. Uberto ed altre otto per la Chiesa di S. Maria, mentre i marmi ebbero diversi riusi all'interno della Reggia.
GRAN RE VITTORIO AMEDEO II DI SAVOIA
che fu "miracolato" proprio da quel portentoso alimento/medicamento che fu, ed è, il Grissino Torinese. Quell’oro dell’arte culinaria torinese e piemontese ben più noto quale:
Pane dei Re e Re dei Pani
Di Amedeo di Castellamonte. Nel 1659 si concretò il grandioso progetto del duca Carlo Emanuele II Di Savoia di edificare una sede stabile per la pratica venatoria per celebrare attraverso la ritualità della caccia la "magnificenza del Duca, ponendo un fondamentale tassello a quel disegno di "delitie" seicentesche a corona di Torino Capitale. L'impianto castellamontiano, iniziato nel 1659 e ultimato nel 1675 ca., realizzava un "unicum", rappresentato da Borgo-Reggia-Giardini che si sviluppava lungo un asse di circa 2 Km.
La Reggia propriamente detta comprendeva due corti e aveva come nucleo centale il "Salone di Diana". A sud erano le scuderie, i canili, ad ovest la citroniera, il "Parco alto dei cervi" e, in affaccio al Borgo, la cappella di S. Rocco.
I Giardini |
L'antico Tempio di Diana fu smantellato nel 1700 secondo il volere di Vittorio Amedeo II in vista di un ripristino dei giardini che prevedeva articolati percorsi d'acqua e prospettive all'infinito (alla Francese). I preziosi marmi che rivestivano il tempio vennero riutilizzati (otto colonne vennero usate per la Cappella di S. Uberto ed altre otto per la Chiesa di S. Maria, mentre i marmi ebbero diversi riusi all'interno della Reggia.
Una sala |
GHASSOUL - l’argilla saponifera del Marocco
E' un minerale estratto in Marocco ed utilizzato fin dal dodicesimo secolo dalle popolazioni dell’Africa del Nord.
Una volta estratto dalle gallerie sotterranee, il Ghassoul è trattato e lavato con acqua per eliminarne le impurità, viene quindi adagiato su grandi superfici piane o su delle stuoie e seccato al sole. Si ottiene così un prodotto puro sotto forma di placchette o polvere e commercializzato.
E’ un minerale naturale e biologico, e si utilizza come crema di lavaggio per i capelli, come maschera per il viso e per detergere delicatamente il corpo; addolcisce l’epidermide, riduce la secrezione di sebo, rigenera la pelle eliminando le cellule morte.
Consigliato per le pelli sensibili e allergiche, il ghassoul pulisce perfettamente la pelle, eliminando le impurità, in particolare i punti neri.
Il Ghassoul è consigliato per ogni tipo di capello, che sgrassa senza impoverire nè seccare, regola la secrezione di sebo donando ai capelli un aspetto brillante e setoso. Infatti, grazie alle sue qualità emulsionanti, all’azione sgrassante e alle sue caratteristiche di completa innocuità, il Ghassoul è utilizzato nel lavaggio dei capelli e agisce come uno shampoo naturale, pulendo e sgrassando, senza danneggiare, capelli e il cuoio capelluto.
I capelli trattati con Ghassoul presentano una brillantezza e una sofficità eccezionale.
Prima di essere utilizzato il Ghassoul deve essere preparato in questo modo:
miscelare in una ciotola di vetro, legno o terracotta con un cucchiaio di legno l’argilla con dell’acqua, mescolando fino ad ottenere una pasta omogenea che sarà applicata ai capelli, al viso ed al corpo con movimenti circolari, quindi risciacquata. La quantità da utilizzare è di circa un cucchiaio per capigliature corte e di due o più cucchiai per capelli lunghi. Ecco alcune ricette per usare l’argilla Il ghassoul usato in modo naturale può essere mischiato con altri prodotti naturali per profumare o ammorbidire il corpo, il viso, i capelli. - Acqua di fiori d’arancio come frangranza -
Acqua di fiori di rose come fragranza -
Olio di Argan per le sue proprietà ammorbidenti e nutrienti -
Olio di Baobab per le sue proprietà antiossidanti
Maschera depuratice per il viso ed il corpo:
50 ml di Ghassoul 10 ml di miele 10 ml di succo di limone qualche goccia di latte qualche goccia di olio di mandorle dolci.
Mescola tutti gli ingredienti insieme fino ad ottenere una crema morbida omogenea.
Applica questa pasta sul viso o su una parte del corpo.
Fai asciugare per 15 minuti e poi sciacqua abbondantemente.
La tua pelle diventerà morbida e fragrante.
Maschera per i capelli:
50 ml di Ghassoul 1 tuorlo d’uovo Aggiungi un po’ di acqua tiepida al Ghassoul, mescola fino a quando la pasta è liscia ed aggiungi il tuorlo.
Applica questa preparazione ai capelli partendo dalla radice e spalmandola fino alla punta del capelli. Lascia asciugare per 15 minuti e sciacquare abbondantemente.
I capelli diventeranno più sani, più spendenti e più elastici.
E' un minerale estratto in Marocco ed utilizzato fin dal dodicesimo secolo dalle popolazioni dell’Africa del Nord.
Una volta estratto dalle gallerie sotterranee, il Ghassoul è trattato e lavato con acqua per eliminarne le impurità, viene quindi adagiato su grandi superfici piane o su delle stuoie e seccato al sole. Si ottiene così un prodotto puro sotto forma di placchette o polvere e commercializzato.
E’ un minerale naturale e biologico, e si utilizza come crema di lavaggio per i capelli, come maschera per il viso e per detergere delicatamente il corpo; addolcisce l’epidermide, riduce la secrezione di sebo, rigenera la pelle eliminando le cellule morte.
Consigliato per le pelli sensibili e allergiche, il ghassoul pulisce perfettamente la pelle, eliminando le impurità, in particolare i punti neri.
Il Ghassoul è consigliato per ogni tipo di capello, che sgrassa senza impoverire nè seccare, regola la secrezione di sebo donando ai capelli un aspetto brillante e setoso. Infatti, grazie alle sue qualità emulsionanti, all’azione sgrassante e alle sue caratteristiche di completa innocuità, il Ghassoul è utilizzato nel lavaggio dei capelli e agisce come uno shampoo naturale, pulendo e sgrassando, senza danneggiare, capelli e il cuoio capelluto.
I capelli trattati con Ghassoul presentano una brillantezza e una sofficità eccezionale.
Prima di essere utilizzato il Ghassoul deve essere preparato in questo modo:
miscelare in una ciotola di vetro, legno o terracotta con un cucchiaio di legno l’argilla con dell’acqua, mescolando fino ad ottenere una pasta omogenea che sarà applicata ai capelli, al viso ed al corpo con movimenti circolari, quindi risciacquata. La quantità da utilizzare è di circa un cucchiaio per capigliature corte e di due o più cucchiai per capelli lunghi. Ecco alcune ricette per usare l’argilla Il ghassoul usato in modo naturale può essere mischiato con altri prodotti naturali per profumare o ammorbidire il corpo, il viso, i capelli. - Acqua di fiori d’arancio come frangranza -
Acqua di fiori di rose come fragranza -
Olio di Argan per le sue proprietà ammorbidenti e nutrienti -
Olio di Baobab per le sue proprietà antiossidanti
Maschera depuratice per il viso ed il corpo:
50 ml di Ghassoul 10 ml di miele 10 ml di succo di limone qualche goccia di latte qualche goccia di olio di mandorle dolci.
Mescola tutti gli ingredienti insieme fino ad ottenere una crema morbida omogenea.
Applica questa pasta sul viso o su una parte del corpo.
Fai asciugare per 15 minuti e poi sciacqua abbondantemente.
La tua pelle diventerà morbida e fragrante.
Maschera per i capelli:
50 ml di Ghassoul 1 tuorlo d’uovo Aggiungi un po’ di acqua tiepida al Ghassoul, mescola fino a quando la pasta è liscia ed aggiungi il tuorlo.
Applica questa preparazione ai capelli partendo dalla radice e spalmandola fino alla punta del capelli. Lascia asciugare per 15 minuti e sciacquare abbondantemente.
I capelli diventeranno più sani, più spendenti e più elastici.