martedì 31 ottobre 2017
Rocchetta Mattei: medicina alternativa e misteriosi rituali in un castello dell'Appennino bolognese
Il castello Rocchetta Mattei si trova in un piccolo borgo dell’Appennino bolognese, Grizzana Morandi, ed è un luogo incredibile. Non è solo un castello, non è solo una rocca, non è solo la dimora del nobile conte Mattei, è un percorso iniziatico e a volte salvifico per chi ha voluto curarsi con l’elettromeopatia.
Nel 1850 il conte Cesare Mattei pone la prima pietra della Rocchetta sulle rovine di un vecchio castello.
Il conte, nato nel 1809, ha grandi possedimenti terrieri e un ottimo rapporto con il papato.
Fino al 1848 si occupa di politica che abbandona per approfondire la sua conoscenza della medicina.
Si appassiona di omeopatia ed è avversato dalla medicina ufficiale anche perché, senza essere un medico, elabora nel 1881 una scienza dal nome elettroemopatia.
Combinazioni di granuli simil-omeopatici e fluidi elettrici secondo Mattei ristabiliscono le polarità del corpo umano sanandolo.
I preparati venivano da lui confezionati e spediti, e il loro potere curativo rimane a oggi un segreto.
I suoi rimedi sono stati la medicina alternativa più usata al mondo dal 1850 al 1950, e ancora oggi è praticata in molte parti del mondo.
La Rocchetta è la dimora dell’eclettico conte Mattei, un edificio anomalo come collocazione e architettura.
Visitarla è come vivere un pezzo di Spagna del Sud nel bel mezzo dell’Appennino bolognese.
Mattei ha voluto infatti ornare il suo castello con cupole a cipolla, archi e cortili sul modelli dell’Alhambra e della cattedrale di Cordoba.
Ma al di là dell’impatto visivo alquanto singolare, la Rocchetta Mattei è un intreccio simbolico e labirintico fatto di decori, scale ripide, cortili di accesso e stanze a tema ornati da stucchi e mosaici che in un gioco tra il vero, il verosimile e l’illusione dovevano accogliere colui che richiedeva il rimedio attraverso un percorso massonico fatto di tappe, simbologie ed interpretazioni.
Si attraversano porte, cortili e si ammirano da dentro e da fuori le torri dalle forme insolite, ci si affaccia sui giardini dove Mattei coltivava le piante dei rimedi, si visitano stanze a dir poco eclettiche quale il suo mausoleo, la sala che sarebbe dovuta servire a festeggiare il suo novantesimo compleanno (morirà ad 87 anni) con altri 90 novantenni, la cappella con archi moreschi, il cortile simile all’Alhambra, il suo studio insonorizzato dove parlando a bassa voce offriva le cure a chi gli affidava la propria salute.
Mattei era un signore rispettato e amato dalla gente del luogo, una sorta di benefattore che si circondava di gente, aveva un suo giullare e scherniva con sottile ironia chi lo aveva invece in antipatia.
Un personaggio la cui vita è ricca di episodi e aneddoti che non è difficile immaginare realizzarsi fra queste stanze e il dedalo di corridoi del castello.
La sua fama in vita arrivò fino in Russia tanto che viene citato, per voce del diavolo, anche da Dostojevski nei “Fratelli Karamazov”.
Molte sembrerebbero le guarigioni attestate ma, dalla sua morte, parte del segreto dei suoi rimedi non è più conosciuto e nel 1968 gli eredi terminano la loro commercializzazione.
La Rocchetta vive alterne vicende legate ai dissesti finanziari degli eredi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale divenne comando tedesco e per questo fu saccheggiata dagli Alleati.
Il castello andò in rovina fino a che, nel 1995, nacque l’associazione SOS Rocchetta onlus che portò avanti un’opera di sensibilizzazione per il recupero dell’immobile.
Nel 2005 la fondazione Carisbo lo acquista e finanzia il restauro conservativo.
Fonte: nonsoloturisti.it
lunedì 30 ottobre 2017
Dove il Gange raggiunge l’Africa
Dio creò per prima cosa queste isole dell’Oceano Indiano. E poi copiò il paradiso.
Lo scrisse Mark Twain, ma la frase non è sua.
L’ha presa in prestito da uno dei personaggi che ha conosciuto durante i suoi viaggi e l’ha inclusa nel libro “Seguendo l’Equatore”.
Si riferiva a l’isola di Mauritius. Ed è facile capire perché. Quando si posa piede sulle sue sabbie bianche, è facile vedere che questo luogo possiede tutti gli ingredienti per la creazione di una destinazione paradisiaca: spiagge esotiche, acque cristalline e temperature calde durante tutto l’anno.
Mauritius è l’isola principale dell’arcipelago, che è composto da una ventina di isolotti emersi dal mare milioni di anni fa, a causa di eruzioni vulcaniche sottomarine.
Le tracce di questo passato vulcanico sono ancora visibili nei paesaggi.
Succede a Trou aux Cerfs, nella località di Curepipe.
Lì un antico cratere vulcanico è stato colonizzato dalla vegetazione locale, formando un buco perfetto, dipinto completamente di verde.
Anche il lago più importante dell’isola, Grand Bassin, si è formato in un cratere naturale.
Racconta la leggenda che Shiva e sua moglie Parvati stavano sorvolando la terra su un velivolo fatto di fiori quando rimasero colpiti da un’isola circolata da un’acqua color smeraldo.
Shiva, che stava trasportando il Gange sulla testa per proteggere il mondo dalle alluvioni, decise di atterrare proprio lì. Alcune gocce d’acqua scivolarono a terra e formarono un bellissimo lago.
Il Gange si disse dispiaciuto, ma Shiva lo rincuorò promettendogli che i fedeli avrebbero compiuto un pellegrinaggio fin lì per pregare. Infatti ogni anno oltre mezzo milione di hindu in occasione del Maha Shivaratri (la maggiore festa fuori dai confini dell’India, dura due o tre giorni e si svolge tra febbraio e marzo, a seconda dei cicli lunari): i più devoti camminano a piedi dal loro villaggio fin qui. Arrivati a destinazione, eseguono una puja, bruciando incenso e canfora sulle rive del lago e offrendo cibo e fiori agli dei.
L’induismo è la principale religione dell’Isola di Mauritius, sebbene la diversità delle culture renda impossibile determinarne una ufficiale.
Le moschee coesistono con i templi buddisti e le statue di Shiva. Le tradizioni europee mostrano la loro influenza sull’essenza africana e danno luogo a una ricca miscela che può essere notata in particolare nel mercato di Port Louis.
Può essere una coincidenza, ma una delle principali attrazioni dell’isola è la metafora perfetta di questo cocktail culturale e cromatico: La Terra dei Sette Colori. Si tratta di un insieme di dune rosse, gialle, verdi, viola, blu… un arcobaleno di sabbia che si trova a Chamarel, a sud dell’isola.
Un altro dei fenomeni naturali più curiosi sono le ninfee giganti dei giardini di Pamplemousse, anche se questo paradiso è noto specialmente per le spiagge dalle acque calme e dalla sabbia fine. Alcune delle migliori sono Belle Mare, l’isola dei Cervi e Trou aux Biches, dove si trovano gli hotel principali.
Nella penisola di Le Morne, a sud-ovest dell’isola, si trova lo strano fenomeno della cascata sottomarina, un misterioso “buco nero acquatico” che sembra sul punto di inghiottire tutto ciò che gli passa vicino.
In realtà è un’illusione ottica, ma così bella che vale la pena farsi un’escursione in elicottero per apprezzarla.
Mark Twain non ne ebbe la possibilità. Né nessuno glielo chiese.
Fonte: passenger6a
sabato 28 ottobre 2017
In Cile c’è una laguna rossa che, fino a qualche anno fa, il mondo ignorava
A vederla, è tanto spettacolare quanto straniante: la Laguna Roja, in Cile, è stata svelata al mondo solamente nel 2009. Perché questo luogo sperduto, immerso nell’arido paesaggio delle Ande cilene, fino a quel momento era noto solamente alla gente del luogo: neppure il Servizio Nazionale del Turismo sapeva della sua esistenza.
Posto a 3.700 metri d’altezza, quello che è una sorta di lago dalle acque rosse come il sangue, dista 150 chilometri da Iquique, città nel nord del Paese.
A custodire i suoi segreti e le sue leggende, per secoli, sono stati gli Aymara, una popolazione che vive prevalentemente vicino al lago peruviano di Titicaca, ma anche in Cile, in Bolivia, nel nord del Cile e nel nordest dell’Argentina.
Sono stati loro, a circondare di un’aurea di mistero la Laguna Roja. C’è infatti una maledizione, che ruota attorno a queste rossissime acque: pare che, chiunque vi si avvicini, ne venga colpito.
Ed è (anche) questo il motivo per cui, fino al 2009, la Laguna non compariva sulle mappe, e nessuno sapesse indicare con esattezza il punto esatto in cui si trova.
Dietro questa credenza vi è la morte di numerosi Aymara per avere bevuto le acque di questo lago ritenuto “malvagio”.
Dalla profondità sconosciuta e l’alta temperatura (che oscilla costantemente tra i 40° e i 50°), la Laguna Roja ha anche due “gemelle”.
Più piccole, e dai colori diversi: l’una gialla, l’altra verde.
L’impressione è quella di trovarsi in un luogo mistico, ed è accentuata dal fatto che dei veri e propri studi – su questo sito – non sono mai stati condotti.
La particolare colorazione rossa delle acque, ad esempio, è stata solamente ipotizzata: pare sia dovuta a particolari specie di alghe, o forse a sedimenti qui disciolti.
La popolazione locale, invece, crede sia di natura soprannaturale: leggenda vuole che, a seguito di una lunga siccità, fossero state offerte tre vergini in sacrificio agli dei, perché questi concedessero un po’ di pioggia. Le ragazze furono abbandonate, legate a dei pali, in tre punti diversi.
I tre punti in cui ora si trovano le tre lagune.
L’acqua dunque arrivò, ma loro lanciarono una maledizione: chi avesse bevuto le acque di quei laghi, o ci si fosse immerso, avrebbe avuto gravi sciagure.
Fonte: siviaggia.it
giovedì 26 ottobre 2017
Baikal: il lago più profondo del mondo è soffocato da inquinamento e alghe
Il lago Baikal, il lago d’acqua dolce più profondo del mondo è fortemente inquinato e ha raggiunto livelli estremamente preoccupanti.
Con i suoi 25 milioni di anni è anche il più antico del mondo, un vero peccato lasciarlo morire così.
Sta subendo la più grave crisi di sempre e gli esperti dicono che un inquinamento così ad oggi non si era mai visto.
Il lago Baikal che si trova in Russia ed è sito Unesco con i 1700 metri di profondità è sempre stato luogo turistico per le sue acque cristalline.
Sul problema inquinamento è intervenuto anche il presidente Putin specificando che preservare il bacino ‘è senza dubbio una priorità del governo russo’.
Ma anche tutte le zone adiacenti sono vittime del degrado. Infatti, proprio per questo motivo, qualche mese fa è stata aperta un’indagine sull’inquinamento illegale intorno al lago Baikal e la promessa del presidente russo è stata quella di affrontare al più presto i danni all’ambiente e bonificare i territori inquinati.
Attorno al lago vivono oltre 3600 specie vegetali e animali, negli ultimi anni però il turismo sfrenato ha contribuito alla distruzione dell’ecosistema.
Diverse specie sono scomparse e il lago ghiacciato è sommerso da alghe, un fenomeno che per la prima volta si era verificato nel 2011.
Secondo gli esperti, si tratterebbe di alghe Spirogyra, la cui diffusione è dovuta anche allo sversamento di fosforo e prodotti inquinanti che mai dovrebbero raggiungere le acque di un lago.
Le conseguenze sono ad esempio la diminuzione di una specie della famiglia di salmoni.
Un paio di anni, c’era stata la scomparsa delle spugne nell’area del lago Baikal tra Capo Tolsty e Listvyanka, e anche in quel caso una delle teorie ipotizzate dagli esperti era quella dell’impatto disastroso dei turisti e dell’inquinamento prodotto, con la conseguente crescita di alghe dannose e maleodoranti.
E pensare che una legge speciale del 1999 prevede anche misure di prevenzione per il lago, norme che vengono evidentemente disattese.
Dal 2012, il governo russo finanzia programmi di trattamento e pulizia, ma i risultati a quanto pare tardano ad arrivare, il tutto a discapito di un bellissimo lago che sta piano piano morendo
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Dominella Trunfio
Il più antico astrolabio marino
È a tutti gli effetti un astrolabio, un antico "disco dei naviganti", l'oggetto di difficile interpretazione rinvenuto nel 2014 nel relitto di una nave portoghese al largo della costa dell'Oman.
Nel ventre dell'Esmeralda, vanto della flotta di Vasco da Gama, primo esploratore europeo a navigare direttamente verso l'India doppiando il Capo di Buona Speranza, è stato trovato quello che oggi si ritiene essere il più antico degli astrolabi marini, strumenti usati dai naviganti per determinare l'altezza del Sole sopra l'orizzonte a mezzogiorno e avere così un'idea della propria posizione.
La nave affondò durante una tempesta nell'Oceano Indiano nel 1503. L'astrolabio risalirebbe invece a una manciata di anni prima, tra il 1495 e il 1500.
Il disco di bronzo di 2 millimetri di spessore e 17,5 centimetri di diametro è stato riportato in superficie nel 2014, insieme ad altri 3.000 reperti, da una spedizione congiunta dell'Università di Bournemouth (UK), del Ministero della cultura dell'Oman e della società privata Blue Water Recoveries, con il supporto del National Geographic Society Expeditions Council.
Da subito era sembrato un oggetto di grande valore: recava infatti due stemmi, quello della corona portoghese e quello che in seguito è stato identificato come l'emblema personale di Don Manuel I, Re di Portogallo dal 1495 (da qui la possibile datazione).
Si sospettava potesse essere un astrolabio, ma non si vedevano le tacche che permettono di determinare l'altezza del Sole.
Una più recente analisi con scanner laser effettuata nei laboratori dell'Università di Warwick (UK) ha infine messo in luce le segnature a raggiera dal centro ai bordi del disco, separate l'una dall'altra da angoli di 5 gradi.
Gli astrolabi marini sono piuttosto rari: prima di questo ne sono stati trovati in tutto 108.
Quello dell'Esmeralda, realizzato per forza di cose prima del 1502 (l'anno in cui la nave salpò da Lisbona) e dopo il 1495 (incoronazione del re del Portogallo) precede i più antichi strumenti di navigazione conosciuti di almeno 30 anni.
Fonte: focus.it
mercoledì 25 ottobre 2017
Città del Messico, la parata che anticipa il Dia de Los Muertos.
Il 23 ottobre si è svolta, come ogni anno, la parata che anticipa el Dia de Los Muertos in Messico, corrispondente alla nostra giornata dei morti.
Un evento che in tutto il Messico e in particolare a Città del Messico è molto sentito, al punto da essere celebrato con una vera e propria festa, allegra e colorata.
Il Giorno dei Morti – che si celebra l' 1 e il 2 novembre – è un giorno molto importante per i messicani, in cui si ricordano i propri cari defunti, ma senza un velo di tristezza, bensì con danze, canti e travestimenti colorati.
Un giorno talmente sentito che per le strade di Città del Messico si fanno le prove generali già settimane prima del fatidico "Dia de los muertos", il giorno, secondo la tradizione messicana, in cui i morti tornano a trovare parenti e amici.
Nella capitale messicane travestiti e in festa hanno sfilato migliaia di persone.
Il culto dei morti è una tradizione profondamente radicata nella cultura messicana, da migliaia di anni: testimonianze rilevano infatti che i popoli precolombiani credevano che la vita e la morte fossero in forte connessione e che l’una non potesse esistere senza l’altra.
Tipico di questa festa sono “calaveras”, dolci a forma di teschio realizzati con zucchero di canna e incartati in involucri colorati.
Un altro prodotto tipico della festa è il Pan de Muertos, dolce tipico realizzato in casa, fatto con ingredienti semplici e simbolo della festa.
La calavera è un altro simbolo della festa dei morti messicana, ed è anche la maschera tradizionale che vedrete sfilare in giro.
Fonte: travelblog.it
martedì 24 ottobre 2017
Donald R. Griffin e la “bomba pipistrello”
Donald R. Griffin (1915-2003) è stato uno dei più grandi zoologi americani del XX Secolo.
Quando era ancora studente ad Harvard iniziò a indagare sulle straordinarie e, ai tempi, inspiegabili capacità di orientamento dei pipistrelli nell’oscurità.
Per approfondire le sue ricerche Griffin installò, all’interno di un piccolo fienile, una serie di ostacoli che dovevano essere evitati dagli animali in volo, nel buio pressoché totale.
Con queste ricerche, condotte in collaborazione col neuroscienziato Robert Galambos, Griffin riuscì a identificare il sistema di navigazione dei pipistrelli, a cui nel 1944 diede il nome di “ecolocalizzazione”.
Grazie a un sistema in grado di registrare anche le frequenze non udibili, gli scienziati scoprirono infatti che i pipistrelli emettevano note di un’ottava più acute del limite massimo di sensibilità dell’orecchio umano.
Basandosi sull’eco generata da questi suoni, gli animali erano così in grado di identificare gli ostacoli con grande precisione.
La controprova venne data dal fatto che i pipistrelli, se venivano loro tappate la bocca o le orecchie, non erano più in grado di orientarsi al buio.
In seguito questo sistema venne scoperto anche nei cetacei e in alcune specie di uccelli.
Griffin proseguì brillantemente la sua carriera, insegnando zoologia in diversi atenei americani e scrivendo saggi di grande successo. Tra i suoi testi più celebri, “L’animale consapevole” del 1976 ebbe una fondamentale importanza nel campo delle scienze del comportamento, perché fu tra i primi a sostenere che gli animali sono dotati di coscienza propria.
Questo lavoro gettò le basi per lo sviluppo della moderna etologia cognitiva, lo studio della consapevolezza e delle intenzioni nel comportamento animale.
Nonostante gli indiscutibili meriti però, il professore americano è noto anche per vicende che poco hanno a che fare col welfare animale.
Nel corso della Seconda guerra mondiale, infatti, fu proprio Griffin a suggerire all’allora presidente americano Franklin Delano Roosevelt di sfruttare la Bat bomb, letteralmente “Bomba pipistrello”, per attaccare le città giapponesi.
Questo sistema, sviluppato da un dentista della Pennsylvania, tal Lytle S. Adams, prevedeva l’utilizzo di una sorta di “ordigno”, suddiviso al suo interno in un migliaio di cellette.
Ciascuna di queste conteneva un pipistrello della specie Tadarida brasiliensis in stato di ibernazione.
A ognuno di questi animali era collegata una piccola bomba incendiaria al napalm, dotata di timer.
Il grande ordigno veniva rilasciato da un aereo, si apriva in volo lasciando liberi gli animali, che volavano e trovavano rifugio sotto i tetti, nelle grondaie, dentro ad ogni anfratto. Le case giapponesi, realizzate principalmente in materiali infiammabili come carta e bambù, avrebbero facilmente preso fuoco.
Il risultato finale sarebbe stato un incendio su vasta scala, generato da centinaia di piccoli focolai ben distribuiti.
Dopo due milioni di dollari spesi, alcuni test e un deposito militare incendiato per errore, il progetto venne abbandonato dall’esercito americano: sarebbe stato pronto per l’utilizzo soltanto verso metà 1945, quando la bomba atomica era già in fase di completamento.
FONTE: RIVISTANATURA.COM
Nello Utah c'è un incredibile tunnel della metropolitana scavato nella roccia
Next stop, Zion National Park.
In tutto il mondo la metropolitana è sotterranea. Ma solo in Utah ne esiste una tutta naturale: si tratta di una lunga e spettacolare galleria circolare scavata nella roccia in migliaia di anni d'azione erosiva dell'acqua, ribattezzata appunto The Subway, la metropolitana.
Siamo nel punto d'incontro fra l'altopiano del Colorado, il Gran Bacino e il deserto del Mojave, in un parco naturale di 600 chilometri quadrati.
Da qui non passa alcun treno, ma si può varcare il tunnel a piedi dalla parete sinistra del North Creek.
Non ci sono tornelli o biglietterie, ma per accedere bisogna richiedere un permesso: da novembre a marzo si può prenotare tradizionalmente; per gli altri mesi invece, visto l'alto numero di richieste, è stata istituita una sorta di lotteria.
Tutto il tunnel è formato da millenarie pareti di roccia multicolor ed è inframezzato da sorgenti e corsi d'acqua che formano dei laghetti sotterranei.
Un paesaggio indimenticabile, per una metropolitana che nessun artista o architetto potrà mai eguagliare.
Fonte: lastampa.it
lunedì 23 ottobre 2017
Il pozzo indiano di Chand Baori
Vero e proprio simbolo dell’ingegneria idraulica dell’antichità è Chand Baori, un pozzo a gradini situato nel villaggio di Abhaneri vicino a Jaipur, nello stato indiano del Rajasthan.
Costruito intorno al VII secolo d.c, anche se alcune fonti lo datano al IX, è situato di fronte al tempio di Harshat Mata.
Il pozzo è formato da 3500 gradini divisi per scalinate che scendono per oltre 13 piani.
Si spinge per circa 100 metri sotto al livello del terreno, il che lo rende il più ampio e profondo pozzo a gradini dell’India.
Si tratta di un bacino in cui l’acqua può essere raggiunta scendendo attraverso una serie di passaggi.
Questi tipi di pozzo si trovano in India occidentale, ma anche nelle regioni aride del Pakistan.
Ciò che lo distingue dai serbatoi d’acqua, è che il pozzo a gradini rende più facile raggiungere la falda acquifera.
Essi sono più semplici per il mantenimento e la gestione operativa, e nell’antichità servivano anche per altri scopi, ad esempio come luoghi dove ristorarsi dalla calura, di aggregazione sociale e teatro di cerimonie religiose.
Il pozzo prende il nome dal suo costruttore, il re Chand di Abhaneri e dalla parola “baori”, termine utilizzato nell’India occidentale per indicare costruzioni di questo tipo.
Il livello dell’acqua era legato al periodo dell’anno.
Nei momenti di siccità era ovviamente più basso, mentre negli altri periodi bisognava scendere meno scalini.
Chand Baori è a ragione considerato uno dei più mirabili esempi di architettura del passato, e la leggenda legata alla sua costruzione vuole che il pozzo sia stato costruito in una sola notte dagli spiriti.
Di fronte ai gradini si trova il tempio di Harshat Mata risalente al VII secolo, lo stesso periodo della scalinata.
L’acqua era necessaria per le abluzioni rituali che dovevano essere eseguite dai fedeli prima di recarsi al tempio e quindi la storia di queste due costruzioni è necessariamente legata.
Non è facile per un europeo trovare un approccio all’architettura indiana, soprattutto se cerchiamo riferimenti con l’architettura contemporanea occidentale.
Concetti a noi noti come peso, arco e sostegno non sono traducibili in un codice architettonico indiano.
Dobbiamo pensare invece ad un rigoroso reticolo di forme geometriche basate principalmente su triangolo e quadrato. Spiritualità, ingegneria e tradizione hanno permesso alla cultura indiana di raggiungere vette altissime per complessità e raffinatezza.
E ne sono esempio proprio questi pozzi a gradoni disseminati in tutta l’India.
Ciò che colpisce a Chand Baori è la modularità quasi ipnotica delle pareti.
È ingegno per la sopravvivenza allo stato puro, poiché per secoli questi pozzi hanno garantito l’approvvigionamento idrico in uno dei paesi dalle riserve d’acqua più esigue.
Nell’antichità, in Rajasthan, si cominciarono a scavare giganteschi pozzi per sfruttare le violente, ma brevi piogge monsoniche che si alternavano a lunghissimi mesi di siccità.
Questi pozzi venivano costruiti dal basso verso l’alto, lastricati con enormi blocchi di pietra e dotati di versanti di scalinate che permettevano di raggiungere l’acqua a qualsiasi livello si trovasse. La tecnica di depurazione delle acque piovane era raffinata: l’acqua cadendo all’interno del pozzo filtrava attraverso il limo finissimo, fino a raggiungere il fondo ricoperto di argilla, per essere poi disponibile nella stagione secca.
Per millenni questi sistemi hanno aiutato intere popolazioni a lottare contro la siccità.
Oggi molti pozzi sono chiusi e sostituiti da un sistema tradizionale di acquedotti che non risolve l’emergenza acqua.
Queste stupefacenti imprese ingegneristiche si sono spesso rivelate superiori rispetto ai moderni progetti idraulici che hanno visto l’India protagonista negli ultimi anni.
Fonte: oubliettemagazine.com