giovedì 19 febbraio 2015

Asclepias syriaca, la pianta dei pappagalli


Di solito è l’uomo ad imitare la natura, ma mai come in questo caso la natura imita se stessa.
 Parliamo della Asclepias syriaca, che è meglio conosciuta come pianta dei pappagalli, e all’estero come Green Parrot.




Il nome deriva dalla particolare conformazione dei suoi frutti, che sono di colore verde, piumati e allungati.
 La loro forma ricorda davvero quella di piccoli pappagalli.
 Prima di sviluppare i propri frutti, la pianta presenta dei delicati fiori di colore rosa, raccolti in un grappolo, da cui poi prenderanno forma i particolari frutti.
 Proprio per questa caratteristica, la Asclepias syriaca viene utilizzata soprattutto come pianta ornamentale.


La pianta fiorisce e fruttifica in una posizione soleggiata e preferisce i terreni umidi.
 I suoi fiori presentano un’utilità davvero preziosa.
 Attirano infatti sia le api che le farfalle, grazie al loro colore e al loro profumo.
 Api e farfalle, come sappiamo, sono di fondamentale importanza per l’impollinazione, l’agricoltura e gli ecosistemi.




La pianta dei pappagalli di solito viene coltivata in giardino o sui bordi delle aiuole. 
Bisogna porre attenzione nel maneggiarla, poiché la linfa presente all’interno delle sue foglie può irritare la pelle e risultare fastidiosa per gli animali domestici.


Ma se la pianta viene trattata con cura e rimane intatta non esiste nessun pericolo.

 L’Asclepias syriaca è originaria del Canada ed è in seguito stata importata in Europa, dove viene coltivata senza problemi. Preferisce terreni sabbiosi e può raggiungere il metro di altezza.
 La vedrete fiorire tra giugno e agosto. In seguito, verso l’autunno, si formeranno i caratteristici frutti.

 Fonte: greenme.it

Duemila monete d'oro ritrovate al largo delle coste di Cesarea

Da un antico porto al largo delle coste israeliane è stato portato alla luce un tesoro in monete d'oro.
 A scoprirlo per primi i membri di un club per le immersioni subacquee.
 Si pensa che il tesoro possa appartenere ad un antico relitto nascosto nelle sabbie del fondale.
Il ritrovamento è avvenuto al largo delle coste di Cesarea, città portuale costruita da Erode il Grande circa 2000 anni fa. 
Al momento in cui le monete sono state coniate, Cesarea era una vivace cittadina portuale al centro del Regno Fatimida. I Fatimidi, al culmine del potere, governavano una regione vastissima che comprendeva il Nordafrica e gran parte del Mediterraneo.



Le monete, quasi duemila, sono tutte in buono stato di conservazione, sembra che non necessitino nemmeno di essere pulite, almeno stando a quanto ha dichiarato Robert Cole, numismatico della Israel Antiquities Authority.
 La moneta più antica del tesoro è stata coniata in Italia intorno al IX secolo. La maggior parte delle altre sono state coniate in Nordafrica e in Egitto durante i regni dei califfi Fatimidi Al-Hakim e Al-Zahir, che governarono dal 996 al 1036. 
Molte delle monete sono piegate, mentre altre hanno, incisi, i segni dei denti lasciati - probabilmente - da antichi commercianti che usavano "saggiare" il denaro per assicurarsi che non fosse stato coniato con metalli di qualità e valore inferiori.

 Non è la prima volta che gli archeologi si imbattono in un tesoro in oro. 
Nel 2013 gli archeologi israeliani scoprirono centinaia di monete d'oro e gioielli in un cesto di epoca bizantina sepolto in una fossa fuori dalla città di Tel Aviv.

La donna che sussurra ai ghepardi


«Perchè uccidete i ghepardi?».
 Laurie Marker aveva 35 anni quando nel 1990 si presentò nelle piccole fattorie della Namibia, da pastori, allevatori e agricoltori che sopravvivevano (e sopravvivono tutt’ora) con un fazzoletto di terra regalato dal governo.
 Farmer di colore «perché i bianchi hanno fattorie ben più importanti e produttive», per cui una capra rappresenta il reddito per mandare i figli a scuola: se il ghepardo mangia la capra, il ghepardo è il nemico.

 Laurie Marker è forse la prima ad aver coniugato la difesa di una specie in via di estinzione con la salvaguardia di un territorio e una popolazione. 
«Il Cheetah Conservation Fund è molte cose - racconta -. Siamo un centro di ricerca di livello mondiale, in biologia, ecologia e genetica del ghepardo.
 Lavoriamo non solo per aiutare gli animali, ma anche per combattere i problemi delle comunità umane che con loro condividono le stesso territorio.
 È vero che educhiamo i farmer, ma in realtà stiamo cercando di educare una nazione, per la conservazione dei ghepardi». Convincendo i farmer, la «donna dei ghepardi» è riuscita a mettere un freno alla scomparsa della specie, il suo centro si occupa, oltre che di assistere animali feriti, anche di educare i pastori a una «convivenza» con i predatori.


«E se perdessimo i ghepardi?». 
Con questa domanda Laurie Marker gira il mondo, per conferenze e dibattiti ovunque sia invitata.
 Durante gli incontri spiega come è riuscita a convincere i pastori a prendere cani per la difesa del gregge: «Khayam è il ghepardo che mi ha dato la visione e mostrato la via per salvarli. 
Ha vissuto 16 anni, l’ho portato dagli Usa dove viveva in cattività. Sono animali eleganti e meravigliosi, simbolo di eleganza e velocità per tutte le culture. Perché dovevano sparire dalla Terra? 
Khayam - ricorda Laurie Marker - mi ha aiutato a educare i pastori, anzi a educare una nazione». 

 Nel suo centro c’è anche un piccolo allevamento di cani pastore dell’Anatolia, che «sono in grado di allontanare i ghepardi dal gregge. 
Questi cani sviluppano uno stretto legame con il gregge, lo proteggono. Così non è più necessario uccidere i predatori».

 La Marker va a cercare i «suoi» cani fino in Turchia: oltre 500 cuccioli sono stati trasferiti dall’Anatolia all’Africa, ma la richiesta aumenta ogni stagione.
 Emblematica la storia di uno dei cani, Bonzo, diventato una star sul Web: in sette anni ha ridotto quasi a zero gli assalti dei ghepardi al gregge del suo pastore.
 «Erano proprio le comunità di pastori a minacciare la sopravvivenza dei predatori - racconta Laurie - a causa del conflitto uomo-animale sempre più aspro, dovuto a una distruzione dell’habitat che aumentava di anno in anno per la crescita di allevamenti».






«Siamo anche un luogo dove i visitatori possono venire a conoscere da vicino la magnificenza e la grazia dei ghepardi - dice orgogliosa Laurie -.
 Alla fine di tutto infatti noi facciamo quello che facciamo per vincere la corsa per salvare il ghepardo. 
Abbiamo perso il 90 per cento della popolazione mondiale di ghepardi nell’ultimo secolo, e se vogliamo avere ancora ghepardi nei prossimi 100 anni, dobbiamo agire ora per fermare la perdita di habitat, il conflitto uomo-animale e il commercio illegale di animali». 

Fonte: http://www.lastampa.it