martedì 17 giugno 2014

“La corruzione in Italia non è più un reato”

 

L’esperto Alberto Vannucci.
In Italia i colletti bianchi sono solo lo 0,4 per cento dei detenuti, a fronte di una media europea dieci volte superiore, anche se da noi le tangenti sono molto più comuni che nel resto della UE.
Ma se ci concentriamo solo sulle mazzette, i dati sono ancora più incredibili: in tutto il Paese, i condannati che si trovano in carcere per corruzione sono meno di dieci”.
La fotografia del professor Alberto Vannucci, che dirige il Master in Analisi e prevenzione della corruzione all’università di Pisa, racconta una realtà dove lo scandalo del Mose non dovrebbe creare alcuno scalpore:
“È lo stupore che mi stupisce.
Mose, Expo 2015, G8 alla Maddalena, mondiali di nuoto e così via avevano tutti un epilogo scontato, come ogni grande opera realizzata con quei criteri.
Non potrebbe essere altrimenti”.
È rassegnato professore?
Il problema è che la corruzione, di fatto, è stata depenalizzata. Addirittura?
Sono stati scientificamente introdotti meccanismi che hanno reso il lavoro dei magistrati sempre più difficile.
Poi c’è l’ultima legge delega del governo, ennesimo salvacondotto per i colletti bianchi.
Se prima erano quasi certi di farla franca, ora ne avranno la matematica certezza.
E manterranno pure la fedina penale pulita.
Per sfuggire al processo, però, bisognerà risarcire i danni provocati. Le assicuro che resta comunque molto conveniente: le somme di denaro che s’intascano sono davvero ingenti.
Provvedimenti come l’abolizione del falso in bilancio, la salva-Previti, le altre varie leggi ad personam, e quest’ultima legge delega sono criminogene.
Eppure Renzi promette interventi rigorosi per contrastare questo fenomeno, che tra l’altro costa all’Italia 60 miliardi di euro ogni anno.
È una contraddizione tipica della politica italiana.
È difficile capire se questa legge delega, coi suoi sconti di pena e i suoi regali ai colletti bianchi, è frutto di superficialità, incapacità, o peggio di malafede.
Del resto il premier è legato a una maggioranza eterogenea, che da sempre, in alcune sue componenti, è molto sensibile a queste istanze.
La maledizione delle grandi intese.
Per le cricche direi che è una benedizione.
Comunque l’armonia bipartisan, nell’avallare questo sistema di corruzione ormai endemico, è diffusa.
Il Mose è l’esempio perfetto: sono finiti nei guai, tra gli altri, un sindaco di sinistra e un ex presidente di regione di destra.
E parliamo di un’opera interminabile, che ha già sforato di parecchi anni i tempi previsti, triplicando i costi, ponendo al centro questa figura – unica in Europa – del concessionario unico.
Soggetto potentissimo che tiene tanti a libro paga, tra cui politici a sua completa disposizione.
La corruzione sa trasformarsi e adattarsi in modo duttile a contesti diversi, non è una realtà omogenea.
Expo e Mose, per esempio, sono casi completamente diversi. Com’è possibile che, nonostante i continui scandali, sia ancora così semplice sfuggire ai controlli?
C’è una governance multi-livello della corruzione che coinvolge dall’amministratore locale ai vertici delle istituzioni.
È un sistema ben consolidato e mai scalfito, che dagli anni Ottanta si appella all’emergenza per fare tutto in deroga, garantendo così una perenne mangiatoia di Stato.
Si sono appellati all’emergenza persino per i festeggiamenti dei 500 anni dalla scoperta dell’America, prevedibili da 5 secoli.
C’è anche un problema di burocrazia ?
Certo. Se vuoi rispettare le leggi vai incontro all’incapacità della Pubblica amministrazione, all’inefficienza delle procedure, alla cattiva allocazione delle risorse.
Per questo l’emergenza è diventata, da noi, la norma: si accumulano scientificamente ritardi, come per Expo 2015, così da procedere in deroga.
Cosa si può fare? Riformare il sistema aiuta, ma il problema, come dice il commissario Cantone, è soprattutto culturale.
Questo non dev’essere però un alibi per autoassolversi.
Bisogna investire con lungimiranza sull’istruzione e recuperare l’effetto deterrente delle condanne: i corrotti devono pagare e la società deve riconoscere la gravità di certi reati.
La sanzione, insomma, dev’essere anche sociale.
Ma essere ottimisti è difficile: il secondo più votato alle Europee, con voto di preferenza, è proprio un condannato in primo grado per corruzione.

Da Il Fatto Quotidiano del 07/06/2014

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