venerdì 6 dicembre 2013
Il mito del dio serpente....Lo troviamo nelle tradizioni di tutto il mondo
La fonte storica più importante per conoscere la storia degli ebrei è la Bibbia.
Secondo le conoscenze attuali, la Bibbia è un insieme di testi, ricompilati a partire dal XIII secolo a.C.
La Storia degli ebrei risale tradizionalmente ad Abramo, che viveva ad Ur, in Mesopotamia, intorno al XIX secolo a.C. Secondo la Bibbia Abramo ricevette da Dio l’ordine di andare in Palestina. I successori di Abramo furono Isacco e Giacobbe, considerato il capostipite del popolo ebraico, infatti i suoi dodici figli guidarono le famose dodici tribù d’Israele.
Intorno al XVIII secolo a.C, gli ebrei migrarono in Egitto in seguito ad una forte carestia.
Dopo vari secoli di vita prospera l’etnia degli ebrei fu perseguitata e, sotto la guida di Mosé, (XIII secolo a.C.), s’insediarono nuovamente in Palestina.
Dopo un periodo di circa 200 anni durante il quale furono guidati da un gruppo di giudici, iniziò il periodo classico della loro storia, con i regni di Saul, David e Salomone.
Alla base della tradizione biblica sta il patto tra Dio, il cui nome ebraico è stato traslitterato in YHWH (dal verbo “essere”), e l’uomo, Mosè che, sempre secondo la tradizione, vennero consegnate le tavole della Legge, che furono poi conservate nell’Arca dell’Alleanza.
E’ riconosciuto dalla maggioranza degli storici ed epigrafisti che la Bibbia iniziò ad essere scritta intorno al X secolo a.C., con l’eccezione della Genesi, che potrebbe essere stata scritta qualche secolo prima (XIII secolo a.C.).
E’ interessante analizzare il perché nella Genesi fu utilizzato il simbolo del serpente come nemico di Dio, come entità tentatrice, da molti associato a “satana”, ovvero ad “un angelo che si è ribellato al Creatore e vuole giungere alla conoscenza”.
Perché “satana” fu simboleggiato proprio dal serpente nella Genesi, e non da un altro animale? Sembra che i cosiddetti scrittori jahvisti, ovvero adoratori di YHWH, inteso come “Assoluto Creatore del Cielo e della Terra”, abbiano attuato una scelta mirata nel scegliere il serpente come simbolo del male, ovvero come simbolo dell’ “antagonista di Dio”. I due animali sacri nella cultura siro-cananea erano il toro e il serpente.
Il serpente, in particolare, era visto come un animale positivo, simbolo della vita (la sua pelle si rigenera indefinitamente).
Esso vive negli anfratti e per questo richiama al concetto di utero e quindi di generazione della vita.
Il serpente è associato fin da tempi antichissimi alla Luna, in quanto anch’essa rinasce disfacendosi della sua ombra (da luna crescente a luna piena).
Infine il serpente era visto come simbolo di saggezza, in quanto vive nell’inframondo e prevede l’avvenire.
Da notare che il serpente era un simbolo di saggezza e vita anche in molte altre culture pre-bibliche, come per esempio nelle culture dell’India dalle quali si originò il concetto di serpente attorcigliato su se stesso tre volte e mezza, e nelle culture americane, dove il serpente fa parte della Trinità andina ed è visto come entità positiva Il culto dei serpenti era, in India come altrove, diffuso già prima del V secolo.
I Nāga erano un popolo di esseri metà uomo metà serpente, depositari di un'antica conoscenza.
Gli stessi Asura, una classe di dei vedici erano raffigurati anche come dèi-serpente.
« Il Veda è in realtà il sapere dei serpenti.
Tornando ai culti dei Cananei, bisogna sottolineare che il loro Dio principale, prima dell’arrivo degli ebrei in Palestina, era Baal, Dio della fertilità, della vita, che era associato al serpente e a volte rappresentato come una divinità fallica.
Nella mitologia cananea Baal era figlio di El, il Creatore del mondo. Dopo l’arrivo degli ebrei in Palestina coesistettero i due Dei, da una parte Baal, adorato da secoli, il cui culto era radicato nel substrato dei Cananei, e dall’altra YHWH, che era stato introdotto dagli ebrei.
La popolazione ebraica invece aveva assimilato i due Dei e aveva attuato un sincretismo tra essi.
Entrambi erano visti come generatori di vita, dispensatori di pioggia, e quindi propiziatori di fertilità.
Però il culto per Baal era talmente radicato nella popolazione che molti lo adorarono fino al VII secolo a.C.
Ed ecco che torniamo alla Genesi, che ha le sue origini in antichi miti dei Cananei, infatti vi troviamo l’albero della vita, con il serpente al suo fianco (generatore di vita).
Però nella Genesi il ruolo del serpente è opposto rispetto ai miti cananei.
Cosa voleva indicare l’autore biblico? Secondo alcuni studiosi il serpente è stato scelto con accuratezza proprio per sottolineare che ciò che produceva vita e fertilità in Canaan era fonte di instabilità e dissidio in Israele, che distanziava l’uomo dal vero e unico Dio, YHWH, ovvero dal concetto monoteista puro.
Dopo essere stato tentato dal serpente, che viene descritto come un semplice “animale”, nella Genesi, l’uomo viene scacciato dal Giardino e non ha più accesso ai simboli dell’albero della vita e della conoscenza.
Viene introdotto così il concetto di “colpa” e Dio (YHWH), viene visto come trascendente, al di fuori della natura, ovvero: “causa prima”, “Assoluto”.
E’ stato lo scontro tra due diverse visioni del mondo: da una parte il mondo panteistico, dove Baal era parte della “natura”, rappresentava uno degli Dei, e propiziava la fertilità, e dall’altra il concetto nuovo del monoteismo, ovvero della “causa prima”.
Ecco che nella Genesi, il serpente è Baal, visto come il “male”, che offre all’uomo la conoscenza e la fertilità, ma viene punito da Dio, e trasformato in un semplice animale, ora simbolo del male, e non più della vita e della fertilità.
Eppure, la figura del serpente non è presente soltanto nei racconti della tradizione semitica che ha partorito il racconto di Genesi.
Se guardiamo alla mitologia delle altre culture umane, scopriamo uno scenario popolato di rettili, serpenti piumati
e strani esseri ibridi rettiloidi
.
Secondo alcuni studiosi, la frequenza della figura serpentina nelle tradizioni e nella simbologia umana affonda le radici in qualcosa di reale accaduto agli albori dell’evoluzione dell’uomo.
Lo scenario raccontato dai miti di tutto il mondo è pressoché lo stesso: esseri considerati divini, dalle sembianze rettili e dai grandi poteri, hanno consegnato nelle mani dell’umanità la conoscenza tecnologica e la civilizzazione
Apophis (in egizio Aapep,Aapef) il serpente primordiale,
La figura del Drago si è sviluppata in Cina più di 4000 anni fa,
Il Caduceo, o bastone alatoMercurio del dio greco Hermes (Mercurio per i romani), è uno dei simboli più antichi della storia dell'umanità, comune a civiltà diverse
La sua immagine, raffigurante spesso due serpenti attorcigliati in senso inverso intorno ad una verga ornata d'ali, è stata rinvenuta, oltre che nei templi greco-romani, su tavolette indiane dell'antica civiltà vedica e altrove.
Il reperto archeologico più antico è una coppa appartenuta al re Giuda della città mesopotamica di Lagash, alla confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate, sulla quale è nitidamente inciso il simbolo.
in parte tratto da YURI LEVERATTO
www.yurileveratto.com/it
L' antica Spezieria di Santa Maria della Scala
L’antica Spezieria si trova al primo piano del convento dei Carmelitani Scalzi, annessa alla Chiesa di Santa Maria della Scala, ed è un piccolo gioiello che conserva il laboratorio galenico e il frantoio originari, insieme alle maioliche colorate, i vasi, le bilance, gli alambicchi di distillazione, i mortai, mentre sono del Settecento l’arredamento, le scaffalature, le vetrine e il bancone, e risale all’ottocento l’adiacente laboratorio liquoristico.
Originariamente istituita per le necessità dei frati, che coltivavano nell’orto le piante medicinali necessarie alla loro salute, alla fine del Seicento fu aperta a tutti e divenne così famosa che vi ricorrevano anche principi, cardinali e perfino i medici dei pontefici. Questo gli valse l’appellativo di “farmacia dei papi” e i relativi benefici fiscali. Nell’atrio e sulla porta d’ingresso vi sono ancora i ritratti Fra Basilio della Concezione (1727-1804), farmacista del Settecento che consolidò la fama dell’esercizio inventando celebri medicamenti come l’acqua contro l’isterismo e quella definita “antipestilenziale”, perché sembrava proteggere chi veniva a contatto con malati contagiosi.
Tra i cimeli più singolari vi è il Trattato delli semplici, un rarissimo erbario attribuito allo stesso fra’ Basilio, un libro enorme dove venivano elencate tutte le erbe medicamentose di cui si conservava sulla pagina un esempio essiccato.
Singolare anche il vaso della theriaca, un farmaco messo a punto da Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, composto di 57 sostanze diverse fra cui carne di vipera maschio, considerata un infallibile antidoto contro i veleni.
La Theriaca fu usata fino alla metà del secolo scorso, fino a quando non si sono estinti anche i ‘viperai’, i raccoglitori di vipere vive.
Sulle ante degli armadi sono dipinti padri della medicina come Ippocrate, Galeno, Avicenna, Mitridate e Andromaco, mentre all’interno degli armadi sono ritratti Vittorio Emanuele I e la moglie Maria Teresa d’Austria, in ricordo di una visita effettuata dai reali nel 1802, oppure Umberto I principe di Piemonte con la duchessa d’Aosta Elena, altri visitatori della farmacia.
Negli ambienti retrostanti vi era il laboratorio vero e proprio, dove non venivano preparati solo i distillati medicamentosi, ma anche alcuni liquori tutt’ora venduti nella farmacia sottostante.
In queste stanze sono conservate ancora oggi centrifughe, imbottigliatrici, diversi caldai di differenti misure per i decotti, presse per la spremitura, torchi e setacci, mentre in una piccola stanzetta anche una sterilizzatrice e una pilloliera che trasformava gli impasti in pillole.
A caratterizzare l’arredo ci sono anche due scritte in latino che tradotte recitano più o meno “Dalla terra l’Altissimo creò i medicamenti: l’uomo prudente non li avrà in dispregio” e “Né l’erba li guarì né la miscela; sì la tua parola, Signore, la qual sana ogni cosa”.
Saggezza risalente ad un’epoca nella quale si faceva più affidamento alle mani del Signore che al resto, ma certamente ancora efficace davanti ai ‘prodigi’ della sanità pubblica odierna.
La spezieria della Scala ha continuato il suo servizio fino al 1978 e sino agli anni ’50 ha distribuito genuini medicinali a prezzi moderati tenendo aperto al pubblico un ambulatorio gratuito.
Oggi la spezieria si può visitare , e sugli scaffali settecenteschi si possono ammirare i vasi ancora pieni, mentre rimedi, ricettari ed erbari sono disposti come se questa non avesse mai chiuso.
La rupe Tarpea
Un misto di storia e leggenda è racchiuso nelle vicende legate alla rupe Tarpea e alle oche del Campidoglio.
Pur essendo il più basso e il meno esteso dei sette colli di Roma, il Campidoglio è forse quello più legato agli avvenimenti storici della città, in quanto fulcro fin dall’antichità delle attività politiche e religiose di Roma.
La leggenda narra che ai tempi della fondazione di Roma il colle fu conquistato dai Sabini grazie al tradimento della romana Tarpea, la quale avrebbe aperto le porte di accesso della città in cambio degli anelli e dei bracciali d’oro posseduti dai nemici.
Tarpea non ebbe comunque fortuna, e fu a sua volta tradita dagli stessi Sabini che, una volta entrati, la sommersero con i loro scudi uccidendola.
Questa la leggenda, ma molto probabilmente Tarpea altro non era che una divinità tutelare della collina più antica del Campidoglio, Mons Tarpeium, su cui sembra sorgesse la statua della divinità, posta come un trofeo sopra una catasta di armi.
Per tutta l’antichità il Mons Tarpeium fu tristemente utilizzato come burrone da cui venivano precipitati tutti coloro che erano accusati di tradimento: da qui il nome di rupe Tarpea.
Ma l’episodio più celebre che riguarda il Campidoglio è senz’altro legato all’invasione del 18 luglio del 390 a.C., giorno in cui i Romani furono sconfitti dai Galli presso il fiume Allia. L’avanzata nemica proseguì nei tre giorni successivi, quando i Galli raggiunsero Roma e la saccheggiarono, ad eccezione del Campidoglio che si salvò dal sacco e resistette per qualche mese.
La leggenda vuole che l’attacco notturno dei Galli fu sventato grazie allo starnazzare delle oche capitoline tenute nel recinto sacro del tempio di Giunone: il Campidoglio fu quindi salvato dalle sue oche!
In ricordo dell’episodio venne eretto nel 353-344 a.C. il tempio di Giunone Moneta (moneta o “ammonitrice”). Presso il tempio di Giunone ebbe sede la prima zecca (officina moneta dal nome del tempio, da cui deriva il termine odierno di “moneta”).
Poodle Mooth, la "falena-barboncino".
Si tratta di una falena ("moth") di colore bianco dall'aspetto molto simile a quello di un barboncino ("poodle"), che proprio pr questo motivo è stata battezzata con il nome di "poodle moth".
La particolare falena è stata avvistata per la prima volta nel 2009 e potrebbe costituire unanuova specie vivente. Mentre le sue ali appaiono identiche a quelle di una comune falena, il suo corpo appare rivestito da una vero e proprio piccolo manto di pelliccia dal colore candido e dall'aspetto molto morbido, che ricorda immediatamente il pelo di un barboncino.
Essa è stata fotografata per la prima volta da parte del Dr. Arthur Anker, che nel 2009 pubblicò online tutte le 75 fotografie scattate durante una sua visita presso il Gran Sabana National Park, tra le quali vi è anche un'immagine della falena barboncino. La sua visita presso il parco, situato in Venezuela, non aveva attirato particolare attenzione fino a poche settimane fa, quando qualcuno ha notato per caso la fotografia ed ha iniziato a diffonderla online attraverso blog e riviste.
L'immagine ha suscitato l'interesse del Dr. Karl Shuker, colpito non soltanto dal manto della falena, ma anche dai colori e dalle dimensioni dei suoi occhi e delle sue antenne. Egli ha utilizzato le proprie conoscenze in campo zoologico e scientifico per provare ad identificare la specie di appartenenza dell'insetto.
Uno dei colleghi a cui Shuker ha sottoposto l'immagine ha notato una somiglianza della falena con la Diaphora mendica, lepidottero comune in Russia e Gran Bretagna – non in Venezuela – dal corpo piumato, ma dalle antenne e dalle zampe molto differenti rispetto al nuovo esemplare, che potrebbe rivelarsi come una nuova specie non ancora descritta fino ad oggi da parte della comunità scientifica.
Marta Albè
Come fa il pesce palla a gonfiarsi?
Appartiene alla famiglia Tetraodontidae comprende 185 specie di pesci d'acqua dolce e salata, appartenenti all'ordine Tetraodontiformes, conosciuti comunemente come pesci palla.
Pur non essendo un ottimo nuotatore per via della rigidità del proprio corpo, il pesce palla non risulta oggetto di predazione poiché dotato di due particolari sistemi di difesa: è in grado di ingurgitare rapidamente grandi quantità di acqua, diventando molto grande e difficile da inghiottire anche per predatori di grosse dimensioni; inoltre la sua carne contiene un veleno molto potente, la tetradotossina, una neurotossina che inibisce la funzione respiratoria, portando rapidamente alla morte
Il responsabile del rigonfiamento del pesce palla è un diverticolo, una sorta di sacchetto a fondo chiuso situato nello stomaco.
In caso di pericolo, questi pesci trasformano la bocca in un'efficace pompa: inghiottono acqua e la spingono sotto pressione nel diverticolo vincendo la resistenza opposta da potenti muscoli che funzionano da valvola.
In questo modo il diverticolo si gonfia, occupando tutti gli spazi interni fino all'altezza delle pinne pettorali.
Cessato il pericolo, il pesce espelle l'acqua dalla bocca e dalle aperture branchiale; la dose di stress subita può essere però causa di gravi problemi.
Oltre che di acqua, i pesci “a tutto tondo” possono gonfiarsi anche di aria; questo capita quando sono estratti rapidamente dall'acqua o se sono sorpresi dalla bassa marea.
I visceri contengono in molte specie la velenosa tetrodotossina e per questo motivo in Italia dal 1992 ne è proibito il commercio a scopo alimentare.
In Giappone, paese dedito al consumo di questa pietanza, possono servirla solo i cuochi licenziati in prevenzione dei pericoli causati dalla tetrodotossina ed è proibito il commercio di pesci non preparati ai consumatori, nonostante ciò si riscontrano spesso i casi d'intossicazione e/o di morte dovuto al consumo di questi pesci cucinati da pescatori o casalinghe.
La difficoltà di preparazione lo ha reso uno dei piatti più celebri del Giappone.
Ad Osaka gli hanno dedicato un museo. n Giappone dal 1958, in seguito all'elevato numero di morti (420 nel biennio 1956-1958), un cuoco, per poter preparare e servire i fugu, deve obbligatoriamente ottenere una licenza speciale rilasciata dal ministero competente, la fugu chorishi menkyo, concessa solo dopo un esame sia scritto che pratico, durante il quale fra le altre cose il candidato deve saper riconoscere oltre 30 specie della famiglia cui il pesce appartiene.
In Italia ne è proibito il commercio a scopo alimentare a partire dal 1992.
Nel 1977 ci furono tre casi mortali (si trattava di pesci importati da Taiwan).
Per la legge tedesca, i fugu non possono essere importati per il consumo.
Divieti analoghi esistono anche in alcuni paesi del Sud-est asiatico ma talvolta non sono efficaci, come in Thailandia che lo vieta dal 2002 ma che può essere acquistato nei mercati locali.
Negli Stati Uniti esistono pochi ristoranti giapponesi autorizzati, ma il pesce deve essere importato dal Giappone, in filetti e congelato.
Fugu (河豚, 鰒, in katakana フグ?), è un piatto tipico della cucina giapponese. Il fugu è il pesce palla, un pesce velenoso, ma con una corretta tecnica di preparazione il veleno non contamina la pietanza.
La difficoltà di preparazione lo ha reso uno dei piatti più celebri del Giappone. Ad Osaka gli hanno dedicato un museo
Fugu sashimi
Il piatto più popolare è fugu sashimi, chiamato anche Fugu sashi o Tessa, affettato in modo molto sottile, decorato e preparato in modo da ricordare il crisantemo. Per affettare il fugu e servirlo esiste un particolare tipo di coltello, chiamato fugu hiki
Pur non essendo un ottimo nuotatore per via della rigidità del proprio corpo, il pesce palla non risulta oggetto di predazione poiché dotato di due particolari sistemi di difesa: è in grado di ingurgitare rapidamente grandi quantità di acqua, diventando molto grande e difficile da inghiottire anche per predatori di grosse dimensioni; inoltre la sua carne contiene un veleno molto potente, la tetradotossina, una neurotossina che inibisce la funzione respiratoria, portando rapidamente alla morte
Il responsabile del rigonfiamento del pesce palla è un diverticolo, una sorta di sacchetto a fondo chiuso situato nello stomaco.
In caso di pericolo, questi pesci trasformano la bocca in un'efficace pompa: inghiottono acqua e la spingono sotto pressione nel diverticolo vincendo la resistenza opposta da potenti muscoli che funzionano da valvola.
In questo modo il diverticolo si gonfia, occupando tutti gli spazi interni fino all'altezza delle pinne pettorali.
Cessato il pericolo, il pesce espelle l'acqua dalla bocca e dalle aperture branchiale; la dose di stress subita può essere però causa di gravi problemi.
Oltre che di acqua, i pesci “a tutto tondo” possono gonfiarsi anche di aria; questo capita quando sono estratti rapidamente dall'acqua o se sono sorpresi dalla bassa marea.
I visceri contengono in molte specie la velenosa tetrodotossina e per questo motivo in Italia dal 1992 ne è proibito il commercio a scopo alimentare.
In Giappone, paese dedito al consumo di questa pietanza, possono servirla solo i cuochi licenziati in prevenzione dei pericoli causati dalla tetrodotossina ed è proibito il commercio di pesci non preparati ai consumatori, nonostante ciò si riscontrano spesso i casi d'intossicazione e/o di morte dovuto al consumo di questi pesci cucinati da pescatori o casalinghe.
La difficoltà di preparazione lo ha reso uno dei piatti più celebri del Giappone.
Ad Osaka gli hanno dedicato un museo. n Giappone dal 1958, in seguito all'elevato numero di morti (420 nel biennio 1956-1958), un cuoco, per poter preparare e servire i fugu, deve obbligatoriamente ottenere una licenza speciale rilasciata dal ministero competente, la fugu chorishi menkyo, concessa solo dopo un esame sia scritto che pratico, durante il quale fra le altre cose il candidato deve saper riconoscere oltre 30 specie della famiglia cui il pesce appartiene.
In Italia ne è proibito il commercio a scopo alimentare a partire dal 1992.
Nel 1977 ci furono tre casi mortali (si trattava di pesci importati da Taiwan).
Per la legge tedesca, i fugu non possono essere importati per il consumo.
Divieti analoghi esistono anche in alcuni paesi del Sud-est asiatico ma talvolta non sono efficaci, come in Thailandia che lo vieta dal 2002 ma che può essere acquistato nei mercati locali.
Negli Stati Uniti esistono pochi ristoranti giapponesi autorizzati, ma il pesce deve essere importato dal Giappone, in filetti e congelato.
Fugu (河豚, 鰒, in katakana フグ?), è un piatto tipico della cucina giapponese. Il fugu è il pesce palla, un pesce velenoso, ma con una corretta tecnica di preparazione il veleno non contamina la pietanza.
La difficoltà di preparazione lo ha reso uno dei piatti più celebri del Giappone. Ad Osaka gli hanno dedicato un museo
Fugu sashimi
Il piatto più popolare è fugu sashimi, chiamato anche Fugu sashi o Tessa, affettato in modo molto sottile, decorato e preparato in modo da ricordare il crisantemo. Per affettare il fugu e servirlo esiste un particolare tipo di coltello, chiamato fugu hiki
Alcune idee per presentare salumi formaggi frutta
Presentazione della frutta Presentazione dell'insalata
300 grammi di foglie di insalata (puoi scegliere anche gli spinaci crudi)
40 grammi di gherigli di noci
1 pera 60 grammi
di feta greca
1 piccola di cipolla rossa
1 melograno
Olio extravergine di oliva
Sale Pepe
Presentazione salumi
Questa è monodose
Altra idea per il vassoio di salumi
Un grande vassoio piatto e un vaso cilindrico per il centro della composizione.
Disporre l'affettato sul vassoio nel mezzo del quale avrete appoggiato il vaso.
appoggiare sui lati del vaso il crudo (che ha le fette più lunghe), facendone ricadere un po' all'interno del vaso.
Lavare e pulire la belga e separare le foglie, da adagiare attorno al vaso e sulle quali appoggiare una pallina di melore bianco e una rosellina di crudo.
Inserire nel vaso una base di stagnola appallottolata in modo tale da alzarne un po' il fondo e far emergere gli spiedini sui quali avrete infilato i sott'olio e i sott'aceto.
Io ho usato i classici cetriolini, olive verdi e nere, peperoni, carciofini, funghetti, pannocchiette, e cipolline.
Oppure così
Quì la fantasia è d'obbligo. questo è solo un esempio.