venerdì 31 maggio 2013
La deriva dei continenti
La deriva dei continenti è una teoria geologica secondo la quale i continenti si muoverebbero l'uno rispetto all'altro. Fu introdotta, nella sua versione moderna, nel 1912 da Alfred Lothar Wegener, che fu il primo a presentare in una formulazione organica le prove del fenomeno e una spiegazione coerente delle sue cause. Nella scienza moderna la teoria della deriva dei continenti è sostituita dalla più generale teoria della tettonica .delle placche
L'ipotesi che i continenti si siano spostati, e in particolare che si siano allontanati l'uno dall'altro, è piuttosto antica.
Già nel 1590, il cartografo olandese Abraham Ortelius notava nel suo saggio Thesaurus Geographicus che il profilo delle coste dei continenti dimostrava chiaramente che essi si erano staccati l'uno dall'altro "per via di terremoti e inondazioni".
L'idea di Ortelius fu ripresa da diversi autori nei secoli successivi (tra gli altri, Bacone, Franklin e Alexander von Humboldt).
L'idea divenne ancora più attraente nel XIX secolo, quando lo studio dei fossili portò la prova del fatto che, per esempio, il Nordamerica e l'Europa avevano avuto in passato una flora comune.Sulla base di queste osservazioni, Eduard Suess giunse nel primo Novecento a ipotizzare l'origine dei continenti moderni dalla frammentazione di un antico supercontinente, Gondwana.
Tutti questi autori, pur avendo intuito il fenomeno della deriva dei continenti in sé,avevano però difficoltà a fornire una spiegazione coerente delle cause
Nel 1910, il geologo statunitense Frank Taylor giunse a formulare l'idea dello scorrimento della crosta terrestre dalle alte latitudini a quelle basse dell'emisfero settentrionale.
Egli si riferiva in modo particolare alla Groenlandia, che immaginava essere il residuo di un antico massiccio da cui si erano staccati, lungo fosse di spaccatura, il Canada e l'Europa settentrionale.
Anche alla tesi di Taylor mancava un punto importante: il meccanismo che produceva lo spostamento delle masse continentali. La sua spiegazione, che faceva riferimento alle forze di marea verificatesi quando la Luna venne catturata dalla Terra, furono considerate fantasiose dalla maggior parte dei suoi contemporanei, ma servirono come importante ispirazione per Wegener.
Un altro precursore, riconosciuto dallo stesso Wegener come autore di ipotesi simili alle sue, è stato Roberto Mantovani, un violinista nativo di Parma il quale nel 1878 aveva formulato una teoria che prevedeva la deriva dei continenti come conseguenza di una dilatazione globale della Terra.
Wegener sostenne che nel Paleozoico, e buona parte del Triassico, le terre emerse formavano un unico supercontinente, che battezzò Pangea, contrapposto a un unico superoceano, Panthalassa. La frammentazione di Pangea era iniziata circa 200 milioni di anni fa. La prima spaccatura aveva contrapposto Laurasia (Europa, Asia e Nordamerica) e Gondwana (Sudamerica, Africa e Oceania). Ulteriori frammentazioni portarono la suddivisione dei due supercontinenti, che gradualmente andò suddividendosi fino alla conformazione attuale.
Wegener fece notare che in Africa e in America meridionale erano stati rinvenuti fossili di animali e di piante delle stesse specie, vissuti nella stessa epoca, che non avrebbero in alcun modo potuto attraversare l'Oceano.
Questo fatto diventa facilmente spiegabile ipotizzando che fossero stati uniti tra loro. Egli studiò inoltre le tracce lasciate dagli antichi ghiacciai sulle rocce e dimostrò che India, Australia, Africa meridionale e America meridionale erano state coperte contemporaneamente dai ghiacci, presumibilmente prima della loro separazione.
Età della crosta oceanica, rilevamento del 1996
Attingendo alle più recenti scoperte della geologia, Wegener spiegava questi fenomeni di "deriva" dei continenti descrivendo le terre emerse come enormi "zolle" di Sial che galleggiavano su una superficie anch'essa solida ma molto più malleabile, il Sima, situato fra la discontinuità di Mohorovicic (40 km di profondità) e la discontinuità di Gutenberg (2900 km). Ciò che mancava all' attenta osservazione di Wegener era una spiegazione di come tutto ciò fosse avvenuto e di quale fosse il "motore" in grado di spostare i continenti.
Come si è modificata la crosta terrestre
Le zolle o placche che costituiscono la crosta terrestre si spostano di appena pochi centimetri ogni anno. Tuttavia, nei milioni di anni d'età del nostro pianeta, hanno percorso migliaia di chilometri, originando nuovi dorsali oceaniche.
1. Cambriano (570 - 510 milioni di anni fa): i continenti sono alle latitudini tropicali. Il supercontinente Gondwana tocca il Polo Sud. 2. Devoniano (408 - 362 milioni di anni fa): i supercontinenti Laurentia e Gondwana si spostano verso Nord.
3. Carbonifero (362 - 290 milioni di anni fa): si sono formati tre continenti: Laurentia, Angara e Gondwana.
4. Triassico (245 - 208 milioni di anni fa): i tre continenti si sono uniti formando la Pangea.
5. Giurassico (208 - 145 milioni di anni fa): Pangea comincia a dividersi, provocando un generale innalzamento dei mari.
6. Cretacico (145 - 65 milioni di anni fa): mari caldi e poco profondi ricoprono le terre. I livelli delle acque superano quelli attuali di 25 metri.
L'ipotesi che i continenti si siano spostati, e in particolare che si siano allontanati l'uno dall'altro, è piuttosto antica.
Già nel 1590, il cartografo olandese Abraham Ortelius notava nel suo saggio Thesaurus Geographicus che il profilo delle coste dei continenti dimostrava chiaramente che essi si erano staccati l'uno dall'altro "per via di terremoti e inondazioni".
L'idea di Ortelius fu ripresa da diversi autori nei secoli successivi (tra gli altri, Bacone, Franklin e Alexander von Humboldt).
L'idea divenne ancora più attraente nel XIX secolo, quando lo studio dei fossili portò la prova del fatto che, per esempio, il Nordamerica e l'Europa avevano avuto in passato una flora comune.Sulla base di queste osservazioni, Eduard Suess giunse nel primo Novecento a ipotizzare l'origine dei continenti moderni dalla frammentazione di un antico supercontinente, Gondwana.
Tutti questi autori, pur avendo intuito il fenomeno della deriva dei continenti in sé,avevano però difficoltà a fornire una spiegazione coerente delle cause
Nel 1910, il geologo statunitense Frank Taylor giunse a formulare l'idea dello scorrimento della crosta terrestre dalle alte latitudini a quelle basse dell'emisfero settentrionale.
Egli si riferiva in modo particolare alla Groenlandia, che immaginava essere il residuo di un antico massiccio da cui si erano staccati, lungo fosse di spaccatura, il Canada e l'Europa settentrionale.
Anche alla tesi di Taylor mancava un punto importante: il meccanismo che produceva lo spostamento delle masse continentali. La sua spiegazione, che faceva riferimento alle forze di marea verificatesi quando la Luna venne catturata dalla Terra, furono considerate fantasiose dalla maggior parte dei suoi contemporanei, ma servirono come importante ispirazione per Wegener.
Un altro precursore, riconosciuto dallo stesso Wegener come autore di ipotesi simili alle sue, è stato Roberto Mantovani, un violinista nativo di Parma il quale nel 1878 aveva formulato una teoria che prevedeva la deriva dei continenti come conseguenza di una dilatazione globale della Terra.
Wegener sostenne che nel Paleozoico, e buona parte del Triassico, le terre emerse formavano un unico supercontinente, che battezzò Pangea, contrapposto a un unico superoceano, Panthalassa. La frammentazione di Pangea era iniziata circa 200 milioni di anni fa. La prima spaccatura aveva contrapposto Laurasia (Europa, Asia e Nordamerica) e Gondwana (Sudamerica, Africa e Oceania). Ulteriori frammentazioni portarono la suddivisione dei due supercontinenti, che gradualmente andò suddividendosi fino alla conformazione attuale.
Wegener fece notare che in Africa e in America meridionale erano stati rinvenuti fossili di animali e di piante delle stesse specie, vissuti nella stessa epoca, che non avrebbero in alcun modo potuto attraversare l'Oceano.
Questo fatto diventa facilmente spiegabile ipotizzando che fossero stati uniti tra loro. Egli studiò inoltre le tracce lasciate dagli antichi ghiacciai sulle rocce e dimostrò che India, Australia, Africa meridionale e America meridionale erano state coperte contemporaneamente dai ghiacci, presumibilmente prima della loro separazione.
Età della crosta oceanica, rilevamento del 1996
Attingendo alle più recenti scoperte della geologia, Wegener spiegava questi fenomeni di "deriva" dei continenti descrivendo le terre emerse come enormi "zolle" di Sial che galleggiavano su una superficie anch'essa solida ma molto più malleabile, il Sima, situato fra la discontinuità di Mohorovicic (40 km di profondità) e la discontinuità di Gutenberg (2900 km). Ciò che mancava all' attenta osservazione di Wegener era una spiegazione di come tutto ciò fosse avvenuto e di quale fosse il "motore" in grado di spostare i continenti.
Come si è modificata la crosta terrestre
Le zolle o placche che costituiscono la crosta terrestre si spostano di appena pochi centimetri ogni anno. Tuttavia, nei milioni di anni d'età del nostro pianeta, hanno percorso migliaia di chilometri, originando nuovi dorsali oceaniche.
1. Cambriano (570 - 510 milioni di anni fa): i continenti sono alle latitudini tropicali. Il supercontinente Gondwana tocca il Polo Sud. 2. Devoniano (408 - 362 milioni di anni fa): i supercontinenti Laurentia e Gondwana si spostano verso Nord.
3. Carbonifero (362 - 290 milioni di anni fa): si sono formati tre continenti: Laurentia, Angara e Gondwana.
4. Triassico (245 - 208 milioni di anni fa): i tre continenti si sono uniti formando la Pangea.
5. Giurassico (208 - 145 milioni di anni fa): Pangea comincia a dividersi, provocando un generale innalzamento dei mari.
6. Cretacico (145 - 65 milioni di anni fa): mari caldi e poco profondi ricoprono le terre. I livelli delle acque superano quelli attuali di 25 metri.
Malesia: Borneo, i tatuaggi Dayak.
L'antica tradizione di praticare il tatuaggio su diverse parti del corpo è espressione di una vera e propria forma d'arte ornamentale diffusa presso molte popolazioni indigene del Borneo.
Le figure e i motivi riprodotti erano molto numerosi e variavano notevolmente da un gruppo all'altro.
I disegni erano e sono tuttora associati alle varie parti del corpo: quelle a forma circolare vengono riportati sulle spalle, sul torace e sul lato esterno dei polsi, mentre un disegno più elaborato come un cane, uno scorpione o un drago è riservato alle superfici interne ed esterne della coscia. Altre figure rappresentavano uccelli, serpenti e motivi di piante.
Gli scopi di questa usanza erano molteplici e misteriosi, in quanto un tatuaggio sulla mano di un uomo dava prova del suo coraggio in guerra o del fatto che avesse tagliato alcune teste ai nemici.
Per le donne i tatuaggi sono simbolo di bellezza; anzi per molte, i disegni più elaborati denotavano un elevato stato sociale all'interno della comunità.
La pratica del tatuaggio come forma d'arte tende a essere tramandata dai genitori ai figli, ma non ha carattere esclusivamente ereditario in quanto qualsiasi membro del villaggio mostri un certo interesse a praticarla è libero di osservare e assistere al procedimento, per intraprendere in futuro egli stesso tale attività.
La tecnica del tatuaggio è effettivamente complessa e richiede molta esperienza e anche in passato aveva più successo se praticata da un artista affermato. Il disegno è prima intagliato in un blocco di legno e quindi spalmato con dell'inchiostro o un composto di fuliggine. Esso viene successivamente premuto sulla zona da tatuare e il contorno del disegno viene perforato sulla pelle con una serie di aghi o spine intinti in un pigmento di colore bluastro, consistente in una miscela di succo di canna da zucchero, acqua e fuliggine di resina bruciacchiata. Per il tatuaggio vero e proprio si usa una specie di martelletto provvisto di due o tre minuscoli aghi fissati all'estremità e consistente in un cuscinetto di morbida stoffa per non ledere la pelle. Il martello viene appoggiato sulla pelle dopo aver immerso gli aghi nell'inchiostro.
Questi ultimi vengono quindi fatti penetrare nella cute colpendo il martelletto con un bastoncino. Allo scopo di evitare infezioni, la parte infiammata veniva spalmata con riso. Tale procedimento è molto doloroso e in molti casi il completamento del disegno richiede fino a quattro anni di tempo per la necessità di sospendere il lavoro a intervalli regolari. I Kenyak usano meno linee per i loro tatuaggi e all'apparenza questi si presentano più leggeri e armoniosi rispetto ai disegni tradizionali dei Kajan.
Originariamente il tatuaggio era riservato soltanto alle classi sociali superiori, ma in seguito poteva farsi tatuare chiunque avesse la necessaria disponibilità economica.
Anche tra coloro che avevano la possibilità di farsi tatuare vi erano discriminazioni di carattere sociale poiché soltanto le persone del più alto livello potevano avere cinque anelli nella parte inferiore delle gambe mentre a quelle dello strato sociale inferiore era consentito di farsi tatuare soltanto due anelli.
Nei loro disegni i Kenyah facevano più uso di figure rispetto ai Kajan, che lavoravano maggiormente con motivi lineari e geometrici; anche i Kenyah si tatuavano braccia e gambe.
Ai tempi nostri, e soprattutto nel Kalimantan, dove il governo segue una politica di modernizzazione, l'arte del tatuaggio si sta purtroppo estinguendo e con essa scompariranno forse molti dei disegni più belli rimasti.
Tuttavia non è raro imbattersi ancora in molti esponenti dei gruppi più antichi delle regioni interne, che mostrano con orgoglio i loro corpi tatuati.
Tempio di Ain Dara
Il Tempio di Ain Dara è un tempio siro-ittita dell'età del ferro, costruito attorno al 1300 a.C. e utilizzato sino al 740 a.C., ed eretto sessanta kilometri a nord-ovest di Aleppo, in Siria.
Il tempio, dedicato alla dea Ishtar, si trova su di un'altura che domina sulla sottostante città di Ain Dara.
Il tempio è famoso per le numerose somiglianze con il Tempio di Salomone descritto nella bibbia.
Le sculture conservatesi raffigurano leoni e sfingi, comparabili ai cherubini del primo tempio ebraico; le grandi impronte dei piedi del dio sono scolpite nel pavimento
Nel 1955 fu casualmente ritrovato un leone monumentale in basalto, ma gli scavi avvennero tra il 1980 e il 1985.
Si tratta di un tempio a pianta rettangolare orientato verso sud-est. La prima fase (1300-1000 a.C.) vide una struttura larga 20 metri e lunga 30 metri, composta da portico, anticamera (pronaos) e camera (naos).
Nella seconda fase (1000-900 a.C.) furono aggiunte lastre in basalto a foderare il portico e i passaggi tra portico e anticamera e tra questa e la camera.
Nella terza fase (900-740 a.C.) fu aggiunto un ambulatorio tutto intorno al tempio, ottenuto estendendo la piattaforma su cui era stato edificato inizialmente il tempio.
Il tempio conserva le fondamenta in calcare e alcune lastre di basalto; è andata persa la sovrastruttura in mattoni di fango, probabilmente coperta da pannelli in legno.
La facciata e le mura interne sono decorate da altorilievi raffiguranti creature mitiche
Un talismano di Bes
Un curioso manufatto, recentemente identificato, potrebbe essere stato un antico talismano egizio per la protezione magica di bambini e donne incinte contro le forze malefiche.
Realizzato in faience egizia, il talismano risale all’incirca al primo millennio a.C. Mostra il dio nano Bes con la lingua di fuori, gli occhi spalancati e una corona di piume.
(Swansea University)
(Swansea University)
Carolyn Graves-Brown, curatore presso l’Egypt Centre dell’Università di Swansea, l’ha scoperto nella collezione del Woking College, una sorta di scuola superiore che conserva più di 50 manufatti egizi poco studiati, e che sono stati recentemente prestati al Egypt Centre.
Graves-Brown in un primo momento non sapeva cosa fosse l’oggetto. Solo dopo averne visto uno simile al British Museum ha capito che si trattava di un raro campanellino di faience di Bes. L’oggetto è magico: “La faience è utilizzata molto spesso per gli oggetti con un significato magico o religioso nell’antico Egitto”, ha detto Graves-Brown. A rendere il ritrovamento più interessante è il carattere bizzarro dello stesso Bes.
Un dio nano e protettore di mamme incinte e bambini, Bes può sembrare stupido con la sua lingua di fuori ma, tuttavia, il suo aspetto aveva uno scopo. Egli avrebbe mostrato i denti affilati e “si presume, ma non si sa, che il suo aspetto dovesse spaventare gli spiriti maligni e le entità malvagie”.
Questo potrebbe essere stato l’intento del talismano.
L’archeologo Flinders Petrie scrisse nel suo libro “Amulets” (Constable and Company, 1914) che dei campanelli simili a questo erano probabilmente “indossati dai bambini contro il malocchio”.
Live Science
Realizzato in faience egizia, il talismano risale all’incirca al primo millennio a.C. Mostra il dio nano Bes con la lingua di fuori, gli occhi spalancati e una corona di piume.
(Swansea University)
(Swansea University)
Carolyn Graves-Brown, curatore presso l’Egypt Centre dell’Università di Swansea, l’ha scoperto nella collezione del Woking College, una sorta di scuola superiore che conserva più di 50 manufatti egizi poco studiati, e che sono stati recentemente prestati al Egypt Centre.
Graves-Brown in un primo momento non sapeva cosa fosse l’oggetto. Solo dopo averne visto uno simile al British Museum ha capito che si trattava di un raro campanellino di faience di Bes. L’oggetto è magico: “La faience è utilizzata molto spesso per gli oggetti con un significato magico o religioso nell’antico Egitto”, ha detto Graves-Brown. A rendere il ritrovamento più interessante è il carattere bizzarro dello stesso Bes.
Un dio nano e protettore di mamme incinte e bambini, Bes può sembrare stupido con la sua lingua di fuori ma, tuttavia, il suo aspetto aveva uno scopo. Egli avrebbe mostrato i denti affilati e “si presume, ma non si sa, che il suo aspetto dovesse spaventare gli spiriti maligni e le entità malvagie”.
Questo potrebbe essere stato l’intento del talismano.
L’archeologo Flinders Petrie scrisse nel suo libro “Amulets” (Constable and Company, 1914) che dei campanelli simili a questo erano probabilmente “indossati dai bambini contro il malocchio”.
Live Science
La più antica pittura rupestre
Un disco rossiccio nel nord della Spagna è stato annunciato essere la prima pittura rupestre del mondo. Datata a più di 40.800 anni fa, venne dipinta da alcuni dei primi uomini moderni a raggiungere la penisola iberica oppure da uomini di Neandertal, vissuti in quella regione per oltre 200.000 anni.
(Pedro Saura)
(Pedro Saura)
“C’è una probabilità molto buona che si tratti di Neandertal”, dice Alistair Pike, archeologa dell’Università di Bristol, il cui team ha datato decine di pitture in 11 grotte nel nord della Spagna. Ma Lawrence Guy Straus, esperto dell’Università del New Mexico ad Albuquerque, la chiama “una speculazione molto azzardata”, perché si basa su una singola datazione che potrebbe sovrapporsi con l’occupazione umana.
Finora, la grotta di Chauvet detiene il titolo delle pitture rupestri più antiche, datate a circa 39.000 anni, ma la cosa è controversa in quanto la valutazione si basa sulla datazione al radiocarbonio di pigmenti di carbone, che sono sensibili alla contaminazione di altre fonti di carbonio.
L’arte rupestre è notoriamente di difficile datazione perché, a differenza di ossa e strumenti che si possono datare direttamente o grazie a ossa vicine, “non è associata ad altro che se stessa”, dice Pike.
Per risolvere questo problema, la squadra di Pike ha datato le patine di calcite che lentamente si sono formate sulle pitture usando il rapporto tra uranio e torio. Su 50 patine provenienti da 11 grotte, la più antica è quella del disco nella grotta di El Castillo, risalente ad almeno 40.800 anni.
Quell’immagine, così come altri dischi leggermente più recenti di Castillo e un’immagine dalla grotta di Altamira, sarebbe stata dipinta all’incirca quando i primi uomini moderni, della cultura Aurignaziana, raggiunsero la penisola iberica.
Questi dischi rossi a Corredor de los Puntos, El Castillo, risalgono tra i 34.000 e i 36.000 anni fa (Pedro Saura)
La squadra di Pike vede tendenze artistiche evolversi nei diversi periodi. I primi europei dipinsero semplici forme geometriche, mentre i loro successori facevano dei disegni più complessi come mani e figure – senza che questo esprima comunque un giudizio sull’arte o sulle capacità cognitive di Neandertal o esseri umani, avverte Pike.
Altamira, 35.000 anni fa (Pedro Saura)
Altamira, 20.000 anni dopo (Pedro Saura)
I segni rossi dietro i cavalli nella grotta di Tito Bustillo hanno più di 29.000 anni (Rodrigo De Balbín Behrmann)
Intanto, l’archeologo Bryce Barker dice di aver trovato la più antica forma di arte rupestre in Australia e una delle più antiche al mondo: un’opera aborigena creata 28.000 anni fa nella grotta di Nawarla Gabarnmang. Barker ha datato al radiocarbonio pigmenti di carbone. L’archeologo avrebbe inoltre trovato prove che la grotta sarebbe stata occupata a partire da 45.000 anni fa.
La sua ricerca è stata pubblicata sul Journal of Archaeological Science.
(AP Photo/Bryce Barker)
(Pedro Saura)
(Pedro Saura)
“C’è una probabilità molto buona che si tratti di Neandertal”, dice Alistair Pike, archeologa dell’Università di Bristol, il cui team ha datato decine di pitture in 11 grotte nel nord della Spagna. Ma Lawrence Guy Straus, esperto dell’Università del New Mexico ad Albuquerque, la chiama “una speculazione molto azzardata”, perché si basa su una singola datazione che potrebbe sovrapporsi con l’occupazione umana.
Finora, la grotta di Chauvet detiene il titolo delle pitture rupestri più antiche, datate a circa 39.000 anni, ma la cosa è controversa in quanto la valutazione si basa sulla datazione al radiocarbonio di pigmenti di carbone, che sono sensibili alla contaminazione di altre fonti di carbonio.
L’arte rupestre è notoriamente di difficile datazione perché, a differenza di ossa e strumenti che si possono datare direttamente o grazie a ossa vicine, “non è associata ad altro che se stessa”, dice Pike.
Per risolvere questo problema, la squadra di Pike ha datato le patine di calcite che lentamente si sono formate sulle pitture usando il rapporto tra uranio e torio. Su 50 patine provenienti da 11 grotte, la più antica è quella del disco nella grotta di El Castillo, risalente ad almeno 40.800 anni.
Quell’immagine, così come altri dischi leggermente più recenti di Castillo e un’immagine dalla grotta di Altamira, sarebbe stata dipinta all’incirca quando i primi uomini moderni, della cultura Aurignaziana, raggiunsero la penisola iberica.
Questi dischi rossi a Corredor de los Puntos, El Castillo, risalgono tra i 34.000 e i 36.000 anni fa (Pedro Saura)
La squadra di Pike vede tendenze artistiche evolversi nei diversi periodi. I primi europei dipinsero semplici forme geometriche, mentre i loro successori facevano dei disegni più complessi come mani e figure – senza che questo esprima comunque un giudizio sull’arte o sulle capacità cognitive di Neandertal o esseri umani, avverte Pike.
Altamira, 35.000 anni fa (Pedro Saura)
Altamira, 20.000 anni dopo (Pedro Saura)
I segni rossi dietro i cavalli nella grotta di Tito Bustillo hanno più di 29.000 anni (Rodrigo De Balbín Behrmann)
Intanto, l’archeologo Bryce Barker dice di aver trovato la più antica forma di arte rupestre in Australia e una delle più antiche al mondo: un’opera aborigena creata 28.000 anni fa nella grotta di Nawarla Gabarnmang. Barker ha datato al radiocarbonio pigmenti di carbone. L’archeologo avrebbe inoltre trovato prove che la grotta sarebbe stata occupata a partire da 45.000 anni fa.
La sua ricerca è stata pubblicata sul Journal of Archaeological Science.
(AP Photo/Bryce Barker)