lunedì 8 aprile 2013

GRAZIEEEEEEEEEEE!!!!!!!



Prima della nanna mi votate il blog???

Basta un clic sulla Net Parade e un clic su conferma il voto 
E SI VOLAAAAAA

Chiedono per votarli 2 euro agli italiani e ne danno 10 ai rom?????



"Le solite incredibili file di Rom che quando ci sono le primarie si scoprono appassionatissimi di politica".
E' bastato questo post inserito sulla bacheca facebook di Cristiana Alicata, membro della direzione regionale del Pd, per accendere le polemiche sul voto delle primarie.
In alcuni seggi infatti ci sarebbero nutrite code di nomadi che stanno votando per le primarie.
La denuncia è comparsa anche su RomaPost.it, in un pezzo a firma di Stefano Marzetti.
Uno dei seggi incriminati sarebbe quello nei pressi del campo rom di via Candoni.
Sempre sulla bacheca della Alicata sono comparse le accuse di razzismo all'esponente Pd che però si difende e contrattacca:
"Il razzismo non c’entra nulla.
Sono voti comprati. Punto.
Chi lo nega è complice dello sfruttamento della povertà che fa il clientelismo in politica".
Gentiloni in una nota, pur non facendo riferimento alla denuncia dell'Alicata, attacca: "Stanno arrivando al comitato numerosissime telefonate e segnalazioni di irregolarità - dicono dal comitato di Gentiloni - e disservizi nei seggi elettorali, dice Antonio Funiciello, portavoce del Comitato.
"Invito tutti -si legge nella nota- a vigilare affinche' il voto si svolga in maniera regolare.
Sarebbe davvero grave se una giornata di democrazia come quella di oggi venisse funestata da vicende poco chiare". http://www.romatoday.it/politica/elezioni/comunali-roma-2013/primarie-roma-votano-i-rom.html A quanto pare hanno avuto 10euro ciascuno, altre foto: http://www.giornalettismo.com/archives/865973/le-foto-dei-rom-che-votano-alle-primarie-a-roma/

La statua della libertà



 New York è una città ricca di luoghi che sono diventati celebri in tutto il mondo ma è innegabile che la Statua della Libertà sia il suo simbolo più celebre. 
Porta di ingresso, anche in passato, per milioni di immigrati in cerca di una nuova vita, continua ad essere uno dei monumenti più visti dai turisti che arrivano nella Grande Mela. 
Dal traghetto che, partendo da Battery Park, porta a Ellis Island, si vede la sua silouette che si avvicina e, piano piano, la Statua della Libertà colpisce regalando ogni volta un’emozione fortissima.
Con i suoi 93 metri di altezza svetta sul fiume Hudson con la sua possente struttura di acciaio e rame che poggia su granito sardo. La Statua della Libertà è un simbolo a sua volta ricco di simboli: la fiaccola che regge in una mano rappresenta il fuoco della libertà, mentre il libro che regge nell’altra riporta la data del 4 luglio 1776, giorno dell’indipendenza americana. La sua corona a sette punte simboleggia i sette mari e i sette continenti.
 Lady Liberty e il suo accennato sorriso arrivano dall’Europa: la Statua della Libertà fu infatti progettata da Frèdèric Auguste Bartholdi, un francese che voleva con questa realizzazione creare un monumento alla libertà. Lo scultore fu ispirato dalle parole di Laboulaye sostenitore della Guerra di Secessione americana che dichiarò quanto fosse importante realizzare un’opera che ricordasse l’indipendenza americana. 
 Cominciò così la storia della realizzazione della Statua della Libertà che vide coinvolto anche Gustave Eiffel a cui si deve l’idea della realizzazione della struttura in ferro e di altri accorgimenti tecnici per rendere la statua più elastica e meno a rischio di corrosione. Le sue conoscenze tecniche resero possibile a Bartholdi progettare la costruzione della statua in Francia, il suo smontaggio per poterla trasportare e il successivo assemblaggio negli Stati Uniti.
 Proprio per la sua struttura fu possibile costruire all’interno della Statua della Libertà due scale a chiocciola per accedere alla corona e una per accedere alla piattaforma attorno alla torcia.
 E fu così che la Statua della Libertà iniziò il suo viaggio verso New York, su una nave che affrontò diversi viaggi per portare in America i suoi pezzi per prendere la forma di quello che doveva essere un omaggio dei francesi agli Stati Uniti d’America. 
La prima pietra della Statua della Libertà fu posata nel 1884 per essere ufficialmente inaugurata il 28 ottobre del 1886. Nel 1924 la Statua della Libertà fu dichiarata monumento nazionale anche se bisogna ricordare che, prima di diventare il simbolo di New York, la Statua della Libertà funzionava come faro.

La Statua della Libertà ha subito, nel corso dei decenni, lavori e limiti di accesso che ne hanno modificato le visite per i turisti. 
Nel 1916 fu chiuso al pubblico il basamento che circonda la torcia che, in seguito, venne sostituita con l’attuale fatta di oro a 24 carati.  

Con la tragedia dell’11 settembre 2001 sia la statua sia Liberty Island furono chiuse per motivi di sicurezza. Il piedistallo della Statua della Libertà fu riaperto nel 2004. 
Nel 2009 Barak Obama annunciò che, seppure per un numero limitatissimo di persone, anche la corona sarebbe stata riaperta al pubblico.

ALLARME A COMO, UCCIDERANNO TUTTI I DAINI




Assurda, inconcepibile e contraddittoria la delibera della provincia di Como che autorizza l’ eradicazione – attività non contemplata dalla legge nazionale 157/92 sulla protezione della fauna - dei daini, forse fuggiti dai recinti di allevamento e “colpevoli” di arrecare danni all’agricoltura e incidenti stradali (che non sono mai imputati all’alta velocità degli automobilisti).
Li uccideranno TUTTI!! FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA PROTESTA DA SUBITO!
Noi stiamo cercando di intervenire, ma dobbiamo attivarci tutti! DOBBIAMO TELEFONARE E INVIARE FAX – AZIONE CHE CREA MOLTO DISTURBO, PIU DELLA MAIL BOMBING!!! 031/230111(tel) 031 230831 031/573340 031 230334 (fax) DOBBIAMO INVIARE EMAIL ALLA PROVINCIA e SCRIVERE LETTERE AI GIORNALI LOCALI: nell’oggetto siate generici, nel testo manifestate la vostra disapprovazione, chiedendo quali metodologie ecologiche e incruente, prioritarie per legge, sono state applicate, se non sia il caso di chiudere questi allevamenti, e manifestando la contrarietà a questa barbarie, facendo ovviamente riferimento al fatto che inviteremo a non visitare la provincia.
Gli indirizzi: massimo.spreafico@provincia.como.it; presidenza.apcomo@tin.it,
infosegreteria@provincia.como.it infopresidenza@provincia.como.it, infoufficiogiunta@provincia.como.it
urp@provincia.como.it, matteo.accardi@provincia.como.it, infocaccia@provincia.como.it,
marco.testa@provincia.como.it
 infoambiente@provincia.como.it, franco.binaghi@provincia.como.it, infoterritorio@provincia.como.it, antonio.endrizzi@provincia.como.it.
Alcuni giornali: redazione@laprovincia.it laprovincia@laprovincia.it,
quicomostaff@gmail.com
redazione.lecco@ilgiorno.net,
giornale.como@giornaledicomo.it
 redazione@corrierecomo.it, redazione@ciaocomo.it
VI TERREMO AGGIORNATI. GRAZIE.

PINK FLOYD "Coming Back To Life"

Dov'eri quando sono stato bruciato e rotto? Mentre i giorni passavano guardando dalla mia finestra Dov'eri quando ero ferito e indifeso? Perché le cose che dici e le cose che fai mi circondano Mentre ti stavi appendendo alle parole di qualcun altro Morendo per credere in quello che hai sentito Io stavo fissando lo sguardo dritto nel sole splendente Perso nel pensiero e perso nel tempo Mentre i semi della vita e i semi del cambiamento sono stati piantati Fuori la pioggia è scesa scura e lenta Mentre riflettevo su questo pericoloso ma irresistibile passatempo Mi ha preso una passeggiata celeste attraverso un silenzio Sapevo che il momento era arrivato Per uccidere il passato e tornare alla vita Mi ha preso una passeggiata celeste attraverso il nostro silenzio Sapevo che l'attesa era iniziata E dritto diretto... nel sole splendente

Comete



La cometa di Halley al suo passaggio nel 1986

Le comete sono dei corpi celesti che da sempre hanno affascinato l'uomo.
L'apparizione di una cometa tuttavia, specialmente nel medioevo , era vista con preoccupazione: infatti annunciavano nell'opinione comune un imminente catastrofe.
Inoltre nel medioevo la natura di questi corpi celesti era totalmente sconosciutLo stesso Galileo non riusci' a capire che cosa fossero le comete: egli addirittura ipotizzo' che potessero essere delle illusioni ottiche. Si dovette aspettare fino al XVIII secolo, quando uno studioso di nome Halley capi' che le comete erano dei corpi che periodicamente si avvicinavano per poi allontanarsene.

La cometa Schoemacher-levy 9 che si è abbattuta e distrutta sul pianeta Giove
Nel 1992 la cometa Shoemaker-Levy 9 si frantumò in ventuno grandi frammenti a causa dell'intenso campo gravitazionale di Giove.
Nel mese di luglio del 1994 questi frammenti caddero nella densa atmosfera del pianeta gigante a una velocità di circa 210.000 km/h. Negli impatti, l'enorme energia cinetica della cometa si convertì in calore, generando una serie di esplosioni, le maggiori delle quali produssero nelle nubi di Giove dei segni che rimasero visibili per varie settimane.


Queste apparizioni, in base ai calcoli di Halley, avvenivano ogni 76,5 anni. da cio' Halley capi' che tutte le comete a cui i libri facevano un accenno in reata' erano tutte la stessa cometa, che prese poi il suo nome.
Non visse purtroppo abbastanza per poter accertare la validita' delle sue teorie.
Furono altri astronomi a poter osservare di nuovo la cometa Halley e cosi' confermare la teoria del grande astronomo. cio' apri lo studio delle comete.
Le comete possono essere definite delle grandi palle di neve sporca. Sono formate infatti principalmente da acqua ghiacciata ma anche d' ammoniaca e da altri idrocarburi.
Avrebbero a quanto pare un nucleo roccioso stando ai dati della sonda giotto avvicinatasi qualche anno fa alla cometa Halley.
Le comete hanno un origine avvolta nel mistero
Molto probabilmente sarebbero concentrate in una fascia chiamata nube di oort. in prossimità di Plutone
Tuttavia se ,esista o no , ancora non e' certo. Le comete dunque nascerebbero e partirebbero da questa nube di oort.
Avvicinandosi al sole, la cometa e' come se iniziasse a sciogliersi rilasciando dietro di se sempre più polveri e molecole di gas formando una sorta di coda. La cometa può avere una coda ma ne può avere anche due.
Una volta arrivata vicino al sole la cometa può o cadere nel sole ed essere distrutta o essere catapultata dal sole di nuovo verso la nube di oort.
La cometa cosi' inizia a perdere luminosita' fino a quando non e' piu' visibile.
Dopo un po' di tempo la cometa viene attirata di nuovo dal sole e il ciclo si ripete fino a quando la cometa, dopo milioni di anni, non si disgrega perchè tutti i materiali che la compongono si disperdono nello spazio.
La disgregazione tuttavia puo' avvenire anche per altre circostanze. Sta arrivando nei pressi del Sole la cometa C/2011L4/Pan-Starrs che a partire dal 10 marzo dovrebbe essere visibile a occhio nudo al tramonto.
Alla fine dell’anno lo spettacolo potrebbe essere ancora più esaltante con una seconda cometa (Ison) che, secondo le previsioni, potrebbe diventare la cometa del secolo perché la sua luminosità potrebbe addirittura gareggiare con quella della Luna.

IL KILIMANJARO, TANZANIA



Noto come uno dei monti tra i più alti al mondo, il Kilimanjaro (o Kilimangiaro) è un vulcano che si trova nella Tanzania nord-orientale, al confine con il Kenya.
 Si tratta della montagna più alta del continente africano, che si innalza fino a 5895 metri ed è spesso avvolta dalle nubi che nascondono la cima ricoperta da un ghiacciaio perenne.
 Il Kilimanjaro è oggi un vulcano inattivo, secondo alcune leggende locali l'ultima eruzione risalirebbe a circa 170 anni fa. Il Kilimanjaro è composto da tre crateri vulcanici: Shira, Mawenzi e Kibo. Il primo dei tre e anche il più antico, sorge sul lato ovest a 3962 metri di altitudine; a est si trova il Mawenzi, più recente rispetto allo Shira, posto a quota 5149 metri; l'ultimo dei tre, il Kibo, il più recente e tutt'oggi in attività, è situato in mezzo agli altri due. Tra il Kibo e il Mawenzi si colloca un'area pianeggiante di circa 3600 ettari, chiamata “la sella”, che costituisce la più estesa area di tundra di altura in Africa.
 Sopra ai 2750 metri di altezza, si trova il Parco Nazionale del Kilimanjaro, (Kilimanjaro National Park) uno dei principali parchi nazionali della Tanzania, dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1987.
 Tutta la montagna è ricoperta da una ricca vegetazione, che può essere distinta in quattro zone diverse a seconda dell'altitudine e delle varie specie che la popolano:
 la zona della foresta pluviale (da 1.800 m a 2.700 m), con una rigogliosa vegetazione in cui prevalgono alberi ad alto fusto; 
la zona della brughiera (da 2.700 m a 4.000 m), costituita per la maggior parte da specie arbustifere;
 la zona del deserto d'alta quota (da 4.000 m a 5.000 m), desertica e desolata;
 la zona sommitale (da 5.000 m a 5.895 m), spesso coperta dalle nevi e soggetta a condizioni climatiche estreme.
 Il Kilimanjaro può essere raggiunto attraverso una serie di vie d'accesso che variano per grado difficoltà, offrendo meravigliosi itinerari in mezzo alla natura.

Lo “zero”: non solo matematica

Lo guardi e non lo vedi lo ascolti e non lo senti ma se lo adoperi è inesauribile (dal “ Tao Te King” di Lao Tse, VI sec a.C.)

E’ il Tao, l’Assoluto, ma sono parole che si adattano bene anche allo zero, un numero molto speciale e, per molto tempo, avversato, che richiede un esame attento.
E’ un numero nel cui substrato si annidano, oltre la matematica, i concetti del Nulla e dell’Infinito.
Il concetto di zero, appartiene alla cultura indiana, come del resto le altre cifre dall’uno al nove, oggi in uso, fu, in Europa, inizialmente guardato con sospetto, in fondo usare lo zero comportava l’ammissione dell’esistenza del Nulla, con le relative implicazioni filosofiche e religiose.
Questa avversione aveva radici lontane: i greci, sia in epoca classica che in epoca ellenistica, non danno un valore numerico al nulla.
Per di più grandi filosofi, come Platone ed Aristotele, ne teorizzavano la non esistenza.
Se il niente non può esistere, non può esistere neanche un numero che lo rappresenti e su questo indirizzo era anche la chiesa.  



Gerberto d’Aurillac, celebre matematico,più conosciuto come papa Silvestro II nel 999, è stato fra i primi divulgatori, nella cultura occidentale, delle cifre indiane e dello zero.
Cifre, trasmesseci dagli arabi, che aveva conosciuto durante un suo viaggio in Spagna nel 967.
Molti dubbi rimanevano tra i teologhi più intransigenti ma, da lui in poi,lo zero assume il suo ruolo fondamentale, tanto che in un manoscritto del monastero di Salem, del XII secolo si può leggere: “Ogni numero nasce dall’Uno e questo deriva dallo Zero.
In questo c’è un grande sacro mistero: Dio è rappresentato da ciò che non ha né inizio né fine; e proprio come lo zero non accresce né diminuisce un altro numero al quale venga sommato o dal quale venga sottratto, così Egli né cresce né diminuisce”.
Lo zero ha la proprietà di “essere” il nulla o l’infinito, moltiplicando un numero per zero il risultato è sempre zero, dividendo un numero per zero il risultato è infinito
Lo zero è l’ alfa o l’omega: il principio o la fine.
Forse dipende da noi la scelta del moltiplicare o dividere?


Molto probabilmente i primi ad adottare lo zero, come numero, furono i Maya,con il loro sistema vigesimale ,cioè in base venti.
I Maya per indicare un ordine numerico vuoto inventarono lo zero. Lo rappresentavano usando diversi glifi per lo più a forma di conchiglia.
Si pensa che l’introduzione del numero zero sia dovuta anche per motivi religiosi, non dimentichiamoci che i maya avevano elaborato un calendario molto preciso e sapevano fare calcoli astronomici elaborati, che servivano a determinare le date delle ricorrenze religiose.
Un calendario che arriva fino al nostro 2012!!!
Il Brahmasphutasiddhanta costituisce la fonte più antica conosciuta,dopo i maya, a considerare lo zero un numero ed enuncia anche regole aritmetiche e sui numeri negativi.
L’aspetto più interessante è l’ usare un numero limitato di simboli con cui scrivere tutti i numeri, secondo alcuni studiosi, dovuto alla conoscenza diretta o tramite i greci, del sistema sessagesimale babilonese, ben più antico.
Gli indiani avrebbero allora iniziato ad utilizzare solamente i primi 9 simboli del loro sistema decimale in caratteri Brahmi, in uso dal III secolo a.C.
Questi simboli assumono forme leggermente diverse secondo le località ed il periodo temporale, ma sono comunque questi che gli arabi più tardi copiarono e che, in seguito sono passati in Europa fino alla forma definitiva standardizzata dalla stampa nel XV secolo.
Indiani (XI sec. d.C.) numerazione posizionale, a base decimale Gli Indiani, oltre ai simboli dei numeri, ebbero l’intuizione geniale d’inventare lo “zero”
Quest’idea del “nulla”, che impregna il misticismo religioso induista, è importantissima per la matematica: il nostro sistema di numerazione decimale e posizionale si basa, infatti, su unità, decine, centinaia, etc..
Direi che l’affermazione dello zero e del sistema decimale-posizionale, in Italia ed in Europa, sia dovuta principalmente, oltre al già citato papa Silvestro II, al grande matematico Leonardo Fibonacci.
Gli arabi chiamavano lo zero sifr (صفر): questo termine significa “vuoto” ma nelle traduzioni latine veniva indicato con “cephirum”, cioè zefiro (nella mitologia greca è la personificazione del vento di ponente).
Infatti nel “Liber abaci” di Leonardo Fibonacci (Pisa 1170 – Pisa 1250) si può leggere: “Novem figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1 Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur.”
( Ci sono nove figure degli indiani: 9 8 7 6 5 4 3 2 1.
Con queste nove figure, e con il simbolo 0, che gli arabi chiamano zephiro, qualsiasi numero può essere scritto

L'uccello intelligente

In natura non è raro trovare esempi di grande intelligenza e stupisce rendersi conto di come gli animali riescano a far fronte alle loro necessità usando una forma di intelligenza istintiva che a volte è paragonabile a quella umana.

Nehemes Bastet, cantante di Amon



In concomitanza con la deposizione dell'ex presidente egiziano Mubarak, gli archeologi dell'Università di Basilea hanno fatto un'importante scoperta nella Valle dei Re.
 Una delle scoperte più rilevanti da quasi un secolo.
 La Valle dei Re, sulla riva occidentale del Nilo, di fronte all'antica città di Tebe, fu l'ultimo luogo di riposo dei faraoni e dell'aristocrazia egizia nel periodo del Nuovo Regno (1539-1069 a.C.), il periodo sicuramente più prospero della storia egizia. 
Furono intagliate, nelle pareti rocciose, decine di tombe, la maggior parte delle quali saccheggiate già a cominciare dall'antichità.
 Proprio qui il team di archeologi svizzeri si è imbattuto in una sepoltura importante, ricavata all'estremità sud-orientale della valle. Hanno, pertanto, richiesto i permessi necessari per scavare che sono arrivati con un certo ritardo, permettendo agli archeologi di mettersi al lavoro solo un anno più tardi. 
Iniziati gli scavi, ad otto metri di profondità è venuto alla luce il bordo superiore di una porta, bloccata da pietre di grandi dimensioni. Sul fondo dello scavo sono stati ritrovati frammenti di ceramica e pezzi di intonaco, materiale comunemente usato per sigillare l'ingresso delle tombe egizie.
 Sono stati proprio questi ritrovamenti a far capire agli studiosi che erano in presenza di una sepoltura databile ad un periodo compreso tra il 1539 e il 1292, quando sull'Egitto regnava la XVIII Dinastia.

Attraverso un'apertura accanto alla porta, gli archeologi hanno potuto fotografare l'interno dell'ambiente. Le immagini sorprendenti dell'interno hanno rivelato una piccola camera scavata nella roccia, riempita di detriti quasi fino al soffitto. In cima ai detriti giaceva un sarcofago scolpito in legno di sicomoro e decorato con geroglifici di colore giallo ai lati e sulla superficie superiore. Il sarcofago appariva in ottime condizioni di conservazione.

I geroglifici, una volta decifrati, hanno consentito di dare un nome alla proprietaria della tomba, Nehemes Bastet, una donna appartenente ad una classe sociale elevata, che aveva il titolo di "cantante di Amon".
 Il padre di Nehemes Bastet era sacerdote nel complesso templare di Karnak a Tebe. 
Il colore del sarcofago ed i geroglifici sembravano appartenere ad un periodo più tardo rispetto all'intera sepoltura, compreso tra il 945 e il 715 a.C.. Evidentemente la camera sepolcrale era stata riutilizzata successivamente alla sua creazione, una consuetudine comune all'epoca. 
All'interno della tomba sono state ritrovate una stele di legno piuttosto piccola, su cui era dipinta una preghiera per la cura della defunta, e un'immagine che gli archeologi ritengano sia quella di Nehemes Bastet seduta di fronte ad Amon. Le macerie contenute nella camera sepolcrale comprendevano vasellame, frammenti di legno e parti della mummia che, in origine, aveva occupato la tomba.
 La sepoltura di Nehemes Bastet è la prima ad essere stata ritrovata dopo la grande scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1922.

 La sepoltura di Nehemes Bastet sta già "parlando" ai suoi scopritori, fornendo notizie interessanti sulla vita della donna che, un tempo lontano, fu "cantante di Amon". 
Ella visse in un periodo in cui l'Egitto era attraversato da conflitti intermittenti tra i faraoni che risiedevano a Tanis ed i sommi sacerdoti di Amon a Tebe, che gareggiavano con i sovrani in ricchezza e potere.

Nehemes Bastet, pur essendo una donna dallo status sociale piuttosto elevato, fu sepolta in modo molto semplice, malgrado il sarcofago, scolpito in legno di sicomoro, fosse molto costoso. La musica, alla quale la donna si dedicava, era un elemento chiave nella religione egizia. Serviva per blandire le divinità e per incoraggiarle a provvedere ai loro fedeli.
 La professione di "cantante di Amon" era ritenuta piuttosto importante, nell'antico Egitto. Probabilmente si trasmetteva di madre in figlia. Le donne che la esercitavano erano rispettate e benvolute e proprio per questo Nehemes Bastet è stata sepolta nella Valle dei Re. Di solito le "cantanti di Amon" erano retribuite, al pari dei sacerdoti del dio, con i proventi derivati dall'amministrazione degli estesi terreni di cui erano proprietari i templi in Egitto. Ancora molte cose deve rivelare Nehemes Bastet agli archeologi. Per farlo deve essere trasportata in laboratorio.
 Ora la mummia è a Luxor, dove ha avuto le prime "cure". Una Tac al corpo di Nehemes Bastet è prevista per la fine di quest'anno o per l'inizio del 2013. Gli archeologi pensano che quella della "cantante di Amon" non sia l'unica sepoltura ancora da scoprire nella Valle dei Re.

Henri de Toulouse-Lautrec



 Henri Marie Raymond de Toulouse-Lautrec nacque il 24 novembre del 1864 ad Albi, nel palazzo medioevale della famiglia, le cui origini nobili risalivano fino a Carlo Magno.
 Il padre, ozioso e appassionato di caccia, nel 1868 si separò dalla moglie a seguito della morte del fratello di Henri, di tre anni più giovane di lui.
 Nel 1872, Toulouse - Lautrec si trasferì con la madre a Parigi, dove frequentò il Lycée Fontanes e conobbe Maurice Joyant, l'amico della sua vita, che sarebbe divenuto anche il curatore della sua eredità, il suo primo biografo e che avrebbe fondato, ad Albi, il Museo Toulouse - Lautrec. 
Nel 1875, Lautrec a causa del suo cagionevole stato di salute, ritornò ad Albi dove la sua istruzione continuò ad opera della madre e di insegnanti privati. Egli soffriva di picnodisostosi, una malattia ossea di natura ereditaria, dovuta alla consanguineità dei genitori che erano, infatti, cugini di primo grado.
 A tredici anni, nel maggio del 1878, si ruppe il femore sinistro a seguito di una rovinosa caduta e l'anno successivo una nuova caduta nel letto di un torrente in secca gli procurò la rottura del femore destro. Le uniche cose che in quei momenti difficili gli davano consolazione erano il disegno e la pittura.
 Dopo aver ottenuto la maturità nel 1881, Lautrec si recò a Parigi da René Princetau, pittore di animali, sordomuto ed amico del padre, che, vista la bravura e il talento di Lautrec, l'anno successivo lo mandò dal noto artista francese Léon Bonnat che ebbe, e continuò ad avere anche dopo la morte di Lautrec, un giudizio negativo sul suo modo di disegnare.
 Nel settembre del 1882, Toulouse - Lautrec entrò nello studio di Fernand Cormon, dove frequentò Henri Rachou, 
Adolphe Albert, René Grenier  Louis Anquetin e conobbe Vincent Van Gogh, di cui divenne amico e il cui ritratto è una delle sue migliori prime opere.

 Nel 1884 si trasferì da amici a Montmartre luogo che fu un'inesauribile fonte di ispirazione e in cui aprì, nel 1886, un proprio atelier di pittore. Frequentò assiduamente cabaret, caffè e sin dalla sua fondazione, nel 1889, divenne ospite fisso del Moulin Rouge, al cui ingresso faceva mostra di sé la sua opera "Cavallerizza acrobata al circo Fernando", del 1888, e per il quale realizzò il "Ballo al Moulin Rouge", del 1892.

Molti dei personaggi del cabaret, tra cui La Goulue, Yvette Guilbert, la ballerina Jane Avril, il proprietario di cabaret Aristide Bruant, Valentin le Désossé,
 furono resi immortali grazie ai quadri e ai manifesti di Lautrec

 Nel 1884 ebbe luogo la prima esposizione a cui prese parte con alcune sue opere, a cui ne seguirono altre e nel 1893 realizzò la sua prima grande mostra individuale che vide giudizi positivi da parte della critica. Ammiratore di Cézanne, Renoir, Manet e in particoalr modo di Degas, Lautrec si interessò molto alla xilografia giapponese, di cui venne a conoscenza grazie a Van Gogh.
 Nel 1891, quando il Moulin Rouge gli commissionò la realizzazione di un manifesto pubblicitario che sarebbe stato affisso in tutta Parigi, iniziò per Lautrec un periodo di notorietà e di commissioni: produsse 31 manifesti, tra cui famosi quelli per Jane Avril,
 Aristide Bruant, la ballerina May Milton,
 il Divan Japonais e il Jardin de Paris.


 Viaggiò molto, visitando la Francia, l'Olanda, la Spagna, il Belgio, l'Inghilterra: realizzò, però, pochissimi paesaggi: non nutriva particolare interesse per la pittura paesaggistica, prediligendo le figure umane. Autore, nei vent'anni di attività, di 600 dipinti, 350 litografie, 31 manifesti e 9 incisioni, Lautrec è universalmente riconosciuto come uno dei più geniali grafici della storia dell'arte, soprattutto nella litografia a colori. Intorno al 1890, Lautrec ebbe l'incarico di dipingere il salotto della casa chiusa di Rue de Moulins, la migliore di Parigi, e pertanto si trasferì lì, vivendo in quegli ambienti considerati malfamati ma che egli trovava ricchi di vita ed accoglienti. Fra il 1892 e il 1895 Toulouse-Lautrec dedicò moltissimi quadri e disegni alle case chiuse parigine e alla vita quotidiana che in esse si svolgeva, colta negli aspetti più particolari e segreti. Interessato al teatro, al circo, all'ippica e all'automobilismo, da cui traeva motivi ed ispirazioni per le sue opere, Lautrec, anche a causa della sua vita smodata e senza soste, iniziò ad avere i primi effetti dannosi per la sua salute. Bevitore di alcol, dal 1897 in poi fu sempre più colto da depressioni, manie di persecuzione, nevrosi, irascibilità, fino ad essere ricoverato, all'inizio del 1899, in una clinica neurologica. Uscitone dopo qualche mese, riprese soprattutto a dipingere, realizzando, tra le altre, "Miss Dolly, l'inglesina dello Star a Le Havre", "La modista", "Al Rat Mort".


 Henri de Toulouse-Lautrec Miss Dolly, l'inglesina dello Star a Le Havre,
 1899 Olio su tavola, dim: 41 x 32,8 cm

Henri de Toulouse-Lautrec La modista, 
1900 Olio su tavola, dim: 61 x 49,3 cm

 Riprese a bere e l'unica cosa che gli desse conforto era il lavoro: realizzò altri manifesti e quadri, tra cui una serie di dipinti per l'opera teatrale "Messalina", fino a quando, nell'estate del 1901,
 fu colpito da un colpo apoplettico che gli procurò
una semiparalisi.


 Morì, trentasettenne, il 9 settembre del 1901, assistito dalla madre e dal suo amico Paul Viad.

Fragile e in difficoltà, la rondine torna al tetto



Sono già diversi anni, ormai, che sappiamo come il destino e il futuro delle rondini stia diventando ogni anno più difficile: questo uccellino dal canto inconfondibile, simbolo per eccellenza dell’arrivo della primavera, come tanti altri animali subisce a vario titolo gli effetti della presenza dell’uomo e della sua impronta sempre più profonda ed incisiva su territorio ed ambiente.
 In particolar modo, a partire dagli anni ’70, la povera rondine si è trovata a fronteggiare e a patire le conseguenze sia dirette sia indirette delle numerose trasformazioni che il nostro pianeta ha conosciuto negli ultimi decenni: da una parte il suo habitat è stato totalmente alterato dall’introduzione tanto del cemento quanto dei rinnovamenti nel campo agricolo, dall’altra i cambiamenti climatici che stanno interessando l’Africa, e quell’area tropicale posta a sud del deserto del Sahara dove questi uccelli si dirigono per svernare, lasciano sempre più disorientate e indebolite queste fragili creature.
Le trasformazioni dell’habitat hanno portato grossi problemi al popolo delle rondini: un popolo che, secondo le stime elaborate da BirdLife International e riportate dalla LIPU, tra il 1970 e il 1990 si sarebbe ridotto del 40%. Innanzitutto, l’intensificazione dell’agricoltura nei nostri territori ha comportato l’eliminazione dei tanti piccoli rifugi di cui gli uccelli si servivano per ristorarsi quando tornavano dal proprio lunghissimo viaggio attraverso il deserto, il Nord Africa e il Mediterraneo: siepi, fossi, prati e canneti che servivano allo scopo di offrire un ricovero dove le rondini potessero trovare il nutrimento sono andati sempre più scomparendo, mentre un massiccio uso di pesticidi ha causato sia danni diretti alla salute dei volatili, sia problemi con l’approvvigionamento, dal momento che tali sostanze attaccano gli insetti di cui essi si cibano. Unito a ciò, la ristrutturazione degli edifici rurali, in particolar modo delle stalle, ha causato la perdita di uno dei luoghi più adatti in assoluto alla nidificazione: un fenomeno che ha causato l’allerta di molti comuni d’Italia che, già da tempo, si sono attivati con delibere il cui obiettivo è salvaguardare gli spazi delle rondini.