A volte, se sei depresso...


A volte, se sei depresso, non vorresti fare niente. Tutto quel che vuoi fare è appoggiare la testa al braccio, e guardare nel vuoto. A volte puoi andare avanti così per ore. Se sei eccezionalmente depresso, devi perfino cambiare braccio.

Charlie Brown

I Dioscuri del Quirinale



I Dioscuri che dominano piazza del Quirinale a Roma sono tra le statue più significative che ci sono giunte dall'antichità. Inizialmente decoravano il tempio di Ercole e Bacco (creduto dedicato al Sole o a Serapide), voluto da Settimio Severo intorno al 198 d.C. in onore del futuro dei figli Caracalla e Geta. Le due statue furono trasferite nelle adiacenti terme di Costantino.
 Dal Medioevo i Dioscuri furono un riferimento topografico in descrizioni della zona e piantine della città.
 Nel 1470 vennero puntellati con muri in mattoni (così appaiono in stampe del Cinquecento).

Sisto V (1585-1590) fa integrare con il marmo le parti mancanti da Flaminio Vacca. Domenico Fontana, grande architetto dell'epoca, invece, libera piazza del Quirinale dai ruderi delle terme.
 Nel 1783 Pio VI fa prelevare un obelisco dal Mausoleo di Augusto (compagno di quello attualmente visibile sull'Esquilino) per collocarlo tra le statue dei Dioscuri.
 Sulle basi le iscrizioni "opus Phidiae" e "opus Praxitelis" furono fatte apporre da Sisto V.
 In realtà gli studiosi non sono mai stati d'accordo su quest'attribuzione, preferendo, per motivi di congruità stilistica, l'attribuzione del gruppo marmoreo all'età Severiana.

IL MITO

"Sapevo di appartenere al pubblico e al mondo non perchè avessi bellezza o talento, ma perchè non ero mai appartenuta a nessuno.
Marilyn Monroe

DIVA indimenticata degli anni '50, stella intramontabile ancora ai nostri giorni, star delle stars al cinema e nella vita, icona di bellezza e glamour, che continua a incantare milioni di fans in tutto il mondo.
Un mito che resiste negli anni e che non è solo dovuto alla sua ammaliante sensualità, alla solare bellezza, alla simpatia, ma pone le sue radici nella vita stessa di questa creatura dall'infanzia bistrattata, che diventa una delle star più sfolgoranti e acclamate, il mito si forma in quel processo di trasformazione da Norma Jean a Marilyn Monroe, da ragazza povera e sballottata, ma piena di desiderio di riscatto, a grande diva sul set e fuori, che conquista la notorietà e il gran mondo per poi esserne travolta.
Marilyn rappresenta la forza e la debolezza, l'ambizione e l'ingenuità di chi vive esperienze meravigliose, forse al di sopra delle proprie possibilità, ma nello stesso tempo là dove passa riesce a lasciare un segno indelebile.



Le persone dolci non sono ingenue né stupide, né tanto meno indifese. Anzi, sono così forti da potersi permettere di non indossare nessuna maschera. Libere di essere vulnerabili, di provare emozioni, di correre il rischio di essere felici"
-- Marilyn Monroe 


Oggetti realizzati per  rendere un omaggio a Marilyn Monroe come attrice, come cantante e come donna,
tecnica della vetro fusione con pittura a caldo oro e smalti GRAFFITI VETRO ARTE

OLIMPIA MAIDALCHINI, LA PIMPACCIA DI PIAZZA NAVONA



 Olimpia Maidalchini, vissuta in un secolo - il XVII - che nessuno spazio concedeva alle donne, mise pienamente a frutto questa regola per ritagliarsi un posto da protagonista nella Roma aristocratica e papalina del seicento, lasciandosi alle spalle due mariti e un papa, semplici pioli della sua scalata sociale.
 Intelligente, cinica, spregiudicata, non consentì mai ad un uomo di decidere per lei: a partire da suo padre, capitano d’industria viterbese, che la voleva monaca - al pari delle altre sue sorelle - per salvaguardare il patrimonio familiare a vantaggio dell’unico figlio maschio. Ma non aveva fatto i conti con il carattere ribelle e volitivo della ragazza che, sebbene quindicenne, aveva già le idee molto chiare, una su tutte: mai e poi mai avrebbe indossato il velo. E siccome il fine giustifica i mezzi ricorse alla calunnia per scampare il pericolo, accusando il suo direttore spirituale di aver tentato di abusare di lei. Naturalmente il sant’uomo, dopo i rigori di un’inchiesta ecclesiastica, fu scagionato e riabilitato, ma intanto la sedicenne Olimpia era convolata a nozze con un anziano e ricco borghese, Paolo Nini, che ebbe il buon gusto di lasciarla vedova (e ricca) dopo appena tre anni di matrimonio. 
 Potremmo definire questa serie di pur notevoli eventi come il prologo alla storia di Olimpia, poiché se la sua vicenda umana si fosse limitata a questo noi oggi non saremmo qui a ricordarla.

 Fu il suo secondo matrimonio a far di lei la “Pimpaccia di Piazza Navona”: la donna più odiata, temuta e riverita della Roma seicentesca. Olimpia è giovane, non ancora ventenne, seppur non particolarmente bella; ricchissima, grazie al patrimonio ricevuto in dote e a quello ereditato dal marito; ambiziosa e determinata. Cosa le manca? forse solo un po' di sangue blu che nobiliti le sue origini borghesi. Ma a questo, con le suddette premesse, si può porre rimedio. Fu così che nel 1612 si unì in matrimonio con Pamphilio Pamphili, di antichissima nobiltà, seppur nel contingente a corto di contanti e più vecchio di lei di trent’anni.
 Olimpia andò a vivere a Roma, nel palazzo Pamphili a piazza Navona, insieme al marito e ad un cognato che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica: Giovan Battista Pamphili, il futuro papa Innocenzo X.
 Olimpia amava Pamphilio? non si fa grande fatica ad escluderlo, ma forse la medesima cosa potremmo anche dire del maturo consorte, distratto da altri interessi e in primo luogo dalle sue collezioni. Fatto sta che "Trascorso poco tempo dalle nozze", come scrive un cronista del tempo, "andava la giovane sposa più spesso in carrozza col cognato che col marito; si tratteneva molto più nello studiolo con quello che nel letto con questo". 
Nasce cioè tra Olimpia e Giovan Battista quella straordinaria intesa umana e intellettuale che li accompagnerà per tutta la vita. Tra i due, è evidente, la personalità più forte è quella di Olimpia, ma ciò non indurrà lei alla prevaricazione, né lui alla sudditanza psicologica. Vi era, casomai, una compenetrazione di anime, un volere comune: Olimpia perseguiva genuinamente il bene e l'interesse di Giovan Battista e lui ne era consapevolmente convinto, al punto da accettare quasi con abbandono la sua guida. "Senza di te mi sento come una nave senza timone", le scrisse una volta dalla Spagna quando era ancora cardinale.

 Roma, il Palazzo Pamphili a Piazza Navona

Una tale unione spirituale presuppone forse una profonda e intima complicità fisica? In altre parole Olimpia e Innocenzo furono amanti o il loro fu soltanto un grandissimo, seppur trattenuto, amore platonico? Noi saremmo propensi per la prima ipotesi, non ci vedremmo niente di strano: da sempre relazioni sessuali con uomini potenti costituiscono (talvolta) una scorciatoia per realizzare inconfessabili ambizioni. E non era certo un tabù, nella Roma del seicento, per un ecclesiastico avere un’amante.
 Le fonti ci dicono però che il loro fu soltanto un amore spirituale e platonico, senza cedimenti sul piano fisico, se non su quello emotivo.

 E’ a questo punto tuttavia che inizia la “leggenda nera” di Olimpia che agli occhi del popolo di Roma, in virtù della sua soverchiante influenza sul cardinal Pamphili prima e su papa Innocenzo X poi, diventa per sempre “la Pimpaccia di Piazza Navona”. 

Non è del tutto pacifica l’origine di questo soprannome, che a noi appare come una storpiatura in senso dispregiativo del nome Olimpia. Altri ritengono sia mutuato dal nome, Pimpa, della intrigante protagonista di una commedia allora in voga.
 Anche Pasquino ci mise del suo, con un pungente gioco di parole: “Olim Pia” (ovvero: una volta pia, devota), “Tunc impia” (ora empia, sacrilega), condito da ulteriori motteggi per più facili palati. 

Fatto sta che Olimpia con pazienza e lungimiranza sostenne, anche economicamente, la carriera ecclesiastica del cognato, fino alla nomina a cardinale, fino alla conquista del soglio di Pietro.
 Era notorio che chi volesse avvicinare il cardinale Pamphili per richieste, suppliche o favori dovesse preventivamente omaggiare Olimpia, il cui intervento era tutt’altro che disinteressato. 
Quando poi il cognato assurse al papato il potere di Olimpia divenne tale che il popolo, con soggezione mista a spregio, cominciò a chiamarla la “papessa”. Sembra infatti che il pontefice, soggiogato dalla sua influenza, fosse incapace di prendere decisioni di un qualche rilievo senza l’avallo, più che il consiglio, di Olimpia.
 Questo le consentì di acquisire un ruolo di assoluta preminenza nella corte papale, come pure di accumulare grandi ricchezze, mettendo a frutto i capitali investiti per favorire la carriera del cognato e la sua ascesa al papato.

Innocenzo X, la cui memoria iconografica è legata allo splendido ritratto di Velazquez reinterpretato nel novecento in modo visionario dall’artista inglese Francis Bacon, mostrò la sua riconoscenza alla “Pimpaccia” con atti di smaccato nepotismo: Camillo Pamphili, figlio di Olimpia e nipote del pontefice, dopo esser stato nominato Generale della Chiesa, Comandante della flotta e Governatore di Borgo ebbe nel 1644 la porpora cardinalizia, realizzando così una grande aspirazione della madre che aveva lungamente brigato per spingere il figlio ad intraprendere la carriera ecclesiastica.
 Non solo, riuscì ad Olimpia, grazie al suo ascendente sul papa, di far posare la berretta cardinalizia anche sulla testa del nipote Francesco Maidalchini.
 Per sé ottenne il sospirato titolo nobiliare di Principessa di San Martino al Cimino che onorò ricostruendo l’antica abbazia in rovina, il grande Palazzo Pamphili e ristrutturando il borgo secondo il caratteristico disegno di impronta militare che ancora lo distingue. 

Busto di Olimpia di Alessandro Algardi

 Tutto ciò le provocò, inevitabilmente, invidie e maldicenze. Quest’ultime, in particolare, di tale virulenza da apparire talvolta inverosimili.
 Prendendo a spunto un suo interessamento per il recupero delle meretrici che numerosissime operavano nella Roma papalina fu accusata di gestire un vero e proprio traffico di prostituzione; il suo attivismo caritatevole per l’accoglienza dei pellegrini del giubileo del 1650 fu bollato come interessato e lucroso; addirittura si disse che Bernini per garantirsi l’appalto della “Fontana dei quattro fiumi” in Piazza Navona dovette ingraziarsi la “Pimpaccia” con un modello in argento della fontana stessa di un metro e mezzo di altezza! Trascurando le voci, totalmente inaccoglibili, che la vogliono avvelenatrice del marito ormai ottantenne, la sua smodata avidità di danaro troverebbe conferma in un episodio, oltremodo squallido, verificatosi nel 1655 alla morte del suo grande protettore, il pontefice Innocenzo X. 

Si dice che Olimpia abbandonò di gran fretta il palazzo vaticano – la “sede vacante” che si verificava alla morte di un papa era sempre occasione di vendette e gravi disordini – dopo aver sottratto due casse piene di monete d’oro nascoste sotto il letto del papa.
 Non solo, pare che si rifiutò di partecipare alle spese per le esequie papali dichiarandosi priva di risorse e giustificandosi col dire “che soldi volete che abbia una povera vedova?”.
 Fatto sta che la salma del pontefice restò per un giorno in attesa che qualcuno provvedesse a deporla in una bara, cosa a cui infine si determinò il vecchio maggiordomo, spendendo del suo.

 Con la morte di Innocenzo X viene a compimento la parabola esistenziale di Olimpia che si ritira nel suo feudo a San Martino al Cimino dove morirà di peste dopo solo due anni: fu sepolta, come da sua richiesta, sotto la navata centrale dell’abbazia.

 La sorpresa, grande, fu per i suoi eredi che si videro investiti della favolosa cifra di due milioni di scudi, frutto della sua scaltra determinazione come pure della sua oculata amministrazione

LA PASQUA

Per la religione cristiana, gli eventi che condussero alla morte di Gesù sono commemorati ogni anno con la festività della Pasqua. Ecco cosa avvenne. Gesù e i dodici discepoli da lui scelti erano venuti a Gerusalemme per celebrare la Pasqua ebraica, una festa che ricordava la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù d'Egitto. Gesù sapeva di correre gravi rischi, perché i sacerdoti e i Romani consideravano molto pericolosa la sua influenza e volevano sbarazzarsi di lui. Questa speciale ricorrenza della Pasqua ebraica,perciò sarebbe stata l'ultima cena che Gesù e i dodici discepoli avrebbero consumato insieme.

Sedevano dunque a una lunga tavola su cui erano posati i vassoi con l'agnello pasquale, il pane e il vino. Tutti erano d'umore molto triste. " Sono contento di avere questa opportunità e di stare con voi." disse Gesù. " Perché sarà l'ultima volta che ceneremo insieme, in questa vita." Nessuno parlò. I discepoli non sapevano che cosa dire. Poi Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò in dodici parti e ne diede un pezzo a ciascuno dei suoi discepoli. " Mangiate questo pane" disse " in memoria di me". " Poiché questo é il mio corpo". Poi prese un bicchiere di vino e lo passò a turno a ciascuno di loro. " Bevete questo vino" disse " poiché questo é il mio sangue, che io verserò perché siano perdonati i peccati di tutti." Mangiarono senza parlare.

Quando ebbero finito, Gesù ruppe il silenzio con parole che fecero rabbrividire tutti i commensali. " Un'ultima cosa devo dirvi" disse profondamente turbato. " Questa sera uno di voi mi tradirà". I discepoli non credevano alle loro orecchie. Cominciarono a parlare tutti insieme, decisi a negare questa terribile accusa. Eppure Gesù era sicuro. " Ma chi sarà? Signore?" chiese Pietro. " Chi di noi tradirà?" Prima che Gesù avesse il tempo di rispondere, ci fu un certo scompiglio, in fondo alla tavolata. Uno dei dodici, di nome Giuda Iscariota, si era alzato di scatto rovesciando la sedia ed era uscito di corsa. Gesù non ebbe bisogno di parlare; la risposta era evidente. Sarebbe stato Giuda a tradirlo. Più tardi,quella sera, Gesù andò con i discepoli, all'orto di Getsemani. Mentre pregavano, ecco arrivare Giuda con un drappello di guardie del Tempio; qualche giorno prima aveva preso accordi con i sacerdoti per consegnare loro Gesù in cambio di trenta denari. "Quello che bacerò é l'uomo che volete!" bisbigliò Giuda ai soldati. E andò diritto a raggiungere Gesù. " Ti saluto Maestro" disse Giuda e baciò Gesù su una guancia. Immediatamente i soldati afferrarono Gesù e lo portarono via. I discepoli non poterono fare nulla. Scappò via anche Giuda, vergognandosi di quello che aveva fatto. Gesù fu condotto al Tempio, dove i sacerdoti lo stavano aspettando. Ora toccava a loro dimostrare che c'erano buone ragioni per mandare a morte Gesù.

Lo interrogarono per tutta la notte, sperando di coglierlo in fallo. Ma Gesù non disse nulla. Alla fine il sommo sacerdote gli pose una domanda: " Sei tu il figlio di Dio?" gli chiese. " Sì, lo sono" rispose Gesù. " E' una bestemmia!" gridarono gli altri sacerdoti. " Sostiene di essere Dio,mentre non lo é e non può esserlo!" dissero ancora. " Deve morire per questa bestemmia!" convennero tutti. I sacerdoti portarono Gesù davanti a Ponzio Pilato, il governatore romano, perché era necessario il suo consenso per poter condannare a morte Gesù. Pilato si trovò di fronte ad un dilemma; non voleva mettersi in contrasto con i sacerdoti, e al tempo stesso, era convinto che Gesù non meritasse la condanna a morte. Così condusse fuori Gesù e lo mostrò alla folla in attesa. " E' mia abitudine liberare un prigioniero in occasione della vostra Pasqua" disse alla gente. " Chi volete libero? Devo liberare Gesù?" " No!" gridò la folla. "libera Barabba, al posto suo!" I sacerdoti avevano pagato quella gente. " E Gesù invece sia crocifisso!". Pilato non ebbe altra scelta che liberare Barabba e consegnare Gesù ai soldati.

Gesù fu condotto sul Golgota, che vuol dire " il luogo del teschio" e qui venne inchiodato ad una croce, con un ladrone alla sua sinistra e un ladrone alla sua destra. " Perdonali, Padre Mio" pregò Gesù " poiché non sanno quello che fanno." Tutto il giorno Gesù restò appeso alla croce, diventando sempre più debole. Poi, quando cadde la notte, lanciò un ultimo grido. " E' compiuto!" disse, e con queste parole morì. Alcuni seguaci di Gesù pregarono Pilato di concedere il suo corpo per dargli degna sepoltura. Pilato acconsentì perché si sentiva un po' colpevole. I seguaci fecero scendere dalla croce il corpo di Gesù; lo avvolsero in un grande lenzuolo bianco e così fasciato lo portarono in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fecero rotolare una pietra all'ingresso della tomba e tornarono lentamente a casa; quello era il giorno più triste della loro vita. Passati tre giorni, Maria Maddalena ed alcuni discepoli tornarono al sepolcro.

Con loro enorme stupore, videro che la pietra era stata tolta e la tomba era vuota. Il corpo di Gesù era scomparso. I discepoli corsero ad avvisare gli altri, mentre Maria Maddalena rimase presso il sepolcro a piangere. D'un tratto alzò gli occhi e accanto a lei c'era un uomo. " Perché piangi?" le chiese l'uomo con grande dolcezza. " Cosa è successo?" La donna iniziò a parlargli della tomba vuota, ma lui la interruppe. " Non mi riconosci, Maria?" disse. " Sono io, Gesù. Và a dire ai miei amici che sono vivo e non essere più triste." Piena di gioia,Maria corse dai discepoli per raccontare quello che aveva visto. All'inizio non le credettero; era troppo bello per essere vero. Ma ben presto arrivarono delle conferme: altri l'avevano visto. E poi, un giorno venne a trovarli di persona. Dapprima pensarono che fosse un fantasma, ma Gesù mostrò i segni dei chiodi sulle mani e sui piedi, e mangiò il pesce e il miele che gli diedero. Poi disse ai discepoli di raccontare a tutti che era morto e resuscitato per loro, in modo che ciascuno, chiunque fosse, venisse perdonato dei propri peccati e conducesse una vita buona ed onesta.

Alla fine prese congedo dai discepoli, poi, sotto ai loro occhi, fu sollevato in cielo su una nuvola.La festa di Pasqua ripropone ogni anno questo messaggio di libertà e speranza. Anche la natura sembra coglierlo e farlo suo: l'erba ricresce nei prati, spuntano fiori e germogli, nascono cuccioli e pulcini. Tutto è promessa e speranza nel domani.





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IL MALTOLO per portare al "suicidio" i tumori. UNA RICERCA TUTTA ITALIANA



IL MALTOLO Nuova scoperta nel campo dei tumori, nuovamente di stampo italiano dopo quanto accaduto con Roberta Benetti.
Le ricerche sono portate avanti da due staff di ricerca, quello del dott.
Mirco Fanelli del Laboratorio di Patologia Molecolare “Paola”e quello del prof. Vieri Fusi, del Laboratorio di Chimica Supramolecolare, presso l'Università di Urbino.
Lo studio in questione porta alla luce come il MALTOLO, sostanza contenuta in molti cibi come il malto, il caffè, il cocco e la cicoria, possa portare all'autodistruzione le cellule tumorali, un vero e proprio "suicidio".
Ne parla Mirco Fanelli, a capo della ricerca, :
"Da subito abbiamo monitorato come alcuni modelli neoplastici (colture cellulari in vitro) fossero sensibili ai trattamenti con le due molecole denominate malten e maltonis :
le cellule, in risposta ai trattamenti, alterano dapprima la loro capacità di replicare e, successivamente, inducono un importante processo biologico che le conduce ad un vero e proprio suicidio, ovvero all'autodistruzione".
Gli scienziati spiegano che le prime dimostrazioni hanno prodotto risultanti interessanti, mostrando incredibili proprietà biologiche capaci di provocare una sensibile riduzione della massa tumorale.
Dice Fanelli:
"Queste nuove molecole sembrano agire attraverso dei meccanismi nuovi riconducibili a modificazioni strutturali della cromatina.
Tale meccanismo di azione, ad oggi mai osservato in molecole ad azione antineoplastica, è alla base per un potenziale sviluppo di molecole che possano sfruttare strategie alternative con cui bersagliare le cellule tumorali". La speranza dei ricercatori è quella di sviluppare una nuova arma partendo da una base naturale per sconfiggere il cancro, destinata soprattutto a quei tipi di tumore ancora sprovvisti di terapia o derivanti da una recidiva.

da http://www.inmeteo.net