sabato 16 marzo 2013
Bianco paradiso
Più che dune sabbiose sembrano colline di panna montata e si trovano nel Parco Nazionale delle Isole Whitsunday, in Australia. In effetti la sabbia presente sulle spiagge di questo arcipelago è tra le più pure e soffici al mondo. Talmente fine che secondo i fortunati abitanti della zona, è l’ideale per pulire e lucidare delicatamente anelli e altri gioielli.
Ma guai a portarne via un po' per ricordo: le multe per chi depaupera quest’area protetta sono salatissime e arrivano fino a 5 mila dollari (3.500 euro circa).
L'isola di Maupiti (Polinesia)
Maupiti ha una forma assai particolare: si presenta infatti come un atollo, costituito da un anello di terra che circonda una laguna, al centro della quale svetta però un vulcano, il monte Teurafaatui, alto 380 metri.
La laguna affiora dall’acqua solo a nord, mentre a sud svettano solo due piccoli motu (rilievi sabbiosi). Si raggiunge in circa due ore di navigazione, durante le quali si vede via via allontanarsi il monte Otemanu (m.727) e avvicinarsi il monte Teuraafatiu, cima più alta di Maupiti, che ha m. 380.
Sembra di lasciare la mamma e di raggiungere la figlia, infatti Maupiti sia per l’origine vulcanica sia per la configurazione con la laguna e i motu che circondano l’isola principale assomiglia a una Bora Bora in miniatura.
Piccola, ma storicamente e culturalmente importante Maupiti conserva un ampio e importante marae, dove si può vedere ancora il trono sul quale venivano incoronati anticamente i re di tutte le isole.
La laguna affiora dall’acqua solo a nord, mentre a sud svettano solo due piccoli motu (rilievi sabbiosi). Si raggiunge in circa due ore di navigazione, durante le quali si vede via via allontanarsi il monte Otemanu (m.727) e avvicinarsi il monte Teuraafatiu, cima più alta di Maupiti, che ha m. 380.
Sembra di lasciare la mamma e di raggiungere la figlia, infatti Maupiti sia per l’origine vulcanica sia per la configurazione con la laguna e i motu che circondano l’isola principale assomiglia a una Bora Bora in miniatura.
Piccola, ma storicamente e culturalmente importante Maupiti conserva un ampio e importante marae, dove si può vedere ancora il trono sul quale venivano incoronati anticamente i re di tutte le isole.
I pesticidi agiscono sulla memoria delle api
Le api stanno sparendo dal pianeta, ormai è un dato tristemente accertato dall'osservazione di numerosissimi alveari in diverse località del mondo. Il perché le api stiano sparendo, invece, rimane ancora una questione misteriosa: si tratta di un virus? Di un batterio? Di pesticidi? O di un cocktail di diversi elementi che risulta letale per questi operosi insetti? In attesa di conoscere la risposta, dobbiamo accontentarci dei risultati di alcune ricerche che hanno analizzato gli aspetti del Colony Collapse Disorder legati all'utilizzo di pesticidi.
Una di queste ricerche, condotta dai ricercatori della Newcastle University, sembra collegare alcuni pesticidi con l'incapacità delle api di procurarsi il polline. "Ogni impedimento nella loro abilità a procurarsi il cibo potrebbe avere forti ripercussioni sulla loro sopravvivenza" spiega Geraldine Wright, co-autrice della ricerca pubblicata lo scorso 7 febbraio su Journal of Experimental Biology. La ricerca di Wright si è focalizzata sulla capacità delle api di crescere in modo sano in presenza di alcuni pesticidi comunemente utilizzati nell'agricoltura e nell'apicoltura. "I pesticidi sono molto probabilmente coinvolti nel Colony Collapse Disorder e nella scomparsa di altri tipi di impollinatori" sostiene Wright. Durante una singola giornata, un'ape visita centinaia, a volte migliaia di fiori in cerca di polline. Le api riescono a ricordare la posizione di molti fiori in modo tale da riuscire a sfruttare le risorse alimentari più produttive dell'area in cui prospera la colonia, ma per recuperare la maggior quantità di polline devono percorrere viaggi lunghi anche otto chilometri e comunicare alle loro compagne la posizione di queste risorse.
Per ricordare la posizione dei fiori, le api utilizzano quella che viene definita "memoria olfattiva"; per comunicare la posizione di questi fiori agli altri membri della colonia, invece, eseguono la "danza delle api", un particolare movimento a 8 tramite il quale questi insetti comunicano informazioni come distanza dei fiori e sorgenti d'acqua.
Alcuni tipi di pesticidi sono tuttavia capaci di danneggiare seriamente la memoria olfattiva delle api e di rallentare la capacità di apprendimento sfruttata per imparare nuove informazioni dalla danza eseguita dalle compagne esploratrici.
"Le api imparano ad associare i colori e i profumi dei fiori alla qualità del cibo. I pesticidi influiscono sui neuroni coinvolti in questi comportamenti. Le api colpite dai pesticidi hanno probabilmente difficoltà a comunicare con gli altri membri della colonia".
Gli esperimenti di Wright hanno visto coinvolte alcune api raccolte dall'ingresso di diverse colonie. Le api sono state posizionate all'interno di flaconi di vetro prima di essere trasferite in un sacchetto di plastica all'interno del quale veniva inserita una sostanza zuccherosa contenente dosi non letali di pesticidi. Il team ha quindi registrato le conseguenze sulla memoria a breve e lungo termine dopo 10 minuti e dopo 24 ore. I risultati dicono che quando i diversi pesticidi sono combinati, i danni aumentano esponenzialmente.
"Questo è di fondamentale importanza perché uno dei pesticidi che abbiamo usato, il Cumafos, è la sostanza utilizzata per curare le infestazioni di Varroa nelle colonie di api in tutto il mondo".
Alcuni pesticidi, inoltre, sebbene non direttamente letali per le api, potrebbero abbassare le difese immunitarie di questi insetti e renderli più suscettibili a infezioni e altri pesticidi.
Il Cumafos è un pesticida utilizzato fino a poco tempo fa su larga scala per controllare le infestazioni di acari Varroa destructor, parassiti che attaccano ferocemente gli insetti impollinatori. Questo pesticida, una volta molto efficace, sta perdendo la sua tossicità perché i Varroa stanno sviluppando una forma di resistenza al composto; il suo utilizzo, inoltre, è in corso di diminuzione per le conseguenze potenzialmente catastrofiche per l'ambienta acquatico e gli insetti impollinatori.
Bodrum Turchia
Bodrum (anticamente Alicarnasso, in greco Αλικαρνασσός;
nel periodo medievale Petronium) è una città della Turchia, centro dell'omonimo distretto della provincia di Muğla. L'antica Alicarnasso dette i natali al celebre storico greco Erodoto (circa 484 - circa 420 a.C.).
Il re Mausolo, satrapo di Caria (la parte dell'Asia Minore inclusa nell'Impero achemenide persiano) dal 377 alla sua morte nel 353 a.C., fu inumato nella sontuosa tomba costruitagli ad Alicarnasso.
Di tale monumento, considerato come una delle sette meraviglie del mondo nell'antichità, sopravvivono solo alcune rovine informi.
Il nome di Mausolo, associato alla sua tomba, è all'origine della parola "mausoleo". Nei primi anni del XV secolo, verosimilmente a partire dal 1403, i cavalieri di Rodi (Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme) edificarono sopra l'antica cittadella un possente castello, cui dettero il nome di San Pietro, da cui deriva il nome dell'attuale Bodrum (derivante dal latino Petreum, o Petronium).
Costoro ne migliorarono costantemente le difese fino al 1521, come testimoniato dagli stemmi, ancor oggi visibili, posti ai differenti angoli della piazzaforte da quei capitani del castello o dai dignitari dell'Ordine che ne comandarono i lavori.
Nel 1522, gli Ottomani, sotto il comando del Sultano Solimano il Magnifico, entrarono a Rodi al termine d'un assedio durato sei mesi.
Il Sultano, sensibile all'austerità di vita dei «monaci-soldati» e al coraggio da essi manifestato nel corso dell'assedio, sotto la guida del loro Gran Maestro, Philippe Villiers de L'Isle-Adam, permise loro di abbandonare Rodi in tutta libertà (1º gennaio 1522) dopo essersi fatto consegnare tutti i possedimenti dell'Ordine degli Ospitalieri nel Dodecanneso, come pure il castello San Pietro.
Occupando il castello di Bodrum, sulla costa egea della Turchia e interferendo così nel controllo di cruciali rotte commerciali e vie di comunicazione, i valorosi cavalieri di Malta divennero la spina nel fianco di Solimano.
Nel 1522, questi li scacciò dalla loro roccaforte, nella vicina Rodi, ma l’aver magnanimamente risparmiato loro la vita si rivelò, 43 anni più tardi, un grave errore.
Il villaggio di Bodrum si sviluppò in seguito, grazie al commercio delle spugne. Castello San Pietro dei Cavalieri Ospitalieri a Bodrum.
Il castello fu utilizzato come prigione fra il 1895 e il 1915, ma fu abbandonato in seguito a un bombardamento della corazzata francese Duplex nel maggio del 1915, che danneggiò seriamente l'edificio.
Questo fu restaurato fra il 1960 e il 1964 e trasformato in museo.
Il castello ospita anche un importante museo di archeologia marina; alcuni oggetti in mostra datano all'età del bronzo.
nel periodo medievale Petronium) è una città della Turchia, centro dell'omonimo distretto della provincia di Muğla. L'antica Alicarnasso dette i natali al celebre storico greco Erodoto (circa 484 - circa 420 a.C.).
Il re Mausolo, satrapo di Caria (la parte dell'Asia Minore inclusa nell'Impero achemenide persiano) dal 377 alla sua morte nel 353 a.C., fu inumato nella sontuosa tomba costruitagli ad Alicarnasso.
Di tale monumento, considerato come una delle sette meraviglie del mondo nell'antichità, sopravvivono solo alcune rovine informi.
Il nome di Mausolo, associato alla sua tomba, è all'origine della parola "mausoleo". Nei primi anni del XV secolo, verosimilmente a partire dal 1403, i cavalieri di Rodi (Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme) edificarono sopra l'antica cittadella un possente castello, cui dettero il nome di San Pietro, da cui deriva il nome dell'attuale Bodrum (derivante dal latino Petreum, o Petronium).
Costoro ne migliorarono costantemente le difese fino al 1521, come testimoniato dagli stemmi, ancor oggi visibili, posti ai differenti angoli della piazzaforte da quei capitani del castello o dai dignitari dell'Ordine che ne comandarono i lavori.
Nel 1522, gli Ottomani, sotto il comando del Sultano Solimano il Magnifico, entrarono a Rodi al termine d'un assedio durato sei mesi.
Il Sultano, sensibile all'austerità di vita dei «monaci-soldati» e al coraggio da essi manifestato nel corso dell'assedio, sotto la guida del loro Gran Maestro, Philippe Villiers de L'Isle-Adam, permise loro di abbandonare Rodi in tutta libertà (1º gennaio 1522) dopo essersi fatto consegnare tutti i possedimenti dell'Ordine degli Ospitalieri nel Dodecanneso, come pure il castello San Pietro.
Occupando il castello di Bodrum, sulla costa egea della Turchia e interferendo così nel controllo di cruciali rotte commerciali e vie di comunicazione, i valorosi cavalieri di Malta divennero la spina nel fianco di Solimano.
Nel 1522, questi li scacciò dalla loro roccaforte, nella vicina Rodi, ma l’aver magnanimamente risparmiato loro la vita si rivelò, 43 anni più tardi, un grave errore.
Il villaggio di Bodrum si sviluppò in seguito, grazie al commercio delle spugne. Castello San Pietro dei Cavalieri Ospitalieri a Bodrum.
Il castello fu utilizzato come prigione fra il 1895 e il 1915, ma fu abbandonato in seguito a un bombardamento della corazzata francese Duplex nel maggio del 1915, che danneggiò seriamente l'edificio.
Questo fu restaurato fra il 1960 e il 1964 e trasformato in museo.
Il castello ospita anche un importante museo di archeologia marina; alcuni oggetti in mostra datano all'età del bronzo.
Come un uccello in volo
Il bello delle idee è che viaggiano nella nostra testa e, se vogliamo, nessuno può fermarle. Esse son libere, proprio come un uccello in volo.
Ōkunoshima, l'isola dei conigli
Ōkunoshima, nota anche come Usagi Shima ("isola dei conigli"), è una piccola isola giapponese della prefettura di Hiroshima nota per ospitare una vasta popolazione di conigli domestici, e per essere stata la sede di una produzione segreta di armi chimiche durante gli anni '20 del secolo scorso.
Prima di diventare il paradiso dei conigli, Okunoshima è stata la sede di alcuni impianti chimici realizzati dall'Istituto di Scienza e Tecnologia dell'Armata Imperiale Giapponese allo scopo di produrre e sperimentare armi chimiche. L'isola fu scelta principalmente per il suo isolamento e per la posizione geografica.
La realizzazione dell'impianto iniziò nel 1927, due anni dopo il Protocollo di Ginevra che proibiva l'utilizzo di armi chimiche, e che aveva visto anche la partecipazione del Giappone.
Tra il 1927 e il 1929, gli stabilimenti di Okunoshima produssero migliaia di tonnellate di "gas mostarda" (iprite) e gas lacrimogeni. L'isola divenne quindi una fortezza costantemente sorvegliata, per evitare che la notizia della produzione di armi chimiche potesse diffondersi.
In alcune mappe, l'isola venne cancellata totalmente, e ogni notizia di avvelenamento della popolazione locale fu messa velocemente a tacere. Le tre famiglie di pescatori che vivevano sull'isola non vennero mai messe al corrente di cosa producessero gli impianti, e subirono avvelenamenti più o meno gravi come molti dipendenti dello stabilimento.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, sia il governo giapponese che le forze alleate distrussero quasi ogni documento relativo alla produzione degli impianti di Okunoshima, seppellendo o bruciando ogni residuo tossico.
Oggi l'isola è stata dichiarata non pericolosa e ospita un museo (Ōkunoshima Poison Gas Museum), un hotel, un campo da golf a sei buche e un piccolo campeggio. Ma la vera caratteristica insolita dell'isola è la vasta popolazione di conigli che la abita.
Migliaia di conigli furono utilizzati come cavie durante lo sviluppo di armi chimiche su Okunoshima, ma pare siano stati tutti uccisi dopo la chiusura dello stabilimento.
La popolazione attuale di conigli (ce ne sono a centinaia in un'isola lunga nemmeno un chilometro) sembra quindi non avere nulla a che fare con gli esperimenti degli anni '20. Alcuni ritengono che siano i discendenti di 8 conigli portati sull'isola da un gruppo di bambini nel 1971.
I conigli di Okunoshima sono perfettamente a loro agio con l'essere umano e non hanno alcun timore ad avvicinarsi per ottenere qualche carota o qualche foglia di cavolo. Esiste addirittura una compagnia turistica, la Rakuten, che vende il pacchetto "Giochiamo con i conigli", in cui viene offerta una visita sull'isola e qualche ora di divertimento con i simpatici animali.
Trovato zucchero nello spazio:
segnale della presenza di vita?
Gli astronomi hanno individuato molecole di glicolaldeide nel gas caldo che avvolge una giovane stella, la IRAS 16293-2422 Nell'illustrazione, molecole di carbonio (in grigio), di ossigeno (in rosso) e di idrogeno (in bianco) contenute nello zucchero.
Immagine per gentile concessione di L. Calçada. ESO/NOAJ/NRAO
Gli astronomi hanno compiuto una "dolce" scoperta: molecole di zucchero semplice fluttuanti nel gas attorno a una stella lontana circa 400 anni luce, il che suggerisce la possibilità dell'esistenza di forme di vita su altri pianeti. Questa scoperta non prova che la vita si sia sviluppata in altre parti dell'universo, ma sottintende che non esiste nessuna ragione del contrario.
Gli astronomi hanno dimostrato che le molecole ricche di carbonio, le basi della vita, potrebbero essersi generate anche prima della formazione dei pianeti.
Gli scienziati usano il termine "zucchero" per riferirsi alle molecole organiche conosciute come carboidrati, composte da carbonio, idrogeno e ossigeno. Come spiega Jes Jørgensen della Copenhagen University, le molecole che il gruppo di studiosi ha rilevato nello spazio rappresentano la forma più semplice di zucchero, il glicolaldeide.
Può trovarsi sulla Terra, di solito sotto forma di una polvere bianca inodore. Anche se non viene utilizzato per dolcificare gli alimenti, secondo gli scienziati è fondamentale perché svolge un ruolo chiave nella reazione chimica che genera acido ribonucleico (RNA), una biomolecola cruciale presente in tutte le cellule viventi.
Jørgensen afferma che non è ancora esattamente chiaro come il glicolaldeide venga prodotto nello spazio, ma le osservazioni suggeriscono che si formi nei granelli di polvere coperti di ghiaccio nelle dense e fredde zone delle nuvole molecolari interstellari.
In precedenza, il glicolaldeide era stato rintracciato in soli due altri luoghi nello spazio: vicino al centro dell'enorme nube di di gas e polvere al centro della nostra galassia - la Via Lattea - e in una grande regione di formazione stellare, situata a 26 mila anni luce dalla Terra.
"Entrambe le regioni sono molto più lontane, e sono state osservate a una risoluzione inferiore.
Per questo gli astronomi non sono riusciti a individuare la posizione delle molecole", spiega Jørgensen.
La nuova scoperta, che si è concentrata sul gas caldo che circonda una giovane stella, la IRAS 16293-2422, è stata compiuta grazie all'Atacama Large Millimeter Array (ALMA), un grande radio telescopio situato in Cile.
"Questi risultati danno a noi e agli altri astronomi gli strumenti per cercare altre molecole prebiotiche, e possibilmente più complesse, nelle regioni in cui stelle e pianeti si stanno formando", conclude Jørgensen.
di Ker Than
National Geographic
segnale della presenza di vita?
Gli astronomi hanno individuato molecole di glicolaldeide nel gas caldo che avvolge una giovane stella, la IRAS 16293-2422 Nell'illustrazione, molecole di carbonio (in grigio), di ossigeno (in rosso) e di idrogeno (in bianco) contenute nello zucchero.
Immagine per gentile concessione di L. Calçada. ESO/NOAJ/NRAO
Gli astronomi hanno compiuto una "dolce" scoperta: molecole di zucchero semplice fluttuanti nel gas attorno a una stella lontana circa 400 anni luce, il che suggerisce la possibilità dell'esistenza di forme di vita su altri pianeti. Questa scoperta non prova che la vita si sia sviluppata in altre parti dell'universo, ma sottintende che non esiste nessuna ragione del contrario.
Gli astronomi hanno dimostrato che le molecole ricche di carbonio, le basi della vita, potrebbero essersi generate anche prima della formazione dei pianeti.
Gli scienziati usano il termine "zucchero" per riferirsi alle molecole organiche conosciute come carboidrati, composte da carbonio, idrogeno e ossigeno. Come spiega Jes Jørgensen della Copenhagen University, le molecole che il gruppo di studiosi ha rilevato nello spazio rappresentano la forma più semplice di zucchero, il glicolaldeide.
Può trovarsi sulla Terra, di solito sotto forma di una polvere bianca inodore. Anche se non viene utilizzato per dolcificare gli alimenti, secondo gli scienziati è fondamentale perché svolge un ruolo chiave nella reazione chimica che genera acido ribonucleico (RNA), una biomolecola cruciale presente in tutte le cellule viventi.
Jørgensen afferma che non è ancora esattamente chiaro come il glicolaldeide venga prodotto nello spazio, ma le osservazioni suggeriscono che si formi nei granelli di polvere coperti di ghiaccio nelle dense e fredde zone delle nuvole molecolari interstellari.
In precedenza, il glicolaldeide era stato rintracciato in soli due altri luoghi nello spazio: vicino al centro dell'enorme nube di di gas e polvere al centro della nostra galassia - la Via Lattea - e in una grande regione di formazione stellare, situata a 26 mila anni luce dalla Terra.
"Entrambe le regioni sono molto più lontane, e sono state osservate a una risoluzione inferiore.
Per questo gli astronomi non sono riusciti a individuare la posizione delle molecole", spiega Jørgensen.
La nuova scoperta, che si è concentrata sul gas caldo che circonda una giovane stella, la IRAS 16293-2422, è stata compiuta grazie all'Atacama Large Millimeter Array (ALMA), un grande radio telescopio situato in Cile.
"Questi risultati danno a noi e agli altri astronomi gli strumenti per cercare altre molecole prebiotiche, e possibilmente più complesse, nelle regioni in cui stelle e pianeti si stanno formando", conclude Jørgensen.
di Ker Than
National Geographic
Un Neandertal tra noi??
Si possono riportare in vita i Neandertal?
Un giorno gli studiosi saranno in grado di clonare i nostri cugini estinti.
Ma forse non è la cosa giusta da fare
La ricostruzione di una femmina di Neandertal. Fotografia di Joe McNally,
National Geographic
Per ora, il genoma dei Neandertal è soltanto una stringa astratta, composta da miliardi di tasselli di DNA e archiviata in una banca dati informatica.
Ma naturalmente la nostra immaginazione si è già scatenata:
gli scienziati potranno mai usare questo materiale genetico per dare vita a un Neandertal in carne e ossa?
In un futuro non troppo lontano, secondo gli esperti, i progressi nel campo dell'ingegneria genetica potrebbe portare a un simile traguardo.
Ma se questa resurrezione debba effettivamente accadere, questo è un altro discorso.
Se una cellula umana fosse realmente neandertalizzata dovrebbe venire impiantata nell’utero di una madre surrogata, fosse questa una donna o una scimpanzé, per poi divenire un feto.
Questo passaggio potrebbe essere però estremamente impegnativo. “Sappiamo per esperienza che nella clonazione il tasso di fallimento è molto alto”, spiega James Noonan, genetista dell'Università di Yale.
Alcuni scienziati si chiedono poi se via sia un qualche valido motivo scientifico per riportare in vita un Neandertal.
Nel 2010, dopo aver setacciato le ossa neandertaliane scoperte in una grotta croata a caccia di qualche frammento di DNA antico, gli scienziati hanno pubblicato la prima bozza del genoma del nostro antico cugino.
Questo primo passo ha rivoluzionato l’antropologia rivelando, tra l’altro, che questi ominidi si incrociarono con i nostri antenati.
Le condizioni climatiche in cui vissero i Neandertal, la dieta e le malattie a cui vennero esposti non furono le stesse dei nostri antenati, per cui hanno lasciato dei segni diversi nel loro DNA.
Uno studio del 2011, per esempio, ha descritto alcune varianti genetiche del sistema immunitario presenti nel sistema immunitario degli uomini moderni che invece non ci sono nel genoma neadertaliano.
Per ora la tecnologia per lo studio della biologia dei Neandertal rimane fuori portata.
Ma molti esperti sostengono che sia solo una questione di tempo. “Scommetto che ci arriveremo fra 30 anni”, dice Hawks.
Un giorno gli studiosi saranno in grado di clonare i nostri cugini estinti.
Ma forse non è la cosa giusta da fare
La ricostruzione di una femmina di Neandertal. Fotografia di Joe McNally,
National Geographic
Per ora, il genoma dei Neandertal è soltanto una stringa astratta, composta da miliardi di tasselli di DNA e archiviata in una banca dati informatica.
Ma naturalmente la nostra immaginazione si è già scatenata:
gli scienziati potranno mai usare questo materiale genetico per dare vita a un Neandertal in carne e ossa?
In un futuro non troppo lontano, secondo gli esperti, i progressi nel campo dell'ingegneria genetica potrebbe portare a un simile traguardo.
Ma se questa resurrezione debba effettivamente accadere, questo è un altro discorso.
Se una cellula umana fosse realmente neandertalizzata dovrebbe venire impiantata nell’utero di una madre surrogata, fosse questa una donna o una scimpanzé, per poi divenire un feto.
Questo passaggio potrebbe essere però estremamente impegnativo. “Sappiamo per esperienza che nella clonazione il tasso di fallimento è molto alto”, spiega James Noonan, genetista dell'Università di Yale.
Alcuni scienziati si chiedono poi se via sia un qualche valido motivo scientifico per riportare in vita un Neandertal.
Nel 2010, dopo aver setacciato le ossa neandertaliane scoperte in una grotta croata a caccia di qualche frammento di DNA antico, gli scienziati hanno pubblicato la prima bozza del genoma del nostro antico cugino.
Questo primo passo ha rivoluzionato l’antropologia rivelando, tra l’altro, che questi ominidi si incrociarono con i nostri antenati.
Le condizioni climatiche in cui vissero i Neandertal, la dieta e le malattie a cui vennero esposti non furono le stesse dei nostri antenati, per cui hanno lasciato dei segni diversi nel loro DNA.
Uno studio del 2011, per esempio, ha descritto alcune varianti genetiche del sistema immunitario presenti nel sistema immunitario degli uomini moderni che invece non ci sono nel genoma neadertaliano.
Per ora la tecnologia per lo studio della biologia dei Neandertal rimane fuori portata.
Ma molti esperti sostengono che sia solo una questione di tempo. “Scommetto che ci arriveremo fra 30 anni”, dice Hawks.
Il castello di Donnafugata
Il Castello di Donnafugata, al contrario di quanto il nome possa far pensare, non si tratta di un vero e proprio castello medievale bensì di una sontuosa dimora nobiliare del tardo '800. La dimora sovrastava quelli che erano i possedimenti della ricca famiglia Arezzo De Spuches.
Fin dall'arrivo il castello rivela la sua sontuosità. L'edificio copre un'area di circa 2500 metri quadrati ed un'ampia facciata, coronata da due torri laterali accoglie i visitatori.
La facciata principale e' ornata da una bellissima loggia in stile gotico-veneziano, con otto balconi a sesto acuto che danno accesso alla grande terrazza sottostante la loggia, mentre delle belle bifore ingentiliscono le altre facciate.
La dimora, suddivisa in tre piani, conta 122 stanze di cui una ventina sono oggi fruibili ai visitatori.
Visitando le stanze che contengono ancora gli arredi ed i mobili originali dell'epoca, sembra quasi di fare un salto nel passato, nell'epoca degli ultimi "gattopardi". Ogni stanza era arredata con gusto diverso ed aveva una funzione diversa.
Da ricordare la Stanza della Musica con bei dipinti a trompe-l'oeil, la grande Sala degli Stemmi con i blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane e due antiche armature, il Salone degli Specchi (ornato da stucchi), la pinacoteca con quadri neoclassici della scuola di Luca Giordano. Notevole, poi, il cosiddetto Appartamento del Vescovo, con splendidi mobili Boulle, riservato esclusivamente all'alto prelato (un membro della famiglia Arezzo nel Settecento).
Interessante notare il largo uso della pietra pece locale per la pavimentazione delle stanze.
Sala degli specchi
Sala degli stemmi
Stana della musica
Stanza del vescovo
Intorno al castello si trova un ampio e monumentale parco di 8 ettari. Contava oltre 1500 specie vegetali e varie "distrazioni" che dovevano allietare e divertire gli ospiti, come il tempietto circolare, la Coffee House (per dare ristoro), alcune "grotte" artificiali dotate di finte stalattiti (sotto il tempietto) o il particolare labirinto in pietra costruito nella tipica muratura a secco del ragusano, e poi alcune vasche e disseminati parecchi vasi di Caltagirone.
Il castello è stato nel corso degli anni sede si diversi set cinematografici e televisivi.
Hiroo Onoda, il soldato che non si arrese per 29 anni
La storia del soldato giapponese Hiroo Onoda sembra essere il parto della mente di uno scrittore di successo, ma i dettagli "macroscopici" dell'evento che descriverò nelle prossime righe sono reali. Onoda potrà suonare sconosciuto ai più, ma si è meritato il titolo di "soldato che non si arrende mai" per solidi motivi, e la sua vicenda merita di essere ricordata. La storia della curiosa carriera militare di Onoda inizia nel 1942, all'età di 20 anni, quando il ragazzo decide di firmare per l'ammissione nell'Armata Imperiale del Giappone. Dopo due anni di addestramento alla Scuola Nakano, viene inviato nel dicembre del 1944 all'Isola di Lubang, nelle Filippine, con il rango di luogotenente all'interno della brigata Sugi. I suoi ordini erano chiari: fare di tutto per ostacolare l'avanzata degli Alleati sull'isola, compreso distruggere le piste di decollo degli aerei e sabotare il porto. Il comandante di divisione, tuttavia, aggiunse queste parole nell'impartire i suoi ordini ad Onoda: "Ti è severamente proibito suicidarti. Potrebbero volerci tre, forse cinque anni, ma qualunque cosa accada, torneremo per te. Fino ad allora, se ancora avrai un solo soldato, dovrai guidarlo. Potresti dover vivere a furia di noci di cocco. Se dovesse capitare, vivi con noci di cocco! Per nessuna ragione potrai arrenderti di tua volontà". Onoda era giovane e motivato: prese così alla lettera le raccomandazioni del comandante da continuare la sua personalissima Seconda Guerra Mondiale per ben 29 anni, buona parte dei quali trascorsi nella giungla mentre il mondo attraversava un periodo relativamente tranquillo. Dopo un paio di mesi dal suo arrivo a Lubang, gli Alleati attaccarono le forze di stanza sull'isola, avanzando senza sosta mentre i soldati giapponesi eseguivano azioni di guerriglia nella giungla. Onoda si ritrovò nel fitto della foresta in compagnia di altri tre soldati: il caporale Shoichi Shimada, il soldato semplice Kinshichi Kozuka, e il soldato semplice Yuichi Akatsu. I quattro sopravvivevano a razioni di riso, noci di cocco e banane verdi, uccidendo occasionalmente una mucca di uno degli allevatori locali per fare scorta di proteine. E fu proprio su una di queste mucche che i soldati trovarono il primo di una lunga serie di biglietti e volantini.
Il biglietto, lasciato dal proprietario del bestiame, diceva: "La guerra è finita il 15 agosto. Venite giù dalle montagne!".
Onoda e i suoi compagni, dopo un'attenta analisi del foglio, decisero che si trattava di propaganda alleata distribuita per tentare di stanarli, e se ne tornarono nella giungla.
Onoda continuò a condurre azioni di guerriglia con il suo gruppo di soldati per anni interi, nonostante trovassero ogni tanto volantini sulla fine della guerra, quotidiani locali e giapponesi, e lettere dai parenti con tanto di fotografie. Ogni abitante locale veniva visto come una spia e attaccato dai quattro guerriglieri, e nel corso degli anni furono molte le persone ferite o uccise dai giapponesi.
Nel settembre del 1949, il soldato semplice Akatsu decise di averne abbastanza di quella vita, e si allontanò in segreto dal gruppo. Un anno dopo, Onoda e i due soldati rimasti trovarono una lettera in cui Akatsu li informava che la guerra era finita, e che è stato accolto da truppe amiche quando aveva lasciato la foresta.
Per Onoda, questo era un altro tentativo di inganno da parte degli Alleati, ma l'episodio lo indusse ad usare maggiore cautela durante i suoi spostamenti nella foresta.
Nel 1954, il caporale Shimada fu mortalmente ferito durante l'incontro con una spedizione di ricerca nei pressi di Gontin. Onoda ritenne che i soccorritori che fossero nemici venuti a stanarli, e iniziò un conflitto a fuoco che portò al decesso di Shimada. La brigata Sugi si era ridotta ai soli Onoda e Kozuka, che per i successivi nove anni vissero da soli nella giungla.
Le continue uccisioni illegali del bestiame locale indussero l'esercito a tentare di trovare i due fuggiaschi, ma non ottenne alcun risultato apprezzabile.
Nell'ottobre del 1972, i due guerriglieri uscirono dalla giungla per un'azione dimostrativa: bruciare il riso rubato dai contadini locali per sabotare le scorte alimentari del "nemico". Una pattuglia della polizia filippina li avvistò e sparò due colpi in direzione di Kozuka, che fu colpito a morte. Onoda riuscì a fuggire nella giungla, segnando l'inizio di un anno e mezzo di solitudine totale.
La notizia della morte di Kozuka raggiunse il Giappone, come anche quella di Onoda, il soldato che non voleva arrendersi da 27 anni.
Norio Suzuki, studente universitario giapponese, prese a cuore la storia di Onoda e decise di partire per le Filippine, dicendo agli amici "troverò il luogotenente Onoda, un panda, e l'abominevole uomo delle nevi, in questo ordine".
Nel 1974 Suzuki riuscì a localizzare Onoda, e riusci pure a farselo amico. Scattò una foto di loro due fianco a fianco, e convinse il soldato a incontrarlo due settimane dopo in una località prestabilita. Suzuki tornò in Giappone per ottenere di poter andare nelle Filippine in compagnia del maggiore Taniguchi, ex superiore di Onoda ormai ritiratosi dalla vita militare; una volta raggiunto il luogo concordato, Onoda si fece trovare vestito da ciò che rimaneva della sua uniforme, con spada e fucile Arisaka Type 99, 500 colpi, e diverse granate. Taniguchi ordinò ad Onoda di cessare ogni attività bellica, sollevandolo dai suoi doveri nei confronti dei superiori e dell'Imperatore.
Dopo aver ascoltato il proclama e aver trattenuto la rabbia, Onoda rimosse il caricatore dal fucile, estrasse il colpo in canna, e appoggiò lo zaino per terra, adagiandovi sopra l'arma e iniziando a piangere senza freni.
Il presidente filippino del tempo, Ferdinand Marcos, perdonò i crimini commessi da Onoda in considerazione delle circostanze in cui il giapponese è vissuto per 29 anni.
In totale, Onoda e il suo gruppo di guerriglieri uccisero 30 innocenti, ferendone oltre 100.
Dopo il suo ritorno in Giappone, con tanto di accoglienza da eroe, Onoda ha ricevuto la paga degli ultimi 29 anni (una somma molto bassa), ha scritto un libro intitolato "Nessuna resa: I miei 30 anni di guerra", e ora insegna ai bambini come sopravvivere nella natura selvaggia nella sua Onoda Nature School.
Andiamo di male in peggio
Nuovo allarme sulla Valle dei Templi di Agrigento.
Il Consiglio Comunale approva un provvedimento che suscita molte polemiche La mozione, che favorirebbe un restringimento dell'area archeologica della Valle dei Templi, con la conseguente sanatoria di numerosi immobili abusivi, ha provocato immediate reazioni, tra cui quella dell'archeologo e storico dell'arte Salvatore Settis.
"Sono provvedimenti contrari alla Costituzione”, ha dichiarato in un'intervista all'Adnkronos, chiedendo “un forte e immediato intervento delle autorità, soprattutto di quelle dell'Isola".
L'ex presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali stigmatizza l'approvazione della mozione con queste parole: "risale a un anno e mezzo o due anni fa, per ragioni di federalismo, il passaggio della Valle dei Templi dalla proprietà pubblica, quindi di tutti gli italiani, a quella della Regione Siciliana, e da allora - sottolinea Settis - ci sono state solo sciagure.
Il sindaco di Agrigento aveva annunciato che l'avrebbe messa all'asta, ora riduce la protezione”. "Ecco perchè - conclude - invoco un forte intervento delle autorità siciliane.
Qui si parrà la nobilitate della nuova giunta regionale, sia del presidente Crocetta che del suo assessore ai Beni culturali, Zichichi”.
Ma per il primo cittadino si tratta di una polemica che ”riporta indietro la città. Sulla vicenda dell'abusivismo nella Valle dei Templi - sottolinea - Agrigento ha compreso gli errori fatti in passato, frutto forse di una condizione di povertà. Oggi c'e' una nuova consapevolezza e in questi anni è stato fatto tanto sul fronte della conservazione e valorizzazione dei Beni culturali”.
A metà strada si trova invece la posizione di Vittorio Sgarbi che, sempre ad Adnkronos, ha dichiarato: “Se gli effetti si limiteranno a quanto già costruito, magari in una logica di sopravvivenza, è una cosa di cui si può parlare, ma se si aprisse la strada a un nuovo consumo del territorio, alla speculazione, allora sarebbe un crimine”, spiega Sgarbi.
“Comunque la peggior realizzazione edilizia dell'area è l'edificio multipiani realizzato dalla Sovrintentendenza.
In generale la situazione della Valle dei Templi è buona guasta dove gestisce la Regione”, conclude.
Fonte: Adnkronos
Inviatami da un'amica
More than often many of us plan our day before we step a foot out of bed.
We fear, worry, and stress over situation we hope will or won’t happen, while our minds gets busy on sorting out, this, that and other of our day.
At the end of the day we go to bed carrying more of the same.
I decided to approach each day with full expectancy that it will give me its best, for MY greatest and highest good,...
di Betty Pegues
We fear, worry, and stress over situation we hope will or won’t happen, while our minds gets busy on sorting out, this, that and other of our day.
At the end of the day we go to bed carrying more of the same.
I decided to approach each day with full expectancy that it will give me its best, for MY greatest and highest good,...
di Betty Pegues