sabato 25 gennaio 2014

Cosa successe 3.200 anni fa sulle rive orientali del Mediterraneo?



“In pochissimo tempo, l’intero mondo dell’Età del Bronzo crollò”, racconta Israel Finkelstein, archeologo dell’Università di Tel Aviv. “L’impero ittita, l’Egitto dei faraoni, la civiltà micenea in Grecia, il regno di Cipro, celebre per la produzione del rame, la grande città-mercato di Ugarit, sulla costa siriana, le città-Stato cananite, sotto l’egemonia egiziana: tutte queste civiltà scomparvero, e solo dopo qualche tempo furono rimpiazzate dai regni territoriali dell’Età del Ferro, come quelli di Israele e di Giuda”.
Il mistero fa discutere gli scienziati da decenni.
Si è pensato a guerre, pestilenze, disastri naturali improvvisi.
Ora Finkelstein e i suoi colleghi ritengono di aver trovato una soluzione studiando particelle di polline estratti dai sedimenti estratti sul fondo del lago di Tiberiade (o mar di Galilea).
A mettere in crisi quelle civiltà fu la siccità, anzi una serie di gravi periodi di siccità succedutisi nell’arco di 150 anni, tra il 1250 e il 1100 a.C. circa.
L’équipe ha preso in esame campioni di sedimenti depositati sul fondo del lago nel corso degli ultimi 9.000 anni, ed estratti grazie a carotaggi fino a 18 metri di profondità.
Le “impronte digitali” delle piante
“Ci siamo concentrati sull’intervallo di tempo tra il 3200 a.C. e il 500 a.C.”, spiega Dafna Langgut, palinologa (ossia studiosa di antichi pollini) dell’Università di Tel Aviv e autrice, assieme a Finkelstein e al geologo dell’Università Thomas Litt, dello studio, pubblicato questa settimana sulla rivista Tel Aviv: Journal of the Institute of Archaeology of Tel Aviv University.
Studiando campioni di polline prelevati da strati di sedimenti depositati a intervalli di un quarantina d’anni, gli scienziati sono riusciti a ricostruire i cambiamenti avvenuti nella vegetazione.
“I granelli di polline sono le ‘impronte digitali’ delle piante”, dice Langgut. “Sono utilissimi per ricostruire le condizioni della vegetazione e del clima nell’antichità”.
Intorno al 1250 a.C., gli scienziati hanno notato un netto calo della presenza di querce, pini e carrubi, la tradizionale flora del Mediterraneo durante l’Età del Bronzo, e un aumento delle piante che si trovano di solito in regioni semiaride.
Si notava anche una grossa diminuzione degli ulivi, segno di una crisi dell’agricoltura.
Tutto insomma faceva pensare che la regione fosse afflitta da siccità gravi e prolungate.
Carestie e tumulti Gli anni fondamentali per il crollo, prosegue Finkelstein, furono probabilmente quelli tra il 1185 e il 1130 a.C., ma si trattò di un processo che avvenne su un arco di tempo abbastanza lungo.
“Secondo me il cambiamento climatico può essere considerato una sorta di scintilla che diede il via a una serie di eventi a catena.
Ad esempio, il crollo dei raccolti costrinse alcuni gruppi che abitavano nelle regioni settentrionali a migrare in cerca di cibo, magari scacciando altre comunità che a loro volta si spostarono per terra e per mare.
Questa reazione a catena suscitò guerre e distruzioni e mise in crisi il delicato sistema commerciale del Mediterraneo orientale.
Le conclusioni raggiunte dagli scienziati, anche grazie alla datazione al radiocarbonio, coincidono quasi alla perfezione con i pochi resoconti storici del periodo, che appunto narrano di carestie, interruzioni delle rotte commerciali, tumulti, saccheggi e guerre per impadronirsi delle scarse risorse.
La tarda Età del Bronzo fu anche il periodo in cui bande di predoni, detti “Popoli del mare” cominciarono a razziare le coste della regione.
La crisi finì solo con il ritorno delle piogge, quando le comunità costrette al nomadismo dalla fame poterono tornare stanziali. 

National Geographic

Università di Tel Aviv

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