lunedì 7 gennaio 2019
L'uccello più raro del mondo, considerato estinto per 15 anni, torna in natura
L'uccello più raro del mondo, la moretta del Madagascar (Aythya innotata Salvadori) è stata reintrodotta in libertà, vicino al lago Sofia, dopo essere stata ritenuta estinta e dopo un accurato piano di ripopolamento al wwt.
Per 15 anni era stata considerata estinta, poi nel 2006 il ritrovamento straordinario di alcuni esemplari che vennero inseriti nel Wwt per favorirne la riproduzione e oggi, finalmente, L'Aythya innotata, che possiamo considerare l'uccello più raro del mondo, torna in natura.
Conosciuta anche come "moretta del Madagascar" (Madagascar Pochard), questa specie rarissima di anatra tuffatrice, sterminata soprattutto dall'inquinamento e dalle cattive pratiche agricole, è attualmente inserita nella lista rossa dello IUCN che ne conta dai 20 ai 49 esemplari al mondo.
E 21 di essi, proprio in questi giorni, sono stati liberati e reintrodotti vicino al lago Sofia, al nord del Madacascar.
Fu proprio l'IUCN a partire dal 1991 e fino al 2006, anno del ritrovamento di 9 adulti e 4 anatroccoli, a classificare questa anatra del genere Aythya come "probabilmente estinta". Per anni, infatti, si tennero ricerche intensive e campagne pubblicitarie nel tentativo di avvistare almeno un solo di questi uccelli, ma tutte fallirono.
L'unico maschio incontrato venne catturato e allevato nei Giardini Botanici di Antananarivo, ma morì dopo appena un anno di cattività.
Si capisce bene, dunque, l'eccezionalità della notizia di questi 21 uccelli liberati dal team internazionale di ricercatori dell'organizzazione The Wildfowl & Wetlands Trust che per 12 anni si è impegnato nel loro recupero, salvando le uova e allevando i pulcini al fine di riportare in vita la specie distrutta dall'attività umana.
La reintroduzione in natura è stata agevolata da due uccelliere galleggianti costruite in Gran Bretagna per favorire il loro adattamento al nuovo ambiente.
E, stando a quanto riportato dai conservazionisti del wwt l'operazione è perfettamente riuscita e le anatre hanno nuotato e volato oltre che "fatto amicizia con altre anatre selvagge e sono tornate alle uccelliere per nutrirsi".
Ma perché questi uccelli che negli anni Quaranta proliferavano in tutte le zone umide del Madagascar sono arrivati fino a questo punto?
Quando furono ritrovati gli ultimi esemplari di di morette del Madagascar rimaste sul pianeta nel 2006 essi vivevano in quella che rappresentava l'ultima zona umida incontaminata del Paese, ma come Rob Shaw, responsabile dei programmi di conservazione presso Wildfowl e Wetlands Trust (WWT) ha spiegato, erano solo "aggrappati all'esistenza in un luogo non proprio adatto a loro" in quanto troppo profondo e troppo freddo perché queste anatre potessero prosperare.
"Le minacce che affrontano nel resto del Madagascar - e il motivo per cui sono state spazzate via in modo così estensivo - sono enormi", ha spiegato Rob Shaw. "Si va dalla sedimentazione, alle specie invasive, all'inquinamento, alle cattive pratiche agricole - un'intera serie di problemi che creano la tempesta perfetta che rende molto difficile per una specie come il moriglione del Madagascar sopravvivere".
Nigel Jarrett, capo dell’allevamento della Wwt in Madagascar, ha spiegato: Ci vuole un villaggio per allevare un bambino, così dice il vecchio proverbio africano, ma in questo caso c’è voluto un villaggio per allevare un’anatra.
Ci stiamo preparando a questo momento da oltre un decennio».
Il team ha individuato il sito migliore per liberare gli uccelli dopo un'attenta perlustrazione della zona, lavorando a stretto contatto con le comunità locali intorno al lago Sofia che si basano su acqua, pesce e piante: "Lavorare con le comunità locali per risolvere i problemi che stavano guidando l'estinzione di questo uccello è stato essenziale per dare al moriglione una possibilità di sopravvivenza". Il team ora spera che il successo di questa reintroduzione che ha riportato in vita un eccello sull'orlo dell'estinzione funga da potente esempio non solo per salvare altre specie minacciate, ma soprattutto per dimostrare come le comunità possano sostenere sia le persone che la fauna selvatica e che l'uomo possa condividere senza distruggere questi habitat preziosi, anche in aree significative di povertà.
Simona Falasca
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