martedì 27 febbraio 2018
Eccezionale scoperta in Inghilterra: rinvenuti rari guantoni d’epoca romana
Un ritrovamento certamente inusuale è venuto alla luce durante la campagna di scavo a Vindolanda, sito archeologico a meridione dell’ Hadrian’s Wall (Vallum Hadriani) che tracciava l’antico confine della provincia romana della Britannia con la Caledonia, restituendoci le uniche fasce di cuoio tipiche dei combattimenti romani permaste integre sino ai nostri tempi.
Esistevano antichi scritti sul pugilato, sport abbastanza documentato in particolar modo nelle fonti greche tra le quali il filosofo Platone.
In ambito romano l’esercito praticava il pugilato per stimolare la forma fisica e le competenze combattive, svolgendo anche gare davanti agli spettatori.
I caestūs ed il loro uso sportivo ci erano stati sinora testimoniati figurativamente soltanto tramite pitture murali, mosaici e statue del periodo, come la scultura bronzea del Pugile in riposo attribuita a Lisippo (IV sec. a.C.); pertanto la scoperta di esemplari reali rappresenta un’assoluta novità.
Risalenti al 118-120 d.C., simili guantoni furono realizzati con materiale ammortizzante atto a proteggere dall’impatto l’area delle nocche, alle quali è capace di adattarsi e di cui tuttora conserva l’impronta del suo remoto indossatore.
Tali guanti da battaglia risultano perfettamente adattabili ancor oggi ad una mano moderna.
Sebbene aventi uno stile e una funzione analoghi agli attuali guantoni da pugilato, somigliano più a delle fasce imbottite di pelle.
Probabilmente venivano adoperati per esercitarsi, in quanto aventi un bordo più morbido rispetto ai letali inserti metallici tipici dell’antico pugilato professionale.
Benché caratterizzati da uno stile similare, non costituiscono una coppia corrispondente.
Patricia Birley, l’esperta che li ha esaminati, ha individuato nel più grande dei guanti un segno di riparazione con una toppa circolare, indice della volontà del suo possessore di recuperarlo e conservarlo.
Il loro rinvenimento avvenne fortuitamente lo scorso anno al di sotto del forte del quarto secolo di Vindolanda, una caserma della cavalleria romana vicino la città di Hexham, durante gli scavi diretti dallo studioso Andrew Birley.
I guanti vennero scovati accanto ad alcune tavolette per scrivere, spade, zoccoli e scarpe da bagno.
Gli archeologi coinvolti sono rimasti notevolmente sorpresi dai meravigliosi beni militari e quotidiani appartenuti a uomini di duemila anni fa e alle loro famiglie: tra questi vanno indubbiamente menzionate delle spade integre, anch’esse rare nelle province nord-occidentali dell’impero romano.
I resti risultano in un pressoché perfetto stato di conservazione, a causa del loro nascondimento al di sotto del pavimento di cemento compiuto dai Romani una trentina di anni dopo l’abbandono della caserma a causa di una ribellione britannica: l’assenza di ossigeno ha dunque ostacolato la decomposizione di materie quali legno e cuoio, consentendo il mantenimento di inediti reperti finalmente ammirabili presso il Museo di Vindolanda.
Pertanto non ci resta che osservarli direttamente, in attesa degli esiti dei futuri scavi previsti nel mese di aprile.
Fonte: mediterraneoantico.it
L'antica leggenda buddista sui gatti
I gatti sono esseri meravigliosi e fin dall'antichità vengono trattati con profondo rispetto perché per molte civiltà, sono i guardiani che proteggono le nostre anime.
Secondo una leggenda buddista sono simbolo di spiritualità, pace ed unione.
E’ innegabile, i gatti sono tra gli animali più affascinanti e da sempre sono al centro delle civiltà più antiche.
In Cina ad esempio, si credeva che il loro sguardo potesse scacciare gli spiriti maligni o ancora nell’antico Egitto esisteva la convinzione che durante la notte, i raggi del sole si nascondessero negli occhi dei gatti per rimanere al sicuro.
I gatti sono poi presenti in diverse tradizioni popolari, ricordiamo ad esempio che la Dea Bastet viene rappresentata come un bellissimo gatto nero o una donna con una testa di gatto.
Questa divinità era un simbolo positivo di armonia e felicità, protettrice della casa, custode delle donne incinte e capace di tenere lontani gli spiriti maligni.
Per il buddismo i gatti sono simbolo di spiritualità, animali che riescono a trasmettere armonia e calma ed è per questo che l’essere umano, per poter amare incondizionatamente questo felino, deve prima entrare in connessione con se stesso.
Molto spesso capita poi di vedere dei gatti che dormono su statue di marmo buddiste o anche di imperatori romani.
Perché lo fanno?
E' probabile che questo comportamento derivi dal fatto che le grandi statue di pietra o di metallo si riscaldano durante il giorno e trattengono il calore, mentre altre superfici tendono a freddarsi. E i gatti, si sa, amano crogiolarsi in luoghi ben caldi.
Più suggestiva è la leggenda che esiste da secoli in Thailandia, vediamo qual è.
Anche Buddha viene rappresentato qualche volta con un gatto accovacciato ai suoi piedi, ciò perché porta pace e unione nei templi dei paesi asiatici.
La leggenda affonda le sue radici nel buddismo theravada che letteralmente significa “la scuola degli anziani“, che dà origine al ‘Libro delle poesie e dei gatti’ chiamato anche Tamra Maew che attualmente è conservato nella biblioteca nazionale di Bangkok. Proprio in uno dei papiri che compongono questo libro, si narra la leggenda buddista sui gatti che parla di morte e spiritualità, ma anche di reincarnazione dell’anima.
Secondo il buddismo quando una persona moriva, accanto al corpo veniva posto un gatto, ovviamente la cripta possedeva una fessura per permettere al felino di uscire liberamente.
Se il gatto lo faceva, si era sicuri che l’anima del defunto si fosse reincarnata nel corpo dell’animale.
Solo in questo modo, si poteva raggiungere la libertà verso l’ascensione.
Per l’ordine buddista Fo Guang Shan, invece, i gatti sono dei piccoli monaci, ovvero come persone che hanno già raggiunto l’illuminazione.
Dominella Trunfio