venerdì 30 novembre 2018
Scoperta in Israele una meravigliosa maschera di pietra di 9000 anni fa
Un’antica maschera di pietra fatta di calcare giallo-rosato e meticolosamente modellata con strumenti di pietra è stata recuperata in Cisgiordania, oggetto che sta fornendo nuove intuizioni riguardo un momento cruciale nella storia dell’umanità.
“Scoprire una maschera fatta di pietra, con un tale livello di finitura, è molto eccitante. La pietra è stata completamente levigata e le sue caratteristiche sono perfette e simmetriche, con gli zigomi ben definiti. Ha un naso impressionante e una bocca con denti distinti “, ha detto Ronit Lupu dell’Unità di prevenzione dei furti dell’Autorità israeliana per le antichità in una dichiarazione inviata a IFLScience.
Altre pubblicazioni hanno riferito che la maschera è stata inizialmente rubata prima di essere riconsegnata alle autorità, ma, questo deve ancora essere confermata da fonti ufficiali.
La maschera risale a un periodo conosciuto dagli archeologi come il periodo neolitico pre-ceramico, che era stato caratterizzato da un passaggio da società di cacciatori-raccoglitori a uno di addomesticamento degli animali e agricolo e insediamenti stabiliti. Ciò portò ad una rivoluzione nella struttura sociale e ad un “forte aumento delle attività religiose rituali” che incorporarono figurine a forma umana, teschi intonacati e maschere di pietra probabilmente per adorare gli antenati.
“Era parte del rituale e della conservazione del patrimonio familiare che è stato accettato in quel momento”, ha detto Lupu.
“Ad esempio, troviamo teschi sepolti sotto i pavimenti delle case domestiche, così come vari metodi di modellare e curare i teschi dei morti.
Questo ha portato a intonacare teschi, modellare le fattezze del viso e persino inserire conchiglie per gli occhi.
Le maschere di pietra, come quella di Pnei Hever, sono simili per dimensioni al volto umano, motivo per cui gli studiosi tendono a collegarle con tale adorazione.
Questa maschera è una delle 15 al mondo risalenti a questo periodo, solo a due di esse gli archeologi sono stati in grado di stabilire un’origine conosciuta.
Le altre 13 si trovano in collezioni private in tutto il mondo, rendendole difficili da studiare e ancora più da collocare in un determinato periodo storico
“Il fatto di avere informazioni riguardanti il luogo specifico in cui è stata scoperta rende questa maschera più importante della maggior parte delle altre maschere di questo periodo che attualmente conosciamo”, ha detto Lupu a IFLScience.
La maschera è attualmente oggetto di studio da parte dell’Autorità per le Antichità e dell’Indagine geologica di Israele.
Presenteranno i loro risultati iniziali prossimamente all’incontro annuale della Israel Prehistoric Society .
Fonte: www.iflscience.com
giovedì 29 novembre 2018
La Valle del Cavallo Bianco: “Land Art” Celtica nelle Midlands inglesi
Qualora si voglia fare un Tour delle Midlands Inglesi, non si può mancare l’appuntamento con la Vale of the White Horse “La Valle del Cavallo Bianco”.
Per giungere a questo sito si attraversa la tipica campagna britannica, e la prima visione è davvero spettacolare perché, su una dorsale, spicca il bianco del cavallo sull’abbagliante verde dei prati.
Quest’opera di Land Art è antichissima.
E’ un cavallo stilizzato, tracciato sul pendio di una collina, per una lunghezza di circa 115 metri e un’altezza di 36, con profonde incisioni sul terreno che fanno emergere il gesso sottostante.
Sorge sulla famosa The Ridgeway, un tracciato erboso, che potrebbe essere la strada più antica d’Europa con 5.000 anni di onorato servizio.
Il Cavallo Bianco risalirebbe quindi a circa 1.000 anni prima di Cristo, per opera dei Celti Britanni.
Idearono questa misteriosa figura, amando opere artistiche di grandi dimensioni.
Potevano essere simboli religiosi oppure punti di riferimento di tribù che li usavano per localizzare il loro territorio.
Senza dubbio un’opera così gigantesca avrebbe legato molto intimamente e profondamente i suoi creatori alla terra, una sorta di marchio a fuoco eterno per un rapporto che si sperava infinito.
Questo è un esempio della speciale relazione Uomo-Ambiente che sussisteva nella religiosità celtica, assai attenta alla Natura
Vicino al Cavallo Bianco ci sono altre due interessanti colline, una più in alto chiamata Uffington Castle, che è un grande forte dell’Età del Ferro, e l’altra più in basso a nome Dragon Hill, un poggio con la cima artificialmente spianata.
Il folklore locale sostiene – molti luoghi reclamano tale onore – che San Giorgio abbia qui ucciso il celeberrimo Drago e che la cima sia nuda perché il sangue del mostro condannò il terreno all’aridità perpetua.
Di storicamente certo è che la comunità locale ha sempre cercato di mantenere in buone condizioni l’eccezionale realizzazione.
E’ un gesto civico di cui gli inglesi possono andare fieri, ossia curare opere appartenenti a popoli scomparsi o di altra religione.
Thomas Baskerville, nel 1677, annotò nel suo Journal Travel che “…alcune famiglie hanno l’obbligo di tenere in buone condizioni e ripulire dalle erbacce l’opera affinchè non scompaia nel verde dei prati” e poi Thomas Hughes, nel 1857, scrisse che la comunità locale, una volta all’anno, organizzava una grande celebrazione.
Lo scopo primario era quello di tirare a lucido “il Cavallo Bianco”, ma si trasformava in un’occasione sociale di divertimento visto che il tutto veniva farcito con giochi e gare che la rendevano una superfesta.
Tratto da: vanillamagazine.it
mercoledì 28 novembre 2018
La soffocante e terribile isola di plastica scoperta nei caraibi
Da paradiso dei Caraibi a isola di plastica.
Al largo delle coste dell’Honduras, Roatán conosciuta per la sua coloratissima barriera corallina, per mare cristallino e spiaggia da favola, è diventata una discarica a cielo aperto.
Scordatevi immersioni e la vista di una ricca fauna marina, negli ultimi anni a Roatán ciò che fa da padrone è una montagna di rifiuti riversati sia sul litorale che dentro l’acqua.
I pesci nuotano tra la plastica e gli uccelli muoiono soffocati da pezzetti di piatti, bottiglie e rifiuti di ogni tipo.
Le isole di plastica sono in continuo aumento, questa volta le immagini vengono dalla fotografa onduregna Caroline Power del National Geographic arrivata a Roatán per immortale la barriera corallina, ma quello che si è trovata davanti è stato altro.
Il mare completamente coperto di immondizia e lei su un’imbarcazione che navigava tra i rifiuti.
Un disastro ecologico racchiuso in un appello ‘This has to stop’, ovvero ‘Questo deve finire’ perché se si continua così, la catastrofica profezia che nel 2050 ci sarà più plastica che pesci, potrebbe avverarsi.
Qui a rischio non è solo tutta la fauna marina, ma anche la stessa barriera corallina che sta morendo per mancanza di luce e ossigeno.
"Vedere che qualcosa che amo profondamente viene ucciso è stato devastante", ha detto Caroline Power.
Una volta che la spazzatura arriva nell'oceano è incredibilmente difficile e costosa da rimuovere, anche se in tanti stanno facendo tentativi di pulizia.
Ma l’unica via d’uscita è limitare l’utilizzo della plastica.
Affinché ciò avvenga, dobbiamo migliorare la gestione dei rifiuti, fare educazione ambientale e promuovere strutture di riciclaggio su scala globale”, continua.
Insieme ad altri sommozzatori, la fotografa ha trovato una vera e propria discarica a 15miglia dalla riserva marina di Cayos Cochinos.
"Ovunque guardassimo, c’erano sacchetti di plastica di ogni forma e dimensione: buste di patatine, imballaggi, rifiuti.
Alcuni erano interi e il resto erano a pezzi.
Purtroppo, molte tartarughe, pesci, balene e uccelli marini scambieranno quei pezzi di plastica per cibo".
"C'era anche un numero apparentemente infinito di forchette di plastica, cucchiai, bottiglie per bevande e piatti.
C'erano palloni da calcio rotti, spazzolini da denti, una tv, tante scarpe e infradito".
La fotografa spera che le sue immagini incoraggino ad un uso più consapevole della plastica e al riciclo corretto dei rifiuti, speranza alimentata anche dal Roatan Marine Park, un'organizzazione non governativa che lavora per proteggere le fragili barriere coralline di Roatán.
Dominella Trunfio
martedì 27 novembre 2018
Già visibile a occhio nudo la cometa di Natale!
La cometa di Natale 46P/Wirtanen risplende già nel cielo e lo annuncia lei stessa sul suo profilo Twitter: ormai infatti è a poco più di 23 milioni di chilometri dalla Terra ed è diventata visibile nella costellazione della Fornace.
Chi abita in zone buie e prive di particolare inquinamento luminoso può già ammirarla anche dall’Italia, ma per il momento è ancora molto bassa sull’orizzonte e compare solo per poco tempo.
La sua luminosità aumenterà fino a metà dicembre e rimarrà ben visibile fino all’inizio di gennaio, conquistando di diritto il suo soprannome “natalizio”. Il 12 dicembre la cometa raggiungerà infatti il punto più vicino alla nostra stella, il suo perielio, e il 16 dicembre sarà alla distanza minima dalla Terra, a 11,5 milioni di chilometri.
A catturare una delle prime immagini è stato l’italiano Rolando Ligustri, dell’Unione Astrofili Italiani (Uai).
“E’ una cometa periodica scoperta nel 1948 dall’astronomo Carl A. Wirtanen”, dice Ligustri. “Il suo periodo – aggiunge – è di circa 5 anni, quindi ogni 5 anni passa vicino al Sole e a noi, ma questa volta c’è la particolarità che passerà ‘molto’ vicino (in termini astronomici), ossia solo a 11,5 milioni di chilometri dalla Terra”. Ligustri rileva inoltre che probabilmente la cometa 46P/Wirtanen potrà essere visibile a occhio nudo o con un piccolo binocolo, anche se questo sarà possibile soltanto osservandola in luoghi bui, lontani dalle luci delle città.
Tuttavia, aggiunge, “essere cauti con le comete è sempre doveroso”.
Pur essendo relativamente piccola, con un diametro di circa 1,2 chilometri, la cometa promette di essere comunque la più spettacolare degli ultimi anni.
Fonte: www.ansa.it
Nella penisola dello Yucatan è possibile andare a caccia delle nostre origini
In Messico, nella penisola dello Yucatan, una delle attrazioni turistiche principali è un cenote, ovvero una cavità nel terreno con acqua all’interno.
In questo caso le dimensioni sono enormi e la forma è quella di un cerchio quasi regolare.
La scoperta è avvenuta nella metà degli anni ’80, quando un gruppo di archeologi americani si rese conto della sua presenza tramite alcune immagini satellitari.
Un anello di circa 200 km, che ha da subito scatenato la curiosità degli studiosi.
La natura ha ovviamente fatto il proprio corso, apportando nette modifiche a quello che un tempo doveva essere una gigantesca voragine.
Gli scienziati sono però riusciti a ricomporre il modello iniziale con immagini dallo spazio, rendendosi conto che a risultarne toccate sono la capitale dello Yucatan, Merida, e le città portuali di Progreso e Sisal.
La scoperta venne presentata ad Acapulco, durante un convegno scientifico, portando alla reazione di un giovane geologo, Adriana Ocampo, che ha oggi 63 anni ed è direttrice del programma Lucy della Nasa.
Iniziò a ragionare sulla possibilità che potesse trattarsi del punto d’impatto di un gigantesco asteroide, un impatto così violento da mostrare ancora i suoi effetti dopo 66 milioni di anni.
La sua teoria, ancora oggi ritenuta valida, è che quell’enorme anello fosse il risultato dello schianto di un asteroide ampio 12 km, che colpì lo Yucatan con una tale violenza da trasformare la roccia in liquido.
A partire dai primi anni ’90 studiosi americani, europei e asiatici sono al lavoro per riuscire a colmare gli spazi vuoti di questa vicenda.
Si ritiene che inizialmente il cratere generato fosse profondo 30 km. L’impatto avrebbe generato la formazione di una montagna, il doppio del Monte Everest, in seguito crollata.
Il mondo ne risultò clamorosamente modificato, con cenere a bloccare il cielo, generando uno stato di notte perpetua per un intero anno, con temperature costantemente sotto lo zero, uccidendo la vita sulla Terra fino al 75%, eliminando quasi ogni dinosauro esistente.
Ciò che resta oggi del punto d’impatto è sito un chilometro sotto una cittadina chiamata Chicxulub Puerto, celebre ormai tra i turisti, oltre che ovviamente tra la gente del posto, ma non tanto quanto dovrebbe.
Un luogo che merita maggior fama, considerando come sia stato protagonista dell’evento catastrofico più imponente degli ultimi 100 milioni di anni sulla Terra.
Un luogo che segna la fine di una specie e l’inizio di una differente storia, quella del genere umano.
Fonte: siviaggia.it
lunedì 26 novembre 2018
Svelati i segreti nascosti di una tomba egizia di 3mila anni fa: gli archeologi la aprono in diretta
È rimasta nascosta nel suo sarcofago per oltre 3000 anni.
Una giovane donna mummificata è stata individuata a El-Asasef, non lontano dalle celebre Valle dei Re, nel sud est dell'Egitto.
Gli archeologi sabato hanno aperto in diretta video il sarcofago a Luxor.
Quest'ultimo era uno dei due scoperti all'inizio di questo mese da una missione a guida francese nella necropoli di Al-Assasif.
Il primo era stato aperto in precedenza, ma il secondo è stato il primo a essere rivelato ed esaminato davanti ai media di tutto il mondo.
Con molta probabilità conteneva i resti mummificati e ben conservati di una giovane donna di nome Thuya, come ha rivelato il ministero delle antichità, anche se la portavoce Nevine Aref ha detto che gli archeologi sono ancora al lavoro per confermare in maniera certa l'identità della mummia.
I lavoratori hanno rimosso 300 metri di macerie per 5 mesi prima di raggiungere la tomba che conteneva anche affreschi sul soffitto raffiguranti proprietario e i membri della famiglia.
"Un sarcofago era in stile rishi, che risale alla XVII dinastia, mentre l'altro era della XVIII dinastia", ha detto il ministro delle antichità, Khaled al-Anani. "Le due tombe erano presenti con le loro mummie all'interno."
La XVIII dinastia risale al 13 secolo aC, il periodo che ha regalato alcuni dei faraoni più famosi, tra cui Tutankhamon e Ramses II.
Situata tra le tombe reali della Valle delle Regine e la Valle dei Re, la necropoli di Al-Assasif è il luogo di sepoltura di nobili e alti funzionari vicini ai faraoni.
Tra i reperti nella tomba c'erano sarcofagi, statue, 5 maschere e circa 1.000 figurine funerarie chiamate ushabtis, fatte di legno, ceramica e argilla.
La tomba apparteneva a Thaw-Irkhet-If, il supervisore della mummificazione del Tempio di Mut a Karnak, secondo il ministero.
Al suo interno sono stati trovati altri reperti risalenti a quasi 4.000 anni fa ma secondo gli scienziati essa è stata riutilizzata anche successivamente.
Un'altra buona notizia per l'Egitto che dall'inizio del 2018 ha regalato una scoperta dietro l'altra.
Il Paese spera che i ritrovamenti possano riavviare l'interesse dei viaggiatori, un tempo numerosi ma oggi drasticamente in calo a causa degli effetti della sollevazione politica del 2011.
Francesca Mancuso
giovedì 22 novembre 2018
Un Hotel Abbandonato Che Sembra Uscito Dal Set Cinematografico Di Walking Dead
Un grande hotel abbandonato in Giappone sembra davvero la scena un episodio di walking dead con stanze completamente devastate e altre in perfetto stato.
L’Hachijo Royal Hotel è un hotel abbandonato situato a Hachijō-jima, un’isola vulcanica situata a circa 300 km da Tokyo.
Questo hotel, in stile barocco francese, è stato inaugurato nel 1963 e, a causa del declino del turismo, è stato chiuso nel 2006.
Non è chiaro il perché di questo fallimento, forse una cattiva strategia imprenditoriale vista la posizione lontana dalla spiaggia. Certo è che questo, era uno degli hotel più grandi e prestigiosi del Giappone.
Prima del fallimento furono anche fatti alcuni tentativi di recupero che però non ebbero successo.
Oggi l’hotel è completamente abbandonato e vistare l’interno dell’edificio suscita una certa emozione.
A differenza di altri edifici abbandonati, questo hotel presenta ambienti completamente rovinati e altri perfettamente intatti.
In certe stanze sembra che si sia fermato il tempo.
Suppellettili, arredi, mobili, televisori sono lì, perfettamente integri e al loro posto.
Verrebbe da pensare che vi alloggino ancora clienti.
Altre stanze invece sono completamente devastate con tavoli rovesciati, materassi sbrindellati ed in alcuni casi troviamo stanze invase dalla vegetazione.
Contrasti molto forti insomma, che sono resi in maniera davvero professionale dalla fotografa polacca Natalia Sobańska che ha scattato foto sorprendenti mostrando a tutti la gloria sbiadita di uno dei più grandi hotel del Giappone.
Fonte: zibaldoneweb.it
Foto : deadinside.eu
mercoledì 21 novembre 2018
Sull'Isola di Man sono apparse in una notte decine di minuscole case delle fate
Apparse magicamente in una sola notte.
L'isola delle fate ora ha delle case su misura per accoglierle: su tutta la costa dell'Isle of Man sono spuntate decine di residenze in miniatura.
Misurano in media 30 centimetri e sono super accessoriate, con tanto di mobilio, quadri e tappeti su misura, tutto fatto a mano.
Opere d'arte in grado di incantare, «rivendicate» dal collettivo di street artist Anonymouse Mmx.
E i bizzarri rifugi creati appositamente per il Piccolo Popolo - il regno segreto formato da fate e folletti, gnomi ed elfi - hanno stupito tutti, spopolando sui social e attirando in pochi giorni l'interesse dei residenti e soprattutto dei turisti.
Si perdono nella notte dei tempi le origini del Piccolo Popolo collegati all'Isola di Man, situata proprio fra Irlanda e Gran Bretagna.
Leggenda vuole che sia stata formata dal gigante irlandese Fionn mac Cumhail durante una battaglia a distanza col suo rivale scozzese, scagliando nel Mar d'Irlanda un'enorme porzione di terreno, creando a sua volta anche il lago Lough Neagh.
Un'origine mitologica per un'isola incantata, dai paesaggi che sembrano essere usciti proprio da un libro di favole.
Ed è proprio a queste scenografie che gli artisti si sono ispirati per creare le case delle fate: il rifugio di Bradda Head, ad esempio, assomigliare alla retrostante torre del XIX secolo e al suo interno ha anche un tavolo da banchetto con alte sedie regali.
«Ci siamo ispirati alle storie di Astrid Lindgren e ai film di Walt Disney e Don Bluth», spiega uno degli artisti del collettivo svedese, celebre per le sue scenografiche case per topi.
«Amiamo immaginare che ci sia un mondo parallelo in cui i piccoli - animali o creature mitologiche che siano - vivano proprio come noi».
Le case ora rimarranno esposte per almeno quattro mesi. E per permettere a tutti di ammirarle, l'ufficio del turismo dell'isola sta creando una mappa con i sentieri da seguire per localizzarle più facilmente.
Fonte: lastampa.it
Nel nord della Spagna, c’è una bellissima opera di Gaudi che i turisti ignorano
Quando si sente il nome di Antoni Gaudi, il pensiero corre subito a Barcellona: Casa Battlò, Casa Milà, il Parco Güell. E, soprattutto, quell’incredibile capolavoro che è la Sagrada Familia.
Tuttavia, nel nord della Spagna, c’è un’altra (spettacolare) opera firmata dal famosissimo scultore, pittore e designer spagnolo: è Villa Quijano e si trova in Cantabria, località Comillas.
Soprannominata “El Capricho” (Il Capriccio), fu progettata nel 1883 da Gaudi e costruita sotto la direzione dell’architetto Cristobal Cascante.
Perché questo soprannome? Perché, il termine “capriccio”, in ambito musicale indica una composizione libera. Il committente della villa, tale Máximo Díaz de Quijano, era un grandissimo appassionato di musica: così, ecco spiegato il nome di “El Capricho”.
Originale e splendida da vedere, come ogni altra opera firmata da Antoni Gaudi, Villa Quijano ha colori sgargianti, forme estroverse, e fu studiata in modo che le attività quotidiane potessero seguire gli spostamenti del sole: stanze per le attività mattutine rivolte a sud, stanze per le attività pomeridiane a ponente.
Un po’ come fosse un girasole, ma in formato casa (peraltro, i girasoli fanno largamente parte dei motivi decorativi della villa).
Concepita per ospitare la famiglia, i domestici e persino le carrozze, El Capricho si caratterizza per quella torre cilindrica che somiglia ad un albero e per le colonne dei portici.
L’architettura è vagamente arabeggiante, come in tutte le prime opere di Gaudi: qui la pietra incontra la ceramica, i mattoni si sposano coi coppi e con il ferro.
La facciata è coloratissima, eclettica, dinamica. Ci sono strisce di piastrelle orizzontali, che si contrappongono alla verticalità della torre e delle mensole della cornice.
E poi, come decorazione, elementi rubati alla musica.
Fonte: siviaggia.it
martedì 20 novembre 2018
Pompei, straordinaria scoperta "a luci rosse": l'affresco di Leda e il Cigno
Sono rimasti sepolti per millenni sotto una via di Pompei.
Due degli amanti più celebri della storia, Leda e il Cigno, sono riapparsi in una camera da letto di Via del Vesuvio.
Un affresco più unico che raro, che mostra molto chiaramente il sensuale abbraccio tra i due.
Una nuova immagine femminile riaffiora dai nuovi scavi della Regio V, arricchendo le recenti scoperte effettuate a Pompei.
Dopo aver ammirato i raffinati volti di donna dipinti nei medaglioni di alcuni ambienti lungo via del Vesuvio e dopo aver assistito al ritrovamento di un altro affresco, quello di Venere e Adone, oggi è una scena di sesso risalente all'antichità a destare scalpore.
L'affresco, scoperto durante i lavoro di scavo nel cubicolo di una casa lungo via del Vesuvio, racconta e mostra il mito di Leda e del cigno senza troppi preamboli né censure.
Una scena che trasuda sensualità e che con vividi colori, resistiti al tempo, rivela il congiungimento tra Giove, sotto forma di cigno, e Leda, moglie di Tindaro re di Sparta.
Secondo leggenda, Giove si innamora della donna. Così si trasforma in cigno per accoppiarsi con lei sulle rive del fiume Eurota.
È questa la scena raffigurata dall'affresco.
Nella stessa notte, Leda ha un rapporto anche col marito Tindaro. Da queste unioni, tramite delle uova nacquero i Dioscuri, Castore e Polluce, ma anche Elena, futura moglie di Menelao re di Sparta e causa della guerra di Troia e Clitennestra, che sposerà e ucciderà Agamennone, fratello di Menelao.
"A Pompei l’episodio di Giove e Leda gode di una certa popolarità, poiché è attestato in varie domus, con diverse iconografie (la donna è in genere stante, e non seduta come nel nuovo affresco, e in alcuni casi non è raffigurato il momento del congiungimento carnale)" spiegano gli autori della scoperta.
Francesca Mancuso
lunedì 19 novembre 2018
L'epica città di Tenea esiste davvero
Per la prima volta è stata scavata una parte dell’antica città greca di Tenea, vicino a Corinto.
Gli archeologi hanno trovato i resti di alcune abitazioni e sette nuove tombe datate dal 300 a.C. al 400 d.C., piene di reperti, gioielli e monete ellenistiche e romane.
Gli studiosi conoscono la posizione generale di Tenea almeno dal XIX secolo – vicino all’odierno villaggio di Chiliomodi – ma finora gli scavi avevano interessato solo il cimitero fuori dalla città. La campagna archeologica di quest’anno si è concentrata su due siti principali: un cimitero di epoca ellenistica e romana, e la zona residenziale identificata come l’antica Tenea.
«Tenea è menzionata nei testi di autori antichi come Strabone e Pausania e nei testi di alcuni autori più recenti.
Alcune iscrizioni menzionano gli atleti di Tenea, ma in genere non si sa molto di questa antica città», ha spiegato Elena Korka, direttrice degli scavi, a National Geographic.
Tenea è anche il luogo dove il re di Corinto Polibo crebbe il giovane Edipo, protagonista del celebre mito, prima che questi affrontasse la sfinge e avverasse le profezie dell’oracolo di Delfi.
Lo storico greco Pausania scrisse nel II secolo d.C. che gli abitanti di Tenea si ritenevano discendenti dei Troiani, catturati dai Greci durante la guerra e lì deportati.
La città chiamata Tenea è lontana al più sessanta stadi (da Corinto). Il popolo che l’abita dice essere Troiano di origine, i quali furono fatti prigionieri dai Greci e da Tenedo furono portati là, dove fu loro concesso di restare da Agamennone.
Per questa ragione, tra gli dèi onorano specialmente Apollo.
Pausania, Descrizione della Grecia (2.5.4)
«Siamo sicuri che sia Tenea perché abbiamo trovato i resti di edifici elaborati, estesi e diacronici. Sappiamo che sono abitazioni grazie a un tubo d’argilla che portava l’acqua.
Abbiamo anche trovato sepolture infantili in una stanza (sotto le fondazioni dei muri), un magazzino e oltre 200 monete di periodi diversi», spiega Korka.
Gli scavi hanno scoperto sette nuove tombe (i cui resti scheletrici appartengono a due uomini, cinque donne e due bambini), tre ellenistiche e quattro romane.
Al loro interno vi erano ancora le offerte funebri: vasi, gioielli in osso, in bronzo e in oro, e anche le prime monete della Corinto romana (44-40 a.C.).
Spiccano in particolare una lucerna romana con la rappresentazione di Igea, la dea della salute e dell’igiene, e un anello romano di ferro con l’immagine del dio Serapide seduto su un trono e il cane Cerbero ai suoi piedi.
L’analisi dei resti archeologici suggerisce che Tenea ebbe una crescita economica durante il regno dell’imperatore romano Settimio Severo (193-211 d.C.).
La prosperità di Tenea, tuttavia, durò fino al IV secolo, quando il numero di manufatti sembra diminuire.
Tenea venne colpita dalle incursioni del re dei Visigoti Alarico tra il 396 e il 397 d.C., e durante il VI secolo sembra essere stata abbandonata.
Fonte: ilfattostorico
venerdì 16 novembre 2018
Piove nel deserto di Atacama: mai così tanta acqua da 500 anni
Nel cuore del deserto di Atacama, uno dei luoghi più aridi della Terra piove come mai era accaduto.
Un nuovo studio ha scoperto che la presenza di precipitazioni mai così abbondanti negli ultimi 500 anni ha alterato le condizioni che hanno permesso ai microbi di vivere nel deserto.
Solitamente si pensa che l'arrivo dell'acqua in un luogo arido porti la vita, ma non sempre è così come rivela la ricerca condotta dal Centro spagnolo per l'astrobiologia (CAB).
La grande quantità di pioggia ha devastato la comunità microbica. La vita sulla Terra non può esistere senza acqua, vero, ma per i microbi che si sono adattati alle condizioni aride, l'improvvisa introduzione di acqua in queste quantità può essere devastante.
Nel suolo erano presenti organismi appartenenti a tutti e tre i domini della vita (batteri, archaea ed eucarioti) che dopo essersi evoluti per milioni di anni, erano riusciti a creare un loro habitat adattandosi alle condizioni estreme.
Ma le recenti piogge, come rivela lo studio, invece di innescare la vita hanno portato la morte, uccidendo le specie microbiche che popolavano l'area da millenni.
Il deserto di Atacama, nel nord del Cile, è il più secco e antico della Terra.
Da almeno 500 anni non c'erano piogge nella parte più arida ma ciò non aveva impedito ai microrganismi di sopravvivere.
Tuttavia, negli ultimi tre anni, è accaduto qualcosa.
La pioggia fin troppo copiosa, essenzialmente legata al clima che cambia, ha creato delle lagune ipersaline durate per mesi.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Scientific Reports, indica che le piogge abbiano causato enormi devastazioni nelle specie microbiche che vivevano in questi luoghi.
Questi microrganismi infatti sono scomparsi a causa dello stress osmotico causato dall'improvvisa abbondanza di acqua in un luogo prima arido.
"Questo nuovo studio serve a stabilire, quindi, un'analogia con ciò che potrebbe accadere su Marte nel momento in cui il suo cambiamento climatico globale ha causato la scomparsa di acqua liquida dalla sua superficie.
Inoltre, aiuta a spiegare il destino di una possibile biosfera primordiale marziana" spiegano gli autori.
Il deserto di Atacama non è stato l'unico ad aver sperimentato piogge abbondanti e anomale.
È successo di recente anche in Arabia Saudita, dove ci sono state scene fuori dal comune, con strade allagate, 30 persone uccise e quasi 4mila evacuate.
Scene surreali, che dimostrano ancora una volta gli effetti dei cambiamenti climatici sulla Terra.
Francesca Mancuso
giovedì 15 novembre 2018
Mummie di gatti e scarabei: nuove sorprendenti scoperte dall’antico Egitto
L’Egitto e la sua antichissima civiltà non finisce mai di stupire.
Anche se è noto da molto tempo che per gli egizi i gatti erano animali sacri, che venivano abitualmente mummificati e addirittura allevati a questo scopo, trovarsi di fronte a dozzine di mummie di gatti, sepolte all’interno di una tomba risalente a 4500 anni fa, deve aver lasciato gli archeologi senza parole.
La tomba, scoperta nel corso di una campagna di scavi iniziati ad aprile di quest’anno, si trova a Saqqara, la necropoli della città di Menfi.
All’interno c’erano, oltre alle mummie, anche un centinaio di gatti in legno dorato, e una statua in bronzo di Bastet, la dea egizia dall’aspetto di gatto.
Non è raro trovare mummie di animali nelle tombe egizie, anzi: era una pratica piuttosto comune quella di portare i propri animali domestici nell’aldilà, tanto comune quanto l’abitudine attuale di accendere una candela in chiesa, secondo l’archeologo Salima Ikram.
È rarissimo però trovare degli scarabei mummificati, come quelli rinvenuti nelle tombe recentemente scoperte a Saqqara.
Due grandi scarabei, avvolti in teli di lino e posti all’interno di un sarcofago di pietra calcarea dal coperchio decorato, sono una scoperta sorprendente, perché, secondo il segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità, Mostafa Waziri, “lo scarabeo (mummificato) è qualcosa di davvero unico”.
Oltre al sarcofago di pietra ne è stato trovato uno più piccolo, contenente altri scarabei.
Si tratta di una scoperta rara e preziosa, come afferma sempre Waziri all’agenzia Reuters:
“Un paio di giorni fa, quando abbiamo scoperto quelle bare, erano bare sigillate con disegni di scarabei.
Non ne ho mai sentito parlare prima.”
Oltre ai gatti mummificati e agli scarabei, nelle tombe di Saqqara sono state trovate anche statue di un leone, una mucca, un falco, un cobra e due coccodrilli, e poi centinaia di amuleti in maiolica.
Ma non basta: gli archeologi hanno trovato una tomba, probabilmente risalente alla V Dinastia dell’Antico Regno, apparentemente sigillata, che potrebbe quindi riservare molte sorprese.
Il Ministero delle Antichità egiziano ha dato grande rilevanza alle recenti scoperte, nel tentativo di dare nuovo impulso al turismo, che negli ultimi anni è stato in forte calo.
Fonte: vanillamagazine