giovedì 30 agosto 2018

Brusio di Taos: che cos'è il misterioso rumore udibile nel Nuovo Messico?


È un rumore di fondo che, in questa cittadina dello stato del Nuovo Messico (Usa) è udibile sin dagli anni ’70.

 Anche noto come “Taos Hum”, rappresenta un affascinante mistero naturale, in quanto questo rumore è percepibile dall’orecchio umano e molto simile – secondo la descrizione di chi lo ha ascoltato – a quello di un motore diesel avviato, ma risulta impossibile registrarlo o isolarlo con un microfono. 

 Il brusio sembra un suono distante, ma nessuno è finora stato in grado di identificarne la fonte.
 L’ipotesi più gettonata è che si tratti di un rumore “infrasonico”, percepito grazie ad alcune non specificate caratteristiche ambientali. 
Taos non è l’unico posto dove è possibile ascoltare suoni analoghi: nel 2012 è nato un sito internet, “thehum.info”, che censisce brusii in giro per il mondo allo scopo di risolvere il mistero basandosi sulle similitudini. 
Sono migliaia i posti citati, ma per molti di questi si è trovata una spiegazione plausibile: per il brusio di Taos la caccia è ancora aperta...

 Fonte: focus.it

Le coste inglesi e il segreto degli specchi acustici


Chi si trovasse a passeggiare dalle parti di Dover e in generale sulle coste meridionali dell’Inghilterra potrebbe incappare in strani monoliti dalla forma trapezoidale con al loro interno una rientranza concava di forma sferica. 
Non si tratta però di strane costruzioni druidiche, risalenti all’epoca di Bretoni, Galli o Celti, bensì di opere ben più recenti, costruite circa un centinaio di anni fa. 
 Si tratta degli “acoustic mirror”, specchi acustici realizzati dall’esercito britannico a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, anni in cui non era ancora stato perfezionato il radar.


Costruiti in prossimità della costa da Chichester fino a Sunderland, si tratta di strutture in cemento (e non di roccia vera e propria), la cui forma richiama quella delle moderne parabole. 
Di altezza variabile e compresa tra i 15 e i 30 piedi (quindi da circa 4,5 metri a poco più di 9), sono rivolte verso il mare e al loro interno nascondevano un microfono. 
Il loro scopo era quello di individuare l’eventuale arrivo di flotte aeree nemiche e organizzare di conseguenza una difesa militare o un contrattacco.


Ideati dal Maggiore William Sansome Tucker negli anni ’20, questi strani specchi di calcestruzzo sfruttavano la fisica acustica e le proprietà riflettenti delle superfici rigide. 
Le onde sonore si concentravano in un solo punto (o in un’area ristretta) all’interno della sfera concava della struttura, permettendo ai microfoni di rilevarle e ai militari britannici di individuare un potenziale allarme: era possibile captare il suono di un aereo in avvicinamento fino a una distanza di 40 km, dando all’Esercito di Sua Maestà circa un quarto d’ora di anticipo per prepararsi all’imminente attacco. 

 Il Regno Unito decise di puntare su questo tipo di tecnologia, che però già nel 1936 divenne superata.
 Fu quello l’anno in cui un velivolo situato lungo la costa del Norfolk fu individuato con un radiogoniometro a distanze esponenzialmente maggiori rispetto alle possibilità degli specchi di pietra.
Era appena nato il radar e l’investimento dell’esercito inglese era istantaneamente diventato archeologia militare.


Il ricordo di quei circa 15 anni di sapiente studio della fisica acustica sono però resistiti ai decenni (e alla Seconda Guerra Mondiale).
 E così, passeggiando per le scoscese costiere inglesi, potrete ritrovare gli specchi acustici ancora oggi: sono lì, tutti e tredici, a captare le onde sonore di ogni aereo in avvicinamento verso il cuore del Paese.
 Senza però che ci sia più alcun microfono a dare seguito e considerazione alla loro funzione. 

 Fonte: siviaggia.it

mercoledì 8 agosto 2018

Il mistero degli abiti al mercurio di due mummie Inca


Tra i 500 e i 600 anni fa, due ragazze di 9 e 18 anni affrontarono il loro ultimo viaggio: una scarpinata di quasi 1.200 km dalla capitale Inca Cusco, nell'attuale Perù, fino al sito di Cerro Esmeralda ad Iquique, Cile. 
Una volta giunte alla meta finirono vittime di un sacrificio rituale, furono mummificate e infine sepolte con un ricco corredo: figurine metalliche, gioielli in argento, conchiglie e vesti di un colore rosso sgargiante.


La storia delle due mummie del 1399-1475 d. C. è nota dal 1976, anno del loro ritrovamento. 
Ora però un articolo pubblicato sulla rivista Archaeometry fa emergere un dettaglio inquietante sui loro abiti: il colore rosso proveniva dal cinabro o solfuro di mercurio, un minerale tossico di origine vulcanica conosciuto presso altre antiche civiltà, ma mai finora attestato nelle antiche sepolture del Cile.

 Le analisi chimiche degli abiti sono state condotte dagli archeologi dell'Università di Tarapacá, in Cile, che si sono interrogati sul motivo di questa scelta.
 Per il colore rosso, i popoli delle Ande ricorrevano all'ematite, un ossido di ferro non tossico, largamente usato nell'abbigliamento e nel trucco.
 Il cinabro era utilizzato a scopo rituale nell'antica Roma, e presso civiltà del passato di Cina, Spagna, Etiopia. Ma in questo luogo del Cile settentrionale l'impiego del minerale, soltanto sulle vesti e non sul corpo delle bambine, suona come un dettaglio del tutto esotico.

 A che cosa serviva? 
 Forse l'obiettivo era evidenziare l'elevata estrazione sociale delle vittime. 
Le ragazze furono immolate in una capacocha, una cerimonia sacrificale che marcava gli avvenimenti più importanti per il popolo Inca, legati alla vita dell'imperatore, o che aveva lo scopo di scongiurare disastri naturali. 

Da quelle parti, l'unica fonte naturale di cinabro è la miniera di Huancavelica, nel Perù centrale, molto lontano dal sito di sepoltura. Per tingere quelle vesti, fu dunque necessario un lungo viaggio, un fatto che fa pensare che le vittime fossero di alto rango, e che il rituale fosse stato preparato con estrema cura. 

 Un'altra possibilità è che la sostanza tossica servisse ad allontanare i ladri di tombe, attratti dal colore vivace delle vesti, e facilmente "avvelenabili". 
Lo stesso rischio, mettono in guardia gli autori dello studio, potrebbe interessare gli archeologi odierni, che faranno bene ad attrezzarsi per non rimetterci le penne.
 L'esposizione al mercurio, infatti, può causare problemi muscolari, al sistema nervoso e al tratto gastrointestinale, ma può persino a risultare, in alcuni casi, letale.

 Fonte: .focus.it

L'elmo di Milziade, l'eroe di Maratona


Ad osservarlo oggi nel museo di Olimpia, in Grecia, difficilmente potremmo immaginare gli eventi epocali di cui è stato testimone; eppure essi sembrano trasparire ugualmente dall'aurea minacciosa che esso emana. 
L'elmo di Milziade ci parla, infatti, della battaglia di Maratona, una storia che non tutti conoscono e che vale la pena di essere ricordata, perché senza di essa l'Occidente e noi stessi saremmo "altro" da quello che conosciamo.


Siamo nel 490 a.C. a Maratona, in Grecia, dove la prima guerra persiana è destinata a concludersi, ma i suoi protagonisti ancora non lo sanno.

 Il conflitto era stato scatenato dal re di Persia Dario I, con due obiettivi: innanzitutto, punire Atene ed Eretria per il loro precedente appoggio alla rivolta delle poleis ioniche; e al tempo stesso, estendere il dominio persiano in Europa e rafforzare la frontiera occidentale del suo vasto impero.

 Inizialmente il potente impero persiano aveva avuto la meglio nello scontro, ottenendo l'obbedienza di quasi tutte le città elleniche, ad eccezione di Atene e Sparta. 
Fu così che Dario lanciò la seconda temibile offensiva, che avrebbe dovuto schiacciare una volta per tutte l'opposizione. Ma, arrivati nella piana di Maratona, dove avrebbe avuto luogo l'ultimo scontro diretto, le cose andarono diversamente da quanto aveva progettato.


La schiacciante superiorità numerica dell'armata persiana, con i suoi 25.000 uomini, non riusci ad imporsi sui 12.000 soldati dell'esercito ateniese. 
Questi avevano dalla loro strategia, tattica ed equipaggiamento migliori; e soprattutto, il loro comandante: Milziade.

 Il generale ateniese irrobustì le ali per contrastare la cavalleria avversaria, assottigliò il centro, e coraggiosamente lanciò l'attacco, puntando tutto su sorpresa e paura.
 La coralità del modo di combattere ateniese si impose su quello individuale persiano, e l'armatura integrale fu di estremo aiuto; il centro indietreggiò ma non cedette e le ali, come una morsa, si chiusero a tenaglia sui persiani. 

La brillante strategia di Milziade ebbe uno strepitoso successo. 
 Ma non fu tutto.
 I Persiani, reimbarcatisi, puntarono su Atene, per sorprenderla indifesa; Milziade, però, intuendo il piano, fece dietrofront, arrivando prima - anche se il primo fu il mitico soldato ateniese Fidippide che percorse i 42 km tra Maratona ed Atene, ispirando la moderna disciplina olimpica.


La vittoria ateniese sull'impero persiano fu talmente inaspettata e grandiosa che Milziade vi lesse l'intervento divino; e per ringraziare le divinità, donò il suo elmo al Tempio di Zeus a Olimpia, dopo avervi fatto incidere le parole "Milziade lo dedicò a Zeus". 
 E, a distanza di 2.500 anni, l'elmo di Milziade, pressoché intatto, continua a raccontarci della grandezza di un comandante e del coraggio del suo esercito, che cambiarono il corso della storia.

 Fonte: curioctopus

lunedì 6 agosto 2018

White Sands National Monument, l'infinita distesa di dune di gesso


Il White Sands National Monument si trova nel sud-ovest degli Stati Uniti, nella parte più a nord del deserto di Chihuahua, nel Nuovo Messico. 
Si tratta del deserto di gesso più grande al mondo, si estende per ben 700 chilometri quadrati all’interno del Bacino di Tularosa, un’arida e rocciosa depressione a 1.291 metri di altitudine.


Questo bianchissimo e scintillante deserto, con la sua immensa distesa di candide dune, offre uno degli spettacoli più rari e surreali del nostro pianeta. 

È molto difficile trovare il gesso in forma solida poiché con l’acqua si scioglie, ma in questa particolare area la pioggia che cade resta intrappolata nel bacino e il solfato di calcio idrato depositato non scorre via, si asciuga e si cristallizza sotto forma di sabbia. 
In seguito, la forte e continua erosione dei venti ha creato le dune che oggi possiamo ammirare; splendide e candide alture che possono raggiungere i 20 metri di altezza, fino a spostarsi anche di 30 metri in un anno.


Il parco è aperto tutto l’anno e si può attraversare percorrendo la Dunes Drive, una strada asfaltata di circa 18 km che permette di toccare ogni singolo angolo di questo incredibile paesaggio lunare. 

Lungo il percorso si trovano aree adibite per il picnic, stazioni per prendere il sole o usare lo slittino per scivolare tra le dune sabbiose. In estate le temperature raggiungono i 40°, è quindi necessario essere ben idratati e attrezzati con occhiali, cappello e creme solari.




Il White Sands è parte del White Sands Missile Range, un’area militare ancora oggi sottoposta a test con nuove armi e tecnologie spaziali. 
Va ricordato che proprio qui, nel 1945 fu fatta esplodere la prima bomba atomica della storia. 

Per questo motivo, durante particolari orari, alcune zone del deserto potrebbero non essere accessibili, tuttavia basterà informarsi in anticipo presso il punto turistico situato all’ingresso del parco. 

 Fonte: mybestplace