mercoledì 2 marzo 2016

Katana: storia e leggenda della spada giapponese


Qualche cenno storico è doveroso: la spada nasce nel periodo Muromachi (1392 – 1573), quando cambiò radicalmente il modo di combattere. 
Se in precedenza, infatti, il guerriero era solito portare la spada con la lama rivolta verso il basso, in questo periodo la tendenza era di portarla con la lama rivolta verso l’alto, in modo da tagliare in due un nemico con un solo colpo (addirittura solo sfoderandola). Spesso la Katana veniva affiancata da un’altra spada, più corta, detta Wakizashi (脇差), lunga circa 50 cm, usata per lo più per finire nemici disarmati o per commettere seppuku (切腹, a volte chiamato erroneamente Harakiri, termine più colloquiale). 
Insieme alla Katana formava quello che era chiamato Daisho (大小, letteralmente “grande e piccolo”): la Katana era la parte lunga, il Wakizashi la parte corta.

Successivamente, nel periodo Azuchi – Momoyama (dal 1573 – 1614) la spada subisce grosse rivoluzioni sia estetiche che di fabbricazione, mentre nel successivo periodo Tokugawa (fino al 1868) le spade con lunghezza superiore ai 60cm furono riservate ai soli Samurai, come segno sociale distintivo.

Fu con il periodo Meiji (1868 – 1912) che la casta dei Samurai fu dichiarata estinta e quindi fu vietato il portare il Daisho in pubblico.


Al giorno d’oggi la produzione continua a ritmi molto bassi, soltanto per proseguire la tradizione. 
Sia i pezzi dei grandi maestri forgiatori del passato, sia i pezzi pregiati di oggi raggiungono cifre da capogiro.





Ovviamente ogni spada al mondo è formata da più parti e la Katana non fa eccezione.

Vediamo rapidamente la montatura della lama: abbiamo l’impugnatura (tsuka, 柄), la guardia (tsuba, 鍔) e il fodero (saya, 鞘).

L’impugnatura è in legno e ricoperta di pelle, rivestita di seta intrecciata. Negli spazi che rimanevano dall’intreccio trovavano posto vari ornamenti.

La guardia è di metallo finemente lavorato, una vera e propria opera d’arte che spesso riportava il simbolo del clan di appartenenza del guerriero. 
Il compito della guardia era evitare lesioni alle mani derivanti dallo scivolamento delle lame. 
Il fodero è in legno di magnolia laccato.


Passiamo ora a ciò che rende la Katana una spada così eccezionale (forse la migliore al mondo): la lama. 
 Partiamo dalla composizione: la lama è formata da una lega di metalli diversi, in percentuali che variano da fabbro a fabbro e da maestro a maestro. 
In linea di massima però abbiamo queste percentuali: Acciaio: dal 95.22 al 98.12%; Carbonio: dallo 0.10 al 3% Rame: 1.54% Manganese: 0.11% Tungsteno: 0.05% Molibdeno: 0.04% Titanio: 0.02% Silicio: variabile Altri componenti: poche tracce 

Come ogni grande lavoro, anche la produzione della Katana vede coinvolti diversi maestri: abbiamo il produttore del ferro, il fabbro che lavora il metallo grezzo, un fabbro che lo piega su se stesso più e più volte, un addetto alla lucidatura ed uno specialista per affilarla. 
Ne deriva che il processo è lungo e molto laborioso e già da qui dovreste capire che forse la Katana pagata anche 2000 euro non può essere che un’ottima riproduzione, ma non ha nulla di originale.

L’acciaio utilizzato per la Katana è solo ed esclusivamente la qualità Tamahagane (玉鋼), ovvero “acciaio gioiello”. Ricavato dalla sabbia nera, viene sciolto in forni molto particolari, dal nome Tatara (鑪): non vi annoierò con dati e numeri, vi basti sapere che richiede più di 72 ore di lavoro ininterrotto, senza contare il tempo necessario a pre-riscaldare il forno stesso.
 Insomma, solo per ricavare il metallo della lama ci vogliono più di 3 giorni. 
Tenete poi presente che da 12 tonnellate di sabbia si ricavano circa 2,5 tonnellate di Tamahagane.
 Inoltre, fino alla fine, non si conosce la qualità reale del metallo: potrebbe uscirne una lega straordinaria o un mezzo fallimento. Forni del genere ormai sono pochissimi, tanto da contarli sulle dita di una mano
.



Veniamo ora al processo più lungo di tutta la produzione.
 Il metodo seguito è di origine cinese e consiste nel rendere l’acciaio grezzo incandescente e piegarlo più volte su se stesso. 
La parte di metallo con poco carbonio in questo modo si “purifica”, mentre la parte ricca in carbonio viene piegata a strati alterni.
 Il tutto poi va a formare un blocco unico che viene a sua volta ripiegato fino a 20 volte, creando migliaia di strati (anche 65.000). Lì il processo si ferma, dato che il carbonio è diffuso in maniera omogenea ed altre ripiegature sarebbero inutili. 
 Ma a cosa serve tutto questo processo? 
I vantaggi sono molti: prima di tutto il metallo avrà diversi strati di diversa durezza e flessibilità, rendendo la lama tanto dura da tagliare un uomo in due ma allo stesso tempo tanto flessibile da non andare in frantumi a causa di un colpo; in secondo luogo venivano tolte dal metallo eventuali bolle d’aria, motivo di fragilità; inoltre il metallo era omogeneo, con percentuali equamente ripartite per tutta la lunghezza della lama; infine la lega veniva purificata da eventuali metalli meno preziosi e resistenti.

In seguito si valuta la lunghezza e lo spessore della lama, solo quando le operazioni di piegatura sono terminate.


Qui nasce un altro problema: il raffreddamento.
 Come fare? Se la lama venisse raffreddata troppo in fretta diventerebbe durissima, andando in frantumi al primo colpo; se invece la si lasciasse raffreddare piano, diventerebbe esageratamente flessibile, con poca capacità di taglio.
 Ed è qui che entra in gioco la decisione di utilizzare solo un lato affilato: difatti il cuore della lama viene mantenuto morbido, mentre la lama viene resa dura. 
Ma come? 
Grazie all’argilla: ne viene messa poca sulla lama e molta sul dorso.
 Il tutto viene poi portato ad alte temperature fino a che la lama assume un colore rossastro.
 I maestri di spade sono chiari: solo uno è il colore (quindi la temperatura) giusto, un rosso da “sole al tramonto”. 
Basterebbe una gradazione leggermente diversa per sbagliare clamorosamente l’atto di forgiatura, dovendo buttar via il lavoro appena fatto.
 Una volta trovato il colore corretto, la spada viene raffreddata in una vasca d’acqua tiepida (circa 37°C): l’argilla funge da isolante, dove ce n’è poca (lama) il metallo si fredda subito e diventa durissimo, mentre dove ce n’è molta (dorso) il metallo si raffredda più lentamente e resta flessibile.
 I metalli a questo punto sono completamente fusi ma mantengono la differente durezza. Ed è in questo momento che il metallo si curva, dando alla Katana la sua forma caratteristica.


Siamo alla parte finale, dove viene effettuata una pulitura della lama ed una prima affilatura preliminare: il tutto è rigorosamente a mano, utilizzando pietre di diversa durezza e grana.

Inoltre viene fatta la decorazione (che spesso è lo stemma del forgiatore), che rende la spada un pezzo di ancora maggior pregio. 

Il compito del lucidatore è quello di rendere la spada artisticamente bella da vedere. 
Per farlo sono necessarie diverse settimane e diversi tipi di pietra (una delle quali ha un costo esagerato e viene usata in quantità minime).

Assistiamo a due fasi: la prima viene chiamata “Shitaji togi”, mentre la seconda “Shiage togi”. 

Nella “Shitaji togi” la prima cosa che si fa è raddrizzare la lama se, per qualche motivo, è storta (attenzione: non si tratta di togliere la curvatura del dorso, ma raddrizzare la lama perpendicolarmente all’impugnatura).
 Inoltre è qui che vengono corretti tutti i piccoli difetti, che potrebbero rendere la lama fragile in alcuni punti.
 Questo viene fatto utilizzando pietre molto grosse e abrasive.

Nella “Shiage togi”, invece, si rende la spada lucida come uno specchio: in questo modo si esaltano le caratteristiche della lama. Non ci devono essere difetti, in nessun caso. Le pietre utilizzate sono molto più piccole. Ovviamente è tutto rigorosamente fatto a mano.

La lucidatura, come potete intuire, è fondamentale, soprattutto nella fase di “Shitaji togi”: infatti un’abrasione errata o eccessiva potrebbe rovinare irrimediabilmente la lama, mentre un lavoro accurato e di qualità può addirittura migliorarla. 
In questa fase viene anche accurata l’affilatura: data la natura sottile della parte tagliente, si può procedere alla molatura senza scendere a compromessi; difficilmente, infatti, la lama si rovinerà. 

 Il lavoro della lama è finito, ma cosa farsene di una lama senza impugnatura o fodero? Ed è qui che entra in gioco l’ultima figura, ovvero il montatore (Sayashi). 

Il compito è teoricamente semplice, in realtà non lo è: dopo una produzione così minuziosa, a partire dal ricavare il metallo dalla sabbia, non si può lasciare l’ultima fase al caso.

La composizione è da anni più o meno la medesima, uniche varianti sono gli stili e i materiali usati.

La lama viene infilata e fissata accuratamente nello tsuka (l’impugnatura) attraverso un pezzo di bambù e poi viene montata l’elsa, che come abbiamo detto in precedenza è finemente ornata.
Inoltre viene prodotto anche il fodero: ai tempi dei samurai era doppio (uno di legno da esposizione ed uno sempre di legno ma molto più decorato da portare in battaglia), ora si tende ad usarne uno solo. 

 Questa è la Katana, l’arma da molti definita perfetta.
 Il processo intero di produzione ha superato i 3 mesi, il tutto votato al massimo impegno da parte dei vari soggetti coinvolti nella sua produzione.

 Si dice che nella spada vi sia l’anima del forgiatore: vi sembra davvero così esagerata, come affermazione?


Fonte: http://www.dondake.it/

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