mercoledì 23 settembre 2015
Igigi: le misteriose divinità che si ribellarono agli Annunaki
Con il termine semita “Igigi” o “Igigu” si indica un gruppo di divinità del pantheon mesopotamico.
Come il significato di “Annuna” rimane di difficile e controversa interpretazione, così la parola “Igigi” necessita di ulteriori studi per essere compresa.
Inoltre, non è del tutto chiaro cosa distingue gli Annuna dagli Igigi.
Come riportato dalla pagina dedicata dell’Oracc (The Open Richly Annotated Cuneiform Corpus), il termine compare nel mito di Atrahasis, eroe nella versione babilonese dell’Epopea di Gigamesh, racconto alla base del Diluvio Universale.
Il testo risale al XVII secolo a.C. ed è inciso su una tavola conservata presso il British Museum di Londra.
Il reperto offre alcune testimonianze sulla relazione tra gli Annunaki e gli Igigi.
Il testo si compone di tre tavole, ognuna delle quali si sviluppa per otto colonne, quattro sul fronte e quattro sul retro, ogni colonna si compone di circa 55 righe. L’intera opera si compone dunque di complessive 1.245 righe, di cui solo alcune sono giunte a noi.
Il Poema di Atraḫasis si apre con la condizione venuta a crearsi dopo la cosmogonia: il dio Cielo, Anu, è salito in cielo; Ea (Enki), è sceso nell’Apsû, il mondo sotterraneo delle acqua abissali, sopra le quali poggia la terra; Enlil ha preso per sé la terra, con tutti gli esseri viventi in essa contenuta.
Agli dei Igigi è stato invece imposto il lavoro sulla terra, ambito in cui regna il dio Enlil.
Gli Igigi scavano i fiumi, tra cui il Tigri e l’Eufrate, e i canali. Il pesante lavoro degli dei Igigi, svolto di giorno e di notte, dura per 2.500 anni.
Così, a partire dal rigo 39 della I Tavola del Poema, questi dei iniziano a rimuginare, finché, uno di loro li sprona ad abbandonare il lavoro e a ribellarsi.
Gli Igigi danno ascolto al loro compagno e gettano nel fuoco gli strumenti da lavoro, e marciando uniti, si indirizzano verso il santuario di Enlil.
Così si legge nel poema: “Quando gli dei erano uomini, sottostavano alle fatica, portavano il canestro di lavoro; il canestro di lavoro degli dei era troppo grande, il lavoro oltremodo pesante, la fatica enorme; i grandi Anunnaki, i sette, avevano imposto la fatica agli Igigi”.
Quello che segue è in parte danneggiato, ma sembra indicare che gli Igigi non volessero più sottostare alla fatica, costringendo gli Annunaki a trovare una soluzione definitiva.
Ecco allora che gli Annunaki crearono gli esseri umani, che da allora in poi dovettero sopportare il lavoro degli dei.
Enlil piange e medita di abbandonare la terra e salire in cielo con Anu, restituendo a lui le competenze divine sulla terra.
Anu replica che ben comprende le ragioni degli Igigi, troppo grande è la loro fatica, quindi suggerisce di creare l’uomo (Lullû), quindi fa convocare la dea Mammu (Ea), la dea madre, affinché operi questa creazione e fa comunicare la sua decisione agli Igigi, i quali, sentendosi sollevati dalle estenuanti fatiche, esultano.
Mammu si prepara quindi all’opera di creazione, per questa ragione gli dei Igigi decidono di indicare Mammu in qualità di “Signora di tutti gli dei” (Bêlet-kala-ilî).
Ea (o Mammu) mescola l’argilla quindi convoca gli Anunnaki e gli Igigi che sputano sopra l’impasto.
L’uomo si prepara a “essere” e gli verrà assegnato il compito che prima spettava agli dei Igigi: il pesante lavoro sulla terra.
Fonte: ilnavigatorecurioso.it
Esfoliazione naturale - fa bene a noi e all'ambiente
Microgranuli, microsfere, microbeads: tutti nomi ormai familiari ai più che vogliono dire una sola cosa, rinnovamento della pelle.
Ma questi tanto amati alleati della nostra bellezza contenuti in saponi, dentifrici e creme, sono in realtà un cancro per l’ambiente e per noi stessi.
Panico? No, ecco che allora, complici le coscienze etiche di più o meno interessati imprenditori e di semplici consumatori, spuntano come funghi le soluzioni green, amiche sia della nostra salute che degli ecosistemi terrestri e marini. Il marketing, si sa, riesce a fare miracoli, anche far sembrare innocue e indispensabili delle microsferette colorate che altro non sono che plastica, pura e semplice. E quindi, la vanità femminile, unita alla voglia di praticità, ha creato un’autostrada all’immissione sul mercato di centinaia di prodotti che stanno ammalando l’ambiente e gli ecosistemi. E di fatto cosa c’è di più semplice del massaggiare sul corpo un bagnoschiuma “esfoliante” e sciacquare via schiuma, cellule morte e granuli giù per lo scolo
E quindi giù nel mare, nei fiumi e laghi di conseguenza nelle nostre terre.
Il problema dell’inquinamento da microgranuli di plastica è ormai allarmante e sotto gli occhi di tutti, financo i pigrissimi (almeno riguardo le questioni ambientali e di salute), gli USA hanno preso dei provvedimenti contro i prodotti cosiddetti esfolianti, non naturali. Ma se sono così pessime, queste microsfere, perché si usano?
E’ molto semplice, perché la plastica convive all’interno di qualunque formulazione senza deteriorarsi; mi spiego meglio, sale e zucchero per esempio (prodotti esfolianti per eccellenza) mantengono la loro struttura solo in un composto grasso, in un bagnoschiuma o in un dentifricio si scioglierebbero quindi, le microsfere sono invece “addizionabili” in qualunque prodotto senza che ne sia modificata la struttura, sono poi indeteriorabili, riproducibili e pronte all’uso nella filiera produttiva. La verità è che come sempre le microsfere sono il volto di una falsa innovazione. L’esfoliazione esiste nella cultura dei popoli del mediterraneo da secoli e si è sempre praticata con metodi meccanici e naturali, le sferette di plastica non hanno fatto altro che creare un finto bisogno con una finta soluzione innovativa. Non abbiamo bisogno di bagnoschiuma esfolianti, ma solo di un bagnoschiuma organico e di una spugna di luffa, e neanche di dentifrici al morbillo blu, ma di un pizzico di bicarbonato sullo spazzolino.
Vediamo allora, una per una, alcune soluzioni amiche dell’ambiente e della nostra salute. La luffa è una zucca fortemente fibrosa che, essiccata e privata dei semi, si trasforma in una spugna cilindrica dura come la carta vetrata; una volta inumidita si ammorbidisce tanto da diventare un delicato ammasso di cordicelle dal potere esfoliante. Se si rompe, o volete cambiarla, non dovete fare altro che gettarla nell’umido o nel compost: dalla natura alla natura insomma. Zucchero e sale, come già detto, sono granuli esfolianti per eccellenza: basta massaggiarli con un po’ di olio d’oliva o di mandorla su tutta la pelle e poi procedere alla doccia. L’argilla, mescolata a un po’ di acqua, sapone oppure olio, non solo aiuta il ricambio cellulare, ma rigenera la pelle purificandola e nutrendola. Il caffè, la posa ovviamente, come l’argilla può essere usato un po’ con qualunque preparato perché non perde consistenza; in più, ha un effetto tonico.
Il bicarbonato è utilissimo per i denti e le gengive, così come il bastoncino di siwak: entrambi oltre che pulenti sono anche disinfettanti. Al di là di questi esempi poi c’è la nostra fantasia, tutto ciò che pensate abbia un effetto scrub ed è naturale può fare al caso nostro: strisce di lino grezzo, paglia bagnata, financo le spezie, come i semi di cumino, sono grandi alleate della nostra bellezza. Se infine avete la fortuna di avere una spiaggia a “portata di gambe” non dimenticate il rimedio più economico e semplice del mondo: la sabbia, da strofinare delicatamente sul corpo mentre siete a mollo nel mare.
Alessandra De Sio
Pompei: scoperta una tomba di epoca sannitica (IV secolo A.C.)
La Pompei prima dei romani, prima cioè che nell’80 avanti Cristo, quando a Roma c’era la Repubblica, la città divenisse colonia romana dopo la conquista di Silla nell’89 avanti Cristo.
L’ultima, eccezionale scoperta di Pompei è targata Francia.
Lo scheletro di una donna morta alla metà del IV secolo avanti Cristo, quindi prima dell’incursione romana del 310 a.C. nella città abitata dai Sanniti, getta nuova luce sulla storia della città.
La tomba a cassa è stata scoperta nell’area di Porta Ercolano, nella zona della necropoli esterna alla cinta muraria, in direzione della Villa dei Misteri.
Gli archeologi del Centre Jean Bérard e dell’École Française de Rome, in collaborazione con la soprintendenza di Pompei, stanno conducendo da 10 anni un programma di ricerca sulla trasformazione dello spazio urbano nell’area, utilizzando fondi del ministero degli Esteri francese e di alcuni mecenati d’oltralpe.
La sepoltura è nelle immediate vicinanze di una bottega di vasai attiva in epoca romana, ma ovviamente fa riferimento alla precedente fase sannitica.
Dentro la tomba delimitata da lastre in pietra, certamente danneggiata già in antico, oltre allo scheletro di una donna dell’apparente età di 40-50 anni (ma gli studiosi non si sbilanciano), una decina di vasi che costituiva il corredo funerario: si tratta di ceramica a figure rosse, tra cui lekythos e piatti, e di un’anfora non decorata con coperchio.
«Pompei continua a essere fonte inesauribile di scoperte scientifiche», commenta su Repubblica dice il soprintendente Massimo Osanna.
«È una città ancora viva, non solo da salvaguardare, ma da indagare e studiare. Il ritrovamento di questa tomba ci consente di indagare un periodo poco noto della storia della città proprio a causa degli scarsi rinvenimenti».
Fonte: ilnavigatorecurioso.it