lunedì 15 giugno 2015
L'isola brasiliana popolata di rospi ciechi
L'azzurro del mare, il verde della lussureggiante vegetazione: i colori vivaci sono uno dei fiori all'occhiello dell'isola principale di Fernando de Noronha, un arcipelago di origine vulcanica a 350 km dalle coste del Brasile.
Ma non tutti i suoi abitanti possono apprezzarli.
Questo paradiso terrestre è popolato da un nutrito numero di rospi cururu (Rhinella schneideri), molti dei quali parzialmente o completamente ciechi.
Gli anfibi sono stati introdotti sull'isola diversi decenni fa - forse, dice la leggenda, da un sacerdote che li portò dal Brasile per controllare gli insetti che infestavano le sue terre - e hanno fatto di queste rocce bagnate dall'Atlantico la loro casa.
Quasi la metà dei rospi (e il 53% dei girini) presenta deformazioni ad arti, occhi e bocca; il 20% ha grossi problemi di vista.
Il motivo della disabilità degli anfibi non è noto.
Un team di biologi della Campinas State University di San Paolo (Brasile), insieme a ricercatori dello zoo di San Diego (California) sta indagando sull'origine delle anomalie, ascrivibile forse a un batterio, a un virus o a un parassita diffusi nella popolazione di rospi.
Cecità e deformità potrebbero derivare anche dalla tendenza di questi animali, isolati dalla terraferma, a formare legami interfamiliari; o ancora, da sostanze inquinanti disperse nel suolo o nelle acque dell'isola.
Questo scenario, verificatosi già su alcune popolazioni di rospi delle Bermuda, appare particolarmente inquietante. Fernando de Noronha fa parte di un parco marino protetto dall'Unesco, e le anomalie manifestate dai rospi potrebbero essere solo un primo campanello di allarme, per disagi che potrebbero colpire anche altre specie.
Intanto la popolazione di anfibi ha sviluppato peculiari tecniche di sopravvivenza che suscitano l'interesse dei biologi di tutto il mondo.
Luıs Felipe Toledo, un ricercatore brasiliano che li studia da tempo, ha per esempio osservato che, se i rospi si affidano comunemente a segnali visivi per catturare le prede, i rospi ciechi aspettano che gli insetti si posino sulla loro pelle, per avventarsi sul bottino.
Questa strategia "rilassata" li rende più magri e meno fertili. Ma ciascuna femmina, per quanto deperita, depone comunque migliaia di uova ogni anno. E l'assenza di grossi predatori naturali fa sì che i rospi, più o meno debilitati, riescano a sopravvivere.
Fonte: focus.it
I fichi: alla scoperta delle loro innumerevoli virtù benefiche e cosmetiche
Il fico, scientificamente conosciuto come Ficus carica, appartenente alla famiglia delle Moraceae, è una pianta di origini antichissime, proveniente dai paesi mediorientali (Turchia, Siria e Arabia).
E’ un albero che raggiunge i 7-8 m d’altezza, ha foglie grandi a tre e cinque lobi, spesse e rugose.
I fichi che maturano a maggio-giugno sono detti fioroni e sono in genere più grossi e meno dolci di quelli che maturano a luglio e agosto (detti fichi forniti), e in settembre (fichi tardivi).
Se per gli induisti e i buddhisti, i fichi sono il simbolo della conoscenza e della verità, per molti di noi invece, sono più prosaicamente legati ai ricordi e ai sapori dell’infanzia, regalandoci un tripudio di gusti, oltre a numerose virtù benefiche e cosmetiche.
Nonostante il sapore dolce, contengono solo 47 kcal per 100 gr, una quantità inferiore rispetto a quella di uva e mandarini, ricordandosi però che le calorie di un fico secco salgono addirittura a 227 per 100 grammi.
I semi, le mucillagini e le sostanze zuccherine contenute nel frutto fresco o secco esercitano delicate proprietà lassative, utili, per esempio, ai bambini e la medicina popolare utilizza molte parti della piante: il lattice che sgorga dai tagli, contenente amilasi e proteasi, viene applicato, per uso esterno, per eliminare calli, verruche e macchie della pelle; i semi vengono ritenuti utili in caso di stitichezza, stimolando la peristalsi intestinale.
Il frutto viene usato come impacco su ascessi e gonfiori infiammati, contro i foruncoli, per la cura di infiammazioni urinarie e polmonari, stati febbrili, gastriti e coliti.
I fichi rafforzano le ossa grazie alla presenza di calcio e magnesio, hanno proprietà antivirali, rinforzando le difese immunitarie grazie al contenuto di vitamina A e C; hanno proprietà energizzanti per via del saccarosio, del glucosio e del fruttosio; sono antiparassitari, contrastano l’ulcera, contengono benzaldeide, che diminuisce la crescita delle cellule anomale e, insieme ai polifenoli, è un ottimo alleato contro il cancro.
I fichi non contengono grassi, non contengono colesterolo, né sodio; sono ottimi alleati del cuore, grazie ai polifenoli di cui sono ricchi; alleviano i crampi e sono consigliati in caso di anemia.
Una curiosità: se vi danno del sicofante, non fatevi spaventare dalla parola, ma fate piuttosto un rapido esamino di coscienza.
I sicofanti (dal greco sukon, “fico”, e phainein, “indicare, mostrare”) nell’antichità erano coloro che denunciavano i furti di fichi dagli orti sacri.
Per estensione, oggi il termine viene rivolto a chi si è comportato in modo particolarmente sleale.
Fonte: meteoweb.eu
Ricostruito il montacarichi delle belve al Colosseo
Torna nei sotterranei del Colosseo una delle macchine che rendevano l’Anfiteatro Flavio il più complesso apparato scenografico dell’impero.
A partire dall’epoca di Domiziano (81-96 d.C.) e fino all’imperatore Macrino (217-218 d.C.), 28 montacarichi posti lungo il perimetro dell’arena assicuravano il sollevamento delle belve dai sotterranei del Colosseo.
Dopo un lavoro di progettazione ed esecuzione durato 15 mesi, uno di essi e’ stato ricostruito seguendo rigorosi criteri filologici e le originarie modalità costruttive.
L’operazione nasce dalla collaborazione tra la Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma e la Providence Pictures, che nel 2013 propone la ricostruzione di un montacarichi per la realizzazione del documentario Colosseum-Roman death trap, del regista Gary Glassman, assumendosi i costi dell’intera operazione.
La Soprintendenza chiede che il dispositivo scenico sia fedele all’originale, che funzioni e duri oltre la realizzazione del film a beneficio di studiosi e visitatori.
Sotto la direzione di Rossella Rea, archeologa e responsabile del monumento, il progetto viene realizzato dall’ingegnere Umberto Baruffaldi con la consulenza scientifica dell’ingegnere Heinz Beste, dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, e dell’architetto Barbara Nazzaro.
La progettazione e la costruzione del montacarichi sono durati 15 mesi:
«Un intervento, unico al mondo -racconta Rossella Rea-, che si è svolto sotto la vigilanza della Soprintendenza: il manufatto è stato posizionato con estrema precisione nella collocazione originale, senza neanche sfiorare le strutture antiche».
Le dimensioni del macchinario corrispondono a quelle ricavate dalle tracce rimaste nelle murature in tufo nel sotterraneo del Colosseo.
La gabbia misura 180 cm per 140, con un metro di altezza interna. L’ascensione, di circa 7 metri, è ottenuta con 15 giri di argano sospinto da 8 uomini che lavoravano su due piani alti 1.60 metri, 4 sotto e 4 sopra.
Potevano essere sollevati fino a 300 chili di carico.
Il montacarichi sarà subito inserito nel circuito di visita del Colosseo e sarà visibile da vicino e dal basso, nell’ipogeo e dalla sommità dall’arena.
Inoltre, adeguatamente descritta dalle guide, aiuterà i visitatori nella comprensione del lavoro svolto sotto l’arena per 4 secoli e degli espedienti spettacolari in uso nel Colosseo a partire dall’epoca degli imperatori Flavi.
Fonte: Beni Culturali
A partire dall’epoca di Domiziano (81-96 d.C.) e fino all’imperatore Macrino (217-218 d.C.), 28 montacarichi posti lungo il perimetro dell’arena assicuravano il sollevamento delle belve dai sotterranei del Colosseo.
Dopo un lavoro di progettazione ed esecuzione durato 15 mesi, uno di essi e’ stato ricostruito seguendo rigorosi criteri filologici e le originarie modalità costruttive.
L’operazione nasce dalla collaborazione tra la Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma e la Providence Pictures, che nel 2013 propone la ricostruzione di un montacarichi per la realizzazione del documentario Colosseum-Roman death trap, del regista Gary Glassman, assumendosi i costi dell’intera operazione.
La Soprintendenza chiede che il dispositivo scenico sia fedele all’originale, che funzioni e duri oltre la realizzazione del film a beneficio di studiosi e visitatori.
Sotto la direzione di Rossella Rea, archeologa e responsabile del monumento, il progetto viene realizzato dall’ingegnere Umberto Baruffaldi con la consulenza scientifica dell’ingegnere Heinz Beste, dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, e dell’architetto Barbara Nazzaro.
La progettazione e la costruzione del montacarichi sono durati 15 mesi:
«Un intervento, unico al mondo -racconta Rossella Rea-, che si è svolto sotto la vigilanza della Soprintendenza: il manufatto è stato posizionato con estrema precisione nella collocazione originale, senza neanche sfiorare le strutture antiche».
Le dimensioni del macchinario corrispondono a quelle ricavate dalle tracce rimaste nelle murature in tufo nel sotterraneo del Colosseo.
La gabbia misura 180 cm per 140, con un metro di altezza interna. L’ascensione, di circa 7 metri, è ottenuta con 15 giri di argano sospinto da 8 uomini che lavoravano su due piani alti 1.60 metri, 4 sotto e 4 sopra.
Potevano essere sollevati fino a 300 chili di carico.
Il montacarichi sarà subito inserito nel circuito di visita del Colosseo e sarà visibile da vicino e dal basso, nell’ipogeo e dalla sommità dall’arena.
Inoltre, adeguatamente descritta dalle guide, aiuterà i visitatori nella comprensione del lavoro svolto sotto l’arena per 4 secoli e degli espedienti spettacolari in uso nel Colosseo a partire dall’epoca degli imperatori Flavi.
Fonte: Beni Culturali
Le guerriere del sole: le donne Masai che portano la luce grazie al fotovoltaico
Le guerriere del sole. È questo il soprannome attribuito a un gruppo di donne Masai, che al tramonto si mette in cammino con al seguito dei pannelli fotovoltaici portatili.
Vere e proprie combattenti, che lottano contro la povertà e il buio portando l'elettricità laddove manca, in Africa.
Girano per i paesi di Kenya e Tanzania di casa in casa, portando letteralmente la luce.
I Masai sono una tribù pastorale seminomade distribuita tra Kenya e Tanzania, e la globalizzazione non è stata buona con loro.
Molti spesso devono percorrere molti chilometri solo per caricare i loro telefoni. Ma un nuovo progetto guidato da Green Energy Africa ha portato l'energia solare a 2.000 famiglie della contea di Naiputa, grazie alle donne che vendono gli impianti solari a prezzi accessibili.
Al tramonto, gli agricoltori si preoccupavano per il loro bestiame, facili prede di iene e leopardi e i bambini accendevano il fuoco per finire i compiti riempiendo le misere case di fumo. O peggio le pericolose lampade a kerosene.
Così, Green Energy Africa ha avviato a settembre dello scorso anno il Werep (Women Entrepreneurship in Renewable Energy Project), con l'obiettivo di “promuovere la partecipazione inclusiva delle donne e dei giovani nello sviluppo attraverso l'energia solare”, portando energia alle persone che ne hanno davvero bisogno e che vivono nelle contee di Kajiado e Makueni.
Come funziona il progetto?
Green Energy Africa vende alle donne i pannelli solari portatili, le lampade e piccole batterie ricaricabili con uno sconto.
Esse a loro volta vendono i prodotti guadagnando circa 300 scellini (3 dollari) ciascuno. Il denaro non va a loro ma viene destinato al conto del gruppo per acquistare altro materiale solare.
Le donne, precedentemente formate nell'installazione di pannelli fotovoltaici, in groppa agli asini trasportano così i pannelli di casa in casa in questa regione remota, dando alle famiglie per la prima volta accesso all'acqua pulita e all'energia.
A meno di un anno dall'avvio, l'area è passata da un uso dell'energia solare pari a zero al 20% di oggi.
Per le 2.000 famiglie che hanno adottato la tecnologia solare non è stato difficile apprezzarne i vantaggi. Rispetto al kerosene e alla legna, il costo, la convenienza, e benefici per la salute del fotovoltaico hanno convinto tutti.
Adesso, quando cala la sera, i bambini hanno a disposizione luce per studiare e gli agricoltori e allevatori possono controllare i loro animali grazie agli sforzi delle guerriere della luce, in prima linea in questa rivoluzione solare.
Fonte: greenme.it
Vere e proprie combattenti, che lottano contro la povertà e il buio portando l'elettricità laddove manca, in Africa.
Girano per i paesi di Kenya e Tanzania di casa in casa, portando letteralmente la luce.
I Masai sono una tribù pastorale seminomade distribuita tra Kenya e Tanzania, e la globalizzazione non è stata buona con loro.
Molti spesso devono percorrere molti chilometri solo per caricare i loro telefoni. Ma un nuovo progetto guidato da Green Energy Africa ha portato l'energia solare a 2.000 famiglie della contea di Naiputa, grazie alle donne che vendono gli impianti solari a prezzi accessibili.
Al tramonto, gli agricoltori si preoccupavano per il loro bestiame, facili prede di iene e leopardi e i bambini accendevano il fuoco per finire i compiti riempiendo le misere case di fumo. O peggio le pericolose lampade a kerosene.
Così, Green Energy Africa ha avviato a settembre dello scorso anno il Werep (Women Entrepreneurship in Renewable Energy Project), con l'obiettivo di “promuovere la partecipazione inclusiva delle donne e dei giovani nello sviluppo attraverso l'energia solare”, portando energia alle persone che ne hanno davvero bisogno e che vivono nelle contee di Kajiado e Makueni.
Come funziona il progetto?
Green Energy Africa vende alle donne i pannelli solari portatili, le lampade e piccole batterie ricaricabili con uno sconto.
Esse a loro volta vendono i prodotti guadagnando circa 300 scellini (3 dollari) ciascuno. Il denaro non va a loro ma viene destinato al conto del gruppo per acquistare altro materiale solare.
Le donne, precedentemente formate nell'installazione di pannelli fotovoltaici, in groppa agli asini trasportano così i pannelli di casa in casa in questa regione remota, dando alle famiglie per la prima volta accesso all'acqua pulita e all'energia.
A meno di un anno dall'avvio, l'area è passata da un uso dell'energia solare pari a zero al 20% di oggi.
Per le 2.000 famiglie che hanno adottato la tecnologia solare non è stato difficile apprezzarne i vantaggi. Rispetto al kerosene e alla legna, il costo, la convenienza, e benefici per la salute del fotovoltaico hanno convinto tutti.
Adesso, quando cala la sera, i bambini hanno a disposizione luce per studiare e gli agricoltori e allevatori possono controllare i loro animali grazie agli sforzi delle guerriere della luce, in prima linea in questa rivoluzione solare.
Fonte: greenme.it