giovedì 5 marzo 2015

Salviamo le ultime sirene di Okinawa


Esistono davvero le sirene.
 Non hanno capelli lunghi ma baffi eleganti.
 Possiedono la coda, per nuotare, ma non incantano i marinai. 
Di sicuro, non quelli della base statunitense della baia di Henokoto (Arcipelago di Ryukyu, Giappone). 
Loro, i loro capi e il loro governo, quella base la vogliono allargare e delle sirene, con rispetto parlando, se ne fregano. 

 Le sirene di questa baia hanno un nome. 
Si chiamano dugonghi e sono rari mammiferi marini dell’ordine appunto dei Sirenii. 
Qui vive la popolazione più settentrionale di questa specie distribuita lungo le coste dell’Oceano Indiano fino al Pacifico occidentale. 
Se in Australia la situazione della specie è florida, altrove le cose vanno peggio.
 In Kenya, di una popolazione una volta abbondante, è rimasta una manciata di esemplari, forse solo sei. Nella baia di Henokoto, ne è rimasta una dozzina. 

 L’arcipelago di Ryukyu ha una storia tormentata. 
È qui che si è svolta una delle più sanguinose battaglie della Seconda Guerra mondiale: la battaglia di Okinawa, da marzo a giugno 1945, costò la vita a non meno di 150 mila civili, intorno a 70 mila soldati americani e poco meno (66 mila) soldati giapponesi. Molti si suicidarono, anche tra i civili. 

Molti sostengono che fu questo massacro a convincere il presidente Truman a decidere l’uso dell’atomica per chiudere la guerra. Okinawa restò agli Stati Uniti fino al 1972 e rimane una ferita aperta. 
Soprattutto per la base militare di Henokoto. 
 Nelle placide acque che circondano la base, in un clima subtropicale (l’arcipelago di Ryukyu è nel sud del Giappone, molto più vicino a Formosa che a Tokio) i dugonghi hanno visto questo ed altro. 
Quella che una volta era la “Galapagos dell’Estremo Oriente” per la sua biodiversità si è ridotta a un cantiere. 
Il popolo di Okinawa, e il governo locale, vogliono che la base chiuda. 
Gli Stati Uniti prima hanno cercato di costruirne una nuova, adesso vogliono allargare quella già esistente. I lavori sono iniziati il primo luglio dell’anno scorso e grandi lastre di cemento vengono gettate in mare su coralli e praterie di fanerogame marine (l’equivalente della nostra posidonia) che i giapponesi chiamano jangusa, l’erba dei dugonghi.
 La baia ospita, oltre ai dugonghi, almeno tre specie di tartarughe marine: la tartaruga verde, la Caretta caretta e la tartaruga embricata, tutte specie a rischio.


Gli abitanti di Okinawa e delle Ryukyu si stanno opponendo a questo scempio con catene umane, proteste non violente e una petizione all’ambasciatore degli Stati Uniti in Giappone, la Signora Caroline Kennedy (sorella di J.F. Kennedy) per chiedere di fermare tutto questo.

 Okinawa ha una storia, una tradizione di guerra. 
Qui è nato il karate. 
È bene che si passi alla pace. Anche per i dugonghi.


Fonte: www.lastampa.it

La corona ferrea, il simbolo dei re d'Italia


Che la provenienza di molte delle sacre reliquie circolanti durante il medioevo fosse spesso dubbia è ormai di pubblico dominio. Tuttavia quella della corona ferrea è una storia a dir poco straordinaria.
 Ad oggi il gioiello è composto da sei piastre d’oro rettangolari unite tramite cerniere anch’esse dorate e decorata a sbalzo con motivi floreali e rosette, incastonata con brillanti, gemme di quarzi, granati e paste vitree.
 All’interno un anello metallico di rinforzo che dovrebbe essere stato realizzato con uno dei chiodi della croce di Gesù.

 L’origine della corona non è molto chiara.
 La leggenda vuole che S. Elena, madre di Costantino fece scavare il terreno del Golgota ritrovando la Vera Croce con i chiodi ancora conficcati nel legno.
 La Croce rimase a Gerusalemme mentre i chiodi subirono una sorte diversa. 
Le fonti sono concordi nel dire che la donna regalò due chiodi al figlio per proteggerlo nella battaglia in cui uno di questi venne usato per realizzare il morso del suo cavallo.
 Non è invece chiaro cosa ne sia stato dell’altro: secondo una versione fu impiegato per realizzare la corona ferrea per l’imperatore, mentre secondo altri il chiodo venne inserito nell’elmo di Costantino e solo successivamente l’imperatrice Teodolinda, ereditata la santa reliquia, fece creare una corona destinata ad ospitarne la reliquia. 
Mentre il sacro morso rimase a Milano trovando poi collocazione all’interno del duomo cittadino, la corona venne custodita nel duomo di Monza appositamente fatto costruire dalla regina longobarda Teodolinda.


Con la presenza di un simbolo della passione di Cristo e l’appartenenza al primo imperatore cristiano il gioiello si riempì di significati simbolici diventando un segno del potere terreno legittimato dal divino. 
Per questo venne utilizzata dai re longobardi mentre da Carlo Magno in poi venne scelta per l’incoronazione come re d’Italia.
 Gli imperatori del Sacro Romano Impero dovevano essere legittimati da tre incoronazioni, una come re d’Italia (con la corona ferrea), una come re di Germania e infine come Imperatori per mano del Papa. 
Da Carlo Magno a Arrigo VII nel 1311 tutti gli Imperatori ricevettero la corona. 
Fu Carlo V l’ultimo incoronato che interruppe la tradizione. Egli infatti divise l’impero in due e il vescovo Carlo Borromeo scelse di porre maggiore attenzione al sacro morso e quindi al Duomo di Milano, lasciando in disparte la corona. 

 Il primo a ricevere nuovamente la corona fu Francesco I d’Austria nel 1792 dopo che questa cadde sotto il suo dominio.
 Nel 1805 Napoleone la usò per incoronarsi re d’Italia nel Duomo di Milano e così legittimare il proprio potere , ma in seguito alla sua caduta la reliquia tornò all’Austria e più precisamente sul capo di Ferdinando I nel 1838.
 Finalmente in seguito alla terze guerra d’Indipendenza la corona venne riconsegnata da Vienna al duomo di Monza dalle mani di Vittorio Emanuele II dove tutt’oggi risiede.
 I Savoia tuttavia non la usarono mai.


La corona ferrea ha rappresentato per moltissimi secoli un forte simbolo di potere politico in quanto legittimato da Dio e dal metallo che trafisse il corpo di suo figlio. 
Ha affrontato una storia travagliata, passaggi di potere e di grandi personaggi senza mai perdere di importanza.

 Ovviamente ai nostri giorni ci si è interrogati sull’originalità di una reliquia di tale lignaggio e il mistero si è svelato presto perché non solo possiamo affermare con certezza che il rinforzo metallico della corona non è un chiodo della croce, ma si è anche scoperto che non è nemmeno ferro, bensì argento. 
Per quanto sia considerato un nobile metallo, fu quindi un “volgare” pezzo d’argento a toccare il capo di tutti quegli imperatori consacrandoli re della nostra penisola. 

 Fonte: amantidellastoria.wordpress.com

Il picchio e la donnola in volo: lotta per la sopravvivenza


Sembra un'illustrazione tratta da un libro di fiabe sull'amicizia tra una donnola ed un picchio, invece nulla si discosta di più dalla realtà. 
Lo scatto, colto dal fotografo amatoriale Martin Le-May, mostra in verità il tentativo della donnola di uccidere l'uccello.


L'uomo ha inviato la foto a BuzzFeed, allegando il racconto della sua angosciante esperienza.

 Mentre passeggiava con la moglie nel Hornchurch Country Park, a est di Londra, nella speranza di vedere per la prima volta un picchio verde, Le-May ha effettivamente visto ciò che cercava. Ma il picchio saltelalva in maniera innaturale, come se stesse camminando su una superficie incandescente.
 Solo quando l'uccello ha preso il volo in direzione della coppia, marito e moglie hanno visto ciò che portava in spalla e capito che stava combattendo per la sua vita. 
Atterrato a pochi metri dal fotografo e approfittando della distrazione del piccolo mammifero, il picchio è poi riuscito a volare e mettersi in salvo.

 Fonte: www.leggo.it