giovedì 29 gennaio 2015

Le piramidi cinesi e le leggende sugli dei discesi dal cielo. Tracce di antichi astronauti e di civiltà antidiluviane?


Tra negazioni, ostacoli e reticenze, la verità sull’esistenza delle Grandi Piramidi cinese si è finalmente fatta strada fino a raggiungere il grande pubblico.
 Si sospettava dell’esistenza di tali strutture in Cina fin dall’inizio del 20° secolo, ma le tormentate vicissitudini politiche e sociali, cominciate con la rivolta di Wuchang (1911), hanno rappresentato un ostacolo molte volte insormontabile.

 «Il passato antico della Cina è negato a noi e alla sua popolazione, ma il suo grande passato viene lentamente svelato, come è successo per l’antico Egitto», scriveva lo storico Henri Cordier nel 1920. «Anche se riconosciuta come una grande civiltà, i suoi antichi tesori sono appena conosciuti. Voci parlano di piramidi in aree desolate del paese». 

 La conoscenza delle piramidi cinesi è avvenuta in diverse fasi e in maniera molto graduale. 
La prima testimonianza risale al 1912. L’agente di viaggio americano Fred Meyer Schroeder, nel corso di uno spostamento nell’entroterra, riportò l’avvistamento di una serie di piramidi nella provincia dello Shaanxi. 
 «È stato più inquietante di quanto le avessimo trovate nel deserto», scrive nel suo diario. «Queste piramidi sono in qualche modo esposte agli occhi del mondo, ma ancora completamente sconosciute agli occidentali». 
La guida di Schroeder, un monaco buddista, spiegò che le piramidi si trovavano lì almeno da 5 mila anni.
 Schroeder stimò che la piramide principale raggiungeva almeno i 300 metri di altezza, con i lati della base lunghi 500 metri, dimensioni che darebbero una struttura dal volume dieci volte superiore a quello della Grande Piramide in Egitto. 

 La seconda testimonianza fu del pilota dell’US Army Air Force James Gaussman, il quale riportò l’avvistamento di una grande piramide bianca durante un volo tra l’India e la Cina nel 1945, in piena Seconda Guerra Mondiale. 
Così fece rapporto il militare: «Volavo attorno ad una montagna, seguita da una valle. Direttamente sotto di noi abbiamo individuato una gigantesca piramide bianca. Sembrava di essere in una fiaba: la piramide era avvolta in un bianco luccicante. Potrebbe essere stata di metallo o di qualche altro tipo di pietra.
 La cosa curiosa è che alla sua sommità c’era un grande pezzo di materiale prezioso, simile ad una gemma. Sono rimasto profondamente colpito dalle dimensioni colossali della struttura». 

La terza testimonianza, documentata da una fotografia, si deve al colonnello Maurice Sheahan, direttore per l’Estremo Oriente della Trans World Airlines.
 Nel 1947, durante un volo su una valle nei pressi delle montagne Qin Ling, Sheahan individuò una piramide gigantesca che riusci prontamente a fotografare. 
 La scoperta venne riportata sull’edizione del 28 marzo 1947 del New York Times. 
Nell’articolo si stimava che la piramide raggiungesse i 300 metri di altezza con una base di 500 metri per lato, dimensioni che farebbero impallidire la piramide di Giza.
 Due giorni dopo, nell’edizione domenicale, il New York Times pubblicava anche la foto scattata da Sheahan. 
Nel frattempo, in una lettera inviata all’Associated Press, gli archeologi cinesi negavano che tale piramide esistesse.


La struttura è stata in seguito identificata come il ben noto tumulo Maoling, ovvero la tomba dell’imperatore Wu di Han (156-87 a.C.), posizionata nella provincia di Shaanxi, a circa 40 chilometri a ovest della capitale Xi’an. 

 Una mappa dettagliata dell’US Air Force della zona intorno alla città di Xian, realizzata con l’utilizzo di fotografie satellitari, mostra almeno 16 piramidi.


Interessante notare che le tre piramidi maggiori ricalcano la posizione delle piramidi di Giza e di Teotihuacàn, configurazione che secondo molti ricercatori richiama la posizione delle tre stelle della Cintura di Orione.


«La Cina conserva ancora molti misteri, di cui la stessa popolazione locale non è a conoscenza», scriveva il ricercatore tedesco Hartwig Hausdorf nel suo libro del 1994 “Die weisse Pyramide” (La Piramide Bianca).
 «Ho parlato con gli archeologi cinesi, i quali in un primo momento hanno negato qualsiasi piramide, ma alla fine hanno riconosciuto la loro esistenza».
 Tuttavia, l’impressione è che la Cina non rinuncerà a tutti i suoi misteri così facilmente.
 Probabilmente, molte piramidi sono ancora da scoprire, altre non ancora fatte conoscere alla comunità scientifica e all’opinione pubblica. 
 Buona parte delle strutture piramidali note rappresentano antichi tumuli funerari realizzati per ospitare i resti di molti dei primi imperatori della Cina.
 Il più famoso è il Mausoleo del Primo Imperatore cinese Qin Shi Huang, vicino a Xi’an, nella provincia Shaanxi della Cina. È qui che fu trovato il famoso Esercito di Terracotta, un gruppo stimato tra le 6 mila e le 8 mila statue di guerrieri, vestiti con corazze in pietra e dotati di armi, poste di guardia alla tomba dell’imperatore. Di queste statue sono state riportate alla luce circa 500 guerrieri, 18 carri in legno e 100 cavalli in terracotta.

 Le strutture piramidali cinesi presentano cime piatte, quindi molto più simili nella forma alle piramidi messicane di Teotihuacàn, rispetto a quelle di Giza in Egitto.
 Resta la domanda: come mai la piramide rimane la forma architettonica più diffusa dell’antichità? 
Sulla base del fatto che molte civiltà del passato abbiamo preferito la forma piramidale come struttura fondamentale, alcuni ricercatori pensano che in un passato remoto sia esistita una civiltà globale che ha abitato il nostro pianeta, diffondendo la sua cultura in tutti i continenti della Terra.
 Dopo essere stata spazzata via da un immenso cataclisma globale, questa antica civiltà avrebbe lasciato le tracce della sua esistenza nei monumenti piramidali sparsi su tutto il pianeta.
 I pochi superstiti avrebbero poi ricostruito il mondo post-diluviano. 
Si tratta della Teoria degli Antichi Umani.

 Altri, tuttavia, pensano che nel passato dell’umanità ci sia qualcosa di molto più intricato: viaggiatori extraterrestri avrebbero preso contatto con i nostri antenati, alterandone la cultura e l’evoluzione. Data la loro abilità tecnologica, i nostri antenati avrebbero considerato questi viaggiatori alieni come divinità.

 La mitologia cinese tramanda di esseri celesti discesi sulla terra in draghi volanti: costoro furono i primi sovrani cinesi che diedero inizio alla civiltà cinese e che sono conosciuti come i Tre Augusti: Fu Xi, Nüwa, Shen Nung. 

 Fu Xi, secondo la tradizione, visse tra il 2952 e il 2836 a.C. Aveva un ruolo di mediatore tra gli uomini e gli esseri divini. Le leggende vogliono che abbia insegnato la pesca e l’allevamento agli uomini. Inoltre, a lui vengono attribuite l’invenzione del sistema divinatorio Yi Jing, della metallurgia, della scrittura, del calendario e della la musica. 
 Nüwa era la sorella di Fu Xi e ne divenne anche la sposa.
 Il suo aspetto è a metà strada tra l’essere umano, di cui appare la testa e l’animale, solitamente il corpo dalle sembianze di serpente o di pesce. 
È considerata una divinità della creazione: è lei a creare gli uomini, plasmandoli dall’argilla.
 A lei si deve anche l’introduzione dell’istituzione matrimoniale. 
 Fu Xi e Nüwa venivano rappresentati sempre allacciati per la coda. Fu Xi tiene in mano una squadra, Nüwa invece un compasso. I due strumenti (ad oggi, ancora adoperati nella simbologia massonica) indicano che i due sovrani inventarono norme, regole, standard.


Inoltre, nelle illustrazioni Fu Xi e Nüwa sono accompagnati da due soli. 
In alcune tombe degli Ittiti datate intorno ai 4 mila anni fa, si trovano raffigurazioni simili di due gemelli, maschio e femmina, accompagnati da due soli. 
Questi gemelli sono quelli che nei testi ittiti si identificano come dio del Sole e del Cielo e dea del Sole e della Terra. 
 Dunque, come spesso avviene quando si tratta di questi argomenti, le suggestioni sono molte, le coincidenze incredibili e le domande moltiplicate.
 L’antica Cina ci consegna un ulteriore tassello del misterioso mosaico del passato del nostro pianeta. 
Le piramidi cinesi potrebbe aiutarci a comprendere cosa è realmente accaduto?

 Fonte: ilnavigatorecurioso.it

Liberati 1000 gatti: erano destinati alle cucine di un ristorante cinese


Leggere notizie di questo genere ci turba non poco, questo perché noi, nella nostra cultura occidentale, abbiamo sempre avuto una diversa visione e concezione dei cani e dei gatti, nostri piccoli grandi amici a quattro zampe.
 Ma questa visione non può essere generalizzata a tutti, e così ecco che in alcune zone della Cina, sopratutto nel sud, a Canton, sia i cani che i gatti sono considerati delle vere e proprie prelibatezze della cucina locale.
 C’è da dire, però, che da qualche tempo a questa parte sono molte le popolazioni che stanno rinunciando a questa usanza, probabilmente spinti dalle numerose associazioni animaliste sparse sul territorio cinese.
 Sta di fatto che a Wuxi, nella provincia di Jiangsu, le autorità cinesi hanno fermato un camion con oltre mille gatti destinati alla macellazione a Guangzhou, dove sarebbero diventati pietanze nella cucina cinese.


L’autista del camion è stato arrestato, ma solo perché non aveva le autorizzazioni necessarie e perché i gatti risultavano sequestrati. 
Gli agenti, però, non avendo una struttura in cui tenere questi felini hanno deciso di lasciarli liberi nelle colline circostanti, scatenando le proteste degli animalisti. 
Sì, perché questi gatti, abituati come sono a vivere in cattività, non sono abbastanza autonomi per riuscire a sopravvivere da soli in libertà.
 Alcuni gruppi animalisti si sono subito mobilitati per mettersi sulle loro tracce, purtroppo molti di questi felini, non essendo abituati a quell’habitat, sono già morti perché investiti dalle auto o perché non riuscivano a trovare cibo.
 I volontari sono riusciti a recuperarne vivi solo una cinquantina, e alcuni di questi sono stati dati in adozione.
 Per gli altri, invece, probabilmente non ci sarà nulla da fare.
 Il problema, infatti, è proprio questo: spesso vengono intercettati e fermati mezzi di trasporto con animali domestici destinati alle tavole nei ristoranti del sud del Paese, ma, essendo sempre di gran numero, una volta liberati si pone il problema del loro affido.

 Fonte: eticamente.net

I giorni della merla : perché si chiamano così


La tradizione vuole che il 29-30-31 di Gennaio, gli ultimi tre giorni di questo primo mese dell’anno, vengano ricordati come i “giorni o dì della Merla”, ad indicare uno tra i periodi più freddi dell’inverno. Ma da dove trae origine questa credenza, entrata oramai a far parte della vita di tutti noi? 

 Molte sono le versione che spiegano l’origine di questa leggenda, alcuni simili altre assi diverse, ma che vedono in tutte un unico protagonista: una Merla.

 La prima nasce in tempi assai lontani, quando Gennaio non aveva ancora 31 giorni ma solo 28. 
Si narra che Gennaio fosse particolarmente scherzoso e un po’ invidioso, in particolar modo con una Merla, molto ammirata per il suo grande becco giallo e per le penne bianchissime. 
 Per questo Gennaio si divertiva a tormentarla; ogni volta infatti che ella usciva in cerca di cibo egli scatenava bufera di neve e vento. Stufa di tutto questo un giorno la Merla andò da Gennaio e gli chiese:” Amico mio potresti durare un po’ di meno?”. Ma Gennaio, orgoglioso come era rispose: “ E no, carissima proprio non posso. Il calendario è quello che è, e a me sono toccati 28 giorni.”
 A questa risposta la Merla decise di farsi furba e l’anno seguente fece una bella scorta di cibo che infilò nel suo nido così che rimase per tutti i 28 giorni al riparo senza bisogno di uscire. 
Trascorsi i 28 giorni, la Merla uscì e cominciò a prendere in giro Gennaio: “Eh caro mio, quest’anno sono stata proprio bene, sempre al calduccio, e tu non hai potuto farmi congelare il becco nemmeno un giorno.”
 Detto ciò Gennaio se la prese così tanto che andò dal fratello Febbraio, che vantava ben 31 giorni, e gli chiese in prestito 3 giorni.
 Il fratello dubbioso domando: “ Cosa vuoi farne? “ e Gennaio rispose: “Ho da vendicarmi di una Merla impertinente. Stai a vedere”. 
 E così Gennaio tornò sulla terra e scatenò una tremenda bufera di neve che durò per tutti i 3 giorni.
 La povera Merla, che era andata in giro a far provviste, per il forte vento non riuscì nemmeno a tornare al suo nido. 
Trovato il comignolo di un camino, vi si rifugiò in cerca di un po’ di tepore.
 Trascorsi quei freddissimi 3 giorni uscì dal comignolo sana e salva ma le sue candide penne erano diventate tutte nere a causa del fumo e della fuliggine.
 Da allora Gennaio ha sempre 31 giorni e i merli hanno sempre le piume nere.

 La seconda versione, ambientata nel capoluogo lombardo, ha come protagonisti un merlo, una merla e i loro tre figlioletti.
 Erano venuti in città sul finire dell'estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova e poi per l'inverno sotto una gronda, al riparo dalla neve che in quell'anno era particolarmente abbondante.
 Il gelo rendeva difficile trovare le provvigioni così che il merlo volava da mattina a sera in cerca di cibo, che tuttavia scarseggiava sempre di più.
 Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia.
 Intanto continuava a nevicare.
 La merla, per proteggere i figlioletti intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po’ di tepore. 
La tormenta tenne così lontano il merlo da casa per ben tre giorni (appunto gli ultimi tre di Gennaio).
 Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino. 
Nel primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale; anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine.
 Da allora i merli nacquero tutti neri; i merli bianchi diventarono un'eccezione di favola. 

 Fonte: 3bmeteo.com