venerdì 18 dicembre 2015

Le rovine di Nan Madol


In una zona remota dell’oceano Pacifico si trova uno straordinario sito archeologico quasi sconosciuto.
 Il suo nome è Nan Madol e partendo dall’Europa o dall’America occorrono decine di ore di volo per raggiungerlo. 
Si trova in Micronesia, su un isola chiamata Pohnpei (Ponapé), situata a oltre 1600 km a est di Guam.
 L’isola e’ distante centinaia di chilometri dalle terre più vicine, ed e’circondata da un’insidiosa barriera corallina che la separa dal resto del mondo. 
Se non si conoscono bene queste acque è difficile raggiungerla incolumi. Bisogna affittare una barca veloce e farsi condurre da persone locali. Dopo circa 45 minuti di navigazione sotto costa si giunge al sito.In prossimità dell’isola l’acqua è poco profonda, bisogna proseguire su una canoa. 

All’improvviso appaiono le rovine.
 Non somigliano a nessuna delle costruzioni antiche conosciute. Le mura ricordano delle capanne di legno ma sono state realizzate con enormi pietre di origine vulcanica. 
Più a largo verso il mare aperto; sorgono imponenti dighe frangiflutti in pietra per proteggere le isole dalla violenza del mare. 

Circa 2000 anni fa questi massi vennero staccati da un rilievo dell’isola di Pohnpei appiccando un incendio. 
Le rocce surriscaldate furono poi raffreddate con l’acqua e in seguito trasportate verso la loro destinazione definitiva.
 Tutto questo accadeva su una sperduta minuscola isola del Pacifico con una popolazione di sole 25000 persone. 
 Ma la cosa più spettacolare non sono le mura.
 Le isolette stesse sono opera dell’uomo.
 In prossimità della riva l’acqua è bassa. Chi costruì Nan Madol usò delle zattere per trasportare la pietra vulcanica e realizzò una miriade di isolotti artificiali.
 Complessivamente secondo gli studiosi vennero costruiti con questo sistema 92 isolotti. 
Si tratta di costruzioni a colonne di basalto esagonali e ottagonali (circa 300.000), disseminate su una lunghezza di oltre 24 km.
 Il tutto è racchiuso da un muro di protezione alto anche 8 metri. 
Il popolo di Nan Madol senza l’ausilio di utensili metallici realizzò un progetto straordinario.
 Sull’isola si incrociano centinaia di canali poco profondi; è come se fosse una Venezia preistorica.












La religione si pensa avesse un ruolo fondamentale nella progettazione di strutture piramidali e tombe imponenti; ma servivano anche capi di grande prestigio per governare.
La stirpe principale riconosciuta su testimonianze tramandate oralmente, riportò la pace tra alcuni clan rivali poi sfruttò la manodopera locale per costruire sepolcri e altre residenze. Nell’antichità ciò accadeva spesso; non faceva molta differenza vivere in Egitto o nel lontano Pacifico.
 C’era sempre un despota che si faceva costruire grandiosi monumenti. 

Dagli esami con il carbonio 14 le costruzioni e risalirebbero al 1180 d. C., ma è una data che sembra troppo recente per questa straordinaria, deserta città di pietra dove i micronesiani odierni non osano inoltrarsi per timore degli spiriti.
 A ritardare l’esigenza di uno studio serio e approfondito posto dalle rovine di Nan Madol, ha contribuito il fatto che uno dei primi ad occuparsene è stato, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, un personaggio che non godeva di alcun credito presso la scienza ufficiale: il colonnello britannico James Churchward, un cultore di esoterismo.
 Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, può leggere i suoi ponderosi volumi, che sono stati tradotti anche in lingua italiana. 

 Negli anni Trenta del secolo scorso, James O’Connell, un marinaio irlandese, fu abbandonato su Pohnpei.
 Le circostanze dell’arrivo di O’Connell sono poco chiare: nelle sue memorie egli dichiarò di aver fatto naufragio con il John Bull nei pressi di Pleasant Island fino a Pohnpei, raggiungendola in soli quattro giorno. 
Una volta arrivati, scriveva O’Connell, lui e i suoi compagni venero attaccati dai “cannibali” e poco mancò che fossero serviti per pranzo; riuscirono però a distogliere i nativi dai loro propositi (quanto meno così credevano) con una travolgente giga irlandese.


Ma le avventure di O’Connell non erano finite; fu sottoposto a un tatuaggio rituale da una giovane pohnpeiana, che risultò figlia di un capo; poi la sposò, e divenne capo egli stesso. 
Quali siano le esagerazioni di O’Connell (i marinai hanno la tendenza a raccontare storie, e alcuni studiosi lo considerano un mitomane), egli era comunque anche un osservatore attento e curioso.
 Egli fu il primo europeo a chiamare Pohnpei o Ponape con il nome indigeno (nella sua grafia, Bonabee); il primo a dare accurate descrizioni di molti riti e costumi pohnpeiani; il primo a redigere un glossario della lingua locale; infine, il primo ad aver visto le rovine di Nan Madol: i resti di una monumentale cultura risalente a duemila anni fa. 
L’esplorazione di Nan Madol fu il momento culminante dell’avventura pohnpeiana di O’Connell, egli descrisse le “stupende rovine” con minuziosa attenzione, fino al loro misterioso abbandono e al loro tramutarsi in luogo tabù.

 Fonte: bhutadarma.wordpress.com

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