mercoledì 9 settembre 2015

Palmira, la sposa del deserto

La città si trova in una oasi a 240 km a nord-est di Damasco sul fiume Eufrate.



È stato per lungo tempo un vitale centro carovaniero, tanto da essere soprannominata la Sposa del deserto, per i viaggiatori ed i mercanti che attraversavano il deserto siriaco per collegare l'Occidente (Roma e le principali città dell'impero) con l'Oriente (la Mesopotamia, la Persia, fino all'India e alla Cina), che ebbe un notevole sviluppo tra il I ed III secolo d.C.



Il nome greco della città, Palmyra (Παλμύρα), è la fedele traduzione dall'originale aramaico, Tadmor, che significa 'palma'. Comunque, anche se la fonte sulfurea che alimentava l'oasi di Palmira sembra esaurita, oggi Tadmor, con un sistema di irrigazione del terreno, riesce a mantenere viva una fiorente oasi che permette ai 45.000 abitanti di vivere non solo di turismo ma anche di agricoltura.
 La città, nota col nome di Tadmor nel II millennio a.C., è menzionata per la prima volta in documenti provenienti dagli archivi assiri di Kanech, in Cappadocia, nel XIX secolo a.C., e poi è citata più volte negli archivi di Mari, nel XVIII secolo a.C. Poi viene citata ancora negli archivi assiri, nell'XI secolo a.C., come Tadmor del deserto.
 A quel tempo era solo una città commerciale nella estesa rete che univa la Mesopotamia e la Siria settentrionale. Tadmor è citata anche nella Bibbia (Secondo libro delle Cronache 8.4) come una città del deserto fortificata da Salomone.
 La città di Tamar è menzionata nel Primo libro dei Re (9.18), anch'essa fondata e fortificata da Salomone.

 Dopo queste citazioni su Palmira cala il silenzio per circa un millennio, e solo nel I secolo a.C. la città viene citata col nuovo nome, che le è stato dato durante il regno dei Seleucidi (IV - I secolo a.C.) 
Quando i Seleucidi presero il controllo della Siria nel 323 a.C. la città fu abbandonata a se stessa e divenne indipendente. 
Palmira fiorì come città carovaniera durante il I secolo a.C., come ci testimonia lo storico giudeo Flavio Giuseppe, nel secolo successivo, sviluppando un proprio dialetto semitico e un proprio alfabeto.

 

 Anche se la Siria era divenuta provincia romana nel 64 a.C., pare che Palmira abbia mantenuto una certa autonomia e la città era tanto ricca che, nel 41 a.C., Marco Antonio cercò di occuparla per saccheggiarla, ma fallì nel tentativo.

 

In seguito Palmira fu annessa ufficialmente alla provincia romana di Siria, verso il 19 d.C.
 Poco dopo la morte del governatore (re dei re), sua moglie Zenobia prese il potere, in nome del figlio minorenne, Vaballato, col sogno e l'ambizione di creare un impero d'Oriente da affiancare all'impero di Roma.
 All'inizio del 272, Aureliano riconquistò l'Egitto, poi la Bitinia e la Cappadocia, poi dopo aver avuto ragione della cavalleria pesante palmirena ad Antiochia, sconfisse l'esercito palmireno, comandato dal generale Zabdas e dalla stessa Zenobia ad Emesa. 
Mentre Palmira era sotto assedio, la regina e il Consiglio cittadino pensarono di inviare un'ambasceria, guidata da Zenobia in persona, presso il re persiano Sapore I (ignorando che questi fosse deceduto in quei frangenti), con lo scopo di ricevere rinforzi e salvare così il Regno di Palmira.
 Zenobia decise allora di salire sul più veloce dei suoi dromedari, assieme al figlioletto, e di tentare di raggiungere il regno dei Sassanidi ma, a sessanta miglia da Palmira, venne raggiunta e catturata dall'Imperatore poco prima che attraversasse l'Eufrate. Con la loro regina catturata e gran parte dell'esercito annientato e stremato, il generale Zabdas consegnò la città ai romani sul finire del 272; il Regno di Palmira era stato sottomesso, senza che l'oasi e la città avessero subito alcuna violenza.
 Le province orientali riconobbero di nuovo l'autorità di Aureliano. Successivamente la regina ed i suoi fedelissimi raggiunsero in catene Emesa per essere processati.
 La regina, timorosa per la sua vita (l'esercito romano aveva infatti esplicitamente chiesto che fosse giustiziata), fece ricadere la colpa della sua ribellione ai suoi consiglieri, che con i loro consigli avevano influenzato le sue decisioni, essendo ella una femmina (sesso debole) e dunque facilmente influenzabile. 
 Ne fece le spese il filosofo Longino, primo consigliere di Zenobia, reo di aver scritto la lettera con cui la regina aveva rifiutato la resa, e punito con la morte. 
 Assieme al filosofo Cassio Longino, molti altri funzionari di Zenobia come il sofista Callinico e lo stesso generale Zabdas furono condannati a morte, ma la stessa ebbe invece salva la vita. Zenobia e Vaballato, i due sconfitti, furono inviati a Roma ma, secondo quanto testimoniato dallo storico bizantino Zosimo, il figlio morì durante il viaggio. 
La regina, però, venne mostrata in ogni città che Aureliano raggiunse per tornare in Occidente.
Palmira, che non aveva sofferto danni in occasione della resa, l'anno dopo (273), a seguito di una ribellione, fu saccheggiata, i suoi tesori furono portati via e le mura furono abbattute; la città, abbandonata, tornò a essere un piccolo villaggio e divenne una base militare per le legioni romane.
 Benché la storia di Palmira fosse nota, il sito e l'oasi vennero visitate solo nel 1751 da una comitiva di disegnatori (tra cui l'italiano, Giovanni Battista Borra), capeggiati da due inglesi, Robert Wood e James Dawkins, che nel 1753, pubblicarono in inglese e francese Les Ruines de Palmyra, autrement dite Tadmor au dèsert, che crearono enorme interesse per il sito e l'oasi. 
Solo però verso la fine del XIX secolo vennero iniziate ricerche di carattere scientifico, e si cominciarono a copiare e a decifrare le iscrizioni; infine, dopo l'instaurazione del mandato francese sulla Siria, vennero iniziati gli scavi per portare alla luce i vari reperti. Scavi che sono continuati negli anni, ma interrotti dalla guerra nel 2015.

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