martedì 5 maggio 2015
Organismi tuttofare
Le spugne, i poriferi per i più avvezzi alla terminologia scientifica, sono organismi straordinari che nascondono ancora molti misteri. Considerate organismi semplici, le spugne rivelano poco alla volta di essere animali dalle abitudini e dalle prestazioni incredibili, capaci di condizionare la vita di interi ecosistemi.
Diffuse ovunque sul nostro pianeta, dagli assolati reef tropicali alle più gelide e buie distese dei mari polari fino agli abissi, le spugne sembrano aiutarci a chiarire quello che tutti definiscono il paradosso di Darwin e cioè come le barriere coralline, uno degli ecosistemi più produttivi del pianeta, riescano a prosperare in acque povere di nutrienti tanto da essere considerate come l’equivalente marino dei deserti.
Sulla rivista “Science” il prof. Jasper de Goeij, dell’Institute for Biodiversity and Ecosystem Dynamics dell’Università di Amsterdam e altri colleghi di altri istituti olandesi, hanno illustrato gli ultimi risultati di una loro ricerca in atto da alcuni anni che dimostra il ruolo cruciale delle spugne nel riciclare la materia organica disciolta, rendendola disponibile per tutta la fauna che vive attorno alle barriere coralline.
Gli studi degli esperti olandesi si sono concentrati sulla specie Halisarca caerulea, una spugna incrostante dei Caraibi, caratterizzata da un ricambio assai rapido dei tessuti.
Questa spugna, infatti, può moltiplicare rapidamente, ogni 5-6 ore, le sue cellule filtratici, i coanociti, disperdendo quelle vecchie nell’acqua in forma di particolato organico.
Gli autori hanno ipotizzato che questa possa essere la fase iniziale di un vero e proprio “ciclo delle spugne”, in cui questi detriti cellulari vengono successivamente ingeriti dagli organismi detritivori, come i crostacei e i policheti.
Poiché i detritivori sono a loro volta mangiati da altri animali marini, è possibile che le spugne siano alla base di una catena alimentare, alla quale danno inizio riciclando nell’ecosistema i nutrienti come fanno i microrganismi in mare aperto.
Ovviamente le spugne non spiegano tutto, ma sempre di più appare chiaro come i reef riescano a sopravvivere in deserti marini grazie alla cooperazione di moltissime specie e a efficientissimi sistemi di riciclo della sostanza organica, efficienti sì, ma delicati, come dimostra in più zone il deterioramento di questi ecosistemi per effetto di inquinamenti e cambiamenti climatici.
Fonte www.rivistanatura.com
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