mercoledì 25 marzo 2015

A caccia di energia nello spazio: i pannelli fotovoltaici giapponesi in orbita


Produrre energia usando il sole, ma direttamente nello spazio. Anche il Giappone studia nuove forme di produzione di energia in orbita.
 Quella che finora faceva parte solo del mondo della fantascienza potrebbe diventare realtà entro 15 anni, secondo una proposta dei ricercatori della Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA). 

L'agenzia spaziale giapponese ha già una roadmap che porterà allo sviluppo nel 2030 di un sistema commerciale da 1 GW, la stessa quantità di una tipica centrale nucleare. 
Merito di un sistema di specchi presente in orbita, in grado di riflettere la luce del sole su enormi pannelli, inviando poi tutto alla Terra. 
 Gli scienziati giapponesi hanno già trasmesso con successo l'energia in modalità wireless aprendo la strada ai sistemi di energia solare spaziali.
 I ricercatori hanno usato le microonde per fornire 1,8 kilowatt di potenza.
 Come? Attraverso delle isole artificiali collegate alla rete e con 5 miliardi di minuscole antenne, che convertono l'energia a microonde in corrente elettrica. 
Sopra di loro, a 36.000 km una serie di collettori solari giganti in orbita geosincrona.
 Un piano ambizioso ma non impossibile, secondo l'Agenzia spaziale giapponese.
 Sul fronte tecnico, i recenti progressi nella trasmissione di potenza wireless consentono lo spostamento di antenne per l'invio di un fascio preciso a grandi distanze. 

 Oggi si cercano soluzioni pulite per la produzione di energia, anche alla luce delle conseguenze sempre più gravi dei cambiamenti climatici.
 La tendenza all'abbandono delle fonti fossili però deve essere supportata e spinta da forme alternative di produzione di energia. Le tecnologie esistenti, fotovoltaico ed eolico in testa, hanno già un ruolo importante nel mix energetico globale ma con i loro limiti.
 I grandi parchi solari ed eolici occupano enormi distese di terra e sono penalizzati oggi dall'intermittenza.
 Esse sono in grado di produrre energia solo in presenza di luce solare, nel caso del fotovoltaico, e di vento, nel caso dell'eolico.
 E qui si inserisce l'idea giapponese.

 I collettori solari spaziali (Solar Power Satellite, SPS) in orbita geosincrona sarebbero in grado di generare potenza quasi 24 ore al giorno.
 Il Giappone ha un particolare interesse a trovare una fonte di energia pulita: l'incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi ha indotto alla ricerca di alternative ma il paese non ha grandi quantità di combustibili fossili e non ha neanche abbondanza di terreni inutilizzati dove installare impianti rinnovabili. 
 Si guarda allora al cielo. 

Il concept è stato proposto ufficialmente per la prima volta nel 1968 dall'ingegnere aerospaziale americano Peter Glaser. 
Nel 1970, la Nasa e il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti effettuarono alcune ricerche sull'energia solare nello spazio e nel corso dei decenni successivi sono stati proposti vari tipi di satelliti a energia solare (SPSS).


Nessuno però ha mai raggiunto l'orbita a causa dei costi e della fattibilità tecnica. 
Tuttavia, le tecnologie in questione hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni.
 Gli SPS sarebbero una struttura di peso superiore a 10mila tonnellate e con un diametro di diversi chilometri.
 Per completare e gestire un sistema elettrico basato su tali satelliti, si dovrebbe dimostrare la padronanza della trasmissione di potenza senza fili, di trasporto spaziale, la costruzione di grandi strutture in orbita, l'assetto del satellite e il controllo in orbita, la generazione di energia e la gestione dell'alimentazione. 

Di queste sfide, è la trasmissione di potenza wireless quella più difficile.
 Ed è in questo settore che la Jaxa ha concentrato la sua ricerca.

 Il modello giapponese sarebbe caratterizzato da due specchi per riflettere la luce solare su altrettanti pannelli fotovoltaici.
 Questo modello sarebbe più difficile da costruire, ma potrebbe generare energia continuamente.
 I pannelli fotovoltaici genererebbero corrente poi convertita in microonde dal satellite. 
Le antenne-microonde riceverebbero un segnale da terra consentendo a ogni pannello la trasmissione separatamente.
 Una volta che il fascio di microonde colpisce la stazione ricevente, le antenne trasformerebbero le microonde in corrente continua. Infine, un convertitore produrrebbe corrente alternata, da immettere in rete.

 Secondo i calcoli della Jaxa, attorno al 2020 potrebbero partire i lavori per un sistema da 100 KW. 
Successivamente si passerebbe alla costruzione di un impianto da 2MW e poi da 200 MW fino a potenziarlo fino a 1 GW nel 2030.

 Francesca Mancuso

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