lunedì 23 febbraio 2015
Le 110 tavolette cuneiformi dell’esilio degli ebrei a Babilonia
Centodieci tavolette d’argilla, incise in lingua tardo accadica e risalenti all’antica Babilonia, svelerebbero aspetti della vita quotidiana degli ebrei durante l’esilio babilonese, avvenuto circa 2.500 anni fa.
La collezione, ora in mostra a Gerusalemme, consiste principalmente in certificati amministrativi, contratti di vendita e indirizzi, incisi in caratteri cuneiformi accadici nell’argilla, cotta poi nei forni.
Le tavolette, scoperte in Iraq in circostanze ancora non ben chiarite, descrivono una città chiamata Al-Yahudu, il «villaggio degli ebrei», vicino al fiume Chebar, menzionato nella Bibbia nel libro di Ezechiele (1:1) e documentano, inoltre, nomi ebraici come Gedalyahu, Hanan, Dana, Shaltiel e un certo Nethanyahu, magari antenato dell’attuale primo ministro israeliano.
Testimoniano, infine, del ritorno a Gerusalemme, così come scritto da Neemia (6:15-16), attraverso l’attribuzione di nomi come Yashuv Zadik, «i giusti ritorneranno».
Grazie al costume babilonese di datare ogni documento, e seguendo la cronologia dei re di Babilonia, gli archeologi hanno potuto datare la collezione intorno al 572-477 a. C.
La più antica delle tavolette risalirebbe a circa quindici anni dopo la prima distruzione del tempio a opera di Nabucodonosor II, il re caldeo che deportò gli ebrei a Babilonia.
L’ultima, invece, è databile intorno a 60 anni dopo il ritorno degli esuli a Sion, che avvenne nel 538 a. C. grazie all’intervento di Ciro il Grande che sconfisse Nabucodonosor in battaglia e permise agli ebrei di ritornare in patria.
Quello che, ancora, non si sa è se Al Yahudu fosse un quartiere di Babilonia oppure un insediamento a sé stante, né si sa se l’intera comunità ebraica risiedesse lì o se fosse stata ulteriormente separata: «Già il nome ,“Al Yahudu”, ci fa capire molto di come sono stati accolti a Babilonia i deportati: inoltre la presenza di nomi teofori (quelli con il suffisso yahu, ovvero con il nome di Dio all’interno) suggerisce come fosse forte la base giudaica all’interno dell’insediamento.
Le tavolette testimoniano come gli esuli giudei fossero in contatto con altre comunità di deportati, come quella siriana.
La scoperta ci dà innanzitutto una conferma storica di quello che già eravamo a conoscenza ma di cui non avevamo dati certi», afferma il professore Lorenzo Verderame, ricercatore in assiriologia dell’Università La Sapienza di Roma.
Il professor Wayne Horowitz, uno degli archeologi che ha studiato le tavolette, afferma come questa sia un ritrovamento archeologico di assoluta rilevanza, paragonabile alla scoperta dei papiri del mar Morto.
«Per le persone di fede ebraica lo è sicuramente», prosegue Verderame, «dal punto di vista accademico i papiri del mar Morto testimoniano la presenza di una comunità che non conoscevamo, quella degli Esseni, con testi liturgici che ci offrono l’idea di una collettività ben fondata.
Nonostante sia comunque un passo in avanti per lo studio della città di Babilonia, scavata solo in parte a causa di una falda acquifera di superficie, queste tavolette non sono una vera e propria apoteosi, quanto più una sintesi di ciò che già conoscevamo».
Si sa poco sul ritrovamento delle tavolette: gli archeologi ritengono che siano state dissotterrate negli anni Settanta nel sud dell’Iraq, probabilmente in un sito clandestino, e poi vendute nei mercati antiquari internazionali.
L’Iraq ha una legislazione severissima riguardo il trafugamento di materiale archeologico, risalente ai primi anni Venti del secolo scorso.
La recente sparizione di testi ebraici dal museo di Bagdad, avvenuta durante l’ultima guerra del Golfo, ha causato una forte battaglia diplomatica.
Dopo essere state sepolte per decine di secoli, negli ultimi 50 anni le tavolette hanno girato il mondo: dall’Iraq all’Inghilterra, alla Cornell University fino ad arrivare al collezionista David Sofer , il quale ha comprato 110 tavolette, quelle riguardanti principalmente la comunità ebraica, che ha poi prestato al Bible Lands Museum, dove sono ora in mostra nell’esposizione By the rivers of Babylon.
Fonte: blueplanetheart.it
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