giovedì 11 dicembre 2014

I gechi mantengono la presa anche da morti


Uno dei superpoteri più invidiati del mondo animale non richiede il minimo sforzo: i gechi mantengono la caratteristica adesività delle loro zampe anche dopo la morte.
 L'attaccamento che instaurano con le superfici funziona quindi in totale autonomia, senza l'apporto di muscoli o sistema nervoso. 
A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Biology Letters. 

Da tempo l'uomo studia il potere adesivo delle zampe dei gechi, per cercare di riprodurlo in laboratorio.
 Un'impresa tutt'altro che semplice: la spiccata adesività delle loro estremità si basa infatti su un sistema di setole, finissime lamelle sottili come capelli che ampliano l'area di contatto con muri, foglie e soffitti, e instaurano con essi forze intermolecolari attrattive note come interazioni di van der Waals.

Una singola zampa può sostenere un peso pari a 20 volte quello del geco. E quando la lucertola fa per ritirare l'arto da una superficie, l'adesività delle setole incrementa. 

Due ricercatori dell'Università della California di Riverside hanno studiato il potere adesivo di 5 gechi, sia prima, sia 30 minuti dopo la morte,scoprendo che la dipartita dei rettili non determina la fine del loro potere adesivo, che rimane invariato anche dopo il decesso.
 La forza di attaccamento delle zampe è, in altre parole, di tipo passivo, e non dipende da un controllo motorio o neurale.


La componente attiva serve piuttosto a smorzare questa forza, se la tensione diviene insostenibile.
 Quando i gechi iperestendono gli arti, talvolta intervengono a smorzare il potere adesivo delle zampe arricciando l'estremità delle dita. 
Il controllo muscolare serve quindi ad allentare e rilassare il sistema, per evitare danni all'apparato adesivo (una dote che gli animali morti naturalmente perdono).
 L'adesività passiva è in realtà molto utile soprattutto da vivi: permette ai gechi di non cadere quando si addormentano su superfici verticali, o di rilassarsi tra un appostamento e l'altro senza ricorrere alla forza dei muscoli.
 Una qualità che noi umani possiamo limitarci a sognare.

 Fonte: focus.it

Il Pianeta delle scimmie esiste: l'isola degli scimpanzé salvati dalla sperimentazione


Che ci crediate o no, il pianeta delle scimmie esiste e si trova e in una zona isolata della giungla dell'Africa occidentale.
 E' la patria di decine di 'scimpanzé-eroi', che sono riusciti a sopravvivere a malattie, due guerre civili e numerosi test medici ed esperimenti nei laboratori.
 Hanno vissuto per anni e anni in gabbie di cemento e acciaio, senza sapere cosa fossero l'aria , il sole e l'erba.
 Sono stati privati della libertà, della tranquillità e dell'amore. Vengono, infatti, dal Liberian Institute of Biomedical Research (Vilab II), chiuso a metà degli anni 2000 a causa della crescente pressione da parte degli attivisti per i diritti degli animali.
 I suoi reduci sono stati trasferiti su un'isola remota nel mezzo del fiume Farmington, nota ai locali come 'Monkey Island', per vivere una vita di pensionamento tranquilla.
 La loro storia è narrata in un breve film documentario dal titolo 'The Real Planet of the Apes' sul viaggio del giornalista americano Kaj Larsen, che, oltre a incontrare le scimmie, ha indagato anche sul come e perché siano arrivate lì.

 

Ci spiega, così, che al Vilab più di 100 scimpanzé furono appositamente contagiate con malattie infettive, nella speranza di trovare cure per gli uomini.
 Larsen intervista Betsy Brotman, ex direttore della struttura, al fine di conoscere meglio la struttura e la pressione degli attivisti per i diritti degli animali che hanno portato alla liberazione degli animali. 
Gli scimpanzé, oggi, devono essere nutriti regolarmente, perché non c'è abbastanza cibo sulle isole per sostenerli.
 In natura si sarebbero spostati da un luogo all'altro in cerca di cibo, dormendo in luoghi diversi ogni sera. 
Ma è il male minore, visto che molti loro 'cugini' usati per la sperimentazione animale dopo i test vengono semplicemente soppressi. 

Roberta Ragni

Scoperto il rilievo di una misteriosa divinità romana


Il bassorilievo del I secolo a.C., di un enigmatico dio barbuto che emerge da un fiore o pianta, è stato scoperto presso il sito di un tempio romano vicino al confine siriano. 
L'antico rilievo è stato scoperto in un muro di sostegno di un monastero cristiano medievale. 

 "E' chiaramente un dio, ma al momento è difficile dire di quale esattamente si tratta", ha detto Michael Blömer, un archeologo dell'Università di Muenster, in Germania, che sta scavando il sito. "Ci sono alcuni elementi che ricordano antiche divinità del Vicino Oriente, come pure, quindi potrebbe essere una divinità antecedente all'arrivo dei romani."
 L' antico dio romano è un mistero; più di una dozzina di esperti contattati da Live Science non avevano idea di quale divinità fosse. 

Il tempio si trova su una montagna nei pressi della moderna città di Gaziantep, sopra l'antica città di Doliche, o Duluk.
 La zona è una delle regioni abitate con continuità sulla Terra, e per millenni, fu il crocevia di diverse culture, dai persiani agli Ittiti ai Siri.
 Durante l'età del bronzo, la città era sulla strada tra la Mesopotamia e il Mediterraneo antico. 

 Nel 2001, quando la squadra di Blömer ha iniziato a scavare nel sito, quasi nulla era visibile dalla superficie. 
Attraverso anni di accurato scavo, la squadra alla fine ha scoperto i resti di una antica struttura dell'età del bronzo, nonché un tempio di epoca romana dedicato a Giove Dolicheno, una versione romanizzata dell'antico Arameo o dio della tempesta, che guidava il pantheon del Vicino Oriente, ha affermato Blömer.
 Durante il II e III secolo d.C. il culto di Giove Dolicheno divenne una religione globale, probabilmente perché molti soldati romani furono reclutati dalla zona dove veniva adorato, e quei soldati portarono con loro il loro credo, ha detto Gregory Woolf, un classicista dell'Università di St. Andrews in Scozia, che non era coinvolto nello scavo.
 Dopo che il tempio fu distrutto, i cristiani medievali costruirono il monastero di Mar Solomon sulle fondamenta del sito, e dopo le Crociate, il sito divenne il luogo di sepoltura di un famoso santo islamico.
 La squadra di Blömer stava scavando una delle vecchie mura di contrafforte del monastero Mar Solomon quando hanno scoperto il rilievo, che era stata intonacato.

 Il rilievo raffigura un uomo barbuto che emerge da una pianta simile a una palma mentre tiene il gambo di un altra. 
Il fondo del rilievo contiene immagini di una mezzaluna, una rosetta e una stella. La sommità del rilievo è stato spezzato, ma quando era completo sarebbe stato delle dimensioni di un essere umano. "E' stata un grande sorpresa vedere il rilievo venire fuori in questa area del sito", ha detto Blömer.


La divinità misteriosa potrebbe essere stata una romanizzazione di un locale dio del Vicino Oriente, e gli elementi agricoli suggeriscono una connessione con la fertilità. Ma oltre a questo, l'identità della divinità ha sconcertato gli esperti.
 Il rilievo mostra alcuni elementi connessi con la Mesopotamia. Ad esempio, il rosone in fondo può essere associata a Ishtar, mentre la luna crescente alla base è un simbolo del dio della luna Sîn, afferma Nicole Brisch, un esperto di studi del Vicino Oriente presso l'Università di Copenhagen in Danimarca.
 "Le parti inferiori sono del Vicino Oriente, quelle superiori sono classiche", ha detto Woolf. "Sembra appartenere ad un pantheon molto locale."
 Il fatto che emerga da una pianta ricorda i miti di nascita di alcune divinità, come il misterioso culto del dio Mitra, nato da una roccia, o della dea greca Afrodite, nata dalla schiuma del mare.
 Anche se l'identità degli dei è un mistero, l'ibridazione degli dei non era insolita per il tempo, ha detto Woolf. "Quando lo stile dominante nella zona fu greco e romano, si dava luogo a una caratterizzazione". 
 Per esempio, gli antichi dei egizi finiscono indossando gli abiti di legionari romani e antiche divinità mesopotamiche, che sono stati in genere raffigurati come "betels" - pietre o meteoriti - che assumevano volti umani, ha affermato Woolf. 
 Le migliori possibilità di identificare questa enigmatica divinità sono quelle di trovare una rappresentazione simile da qualche parte con una scritta che descriva chi fosse.
 A volte i risultati vengono ampiamente diffusi e "qualcuno salta fuori con un piccolo oggetto che aveva nella sua collezione privata dicendo: Sai, credo che questa è la stessa persona,", ha detto Woolf. 

 Fonte : http://www.livescience.com/

Il castello di Lichtenstein


Lo Schloss Lichtenstein è noto come il castello delle favole del Baden-Württemberg per l'architettura e la posizione geografica che lo rendono magico e fiabesco. 
Non è lontano da Stoccarda ed è una tappa importante per gli appassionati dei castelli e delle residenze reali, una sorta di alter-ego del celebre castello di Neuschwanstein in Baviera.

 Il castello di Lichtenstein, da non confondersi con il Principato del Liechtenstein (non distante tra l'altro), si trova a 817 metri dall'altezza sopra il villaggio di Honau.
 La sua origine risale al 1100-1150 quando venne edificato il Burg Lichtenstein. 
Abbondonato a partire dal 1687 a causa della morte dell'ultimo esponente del Casato dei Lichtenstein, il castello è caduto completamente in rovina e i pochi resti vennero abbattuti quando il terreno passò in mano ai Reali del Württemberg che lo trasformarono in una tenuta di caccia.

 L'idea di costruire un vero e proprio castello arrivò dal romanzo "Lichtenstein" (1826) di Wilhelm Hauff, che colpì a tal punto il Duca Wilhelm von Urach, figlio del Re del Württemberg, da ordinare la costruzione nel 1840-42 di un fiabesco e romantico castello in stile medievale, costruzione affidata all'architetto Carl Alexander Heideloff, per omaggiare il mondo e gli ideali narrati da Hauff.




I discendenti di Wilhelm von Urach sono ancora oggi i proprietari di questo maniero, una perla tra i numerosi e affascinanti castelli della Germania.

 Fonte: tuttobaviera.it