lunedì 3 novembre 2014

Biancheria intima e lingerie: la storia nei secoli


Usciresti senza slip? Andresti in ufficio senza reggiseno? 
Anche se sei un uomo, non è difficile immaginare che senza questi due indumenti la maggior parte delle donne si sentirebbe, come minimo, a disagio.
 Eppure ne è passata di acqua sotto i ponti prima di arrivare alla lingerie comoda e senza cuciture, ai completini sexy, ai push-up con le spalline trasparenti che non attirano l’attenzione fuori dal vestito, e chi più ne ha più ne metta. 

Ciò che le donne hanno indossato sotto gli abiti nel corso dei secoli è affascinante perché racconta l'evoluzione culturale, del rapporto tra i generi e della sessualità nel mondo occidentale.

 Sembra proprio che la biancheria intima sia nata nell’antico Egitto, quando le donne nobili cominciarono a fare uso di una tunica a diretto contatto con la pelle sotto quella esterna, come una sorta di sottoveste.
 Gli antichi romani e i greci, meno pudici dei loro successori, non indossavano nulla sotto le tuniche e questo valeva sia per le donne, sia per gli uomini. 
 In alcuni casi, per fare attività fisica e come costume da bagno, si accontentavano della subligatula (da subligare, cioè legare sotto) e una fasciatura pettorale, come quelle che vedete nella foto di uno dei mosaici della Villa Romana del Casale a Piazza Armerina (EN) che è la prima testimonianza artistica di biancheria "intima".


Quello che accadde sotto i vestiti durante il Medioevo è ancora da definire, anche perché i tessuti si degradano fino a scomparire nel corso dei secoli e non vi sono scritti dell'epoca che parlino dettagliatamente di biancheria intima.

 Proprio quest'anno, però, gli archeologi dell'università di Innsbruck hanno fatto una scoperta interessante al castello austriaco di Lengberg. 
Nel corso degli scavi hanno trovato quello che potrebbe essere un reggiseno del XV secolo, incredibilmente simile a un esemplare degli anni Cinquanta (nella foto).

È comunque in questa epoca che nasce il termine "mutanda", che deriva dal latino medievale mutare, ovvero "ciò che si deve cambiare" (per fortuna!). 
Pare che Caterina de'Medici, moglie di re Enrico II di Francia, introdusse l'uso di mutande strette e attillate per nascondere le parti intime durante le passeggiate a cavallo.


Ben presto le mutande, chiamate poi "braghesse", divennero uno strumento di seduzione: erano confezionate con tessuti d'oro e d'argento, ornate da ricami e pietre preziose.
 Indossarle divenne, quindi, un segno di eccessiva frivolezza e libertà di costumi.
 La chiesa le osteggiava reputandole un capo osceno e libidinoso. Le prostitute ne fecero un simbolo del loro mestiere e per questo motivo scomparvero tra le aristocratiche.
 Si stima che all'inizio del '700 le portassero solo 3 nobildonne su 100. 
Negli anni successivi, tuttavia, tornarono a diffondersi fino a entrare nel guardaroba della gente comune.
 

Durante il Rinascimento comparvero le prime giarrettiere, i corsetti e le famose crinoline, le gabbie da infilare sotto la gonna.
 Proprio grazie alle crinoline tornarono definitivamente nell'uso comune anche le mutande, per evitare che qualche ventata o movimento brusco potessero lasciare intravvedere le parti intime.


Il corsetto, in particolare, sarà protagonista del guardaroba femminile per almeno 400 anni, diventando strumento di tortura e seduzione, causa di malformazioni e addirittura di decessi.
 Si trattava di un'alta fascia rinforzata con stecche di balena che stringeva la vita e alzava il seno. 
 Nell'immagine, un manifesto inglese del 1891, due donne indossano un corsetto dotato di una batteria elettrica, che, secondo i produttori, doveva rendere elegante chi lo indossava, oltre a essere un toccasana per il sistema respiratorio e avere il potere di guarire reumatismi e indigestioni.


La forma a clessidra fu esaltata nell'800 dai bustini, che conferivano la tipica vita da vespa. 
Nella foto, una donna americana indossa un bustino, nel 1899.


Nei primi del Novecento l'intimo femminile cominciò a diventare più sopportabile, se non addirittura comodo.
 La nascita del reggiseno, gioia di ogni donna, risale al 1889, grazie a Hermine Cadolle, bustaia di Parigi.
 Il brevetto però arrivò soltanto nel 1914, quando una facoltosa signora newyorkese acquistò un costoso vestito da sera, ma una volta indossato si accorse che il vestito leggerissimo metteva in evidenza il contorno del corsetto.
 Con l’aiuto della sua cameriera costruì allora un reggiseno composto da due fazzoletti, un po’ di nastro e una cordicella.


Anche le calze erano un must nei primi del Novecento.
 Durante la Seconda Guerra Mondiale le donne disegnavano una riga sul polpaccio per far credere di indossarle. 
Dopo il 1955 questo trucco non funzionò più perché scomparve la cucitura.
 Il collant arrivò poco dopo, nel 1959, negli Stati Uniti.


Ed ecco che la biancheria intima è completamente sdoganata, se non ostentata. 
Chi non ricorda Marilyn immortalata nel 1954 dai fotografi mentre attraversava una grata della metropolitana newyorkese che le solleva il vestito? Poco importa se il marito, Joe DiMaggio, non apprezzasse le attenzioni ricevute dai paparazzi.


Ed eccoci arrivati a oggi, tra i cartelloni pubblicitari e le vetrine dei negozi di lingerie supersexy.

 E pensare che tempo fa un mutandone intravisto sotto la gonna poteva fare "sballare" i passanti! 

 SARA ZAPPONI

Aereo in volo sopra all'arcobaleno: la foto è una (mezza) bufala


Da alcuni giorni rimbalza su Twitter una foto che sembra sfidare le leggi della Fisica: Melissa Rensen, una signora canadese di 51 anni, in viaggio dall'Ontario verso l'Honduras, ha realizzato alcuni scatti dal finestrino dell'aereo, per immortalare una curiosa formazione nuvolosa visibile sopra al Mar dei Caraibi. 
 Solo più tardi la donna si è accorta che quello che stava sorvolando aveva tutta l'aria di essere un arcobaleno. E la serie di foto è stata rapidamente diffusa e comprata dalle agenzie fotografiche: è infatti estremamente difficile osservare un arcobaleno dall'alto.


Difficile?
 Diciamo pure impossibile, secondo le leggi della Fisica. 
Gli arcobaleni si formano quando i raggi del Sole colpiscono le minuscole goccioline d'acqua sospese in atmosfera.
 Affinché questo fenomeno atmosferico abbia luogo, e la rifrazione avvenga correttamente, i raggi solari devono colpire le gocce d'acqua con un'inclinazione di circa 42 gradi. 

 Non è quindi possibile che Melissa abbia osservato prima un arcobaleno di fronte a sé (come quello della foto in alto) e poi lo stesso fenomeno ottico sotto al suo velivolo, perché nel frattempo la donna si è spostata, e l'angolo di incidenza è cambiato: l'arcobaleno avrebbe dovuto al limite dissolversi e riformarsi in un altro punto. 
 Senza contare che un arcobaleno non è un oggetto fisico che si possa in qualche modo sorvolare: è un'illusione ottica, che si forma secondo angolazioni diverse da quelle che riportano le foto della Rensen. 
E allora, da cosa dipendono quei colori?
 Si tratta di un fotoritocco? 
 No. L'alone arcobaleno visibile negli scatti non è altro che un prodotto della biorifrangenza, una proprietà ottica posseduta dalla plastica dei finestrini dell'aereo, che consiste nella scomposizione di un raggio di luce in due diversi raggi, i cui colori interferiscono dando luogo a bande colorate. 
Un filtro polarizzante della fotocamera può aiutare a fotografare meglio l'effetto.
 Anche la superficie oceanica si comporta come un filtro polarizzante, facendo oscillare i raggi di luce riflessi dall'acqua. Tutti questi fattori potrebbero aver contribuito a creare il falso arcobaleno.

 Da: http://www.focus.it/

Botticelle, nuovo incidente: cavallo si accascia a terra a Roma


Un incidente quando si ripete non è più un incidente.
 E' la regola.
 Un altro cavallo delle botticelle è stramazzato sull'asfalto a Roma, sotto la sede del Governo in Via del Corso. L'animale è ancora vivo e si attendono aggiornamenti sulle sue condizioni, ma è l'ennesima, intollerabile tragedia.


Passeggiare per le strade di Roma su una carrozza trainata dai cavalli, infatti, purtroppo è ancora possibile.
 Una tradizione che di romantico ha ben poco se si pensa alle condizioni in cui quegli animali sono costretti a lavorare. 
Cavalli costretti ore e ore nel traffico convulso di una città come Roma, a respirare i gas di scarico delle auto, a stare fermi guardando il nulla in attesa di qualche umano idiota che vuole fare il giro in carrozza, senza mangiare e bere secondo i ritmi voluti dalla natura, senza fare nulla di quello che dovrebbe appartenere alla vita di un cavallo. 

"Come si può parlare di "benessere" quando ogni giorno nelle piazze del centro di Roma si può assistere allo spettacolo impietoso di cavalli ridotti a macchine, che dovrebbero far stringere il cuore di ogni persona sensibile? L'unica dimostrazione nei fatti che vogliamo, pretendiamo, è che Roma chiuda il servizio a trazione ippica", commenta Nadia Zurlo, responsabile settore equidi della Lav.


Qualche giorno fa è stato fatto un piccolissimo passo avanti. Un blitz del Corpo forestale dello Stato alle stalle abusive delle Botticelle Romane dell'ex Mattatoio di Roma ha portato al sequestro giudiziario delle stalle abusivamente occupate da anni a Testaccio e di due cavalli, con violazioni varie riscontrate anche per la detenzione di farmaci. 

"Alla luce di questi fatti, dopo anni di denunce e manifestazioni, chiediamo al Sindaco Ignazio Marino e al Campidoglio di revocare le licenze alle botticelle. C'è un solo posto che si addice alle carrozze: il passato. 
Il Sindaco Marino revochi subito le licenze ai vetturini e le trasformi in servizi compatibili con il rispetto delle leggi, degli animali e della Capitale", tuona l'associazione animalista.

 Roberta Ragni

Le Amazzoni. Solo leggenda ?


I loro nomi mitici sono stati resi eterni dai grandi narratori del mondo antico, primi tra tutti Omero ed Erodoto, che annotarono le gesta di Pentesilea, di Ippolita, di Antiope o di Derinoe: le Amazzoni, le feroci guerriere che cavalcavano e combattevano come gli uomini, indossavano i pantaloni e il cui nome recava in sé la loro più incredibile peculiarità, quella mutilazione del seno che era necessaria per usare al meglio l'arco.
 Eroine che vissero e morirono nella fantasia mitologica degli antichi greci, non meno dello stesso Achille che uccise la regina Pentesilea durante una delle battaglie che contrapposero gli Achei ai troiani del Re Priamo (e tutto per il ratto della bella Elena…) 

Eppure la tentazione di cercare qualche relitto storico all'interno della leggenda è sempre dietro l'angolo: questa volta ci è "cascata" una ricercatrice della californiana University of Stanford. 
  Adrienne Mayor, nel suo libro The Amazons: Lives and Legends of Warrior Women Across the Ancient World, indaga in quello che, secondo la sua opinione, sarebbe il concreto fondamento del mito delle Amazzoni; e lo fa guardando ai popoli nomadi che furono confinanti degli antichi greci a partire dall'VIII secolo con l'espansione verso il mar Nero, i quali costituirono un modello di confronto con il "diverso", il barbaro parlante una lingua incomprensibile.
 Ad essi venne attribuito il nome di Sciti; questi popoli di origine asiatica, in effetti, furono "muti" non avendoci lasciato testimonianze scritte della loro storia ragion per cui ci è possibile conoscerli soltanto attraverso la mediazione degli ellenici, di Erodoto in particolar modo.
 Eccezionali cavalieri, maestri nell'allevamento equino, e impareggiabili arcieri, gli Sciti sono protagonisti di diversi resoconti etnografici dell'età antica: partendo da questi, la dottoressa Mayer ha cercato dei paralleli nelle attuali popolazioni nomadi o seminomadi delle steppe.


Il suo studio, però, ha previsto anche una particolare attenzione all'archeologia e, nello specifico, ai corpi mummificati e agli scheletri rinvenuti negli anni nel vasto territorio che fu dimora degli Sciti (e conservati per lo più al museo dell'Hermitage di San Pietroburgo): tra questi, alcuni appartennero a donne che furono sepolte assieme al proprio cavallo e alle proprie armi, i cui corpi recano ancora le ferite ricevute probabilmente durante una battaglia.
 Un dettaglio estremamente affascinante è stato svelato grazie alle telecamere a infrarossi utilizzate da alcuni ricercatori le quali hanno consentito di individuare alcuni tatuaggi, ritraenti cervi e disegni geometrici che «sembrerebbero riprendere i modelli dipinti sulle figure delle Amazzoni nei vasi degli antichi greci».


Inoltre, la studiosa ha raccolto e verificato una serie di storie, decisamente meno note dell'Iliade di Omero o delle Storie di Eorodoto, che mostrano come il tema della donna guerriera avesse affascinato anche altre culture, partendo dall'Asia Minore ed irraggiandosi verso la Persia, l'Armenia, l'area del Caucaso, la Persia e giungendo fino all'Asia Centrale e addirittura alla Cina. Insomma, secondo la Mayor delle vere donne guerriere esistettero e furono contemporanee dei greci dell'età arcaica.
 Presumibilmente tali figure erano anche destinatarie di grandi onori presso le popolazioni di cui facevano parte, il che potrebbe essere dedotto dal fatto che, nelle narrazioni, difficilmente a tali battagliere donne a cavallo è riservato lo stesso amaro destino di Pentesilea uccisa da Achille.
 Esse vestivano come gli uomini, indossando i caratteristici pantaloni degli Sciti che erano funzionali alle loro abitudini che prevedevano lunghe permanenze a cavallo, e probabilmente dei maschi avevano anche un'altra celebre usanza, ossia il consumo di canapa, secondo quanto ci è riferito dallo stesso Erodoto a proposito del popolo nomade.

 Essendo parte di una società molto diversa da quella ellenica che prevedeva diverse dinamiche tra generi, non appare neanche tanto strano che combattessero accanto ai propri uomini.
 E quel seno sacrificato?
 Secondo la dottoressa Mayor, probabilmente, l'etimologia del nome "Amazzoni" andrebbe cercata non nel greco (dal quale, quindi, la privazione del seno) bensì in qualche lingua caucasica: «Il dettaglio più famoso utilizzato per descrivere le Amazzoni è sbagliato. L'origine del "singolo seno" e le controversie attorno a questa falsa nozione sono talmente complesse ed affascinanti che il petto delle Amazzoni meriterebbe proprio un capitolo a parte».

Fonte: http://scienze.fanpage.it