mercoledì 29 ottobre 2014

La leggenda di Jack O’ Lantern – l’origine delle zucche di Halloween


Cos’hanno in comune un ubriacone d’Irlanda, il Diavolo e le zucche di Halloween? La risposta è: Jack O’ Lantern. 

 Chi non ha mai sentito pronunciare il suo nome probabilmente non conosce una delle leggende più famose d’Irlanda.
 In questa si intravede un sottofondo religioso e una favola di buonsenso, ma anche molta ironia e quel classico bagliore di mistero che circonda le terre irlandesi.

 Jack O’ Lantern era un vecchio fabbro con il vizio del bere. Spilorcio e di cattivo carattere, è da credere che non abbia mai avuto un vero amico.  
Tra le altre cose si recava spesso al pub per tracannare alcolici e vivere una vita viziosa come si immagina per un simile personaggio.
 E’ stato proprio in uno dei pub, immerso in una delle sue sbronze, che Jack ha avuto un infarto. Sul punto di morte, gli apparve allora il Diavolo, venuto a reclamare la sua anima sporca. 
Jack aveva molti difetti, ma di certo non si poteva accusarlo di non essere astuto. Chiese infatti al Diavolo l’ultimo desiderio – un’ultima bevuta – ma rivelò di essere completamente al verde e di non potersi pagare il boccale. 
 Il Diavolo si lasciò convincere e si tramutò in una moneta da sei pence. 
Jack non si lasciò scappare l’occasione. Lesto, ficcò la moneta nel borsello in cui teneva anche una croce d’argento, un anatema per il Diavolo che gli impediva di riprendere la sua forma originaria.
 Con il sorriso sulle labbra, Jack gli strappò la promessa di non reclamare più la sua anima per i successivi dieci anni, in cambio della liberazione (secondo alcune versioni, in realtà si trattò di un solo anno). 
Com’è ovvio immaginare, il Diavolo acconsentì. 

 Chi dice che si impara dai propri errori, probabilmente non conosceva Jack O’ Lantern, perché il vecchio fabbro riprese a condurre la sua solita vita dissoluta.
 Trascorso il tempo concordato, il Diavolo tornò a fargli visita, reclamando l’anima dovuta. Jack tergiversò ancora, chiedendo al Diavolo di raccogliergli una mela da un albero vicino e, ritenendo di non avere niente da temere, questi acconsentì.
 Salì sulle spalle del vecchio e allungò il braccio verso la mela. Jack estrasse subito un coltello e incise una croce sul tronco dell’albero: quando si spostò dalla sua posizione, il Diavolo rimase appeso, trattenuto in volo dal suo solito tallone d’Achille.
 Questa volta la richiesta di Jack fu definitiva: il Diavolo non avrebbe mai più dovuto chiedere la sua anima. 
 Come andò finire, a questo punto? 
Si potrebbe credere che Jack O’ Lantern fosse stato così furbo da eludere l’inferno, ma forse dopotutto non ebbe un destino migliore. Arrivato il tempo della morte, infatti, Jack fu rifiutato dal paradiso a causa della sua anima sporca. 
Pur di non rimanere solo, cercò di entrare negli inferi, ma il Diavolo lo respinse a sua volta.


Jack dovette tornare al punto di partenza.
 Visto che la strada di ritorno era buia, convinse il Diavolo a farsi dare un carbone ardente, che il nostro fabbro inserì in una rapa per illuminare il proprio cammino.
 La sua simil-lanterna gli diede il soprannome che conosciamo di Jack O’ Lantern (ma per trovare questo nome scritto, dobbiamo aspettare fino il 1750). 
 Jack vagò da allora come un’anima in pena, con il suo lucore in mano.

 Con il tempo le leggende trasformarono la rapa in zucca: quando a metà del 1800 una massa di irlandesi emigrò verso le Americhe a causa di una carestia, trovò le rape poco diffuse e dovettero portarsi verso le più ordinarie zucche. 
Ecco spiegata la nascita delle zucche di Halloween, che in America ogni anno vengono intagliate e illuminate da una candela messa all’interno.

Lipari, riaffiora dal mare il vecchio porto romano dell’isola


Il mare della Sicilia,non finisce mai di stupire, continuando dopo tanti e tanti anni a regalarci importanti pezzi di storia.
Basi di colonne, strutture murarie, sono queste alcune delle sorprese che il mare della Sicilia continua a regalare al patrimonio culturale italiano.
 L’ultimo regalo è stato davvero grande, ovvero l’antico porto dell‘isola di Lipari, situata nell’arcipelago delle Eolie, e riaffiorato dove adesso è presente l’area portuale di Sottomonastero, vicino il molo di attracco degli aliscafi.
 La sorpresa è stata il risultato di un lavoro di ricerca e di sacrifici portata avanti dalla Soprintendenza del Mare, guidata da Sebastiano Tusa, nell’ambito dell’operazione Archeoeolie 2014, che si è conclusa nella giornata di lunedì.
 La presenza delle strutture portuali erano state già individuate , ma lo scavo effettuato in seguito ha permesso di poter aver maggiori informazioni e conoscenze, infatti grazie alla strumentazione tecnologica utilizzata, i ricercatori impegnati nell’operazione hanno potuto tracciare quasi la mappa completa dell’intera area portuale sommersa.




Ulteriori studi, che dovranno essere effettuati nelle prossime settimane permetteranno di capire se nell’area del nuovo molo potrebbero essere presenti eventuali strutture antiche.
 Inoltre, in questi ultimi giorni, si è pensato ad attuare un progetto volto alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio subacqueo dei fondali di Lipari. 
A tal riguardo, la Sovrintendenza del Mare, ha fatto sapere di essere ben predisposti alla offerta fatta dalla progettazione europea POR 2014-2020, con oggetto la presentazione di uno studio di fattibilità per la realizzazione di un innovativo sistema di visita museale un ambiente totalmente asciutto, che verrebbe costruito con dei tunnel trasparenti per dare la possibilità ai visitatori di essere percorsi dalla superficie, vicino il molo. 
Un buon mix tra la tutela del bene culturale e il potenziamento dell’economia locale attraverso il turismo.
 Importantissima scoperta dunque, quella effettuata a Lipari che ha riportato alla luce il vecchio porto di Lipari risalente all’epoca romana.

Tom, il gatto che assiste i malati terminali


Quando Edwin Gehlert ha esalato il suo ultimo respiro in un letto di ospedale, il veterano della seconda Guerra Mondiale era circondato dalla moglie, dalla figlia, dal genero e da un gatto soriano dal pelo arancione. 
Il micio Tom era adagiato sulla libreria e osservava quanto capitava nella stanza di Gehlert, ricoverato all’interno dell’ospizio del Centro Medico VA, Unità Per Le Cure Palliative nella cittadina americana di Salem, in Massachusetts.
 Il gatto, come riportano alcuni quotidiani online americani, sembrava un membro dello staff medico a tutti gli effetti. 

Da più di due anni Tom vive in questo reparto, dove può vagare liberamente e, come un vero dottore, ogni mattina fare il giro dei pazienti. 
Qualche volta riesce a rubacchiare qualche stuzzichino ma, soprattutto, Tom porta conforto ai veterani e ai loro famigliari nel momento più difficile ed emozionante della loro vita.
 «Quel giorno non ho lasciato l’ospedale in lacrime e in preda al dolore dopo la morte di mio padre - ricorda Pam Thompson, la figlia di Gehlert -. Ho provato una tale gioia nel cuore, da sentirmi quasi in colpa. Non è stato un giorno triste. E tutto questo grazie a Tom». 

Tom è un gatto di sette anni salvato da un rifugio per animali.
 Era “al lavoro” solo da pochi giorni quando arrivò Gehlert, nel maggio del 2012.
 Qualcuno del personale dell’ospizio aveva letto di un gatto che aiutava i malati di Alzheimer in un centro di cura di Rhode Island. E così Tom arrivò in reparto. 
Lo staff del Salem VA aveva pensato che la presenza di un micio avrebbe potuto attenuare la sofferenza dei pazienti e delle loro famiglie. 
Una scommessa alla cieca, si potrebbe quasi dire, che alla fine però si è rivelata vincente. 

Oggi, per tutte quelle persone, è difficile immaginare il reparto senza Tom.
 Anche le famiglie, commosse, hanno voluto ringraziare lo staff per la presenza del gattone. E, a coronamento della sua ormai innegabile celebrità, il gatto è anche diventato il protagonista di un libro per bambini scritto da un autore locale il cui padre è morto proprio nel reparto di cure palliative del VA Center, assistito dalle amorevoli cure del micio Tom. 

Fonte : http://www.lastampa.it

Una cattedrale sommersa




L'Europa a destra, l'America a sinistra. 
Strano, ma vero: le pareti rocciose della foto appartengono ognuna a un continente diverso. 
Ci troviamo in Islanda, a 50 chilometri dalla capitale Reykjavik, nel Parco Nazionale di Thingvellir, dove si trova la cosiddetta "Silfra Crack", una spaccatura che separa i continenti in corrispondenza della frattura della crosta terrestre, piena di acqua dolce, che scende direttamente dai ghiacciai.
 Il corridoio roccioso ricorda la navata di una chiesa, da cui il nome di "Silfra Cathedral". 
Il sito non è molto profondo: appena venti metri. L'acqua proviene dai ghiacciai, dunque è fredda (tra i 2°C e i -4°C) e purissima, al punto da consentire ai sub una visibilità orizzontale di oltre 100 metri.


Le rocce di origine vulcanica che formano la spaccatura di Silfra sono scavate da caverne di diverse dimensioni, al cui interno l'acqua può raggiungere una certa profondità, anche di 60 metri. Una sorta di labirinto di lava solidificata dovuto all'incessante attività geotermica accessibile solo ai sub più accorti. Ma lo spettacolo non è riservato solo agli addetti ai lavori chiunque abbia un po' di esperienza di snorkelling può nuotare nella "spaccatura" e osservare da vicino il fenomeno della deriva dei continenti, che in questo punto si allontano l'uno dall'altro di circa due centimetri all'anno.


Una veduta dall'altro del Parco Nazionale di Thingvellir, dichiarato patrimonio mondiale dell'umanità dall'Unesco per la sua importanza storica e in virtù delle caratteristiche geologiche che ne fanno un luogo unico al mondo.
 La laguna che si vede nella foto è molto grande, larga 120 metri e profonda cinque.
 La visita alla "cattedrale", richiede un paio giorni al ritmo di un paio di immersioni al giorno. Anche perché a causa delle basse temperature non è consigliato rimanere in acqua più di mezz'ora. E inoltre è necessario abituarsi con un po’ di tempo, l’incredibile limpidezza delle acque potrebbe dare un senso di vertigine, tirando brutti scherzi anche ai sub più esperti.


In questi fondali la vegetazione è formata perlopiù da alghe di tutti i tipi, ma è molto difficile incontrare dei pesci, a causa delle fredde acque. In compenso però l’acqua è potabile e la si può bere senza alcun timore perché proviene direttamente dai ghiacciai islandesi. Da qui, attraverso le montagne di Hofsjokull l'acqua passa per le rocce laviche che l'accompagnano in un percorso sotterraneo fino a Silfra, filtrandola continuamente.


A Silfra ogni anno arrivano tra i duecento e i trecento sub, attirati dall'idea di nuotare tra due continenti.
 Le immersioni avvengono alla presenza di un istruttore e i costi vanno dai 150 euro in su. 
Il sito è aperto tutto l'anno, ma il periodo migliore per visitarlo è tra maggio e settembre, durante l’estate islandese quando le giornate durano 24 ore e il sole è sempre sopra l'orizzonte. Ma non è che faccia molto caldo, in questi mesi la temperatura esterna non supera mai i 18 gradi. 

 Da: focus.it