giovedì 9 ottobre 2014

Scoperta in Israele una cantina risalente a 3700 anni fa


Una cantina di vini di 3700 anni fa è stata scoperta in Israele fra le rovine di un palazzo di Cana.
 I ricercatori hanno scoperto 40 giare di ceramica datate approssimativamente al 1700 a.C.
 Il team di archeologi e studiosi comprendeva membri della Brandeis University, della University of Pennsylvania, della George Washington University, della Boston University e della University of Haifa in Israele.
 Le antiche giare presentano tracce di vino pregiato – rosso e forse bianco.
 Tracce di acido tartarico e siringico, componenti chiave del vino, sono state rinvenute mediante una tecnica chiamata analisi dei residui organici. Inoltre si è scoperto che questi vini erano stati aromatizzati con altri ingredienti quali miele, menta, cedro, cannella, bacche di ginepro e resina di alberi che allora era comunemente usata come conservante.
 La ricetta del vino era simile a quella usata più tardi in Egitto e successivamente nel Mediterraneo.
 Gli indizi fanno pensare che il vino non venisse consumato dalla popolazione locale, ma era riservato ai reali, a ospiti importanti e ai banchetti di palazzo nell’antica Cana.


Sono state analizzate le proporzioni di ciascun componente del vino ed è stata riconosciuta una corrispondenza rilevante fra le giare. «Non è un’ipotesi strampalata che qualcuno facesse fermentare il vino in cantina», ha scritto Andrew Koh, uno dei membri del team della Brandeis University, sulla stampa dell’università.
 «La stessa ricetta del vino è stata strettamente seguita in tutte le giare». Questo rappresenta «la coerenza e il controllo che ci si dovrebbe aspettare in un palazzo», ha detto Curtis Runnels, archeologo della Boston University, ad Associated Press.
 Secondo la stampa della Brandeis University si tratta della più antica cantina di vino in palazzo mai scoperta.
 La cantina aveva l’ampiezza sufficiente per contenere circa duemila litri di vino.
 «La cantina era situata vicino a una sala in cui si svolgevano i banchetti, un luogo in cui l’élite di Kabri e forse ospiti stranieri mangiavano carne di capra e bevevano vino», ha detto Assaf Yasur-Landau, co-direttore degli scavi della University of Haifa, secondo la stampa della Brandeis University.
 Sono state rinvenute anche due porte che conducevano fuori dalla cantina, probabilmente alle dispense, ma non sapremo la natura e il contenuto di queste altre due stanze fino al 2015.
 Questa scoperta permette di fare luce sullo sviluppo delle tecniche di vinificazione nella Cana antica; infatti prima di questo ritrovamento la raffinatezza del vino era suggerita unicamente dai testi antichi.

 Fonte: http://epochtimes.it/

2.000 anni fa il primo distributore automatico

Il distributore automatico è sicuramente un simbolo dei tempi moderni, eppure è stato inventato quasi 2.000 anni fa dallo scienziato greco Erone d’Alessandria.

Fu progettato come un distributore d’acqua benedetta nei templi degli dei. L’acqua contenuta in un’urna, veniva erogata grazie ad un corto tubicino che usciva dalla parte inferiore del vaso. 
La parte superiore del tubo, dentro l’urna, era chiusa da un tappo fissato all’estremità di una barra orizzontale incernierata ad una leva.
Per prelevare l’acqua, bisognava introdurre una dracma nella fessura aperta nella parte alta del vaso.
 La moneta cadeva lungo uno scivolo e finiva sull’estremità della leva. per alcuni secondi, l’asta si inclinava e sollevava il tappo, permettendo così all’acqua di uscire lungo il tubicino e di cadere in una coppa. Non appena la moneta cadeva in fondo al vaso, la leva riportava il tappo sull’estremità del tubo ed interrompeva il flusso dell’acqua.
 Il distributore automatico è solo una delle tante invenzioni di Erone, matematico ed inventore decisamente prolifico, autore di importanti testi di meccanica, ingegneria, musica, religione e magia.

Grazie a questo video guardo i gamberi con occhi diversi


La natura ha un modo per sorprenderci.
 La sua bellezza ci colpisce sulla testa come un martello di circa 90 chili. Le sue tonalità sono così dolci e così complete da renderle uniche e le sue forme, spesso così bizzarre, superano di gran lunga l'immaginazione del produttore più scatenato di Hollywood.

 Si tratta di una bellezza umile, la si può trovare nei più piccoli angoli e fessure della Terra o nei più profondi fondali ed è tanto alta da farci girare la testa.
 È quasi come se la natura ci stesse insegnando una lezione: «Io sono bello per il mio interesse, non per te, non per dare spettacolo». E questo gambero nel video ne è un esempio perfetto.
 Non fa nulla, guarda solo la telecamera e ti toglie totalmente il fiato.

 

Il video mostra i movimenti di scansione oculari indipendenti delle canocchie (Odontodactylus scyllarus).
 Le aree scure degli occhi sono chiamate pseudo pupille, sono state create dalle sfaccettature dell'occhio e ti stanno guardando direttamente. 
Le canocchie hanno spesso tre pseudo pupille distinte in ciascun occhio. Questo fornisce loro la percezione della profondità trionculare in ciascun occhio in modo indipendente.
 La canocchia è lunga circa trenta centimetri ed è famosa per la sua capacità di sferrare un colpo di circa 90 chili.
 La sua struttura dell'occhio ha fatto tentennare gli scienziati per lungo tempo. 
Una ricerca pubblicata recentemente ha scoperto che la visione a colori delle canocchie si basa su un meccanismo semplice, efficiente e finora sconosciuto che opera a livello di singoli fotorecettori capace di vedere tonalità che gli esseri umani non possono vedere.

 Questo video è stato caricato su YouTube circa un anno fa da Michael Bok, uno studente che segue un post dottorato a Lund, in Svezia. Studia «la visione nelle canocchie, vermi e qualsiasi altra cosa abbia gli occhi».

 http://epochtimes.it

Il più antico disegno rupestre è in Indonesia


Rappresenta un cinghiale primitivo il più antico disegno rupestre mai scoperto.
 Ha quasi 40.000 anni e si trova in Indonesia, insieme ad altri disegni e pitture di animali e di mani umane, straordinariamente simili a quelli delle grotte europee. 
Questo vero e proprio tesoro di arte rupestre è descritto sulla rivista Nature dal gruppo di ricerca coordinato da Maxime Aubert, dell'università australiana di Griffith e del Centro di Scienze archeologiche dell'università di Wollongong.

 

Utilizzando la tecnica di datazione basata sull'uranio sui depositi minerali delle grotte, i ricercatori hanno analizzato i 12 disegni di mani umane e quelli di due animali trovati in sette grotte.
 E' così che è stato individuato il disegno rupestre più antico finora noto.
 Rappresenta un ''babirussa'', una sorta di cinghiale molto primitivo, ed è disegnato con grande accuratezza di particolari, con i dettagli delle zampe e la coda a riccio. 
"Questi disegni sono tra i più antichi mai rinvenuti - osserva Aubert - e il babirussa è uno dei primi animali che l'uomo abbia mai disegnato".
 Per la loro bellezza e per la tecnica con cui sono stati realizzati, le pitture e i disegni rupestri dell'Indonesia sono confrontabili con quelli rinvenute in Europa occidentale.
 Si riteneva che le pitture rupestri europee fossero anche le uniche, invece l'articolo di Nature indica che pitture molto simili e altrettanto antiche esistono a 13.000 chilometri di distanza, nell'isola di Sulawesi.
 In realtà disegni e pitture che decoravano le grotte indonesiane erano stati scoperti negli anni '50, ma per oltre 60 anni si è creduto che non avessero più di 10.000 anni. ùA portare fuori strada era stata la fortissima erosione cui sono soggette le pareti di quelle grotte, in un clima tropicale.
 La nuova datazione è stata quindi sorprendente e costringe a rivedere molte delle teorie più accreditate sull'arte figurativa nella preistoria.


Adesso, secondo gli esperti, sono necessarie nuove ricerche per capire se quelle espressioni artistiche fossero un patrimonio comune a tutte le società primitive, da quelle che popolavano l'Africa a quelle del Sud-Est asiatico, oppure se ogni popolazione avesse sviluppato forme d'arte in modo indipendente. 

 Fonte : www.ansa.it

Cosa sono i led che hanno appena vinto il Nobel


“Per l’invenzione di diodi efficienti che emettono luce blu, che ha permesso lo sviluppo di sorgenti di luce bianca luminose ed energeticamente economiche”.

 Con questa motivazione, la Royal Swedish Academy of Sciences ha conferito il premio Nobel per la fisica 2014 a Isamu Akasaki, della Meijo University e della Nagoya University, Hiroshi Amano, della Nagoya University, e Shuji Nakamura, della University of California – Santa Barbara.

 È grazie ai loro sforzi se lo smartphone che avete in tasca ha un flash così bianco e brillante: sono infatti i led blu realizzati dai tre scienziati all’inizio degli anni novanta, combinati con quelli rossi e verdi sviluppati trent’anni prima, che permettono l’emissione di luce bianca continua. 
Quella dei flash degli smartphone, per l’appunto, ma non solo. Anche di fari delle automobili e illuminazione domestica, tanto per citarne altre due. 

Un po’ di storia.

 La storia della luce comincia, naturalmente, con il fuoco. 
Fino alla fine del diciannovesimo secolo, l’unica sorgente di illuminazione era rappresentata dalla combustione dell’olio o della cera con torce, candele e lanterne.
 Le cose cambiarono radicalmente nel 1878, quando Thomas Alva Edison riuscì a costruire il primo modello efficiente di lampadina a incandescenza, perfezionando un’idea di Joseph Wilson Swan.
 Si trattava di un bulbo di vetro in cui veniva praticato il vuoto e che conteneva un filo di tungsteno.
 Facendo passare corrente elettrica nel filo, questo diventa incandescente (è il cosiddetto effetto Joule) ed emette luce giallastra.
 Inutile sottolineare la portata e il successo dell’invenzione. È sopra le teste di tutti.


Certo, i led sono tutta un’altra storia.
 L’efficienza luminosa di una candela, misurata in lumen/Watt, cioè rapporto tra il flusso luminoso generato e la potenza in ingresso, si attesta intorno a 0,3. 
Una lampadina a incandescenza arriva più o meno a 70. 
I led ne fanno ben 300.
 Un risparmio energetico non indifferente, insomma. 

Sviluppati all’inizio degli anni sessanta (all’epoca solo in versione rossa), i led sono dei dispositivi optoelettronici che sfruttano le proprietà di materiali semiconduttori.
 Sono costituiti da tre strati: il cosiddetto strato n, che contiene elettroni, lo strato p, con le lacune (ovvero portatori di carica positiva), e uno strato intermedio (lo strato attivo) costituito dal semiconduttore.
 Applicando una tensione allo strato n e allo strato p, gli elettroni si combinano con le lacune ed emettono fotoni – cioè, in soldoni, luce.
 La frequenza dei fotoni emessi, ovvero il colore della luce, dipende dal semiconduttore usato.


Se lo sviluppo di led rossi e verdi è stato relativamente semplice, lo stesso non si può dire per led a luce blu. 
Ci sono voluti trent’anni per trovare il materiale giusto – ed è per questo che la scoperta è stata ritenuta valevole di Nobel. 
Akasaki, Amano e Nakamura hanno messo a punto, all’inizio degli anni novanta, un composto a base di cristalli di nitruro di gallio ad alta qualità che, finalmente, si sono dimostrati in grado di emettere luce alla frequenza giusta.
 A quel punto, il gioco è fatto: mettendo insieme led rossi, verdi e blu è possibile ottenere quella bella luce bianca brillante che fa splendere le nostre stanze e le nostre foto. E ci assicura un bel risparmio sulla bolletta. E permetterà, secondo gli esperti di Stoccolma, di portare gradualmente l’illuminazione anche nelle zone del mondo meno servite dall’elettricità.

 I vincitori. Akasaki, classe 1929, è nato a Chiran, in Giappone, e insegna alla Mejo University e alla Nagoya University, a Nagoya. Amano, il più giovane dei tre, è nato nel 1960 a Hamamatsu e insegna alla Nagoya University. 
Nakamura, nato nel 1954, è dall’altro lato dell’oceano. Insegna alla University of California, Santa Barbara. 
Svegliato nel cuore della notte per l’annuncio del Nobel, ha risposto soltanto: “Unbelievable”.

 Fonte : http://www.wired.it/scienza/energia

Un viaggio tra i monasteri più belli al mondo

Oasi di spiritualità dove riscoprire silenzio e meditazione, a diretto contatto con la natura, per nutrire il corpo e la mente.
 I monasteri non sono solo luoghi religiosi, sono anche capolavori architettonici e naturali di straordinaria bellezza.
 Spesso posizionati in luoghi solitari, in cima a un monte, in mezzo alla natura rigogliosa, raggiungibili attraverso sentieri appartati e sprovvisti di apparecchiature elettroniche.


 Eremo di San Colombano


Scavato nella roccia, l'eremo di S. Colombano risale al 1319. Si trova a Trambileno, vicino a Rovereto, in Trentino ed è raggiungibile salendo 102 scalini.
 Fu intitolato al santo irlandese Colombano, vissuto fra il 543 e il 615, che secondo la leggenda avrebbe ucciso un drago che abitava la caverna.

 Le meteore


Un gruppo di monasteri costruito su delle enormi formazioni rocciose di arenaria nella pianura della Tessaglia.
 Sono uno dei luoghi più mozzafiato della Grecia continentale.
 Un tempo erano ventiquattro, oggi ne sono rimasti solo sei ancora un uso dai monaci ortodossi (Agios Stefanos, Agia Triada, Gran Meteora, Varlaam, Roussanou e Agios Nikolaos), più uno disabitato ma visitabile.
 Sono chiamati "Meteore", che in greco significa "sospeso in aria".

 Monastero di Sumela


Andiamo sempre più indietro nel tempo, con questa chiesa rupestre scavata addirittura nel 386 in Turchia.
 Secondo la leggenda il monastero nacque quando due eremiti, Barnabas e Sophronius, scoprirono in una grotta un'icona della Vergine Maria e decisero di realizzare un edificio religioso a lei dedicato proprio qui, sul lato della montagna, a 1.200 metri di altezza.
 Il monastero è passato nel corso dei secoli attraverso varie distruzioni e restaurazioni, ma è sempre stato abitato.

 Monastero di Phukta


Fondato all'inizio del XII secolo, il monastero è un edificio unico, integrato alla roccia come un nido d'ape.
 Si trova nella valle di Zanskar, in India ed è possibile accedervi salendo scalinate intagliate nella roccia.

 Monastero Xuánkong Sì


Secondo la leggenda fu costruito da un solo uomo, un monaco di nome Liao Ran, più di 1.500 anni fa.
 Il suo nome significa "tempio sospeso" e si trova su una parete del monte Heng a quasi 65 km dalla città di Datong in Cina. 
E' sorretto da delle travi di quercia inserite in dei buchi nella montagna, mentre la vera struttura portante è all'interno della montagna stessa.

 Il tempio di Hsinbyume


Questa pagoda si trova a Mingun, in Myanmar. 
Da lontano appare come un incantevole miraggio bianchissimo mentre avvicinandosi al tempio, si distinguono le sette terrazze che identificano le catene montuose che salgono al monte Meru, la montagna sacra della mitologia buddista che si trova al centro dell'Universo.
 Su ogni terrazza è possibile ammirare i mostri mitologici, posti all'interno di nicchie.
 Sulla sommità del tempio si innalza il candido ed elaborato stupa, qui la vista spazia sulla lussureggiante campagna che circonda Mingun e le vicine colline.

 Il tempio Sanshisan Tian


Sanshisan Tian è un piccolo e antico tempio tibetano scavato nella roccia. 
Si trova a Zhangye, Gansu, in Cina.

 Il tempio bianco


Il Wat Rong Khun, meglio noto come Tempio Bianco, dista 15 chilometri dalla città di Chiang Rai, nel nordest della Tailandia.
 E' stato progettato recentemente dal pittore visionario Chalermchai Kositpipat il quale intendeva creare un tempio al contempo buddista e induista.
 E' realizzato completamente in gesso bianco e specchietti che, riflettendo il sole, creano i giochi di luce particolarissimi.

 Da : greenme.it