lunedì 26 maggio 2014
Spalloni, derivati e traslochi fantasma così dall' Italia sono spariti 500 miliardi
Il tesoretto italiano nei forzieri dei paradisi fiscali ammonta secondo le stime più attendibili a circa 500 miliardi di euro.
Una cifra pari al 40% del debito pubblico nazionale, più del doppio del Pil svizzero, il quadruplo di quello di Hong Kong.
Ma come ha fatto questo fiume di denaro a fuggire dal Belpaese?
Il silenzio, in questo mondo, è più che mai d' oro.
Ma grazie a tre diversi incontri con altrettanti banchieri attivi nel campo - coperti da un rigoroso anonimato - abbiamo provato a ricostruire le mille strade e i tanti rivoli di questo immenso (e ininterrotto) esodo di capitali.
Contatto ed espatrio.
Chi si muove per primo importa poco. Spesso è il cliente. Ma ormai le grandi banche internazionali fanno anche da sé, con un porta a porta discreto mirato sulle categorie più "sensibili": imprenditori, commercianti e liberi professionisti in prima fila. La legge, in teoria, è chiara.
Chi porta all' estero più di 12.500 euro deve segnalare nel quadro Rw della dichiarazione dei redditi tutti i suoi beni oltrefrontiera.
Ma è tutt' altro che un ostacolo insormontabile. «Quando un cliente arriva nei nostri salotti - spiega una delle tre fonti - è convinto di imbarcarsi in una sorta di spy-story ad alto tasso di rischio e di brividi». L' iter al contrario è asettico, quasi banale. «Lui deve solo metterci a disposizione la liquidità da trasferire - racconta il banchiere - al resto pensiamo noi».
L' organizzazione è oliata a puntino da una pratica lunga quattro decenni. E viaggia su tanti percorsi paralleli. Se il denaro è "pulito" e deve solo espatriare senza dare nell' occhio il lavoro è semplice. Basta spostarlo sotto mentite spoglie.
Chi dispone di società all' estero, ad esempio, realizza un acquisto fittizio oltrefrontiera, oppure ne sovradimensiona uno reale. A chi è meno organizzato pensa la banca:
«Si aprono operazioni finanziarie, derivati o equity swap, che generano una forte perdita in Italia e un guadagno offshore».
Il segno più e quello meno però fanno capo alla stessa persona. Che sposta così i suoi sudati risparmi fuori dal radar dell' erario. Se il denaro è frutto di "nero" (e quindi non depositabile in un conto italiano per non squadernarlo sotto il naso del fisco) c' è un problema più serio: va trasportato oltrefrontiera.
Come? Come si faceva una volta. Con gli spalloni. «L' unica differenza è che i soldi non passano più il confine sui sentieri di montagna, nelle bricolle dei contrabbandieri, ma in classiche valigette a bordo di macchine o camion».
Guidati da "padroncini" «che nel giro conosciamo tutti». Il prezzo di queste operazioni è sempre più abbordabile. «Una volta si pagava una commissione, la tariffa dell' intermediario o dello spallone, quello che rischia di più curando il passaggio del confine». Ma oggi siamo in clima di saldi. «Il trasporto, fisico o meno, lo offriamo noi - spiegano gli esperti -.
Paghiamo volentieri pur di conquistare la gestione di questi soldi...». Destinazioni e vantaggi. La Svizzera resta il paese più appetito dagli esportatori di capitali tricolori.
Nel caso dello scudo fiscale - quello che ha rimpatriato quasi 80 miliardi dai paradisi fiscali nel 2001-2003 - più del 40% di questo gruzzolo è arrivato dalla Confederazione mentre solo l' 1%, per dare un' idea, è riapparso dal Liechtenstein. «I motivi sono chiari - concordano i banchieri -.
Il primo è geografico. La Svizzera è dietro l' angolo. Poi c' è l' appeal del segreto bancario». Nel senso che a Berna e dintorni i soldi perdono l' identità. «La banca conosce il nome del titolare dei conti - spiegano -.
Chiediamo i dati anagrafici perchè aderiamo alle normative Gafi antiriciclaggio. Ma poi li teniamo rigorosamente per noi». Certo, esistono le rogatorie internazionali per alcuni reati, come si è visto da Tangentopoli ai furbetti. Ma per problemi di evasione fiscale (in Svizzera come in tutti i paradisi) le autorità non "dialogano" con stati esteri. «Capirà, è uno dei segreti del nostro successo...». E chi vuole proprio sparire del tutto? «Allora consigliamo Singapore o Panama, dove i conti sono cifrati al 100%».
In queste oasi offshore si può arrivare direttamente. Ma molti transitano prima a Berna con una triangolazione che cancella il fastidioso cruccio dell' euroritenuta, quella tassazione al 15% degli interessi obbligazionari (ma solo quelli...) accettata da Berna, Montecarlo, Lussemburgo e Liechtenstein in cambio dell' ok Ue al segreto bancario.
«Nei paradisi più esotici l' unica traccia è il recapito dell' interlocutore, spesso un anonimo indirizzo "civetta" sul taccuino dell' intermediario».
Il cambio di residenza. Se non si vuole esportare il capitale, l' altra soluzione per schermare patrimoni è quella di esportare il contribuente. Cambiando residenza. L' hanno fatto, senza troppa fortuna, Valentino Rossi, Ornella Muti e Giancarlo Fisichella. Colti dal fisco con le mani nel sacco.
Ma oltre a loro, con risultati per ora migliori, l' hanno fatto migliaia di altri italiani. Trasferendosi soprattutto in Svizzera (dove i Paperoni forfettizzano ad personam le tasse con i Cantoni) o a Montecarlo, dove i redditi di persone fisiche sono esentasse.
La pratica, spiega un nostro interlocutore, è semplice. «Si va in Comune e ci si cancella dall' anagrafe della popolazione residente per trasferirsi quella degli italiani residenti all' estero».
Poi si va al nuovo domicilio (spesso è richiesto in loco l' acquisto di un' abitazione) e si comunica in ambasciata con il nuovo contratto. I rischi? Se si risiede davvero in loco, non c' è problema. Se, come accade spesso, si vive in realtà in Italia, le cose si complicano. L' agenzia delle Entrate, in questo campo, ha più margini di manovra. Con i paesi più aperti allo scambio di informazioni - come la Gran Bretagna nel caso di Rossi - parte l' accertamento con l' onere a carico del fisco di dimostrare la residenza reale del contribuente. Per Svizzera, Montecarlo e le nazioni nella "black list" fiscale (tutti i paesi offshore) l' onere si ribalta.
Le Finanze avviano l' accertamento e poi tocca all' espatriato provare di risiedere davvero oltrefrontiera. Un indirizzo non basta. Bisogna dimostrare che lì vivono i familiari, vanno a scuola i figli, lì si va dal barbiere e si butta ogni giorno la pattumiera.
Altrimenti, com' è successo a tanti - da Tomba alla Loren fino a Pavarotti - il braccio di ferro (ogni tanto accade persino questo) lo vince il fisco.
ETTORE LIVINI
LE LINEE DI NAZCA COME NON LE AVETE MAI VISTE
Man mano che approfondivo l'argomento delle linee di Nazca mi sono trovato difronte a una realtà ben diversa da quella che immaginavo.
In poco tempo ho preso piena coscienza del fatto di avere davanti agli occhi l'opera più monumentale mai realizzata al mondo. Guardando documentari o leggendo articoli su Internet sembra che tutta l'attenzione ruoti attorno a una dozzina di disegni di animali dalle forme bizzarre e questa era l'idea che mi ero erroneamente fatto di questo sito archeologico.
Invece c'è molto altro, le forme zoomorfe, fitomorfe e antropomorfe rappresentano soltanto una piccolissima parte dei geoglifi che ricoprono tutta l'area del deserto di Nazca e delle montagne che lo circondano.
Approssimativamente le Linee sono 13.000 e si estendono su una'area di 500 km quadrati.
13.000 solchi tracciati sul terreno sono un numero enorme se si considera che alcune linee sono lunghe diversi chilometri. Le linee a terra sono state realizzate rimuovendo lo strato superficiale di terra, rocce e sassi; questo non è un lavoro qualitativamente complesso, ma ciò che lascia senza parole è appunto la quantità. Solo dall'alto si può apprezzare l'enormità del lavoro che è stato fatto su questo territorio, mentre da terra quasi non ci si rende neppure conto.
(IL VIDEO CHE ABBIAMO REALIZZATO NE METTE IN MOSTRA UNA PICCOLA PARTE, MA SICURAMENTE MOLTI RIMARRANNO SORPRESI NEL VEDERE QUESTO LUOGO IN QUESTA INEDITA VERSIONE).
Migliaia di linee tracciano tutto il deserto, si intersecano, si allungano in linea retta in ogni direzione per svariati chilometri. Secondo la storiografia ufficiale a farsi carico di un simile lavoro fu il popolo Nazca, una civiltà preincaica comparsa sulle sponde del fiume Aya nella regione di Ica in Peru' nel I secolo d.C. e decaduta nel VI secolo d.C..
La loro capitale, Cahuachi, sede del centro economico e religioso, probabilmente fu messa in ginocchio dalla veloce avanzata del deserto che rapidamente rendette queste zone aride e improduttive. La cultura Nazca per quanto breve (appena 5/6 secoli) è diventata famosa per aver realizzato le linee e i disegni di Nazca, ma sono dell'idea che questa civiltà abbia soltanto continuato in minima parte il lavoro che qualcuno aveva abbandonato prima di loro. Frutto di questa mia considerazione è il fatto che cinque secoli di storia siano un po' pochi per tracciare linee in lungo e in largo per 500 km quadrati, considerando anche il fatto che dalle cime di molte montagne che circondano il deserto di Nazca sono state rimosse enormi quantità di terreno in modo da appiattirle, creando elevate superfici piatte sulle quali tracciare ulteriori linee.
Sono proprio queste montagne appiattite a essere maggiormente tralasciate dalla storiografia ufficiale in quanto le domande che le accompagnano difficilmente possono trovare risposte soddisfacenti. Nell'area intorno a Palpa se ne possono osservare una lunga serie sulle cime delle montagne ai lati delle vallate.
Le linee e tutto il resto sono sempre state attribuite ai Nazca dato che furono il popolo di maggior rilievo ad occupare quest'area, ma questo elemento a mio avviso non può essere determinante nell'attribuzione dell'opera in quanto il fatto che i Nazca abbiano vissuto in prossimità delle linee, non significa che ne siano anche gli artefici.
Le nostre ricerche ci indirizzano a pensare che la storia di queste linee sia molto più antica di quanto si pensi e che i Nazca siano stati attratti da questa misteriosa opera come lo siamo noi oggi, mentre il suo vero significato o utilizzo rimane un mistero.
tratto da http://civiltaanticheantichimisteri.blogspot.it/2014/04/le-linee-di-nazca-come-non-le-avete-mai.html
Antichi manufatti cinesi rivelano un composto raro di ossido di ferro.
In alcune tazze da tè cinesi, risalenti a circa mille anni fa, sono state ritrovate tracce di un ossido di ferro di forma particolarmente rara: si tratta di un composto, conosciuto come ossido di ferro di fase epsilon e scoperto soltanto di recente, particolarmente difficile da ricreare in laboratorio, anche con le tecniche più avanzate.
Autore della scoperta, pubblicata sul magazine Nature – Scientific Reports, è un gruppo di scienziati internazionali provenienti da Cina, Francia e Svizzera e Stati Uniti, che hanno svolto esperimenti e analisi presso il Lawrence Berkeley National Laboratory, lo Stanford National Accelerator Laboratory e il Centre d’Elaboration de Matériaux et d’Etudes Structruales in Francia.
Le ciotole al centro della scoperta sono le tazze della fornace di Jian, riconoscibili per il loro rivestimento nero lucente e le superfici a pattern comunemente detti “a pelliccia di lepre” o “a macchie d'olio”.
Furono prodotte durante la dinastia Song nella provincia del Fujian nella Cina sud-est, all'incirca tra il 960 e il 1279 d.C., e oggi i loro esemplari superstiti possono avere grande valore commerciale.
Per realizzarle, gli antichi artigiani usavano argilla ad alto contenuto ferroso rivestita con una mescola di argilla, calcare e cenere di legna.
Portando con i forni la loro temperatura fino a 1.300°C, si poteva indurire l'argilla, sciogliere il rivestimento e creare l'effetto delle bollicine di ossigeno al suo interno, spingendo gli ioni di ferro in superficie.
Ma mano che lo strato esterno si raffreddava, il flusso di ferro fuso colava ai lati della ceramica e si cristallizzava in ossidi di ferro dalle peculiari conformazioni.
Finora, sulla base delle colorazioni, si è ritenuto che le tazze “a pelliccia di lepre” contenessero ematite, mentre quelle a macchia d'olio la magnetite.
Con la nuova scoperta gli scienziati si sono ritrovati di fronte a qualcosa di inatteso: se i pattern delle ciotole a pelliccia di lepre hanno dimostrato di contenere piccole quantità di ossido di ferro fase epsilon mescolato con l'ematite, quelli delle tazze a macchia d'olio hanno mostrato grandi quantità di questo oscuro materiale.
Identificato per la prima volta nel 1934, l'ossido di ferro fase epsilon è stato caratterizzato solo nell'ultimo decennio.
Grazie alla sua magnetizzazione fortemente persistente, potrebbe aprire la strada all'impiego di magneti migliori e meno costosi all'interno di sistemi di data storage. Finora, tuttavia, era stato possibile produrre in laboratorio soltanto minuscoli cristalli del materiale, contaminato peraltro con ematite.
Fino alla svolta delle tazze cinesi, un esplosione di ossido di ferro fase epsilon purissimo, che potrebbero contenere la chiave per future tecniche di sintesi.
Fonte : www.chimici.info
La meteora di Chelyabinsk si scontrò con un altro asteroide
L’asteroide che esplose su Chelyabinsk, in Russia, nel febbraio del 2013 subi’ una intensa collisione con un altro asteroide prima di colpire la Terra.
A rivelarlo e’ un nuovo studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports, condotto da Shin Ozawa della Tohoku University, in Giappone.
Il ricercatore ha analizzato i frammenti dell’asteroide ed ha rilevato la presenza di giadeiti incorporati in materiali vetrosi tra le venature dei campioni.
Venature in cui uno shock può indurre contemporaneamente condizioni di alta pressione ed elevata temperatura.
La composizione minerale rilevata e altre caratteristiche calcolate suggeriscono che l’asteroide sia entrato in collisione con un altro asteroide di almeno centocinquanta metri di diametro ad una velocita’ approssimativa di 0.4-1.5 km/s.
L’impatto potrebbe essere avvenuto duecentonovanta milioni di anni fa.
E' nato uno zonkey! Il Messico dà il benvenuto al raro incrocio tra una zebra e un asino .
E' acclamato come miracolo, ed effettivamente si avvicina molto ad esserlo.
Il mondo ha accolto con favore lo zonkey nato in uno zoo messicano questa settimana.
Il piccolo Khumba è un miracolo perché sua madre è una zebra di nome Rayas e suo padre è un asino albino nano con gli occhi azzurri di nome Ignacio.
Il loro magnetismo animale ha portato alla nascita di una creatura rara, ma non unica.
Khumba, il nuovo zonkey, è nato il 21 aprile allo Zoo Reynosa, nello stato nord-orientale di Tamaulipas in Messico settentrionale. Papà Ignacio vive in una fattoria nelle vicinanze e dopo un paio di visite, mamma Rayas è stata conquistata dagli occhi azzurri dell'asino, e così è stato concepito Khumba.
Il cucciolo è estremamente raro nel mondo animale, perché i cromosomi di zebre e asini di solito non si mescolano.
diregiovani.it