giovedì 15 maggio 2014

ღ☆ღArt in Defense of Animalsღ☆ღ



Guido Daniele, 56 anni, originario di Soverato ma milanese di adozione, designer e illustratore pubblicitario, è decisamente un animalista convinto. Ma non partecipa ad azioni dimostrative a bordo dei gommoni di Greenpeace o appeso alle torri di una centrale nucleare.
 Il suo modo per lanciare un grido di allarme e di dolore per il pianeta che muore è attraverso l'arte.
 Le sue armi sono le mani. Le sue, che creano e dipingono. E quelle degli altri, che grazie al suo sapiente tocco di pennello diventano icone di quel regno animale che l'uomo sta mettendo inesorabilmente a repentaglio. 
 «Ogni giorno - commenta Daniele - spariscono specie che servono all'equilibrio mondiale. Vengono distrutte foreste con il taglio indiscriminato di piante che poi impiegano decine e decine di anni per ricrescere. Assistiamo ad un depauperamento del patrimonio della Terra, un fenomeno di autodistruzione del pianeta da parte dell'uomo che è davvero folle.
 E io, nel mio piccolo, cerco di portare l'attenzione del pubblico proprio su questi temi».

Un fossile vivente: il celacanto


Per lungo tempo si è creduto che il celacanto si fosse estinto insieme ai dinosauri, 65 milioni di anni fa. Ma quando, nel 1938, una curatrice museale sudafricana rinvenne, su un peschereccio locale, un esemplare di celacanto, il mondo rimase affascinato dalla scoperta e si accese un dibattito sul posto di questo pesce dall’aspetto bizzarro, con pinne supportate da ossa, nell'evoluzione degli animali terrestri.
 Si conoscono solo due specie di celacanti: la prima vive nelle vicinanze delle isole Comore al largo della costa dell'Africa orientale; l'altra è stata rinvenuta nelle acque al largo di Sulawesi, in Indonesia. 
Molti scienziati ritengono che le caratteristiche uniche del celacanto rappresentino un gradino iniziale nell'evoluzione del pesce verso gli animali terrestri a quattro zampe, come gli anfibi. 
 La caratteristica più sorprendente di questo "fossile vivente" è rappresentata da due pinne sostenute da ossa che si estendono dal corpo come gambe e si muovono in maniera alternata, a mo’ di trotto di cavallo.
 Altre caratteristiche uniche sono costituite dal giunto intercraniale, che permette al pesce di allargare la bocca per ingoiare prede di grandi dimensioni; dal tubo riempito d'olio, chiamato notocorda, che funziona da colonna vertebrale; dalle squame spesse, proprie solamente di pesci oramai estinti, e da un organo rostrale elettro-sensoriale posto nella parte anteriore del cranio, che serve, probabilmente, per individuare potenziali prede.

 I celacanti sono creature inafferrabili delle profondità marine, che vivono fino a 700 metri di profondità. 
Possono raggiungere dimensioni molto grandi: due metri o più di lunghezza e un peso di 90 chilogrammi. Secondo le stime degli esperti, i celacanti possono vivere fino a 60 anni circa.
 Il numero dei celacanti esistenti, come prevedibile, non è quantificabile, ma alcuni studi compiuti nelle isole Comore suggeriscono che vi abitino soltanto mille esemplari. 

I celacanti sono considerati una specie in via d’estinzione.

Fonte: http://www.nationalgeographic.it/

Scoperta una barca dall'età del bronzo al largo delle coste della Croazia.

Su segnalazione di alcuni pescatori croati di Zambratija, un team di archeologi subacquei ha scoperto un incredibile imbarcazione sommersa nel Mar Mediterraneo, risalente all'età del bronzo, circa 3200 anni fa.
 I ricercatori a stento riescono a contenere la gioia e lo stupore.


“Questa è una scoperta straordinaria”. 
Questa è stata la prima dichiarazione di Giulia Boetto, archeologo marino presso il Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) in Francia, quando ha annunciato l’incredibile scoperta di un relitto sommerso a Zambratija, Croazia.
 L’imbarcazione in legno risale almeno al 1200 a.C. 
A farne una scoperta unica è l’estrema rarità di reperti simili dell’età del bronzo.

 Il relitto fu individuato per la prima volta nel 2008, a soli 600 metri dalla spiaggia e a soli due metri sotto la superficie del mare. Tuttavia, i pescatori credettero che si trattasse di un naufragio recente. Giulia Boetto, Ida Koncani (del Museo Archeologico dell’Istria) e suo marito Marko Uhac (del Ministero della Cultura), hanno voluto osservare il relitto ipotizzando che si trattasse di un reperto più antico. 
I primi sopralluoghi rivelarono che l’imbarcazione era certamente di epoca preromana.
 Il team di ricerca è tornato sul luogo nel 2011 per prelevare campioni e condurre ulteriori analisi più approfondite.
 I risultati della datazione al radiocarbonio, infatti, hanno poi rivelato che la barca risaliva ad un periodo molto anteriore al 12° secolo a.C.
 L’imbarcazione misura circa 7 metri di lunghezza e 2,5 metri di larghezza. Si tratta di una barca “cucita”, cioè composta di vari pannelli di legno cuciti insieme, una tecnologia di costruzione praticata nell’antico Adriatico fino all’epoca romana, ma anche in altre parti del mondo, prima dello sviluppo di elementi metallici di fissaggio.


“E’ estremamente raro trovare un relitto dell’età dl bronzo”, spiega la Boetto a point.fr. “Qualcuno potrebbe obiettare che abbiamo trovato imbarcazioni antiche anche di 6 mila anni. Questo è vero. Ma si tratta di canoe ricavate da tronchi d’albero e utilizzate nei fiumi. Qui abbiamo a che fare com una realizzazione molto particolare, tipica delle popolazioni del Mare Adriatico: una barca cucita”.
 I resti sommersi sono incredibilmente ben conservati, con le cuciture ancora ben visibili. I diversi tipi di legno utilizzati per costruirla sono stati identificati come olmo, ontano e abete.
 La Moetto spera di poter realizzare un modello computerizzato 3D dell’imbarcazione e, successivamente, la ricostruzione completa in un modello reale. 
Per ora la barca rimane sott’acqua, anche se è in considerazione l’idea di prelevarla e spostare il relitto in un museo a Pula, una volta condotte le ultime analisi sui reperti. 

Tratto da: Scientia Antiquitatis

Le carte nautiche medioevali copiate da originali sconosciuti ?

Precise, fin troppo, per le conoscenze dell’epoca. E per giunta comparse praticamente all’improvviso, senza traccia di modelli precedenti.
 Le cosiddette carte portolaniche- ovvero le carte nautiche in uso dal Medioevo- hanno sempre stupito gli esperti.


Queste mappe, spesso associate ai portolani ( i manuali della navigazione, nei quali venivano descritte nei dettagli le coste di una determinata regione), sono sempre state considerate opera di cartografi medioevali, sulla base di fonti a loro contemporanee.

 La più antica è la Carta Pisana, comparsa alla fine del XIII secolo. Fu questa pergamena a dare il via ad una serie di carte nautiche estremamente accurate, pur se limitatamente al Mediterraneo e al Mar Nero.
 Questi disegni, impressi su pelli di animali opportunamente lavorate, mostrano con grande esattezza il contorno delle coste, i porti e le insenature mentre indicano con pochi dettagli le caratteristiche interne del territorio. 
Sono poi caratterizzate da una rete di linee rette intersecanti secondo vari angoli, che collegano sponde opposte per ciascuna delle 32 direzioni della bussola, al fine di indicare le rotte. 

 Dopo quel primo, mirabile esempio – opera di ignoto- spuntato dal nulla nella Repubblica Marinara di Pisa, altre mappe del genere entrarono in uso presso le corti di Spagna e Portogallo, dove vennero gelosamente custodite come segreti di Stato, tanto erano fondamentali per la navigazione. 
Gli studiosi hanno ipotizzato che esse siano il risultato delle conoscenze pratiche dei marinai del tempo, migliorate dalle più antiche nozioni tecniche di Bizantini ed Arabi. E la loro precisione sarebbe il frutto di fortunate coincidenze.


Non la pensa così, però, Roel Nicolai.
 La tesi di laurea con la quale è diventato dottore in geodesia ( la disciplina che studia la misurazione e la rappresentazione della Terra) presso l’Università di Utrecht, in Olanda, contesta infatti questa interpretazione. 
Nella sua “Revisione critica dell’ipotesi di un’origine medioevale delle carte portolaniche”, il ricercatore insiste su un punto centrale: la tecnica usata per realizzare quelle mappe nautiche non era a disposizione degli Europei del tempo.
 Quindi, i cartografi del XIII e del XIV secolo devono aver copiato le carte da fonti molto più antiche, forse senza neanche capire bene cosa stavano disegnando. Non solo. Nicolai sostiene che tale accuratezza è stata possibile utilizzando quella che appare una precoce versione della Proiezione di Mercatore, ovvero la conversione matematica della geometria della curvatura della Terra su un piano, ideata dal cartografo fiammingo ben 3 secoli più tardi, nel 1569. 
Ma nulla al momento fa pensare che una simile conoscenza esistesse già nel Medioevo. 
“Tutte le carte portolaniche che ho studiato sembrano realizzate grazie alla Proiezione di Mercatore. Sono sicuramente state disegnate su pergamena medioevale, ma chi le compilò probabilmente non si rese conto di quanto accurate esse fossero. In esse, la forma del Mediterraneo è perfettamente riconoscibile, mentre persino nel tardo Medioevo il suo aspetto era assai diverso da quello evidenziato sulle mappe”, scrive Nicolai.
 Nei mappamondi dell’epoca, infatti, il bacino appare molto più allungato e la linea costiera molto più approssimativa, se non del tutto fantasiosa.


Secondo il ricercatore olandese, quelle carte così precise sono come un mosaico, ottenuto con la sovrapposizione di vari originali. “Ci sono evidenti differenze di scala e di orientamento nei diversi punti delle mappe.
 Non solo ciò dimostra chiaramente che furono prodotte con la collazione di carte diverse, ma anche che i cartografi medioevali non erano esperti delle tecniche usate dalle loro fonti.” 
Nicolai ha poi smentito la possibilità che alla base di quei disegni tanto esatti potessero esserci i resoconti, dettagliati, dei navigatori del tempo sulla posizione dei porti principali e sulle rotte migliori. Applicando questo stesso metodo, ha verificato che la mappa risulta palesemente assai meno precisa rispetto alle carte portolaniche, persino utilizzando metodi di calcolo sviluppati alla fine del XVII secolo. Solo i progressi della cartografia avvenuti nel 1800 hanno permesso di raggiungere la stessa accuratezza. 
Ma il ricercatore assesta anche un altro colpo all’ipotesi comunemente accettata, ovvero che gli originali fossero stati realizzati da altri popoli del Mediterraneo, come ad esempio i Bizantini. 
“È altamente improbabile che le abbiano compilate loro. 
Per quello che sappiamo, Costantinopoli non ha aggiunto molto alle nozioni scientifiche ereditate dall’età classica. I Bizantini sono stati solo i depositari delle antiche conoscenze dei Greci e degli Arabi. E poi, perché mai avrebbero dovuto mappare le coste di Francia e Inghilterra? Erano al di fuori della loro sfera di interesse.”


Forse allora le fonti erano gli Arabi, navigatori ed astronomi competenti, sicuramente molto di più dei contemporanei europei? Anche in questo caso, lo studioso non ne è convinto: le carte portolaniche appaiono di gran lunga superiori anche alle competenze che gli Arabi avevano raggiunto a quei tempi in ambito nautico. “Non ci sono prove che avessero la capacità di ridurre le osservazioni relative alla curvatura terrestre sulla superficie piatta di una mappa”, spiega. Ugualmente, per quello che sappiamo finora, andrebbero escluse anche le carte di età alessandrina e quelle romane. 
Ma allora chi ha creato i modelli originali e quando? 
“La storia va riscritta“, è la conclusione di Roel Nicolai . “È necessario farlo, anche se mi sbaglio, perchè comunque significa che nel Medioevo esistevano forme di sapere molto più avanzate di quanto noi non immaginiamo”. Ma a suo avviso, tali conoscenze risalgono più probabilmente ad epoche precedenti. 
“Dobbiamo rivalutare lo stato della scienza nell’antichità. Ciò non comporta alcuna congettura sulle cosiddette civiltà perdute, ma dovremo ripensare al nostro passato, passo dopo passo”.

 Fonte : http://umbertogaetani.blogspot.it/