martedì 18 marzo 2014
Rock Music Space: The sound of silence
Rock Music Space: The sound of silence: Ne hanno già parlato molti blog , sapete che io ho il vizio di far decantare le idee, pensare cosa scrivere, accantonare i pensieri , poi ...
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Il Crazy Horse Memorial
Crazy Horse Memorial, il famoso monumento nelle Black Hills del South Dakota dedicato al guerriero indiano Cavallo Pazzo si erge nelle montagne granitiche delle Black Hills: si tratta della più grande scultura esistente al mondo iniziata nel 1948 dallo scultore Korczak Ziolkowski - d’origine polacca, nativo di Boston - con il patrocinio di Chief Standing Bear.
Korczak giunse sulle Black Hills nel 1947 su invito dei nativi ed iniziò a lavorare al Memoriale già quarantenne con soli 174$ nel portafoglio.
Grande sostenitore della libera impresa, credette fin dall’inizio che la grande scultura doveva rimanere educativa e culturale, non-profit e progetto umanitario pagato dall’interesse del pubblico e non dalle tasse dei cittadini.
Rifiutò quindi per ben due volte consecutive l’offerta di sponsorizzazione federale di almeno 10 Milioni di dollari.
Coinvolse la famiglia intera in questo mega-progetto ancora oggi in atto, Ruth ed i dieci figli.
Lo scultore morì nel 1982, ma l’opera è seguita e continuata dalla moglie e da sette dei suoi figli.
E’ ormai un sogno che la famiglia Ziolkowski non vuole abbandonare, seguendo modelli e piani di Korczak .
Una nuova tappa nella storia di questa gigantesca scultura è iniziata per la figura di Cavallo Pazzo in sella al cavallo e con il braccio teso ed il dito puntato all’orizzonte. Si inizia ora a scolpire la testa del cavallo, dopo aver compiuto quella del guerriero Lakota.
Chi giunge al Memorial scopre la storia di questo monumento grazie ad un video proposto nel Crazy Horse Orientation Center, Dynamite & Dreams in onda per i visitatori nella nuova struttura del teatro ,si prosegue con la visita al Museo.
Inaugurato nel 1973 il Museo è divenuto oggi la maggiore attrattiva del suo genere: ospita un’esposizione e collezione di manufatti dei Nativi Americani, nella svariata differenziazione di tradizioni e culture.
Chi è curioso di dati e record deve sapere che la sola testa del cavallo del Memoriale può contenere l’intera scultura di Mount Rushmore, con le quattro teste dei Presidenti Americani !
Una volta completato il memoriale sarà alto 172 metri in altezza e 195 metri in lunghezza
Il Crazy Horse Memorial è visitato da almeno un Milione di turisti ogni anno, ed ogni primo weekend di Giugno si svolge la Volksmarch, una passeggiata di circa 10 chilometri che raggiunge a piedi il volto di Crazy Horse.
La Volksmarch è una marcia di circa 10km dalla durata di circa 2 ore e 30 minuti
E’ una marcia tradizionale che consente di toccare il mento del volto di Cavallo Pazzo: l’unica effettiva opportunità durante tutto l’arco dell’anno!
Ogni anno la marcia attira circa 11.000 persone; addirittura nel 1998 si è raggiunto il numero record di 15.000.
Curiosa è la storia di un uomo cieco e di un’anziana signora di ben 97 anni che riuscirono a percorrere da soli tutto il percorso! Lo spirito di queste persone fa certamente riflettere e incoraggia tutti coloro che desiderano mantenere forti le tradizioni e i propri ideali.
Fonte : http://www.realamerica.it/
Napolitano a Cassino, disoccupati lo assediano: "Vergogna"
Protesta dei dipendenti delle aziende in difficoltà nel Frusinate all'arrivo del presidente della Repubblica per ricordare il 70 anniversario del bombardamento della città“ CASSINO (FROSINONE) -
Lontano dai flash dei fotografi e dalle telecamere dei tg nazionali, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato accolto a Cassino da una selva di fischi.
A protestare i disoccupati delle aziende del frusinate: in tutto oltre un centinaio di persone, ex lavoratori dell'Ilva e dell'azienda Videocon che hanno "salutato" così l'arrivo del capo dello Stato arrivato nella cittadina ciociara per ricordare il 70esimo anniversario del bombardamento.
In piazza, decine di bandiere e striscioni dei sindacati di base che hanno salutato con un forte "vergogna, vergogna" l'arrivo del corteo presidenziale.
Fonte: today.it
Signor Presidente posso fare una domandina da cittadina italiana che paga le tasse?
Quanto è costata questa visitina a noi italiani tutti e al comune di Cassino? tenendo conto dell'apparato che si è smosso
-Controlli preliminari prima della sua visita
-Polizia e carabinieri mobilitati per l'occasione (la città era blindata) -Macchine blu, scorte, allestimenti vari
-Corazzieri
-Altro che non mi sovviene alla mente
Con la situazione in cui si trovano questi lavoratori (senza pane) Non le pareva più consono fare una commemorazione più sotto tono?
Per rispetto delle persone vive.
Questo triste accadimento è avvenuto 70 anni fa, giusto ricordare, ma più giusto RICORDARE chi è vivo e vuole continuare a mettere un pasto caldo in tavola ogni giorno.
Pensiero di un italiana.
Inspiegabili morie nei mari di tutto il mondo
21 febbraio 2014
Palermo, misteriosa moria di pesci nel porticciolo della Cala
Non si comprende ancora la causa della moria.Migliaia di pesci sono stati trovati morti nel porticciolo della Cala a Palermo. A lanciare l’allarme i pescatori che erano appena tornati dalla loro battuta di pesca 15 gennaio 2014 Norvegia: migliaia di aringhe morte coprono un'intera baia
15 gennaio 2014 - La radio pubblica norvegese riporta la notizia della morte di migliaia di pesci in una baia dell'isola di Lovund.Secondo fonti locali la combinazione di aria gelida e forte vento e' diventata una trappola letale per i poveri animali che sarebbero rimasti congelati in poco tempo 14 gennaio 2014 Strage di balene in atto lungo tutto il globo terrestre
14 gennaio 2014 - Non si contano piu' gli spiaggiamenti di cetacei lungo tutto il globo terrestre.Nei primi giorni di gennaio 2014 numerose sono le segalazioni a diverse latitudini. 08 gennaio 2014 Strage di balene in Nuova Zelanda: 39 cetacei spiaggiati a Farewell Spit
8 gennaio 2014 - Strage di balene in Nuova Zelanda: 39 cetacei muoiono a Farewell Spit Ecoblog.it - Andrea Spinelli Barrile - 39 cetacei si spiaggiano e muoiono in Nuova Zelanda, le autorità: "Non possiamo salvarle"
Non si comprende ancora la causa della moria.Migliaia di pesci sono stati trovati morti nel porticciolo della Cala a Palermo. A lanciare l’allarme i pescatori che erano appena tornati dalla loro battuta di pesca 15 gennaio 2014 Norvegia: migliaia di aringhe morte coprono un'intera baia
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Emblemi della storia moderna che affondano le radici nella storia antica
Il «Grande Sigillo» che simboleggia la nazione americana ricalca la sua iconografia da antiche effigi della divinità egizia Horus. Quest’ultimo veniva dipinto come un falco il cui culto era non di rado associato a quello del sole e del cielo.
Che la simbologia degli Stati Uniti destasse particolare interesse per i suoi continuati riferimenti era cosa nota già agli albori del XX secolo, quando alcuni studiosi affermarono che lo stesso emblema della moneta statunitense, il dollaro ($), copiava fedelmente il sigillo di Cagliostro.
Il Conte di Cagliostro (1743 – 1795) fu un celebre esoterista ed alchimista italiano.
Poco dopo la sua morte tra gli effetti personali fu ritrovato questo simbolo che scatenerà nei decenni successivi l’immaginario di numerosi ricercatori dell’occulto come Eliphas Lévi.
Il sigillo sembrerebbe rappresentare una sorta di conoscenza gnostico-misterica, seppure le infinite teorie a riguardo non fanno altro che aumentare l’alone lasciato dall’altrettanto enigmatica figura di Cagliostro.
Lo specchio nei tempi
Lo specchio reca in sé il fascino del magico.
Sa riflettere tutto ciò che gli si para davanti, mostra la verità nella limpidezza dell’oggettivo e inconfutabile.
Più che una fotografia registra ogni sfumatura, movimento, battito di ciglia, accenno di sorriso
L’uomo preistorico, che vedeva la propria immagine riflessa nell’acqua di un lago o di uno stagno, poteva pensare che si trattasse di un altro sé; di conseguenza qualunque disturbo arrecato al riflesso poteva significare un pericolo per la propria salute.
La credenza si rinforzò con l’arrivo degli specchi: furono i romani a decidere che uno specchio rotto avrebbe causato sette anni di guai: all’epoca esisteva infatti la convinzione secondo cui la vita si rinnoverebbe ogni sette anni.
Poiché uno specchio rotto significava che la salute era stata spezzata, si concluse che sarebbero stati necessari sette anni prima di poter tornare sani come prima.
In religioni come l'Islam o l'Ebraismo o il Cristianesimo, invece, si usa capovolgere o coprire gli specchi durante la veglia funebre, per evitare che essi impediscano all'anima del defunto di lasciare il mondo terreno.
In molte civiltà si dice che gli specchi custodiscono una parte dell'anima di chi vi si riflette e sono guardati con diffidenza.
Gli Indios, oltre non gradire gli specchi, non accettano di essere fotografati, per timore del furto dell'anima.
Tra i Romani si vagheggiava l’esistenza di uno specchio magico che permetteva di osservare tutto ciò che avveniva nelle parti più lontane dell'Impero.
Questa leggenda deriva da una vecchia idea, nota già anche fra gli orientali, che cioè ci fosse modo di fare degli specchi nei quali si potesse vedere tutto quello che avveniva a grandi distanze.
Uno di questi specchi si diceva esistesse in cima al faro d’Alessandria, postovi da Alessandro Magno, e con esso si poteva vedere fino alla distanza di più di “500 parasanghe” tutti i bastimenti da guerra che venissero contro l’Egitto.
Poiché "prende il fuoco dal sole" lo specchio è in Cina simbolo lunare e femminile.
Sempre in Cina esso è, d'altra parte, il segno dell'armonia, dell'unione coniugale e lo specchio spezzato è segno della separazione (la metà spezzata dello specchio viene portata da una gazza a rendere conto al marito dell'infedeltà della moglie…).
La gazza, chiamata P'o-ching o specchio rotto, è collegata alle fasi della luna: l'unione del re e della regina si realizza quando la luna è piena, quando lo specchio è ricostituito nella sua interezza.
Si dice che lo specchio sia particolarmente detestato dai vampiri poiché quest’oggetto cattura solo le immagini di cose realmente esistenti mentre il Signore della Notte, Dracula, sospeso in una dimensione limbica tra sogno e realtà, non può entrare a far parte di questa categoria di enti e tanto meno i suoi servitori.
Lo specchio diventa, quindi, il mezzo attraverso il quale il Vampiro prende coscienza del suo non esistere e, quest’amara rivelazione, lo rende cieco di rabbia e dolore fino a farlo fuggire.
Naturalmente la credenza è paradossale, ma lo specchio può essere simbolicamente usato per allontanare ogni tipo di “vampiro energetico” che minacci la nostra serenità sottraendoci energie e risorse.
SPECCHIO DI HATHOR
Gli specchi egiziani antichi erano costituiti generalmente da un cerchio o un un ovale piano di rame o di bronzo lucidato e da un manico di osso o di legno, spesso modellato in forma della dea Hathor.
Il rame è un metallo collegato con questa dea, che veniva rappresentata in forma umana oppure bovina, con un disco solare fra le corna.
Ai nove “corpi” attribuiti all’uomo gli Egiziani associavano una forma divina-animale e Hathor veniva associata a Sekhem - il corpo fisico, al quale come dea-vacca dispensatrice di latte, assicurava nutrimento.
Uno degli attributi più frequenti di questa dea è lo specchio magico o “Specchio di Hathor”, uno specchio bifacciale in cui da un lato viene riflessa la persona che lo regge in mano, dall’altro viene invece riflesso ciò che le sta di fronte.
La doppia capacità riflettente è così una sorta di “scudo protettivo” che permette a chi regge lo specchio di rimanere “centrato in sé” rimandando indietro i pensieri o le energie gli vengono indirizzati dall’esterno
.
SPECCHIO ANKH
L'ankh appare di frequente nelle opere artistiche dell'antico Egitto. Nelle raffigurazioni divine appare come caratteristica delle stesse divinità, ad indicare la natura ultraterrena e l'eterna esistenza di esse.
La Vita è il suo significato principale; abbinato agli Dei ne indica la natura di forze cosmiche, generatrici dell'universo e dunque di Vita. L'ankh veniva utilizzato in particolare come amuleto, capace di infondere salute, benessere e fortuna.
Alla morte di una persona (che venisse mummificata meno) l'ankh era un elemento fondamentale, con il quale il corpo doveva essere sepolto.
Un altro uso frequente dell'ankh era quello che lo vedeva in funzione di specchio, nel quale il metallo riflettente era posto nell'ansa.
INCANTESIMI CON GLI SPECCHI
Lo specchio viene usato come “maestro di comunicazione”: spesso infatti “provando” un discorso allo specchio si riesce ad essere più convincenti.
Sa riflettere tutto ciò che gli si para davanti, mostra la verità nella limpidezza dell’oggettivo e inconfutabile.
Più che una fotografia registra ogni sfumatura, movimento, battito di ciglia, accenno di sorriso
L’uomo preistorico, che vedeva la propria immagine riflessa nell’acqua di un lago o di uno stagno, poteva pensare che si trattasse di un altro sé; di conseguenza qualunque disturbo arrecato al riflesso poteva significare un pericolo per la propria salute.
La credenza si rinforzò con l’arrivo degli specchi: furono i romani a decidere che uno specchio rotto avrebbe causato sette anni di guai: all’epoca esisteva infatti la convinzione secondo cui la vita si rinnoverebbe ogni sette anni.
Poiché uno specchio rotto significava che la salute era stata spezzata, si concluse che sarebbero stati necessari sette anni prima di poter tornare sani come prima.
In religioni come l'Islam o l'Ebraismo o il Cristianesimo, invece, si usa capovolgere o coprire gli specchi durante la veglia funebre, per evitare che essi impediscano all'anima del defunto di lasciare il mondo terreno.
In molte civiltà si dice che gli specchi custodiscono una parte dell'anima di chi vi si riflette e sono guardati con diffidenza.
Gli Indios, oltre non gradire gli specchi, non accettano di essere fotografati, per timore del furto dell'anima.
Tra i Romani si vagheggiava l’esistenza di uno specchio magico che permetteva di osservare tutto ciò che avveniva nelle parti più lontane dell'Impero.
Questa leggenda deriva da una vecchia idea, nota già anche fra gli orientali, che cioè ci fosse modo di fare degli specchi nei quali si potesse vedere tutto quello che avveniva a grandi distanze.
Uno di questi specchi si diceva esistesse in cima al faro d’Alessandria, postovi da Alessandro Magno, e con esso si poteva vedere fino alla distanza di più di “500 parasanghe” tutti i bastimenti da guerra che venissero contro l’Egitto.
Poiché "prende il fuoco dal sole" lo specchio è in Cina simbolo lunare e femminile.
Sempre in Cina esso è, d'altra parte, il segno dell'armonia, dell'unione coniugale e lo specchio spezzato è segno della separazione (la metà spezzata dello specchio viene portata da una gazza a rendere conto al marito dell'infedeltà della moglie…).
La gazza, chiamata P'o-ching o specchio rotto, è collegata alle fasi della luna: l'unione del re e della regina si realizza quando la luna è piena, quando lo specchio è ricostituito nella sua interezza.
Si dice che lo specchio sia particolarmente detestato dai vampiri poiché quest’oggetto cattura solo le immagini di cose realmente esistenti mentre il Signore della Notte, Dracula, sospeso in una dimensione limbica tra sogno e realtà, non può entrare a far parte di questa categoria di enti e tanto meno i suoi servitori.
Lo specchio diventa, quindi, il mezzo attraverso il quale il Vampiro prende coscienza del suo non esistere e, quest’amara rivelazione, lo rende cieco di rabbia e dolore fino a farlo fuggire.
Naturalmente la credenza è paradossale, ma lo specchio può essere simbolicamente usato per allontanare ogni tipo di “vampiro energetico” che minacci la nostra serenità sottraendoci energie e risorse.
SPECCHIO DI HATHOR
Gli specchi egiziani antichi erano costituiti generalmente da un cerchio o un un ovale piano di rame o di bronzo lucidato e da un manico di osso o di legno, spesso modellato in forma della dea Hathor.
Il rame è un metallo collegato con questa dea, che veniva rappresentata in forma umana oppure bovina, con un disco solare fra le corna.
Ai nove “corpi” attribuiti all’uomo gli Egiziani associavano una forma divina-animale e Hathor veniva associata a Sekhem - il corpo fisico, al quale come dea-vacca dispensatrice di latte, assicurava nutrimento.
Uno degli attributi più frequenti di questa dea è lo specchio magico o “Specchio di Hathor”, uno specchio bifacciale in cui da un lato viene riflessa la persona che lo regge in mano, dall’altro viene invece riflesso ciò che le sta di fronte.
La doppia capacità riflettente è così una sorta di “scudo protettivo” che permette a chi regge lo specchio di rimanere “centrato in sé” rimandando indietro i pensieri o le energie gli vengono indirizzati dall’esterno
.
SPECCHIO ANKH
L'ankh appare di frequente nelle opere artistiche dell'antico Egitto. Nelle raffigurazioni divine appare come caratteristica delle stesse divinità, ad indicare la natura ultraterrena e l'eterna esistenza di esse.
La Vita è il suo significato principale; abbinato agli Dei ne indica la natura di forze cosmiche, generatrici dell'universo e dunque di Vita. L'ankh veniva utilizzato in particolare come amuleto, capace di infondere salute, benessere e fortuna.
Alla morte di una persona (che venisse mummificata meno) l'ankh era un elemento fondamentale, con il quale il corpo doveva essere sepolto.
Un altro uso frequente dell'ankh era quello che lo vedeva in funzione di specchio, nel quale il metallo riflettente era posto nell'ansa.
INCANTESIMI CON GLI SPECCHI
Lo specchio viene usato come “maestro di comunicazione”: spesso infatti “provando” un discorso allo specchio si riesce ad essere più convincenti.
Re Artù e la leggendaria foresta di Broceliande
La Foresta di Paimpont (Broceliande per i poeti), è rimasto un luogo affascinante e pieno di misteri, nonostante il turismo, dove si riesce ancora a percepire il canto di Mago Merlino e le danze delle fate nelle radure annebbiate.
E’ un vero piacere perdersi nei boschetti e percorrere i sentieri, non ancora segnati, nelle ore più propizie, quando gli elfi e le fate abitano il sito e gli spiriti mormorano alle orecchie di chi sa ascoltare l’epopea della Tavola Rotonda, le gesta di Re Artù e dei suoi cavalieri, gli amori di Viviana e di Lancillotto del Lago.
La foresta di Paimpont, è situata nel dipartimento dell’Ile et Vilaine, in Bretagna, a 30 chilometri ad ovest di Rennes.
Appartiene principalmente a dei privati che la sfruttano per la legna e la caccia, soltanto una piccola parte, al nord est (10%), è demaniale ed è gestita dall’Office National des Forets (ONF).
La leggenda dice che nella foresta di Broceliande, vi è la tomba di Merlino; si tratta di un cumulo di pietre in un punto difficile da trovare anche con delle buone carte topografiche.
Secondo la leggenda, dopo aver sedotto Merlino, Viviana lo circondò di una nube poi lo seppellì vivo in un sepolcro costruito con due enormi pietre appoggiate una sull’altra.
Oggi rimane ben poco del maestoso monumento originale... il proprietario del luogo, per cercare un ipotetico tesoro lo fece saltare con la dinamite nel 1892.
Accanto alla tomba, molti superstiziosi lasciano bigliettini e anche assegni sui quali scrivono i loro desideri.
Straordinaria è la Fontana di Barenton, luogo raggiungibile solo a piedi dove pochi hanno il coraggio di avventurarsi.
La fonte si trova vicino ad un blocco di pietra dove la fata Viviana incontrava Lancillotto.
La leggenda dice che non si deve mai gettare l’acqua della fonte su quella pietra, altrimenti si scatena una terribile tempesta.
Situata ad ovest della foresta, vicino al borgo “Folle pensée”, è di difficile accesso.
Descritta nel 12° secolo dal poeta normanno Robert Wace, ha perso molto del suo fascino, ma è qui che la tradizione ha collocato anche il primo incontro tra Merlino e Viviana.
Le leggende legate a questa fonte sono numerose.
Qui si svolse anche la lotta tra Yvain e il Cavaliere Nero ed è qui che l’eremita Biagio mise in guardia il suo protetto contro i sortilegi della fata.
Si dice che l’acqua della fontana di Barenton permetta di far piovere e guarire le ferite d’amore o le malattie mentali.
Già conosciuta nel medioevo per le sue innumerevoli proprietà, è da quest’acqua che gli indovini e le streghe traevano fragranze e profumi per i loro incantesimi.
Situata vicino a Tréhorenteuc, ad ovest di Paimpont, la Valle senza Ritorno è una vallata incassata con paesaggi contrastanti, scavata tra pietre di scisto rosso.
Secondo la leggenda, la fata Morgana sorellastra di re Artù, tradita dal suo amante, decise di imprigionare in questa valle i cavalieri infedeli.
Soltanto Lancillotto rimasto sempre fedele a Ginevra, riuscì a spezzare l’incantesimo e liberare i cavalieri.
In fondo a questa valle, le fate leggevano il futuro gettando un seme di frumento nelle acque lisce del lago. Lo hanno chiamato così perché la foresta che circonda il lago è talmente fitta che il vento non riesce a passare rendendo il lago totalmente immobile.
Il Castello di Trécesson
Si dice che in questo castello alloggino diversi fantasmi e che il profumo delle dame del passato aleggi ancora nei muri.
Questi profumi sarebbero ancora fatali alle giovani e caste innamorate che vi si avventurano.
E’ uno dei più bei manieri di Broceliande, circondato dalle creste rocciose di Coëtquidan, dalle colline di Tiot e dalle lande di Saint Jean.
Fu la dimora dei signori di Ploërmel e Campénéac già dall’ottavo secolo, ma attualmente le parti più antiche sono datate soltanto del XV° secolo.
Due gentiluomini, scontenti del matrimonio di una giovane donna del loro casato, vennero nottetempo in questa dimora per scavare una fossa e seppellirla viva.
Un bracconiere testimone della scena, attese l’alba e dissotterrò la giovane vittima che spirò subito dopo tra le sue braccia.
Il signore di Trécesson, informato dell’accaduto le fece un funerale religioso ma non seppe mai di chi si trattava.
Fino al 1789 i vestiti nuziali della Dama Bianca rimasero sull’altare e le ragazze in cerca di sposo andavano a toccarli dopo la messa, sperando in una sua apparizione per indicare loro un buon marito.
Il giardino dei Monaci è il monumento più enigmatico della foresta di Broceliande.
E’ una costruzione megalitica a forma di quadrilatero lungo 25 metri e largo 5 o 6 , datato dai 2 ai 3000 anni AC.
La leggenda dice che i monaci passavano il loro tempo a festeggiare.
Saint-Méen li invitò ad una vita più morigerata, ma lo ignorarono e la punizione non si fece attendere.
Furono immediatamente trasformati in pietre sul luogo stesso delle loro feste.
La foresta di Broceliande possiede alberi molto belli e molto antichi, il più celebre è una quercia di circa 1000 anni con una circonferenza di nove metri, la quercia di Guillotin.
E’ situata tra Concoret e Tréhorenteuc.
La leggenda dice che Pierre Paul Guillotin, un prete refrattario (1750-1814) durante la Rivoluzione, si rifugiò all’interno di quest’albero e proseguì il suo ministero nella regione.
Lasciò un prezioso archivio degli avvenimenti rivoluzionari.
Vicino alla fontana Barenton, il faggio Ponthus eleva i suoi rami sui resti di un castello distrutto da Dio stesso.
Yves Thétiot racconta che allora il cavaliere di Ponthus, disperato per la mancanza di eredi, rivolse al cielo questa frase: “ Ho bisogno di un erede, che mi venga dal diavolo o da Dio!”.
Dio non lo ascoltò, ma il diavolo lo sentì.
Nove mesi dopo, durante un eclisse di Luna, la castellana partorì un piccolo mostro peloso.
Appena nato, saltò su un armadio e si rifugiò sotto una cassettiera.
“Sinistro presagio!” profetizzò l’ostetrica prima di scappare a gambe levate.
Poi si alzò un forte vento dall’oceano, risparmiò la foresta ma distrusse completamente il castello che crollò uccidendo tutti i suoi residenti.
L’apocalisse aveva annientato i bastioni lasciando il posto al magnifico faggio che possiamo ancora ammirare nella foresta di Broceliande.
Un’altra leggenda racconta gli amori di Ponthus, figlio del re di Galizia e della bella Sydoine, principessa di Bretagna. Ma il suo amico, Guennelet si ingelosisce e tradisce Ponthus.
Il principe viene cacciato dal Re e si rifugia nella foresta.
Guennelet che non ottiene i favori della bella Sydoine lo raggiunge e lo sfida a duello.
Il combattimento durerà dodici giorni e prende fine con la vittoria diPonthus.
Dopo aver sposato Sydoine, Ponthus pianta il faggio sul luogo del combattimento
.
La casa di Viviana è situata nel sottobosco di una piccola collina, nella Valle senza Ritorno.
Chiamata anche “Tomba dei Druidi”, è un megalite del 2500 AC circa.
Nel sito sono stati fatti numerosi scavi e ritrovati diversi oggetti: un ascia in dolerite, dei cocci di ceramica, degli elementi in silice, delle punte e dei gioielli rudimentali.
Il Ponte del Segreto (Plélan-le-Grand a sud della foresta) si trova su un affluente dell’Aff.
La leggenda dice che re Artù all’apogeo della sua gloria, scelse Ginevra come sposa e la fece accompagnare da Lancillotto del Lago, attraverso la foresta fino al suo castello di Camelot dove saranno celebrate le nozze.
Ginevra mentre passava sul ponte chiese a Lancillotto “ Signore, chi è la tua dama?” lui rispose “Ma siete voi, mia regina e per l’eternità..”
Le Fucine di Paimpont (1653)
Le Fucine di Paimpont sono state le più importanti della Bretagna ed erano rinomate anche sul territorio nazionale.
Patrick de la Paumelière, proprietario del luogo si è fatto promotore della sua completa restaurazione. Nel 2004, decide che si tratta di un patrimonio storico importante che bisogna salvaguardare e sta contrastando un progetto di discarica per i rifiuti che dovrebbe insediarsi proprio nei dintorni, nel comune di Concoret.
L’incendio del 1990
Nel Settembre 1990, la foresta di Paimpont ha bruciato per cinque giorni di seguito.
Dopo la catastrofe sono arrivati finanziamenti da tutta la Francia e per ricordare l’avvenimento, l’artista François Davin ha creato l’Oro di Broceliande, detto anche “Albero d’Oro”.
E’ un castagno dorato circondato da cinque alberi neri a simboleggiare la foresta bruciata, e l’oro, come simbolo di immortalità della foresta.
La Posidonia oceanica
Spesso classificata frettolosamente come un’alga, è in realtà una pianta superiore, ossia un organismo dotato, come le piante terrestri, di radici, fusto, foglie, fiori, frutti e semi; e in effetti, Posidonia oceanica, così come altre specie di piante marine, è nata proprio da una pianta terrestre.
La vita vegetale, a partire dai primi batteri in grado di compiere la fotosintesi, si è sviluppata nel mare, da cui le piante primitive sono uscite per colonizzare la terraferma.
Oltre 150 milioni di anni fa, durante l’epoca dei dinosauri, alcune di esse hanno però effettuato il percorso inverso, tornando al mare che avevano abbandonato in epoche più remote, e adattandosi alla vita sommersa; queste piante erano le progenitrici delle attuali fanerogame marine, ossia della sessantina di specie che colonizzano molti mari tropicali e temperati.
Di queste, solo cinque vivono nel Mar Mediterraneo: Posidonia oceanica, Cymodocea nodosa, Zostera marina, Zostera noltii e Halophila stipulacea.
Sono tutte piuttosto simili tra loro (solo Halophila stipulacea è facilmente distinguibile dalle altre in immersione, in virtù delle foglie più corte) e nei confronti delle specie presenti in altri mari.
Ciò significa in primo luogo che tutte le specie attuali si sono evolute da pochi progenitori comuni, e pertanto la loro struttura anatomica di base è la stessa, e inoltre che il ritorno alla vita acquatica ha richiesto una serie di importanti adattamenti fisiologici che le ha modificate secondo criteri analoghi, facendo acquisire a tutte le specie gli stessi caratteri.
In particolare, Posidonia oceanica possiede un fusto legnoso, strisciante sul substrato, che prende il nome di rizoma; da esso si dipartono le radici, che hanno funzione di ancoraggio e di assorbimento dei nutrienti, e le foglie.
Il rizoma può accrescersi sia orizzontalmente (rizoma plagiotropo) sia verticalmente (rizoma ortotropo); in questo modo la pianta può accrescere la propria estensione ed evitare l’insabbiamento, adottando l’uno o l’altro dei due tipi di crescita.
Questo fenomeno determina un innalzamento della base delle praterie di circa un metro al secolo, e origina una formazione a terrazzo, chiamata con il termine francese "matte".
Le foglie sono nastriformi, larghe un centimetro e lunghe fino ad un metro, con venature parallele.
Il colore è in genere verde vivace.
Così come accade in molte parenti terrestri, anche Posidonia oceanica ha foglie caduche; in primavera spuntano le giovani foglie, che si accrescono fino al periodo estivo, per poi staccarsi durante il periodo invernale.
Le foglie staccate, macerate dall’acqua salmastra e sottoposte al movimento delle onde, formano aggregati sferici di fibre che prendono il nome di egagropile, e che si trovano spesso spiaggiati lungo le coste
.
Durante il periodo autunnale, compaiono i fiori, poco appariscenti (in mare non ci sono insetti da attirare!), ermafroditi, che vengono fecondati dal polline portato dalla corrente.
Da essi si sviluppano i frutti, che prendono il nome di "olive di mare" per la loro somiglianza con le olive terrestri, e che vengono rilasciati nella colonna d’acqua.
Lo strato oleoso che circonda il seme al momento del distacco dalla pianta permette la risalita in superficie ed il galleggiamento in balia delle correnti, fino a ché questa pellicola non si dissolve, favorendo la discesa del seme verso il fondo.
Le praterie di Posidonia oceanica si trovano da uno a circa trentacinque metri di profondità, su fondali sabbiosi; il limite inferiore di distribuzione dipende dalla quantità di luce che arriva al fondo.
Come già accennato in altri articoli, le praterie di Posidonia costituiscono un vero e proprio habitat per moltissime specie che vivono come epifiti sulle foglie, o si muovono fra i rizomi, e che passano tutto il loro ciclo vitale o parte di esso all’interno delle praterie.
Molti pesci, ad esempio, si rifugiano fra le fronde della Posidonia per accoppiarsi, deporre le uova, o passare la fase giovanile del proprio ciclo vitale.
Altri pesci, invece, si recano nei pressi delle praterie attirati dalla grande concentrazione di possibili prede.
Sono poi comuni diverse specie di granchi e paguri che, essendo detritivori, si nutrono del materiale in decomposizione prodotto dalle piante.
Le foglie offrono un substrato sopraelevato, utilizzato da molti organismi per alzarsi dal substrato ed avere un migliore accesso alle correnti, e così sulle foglie si trovano anche tante specie che si nutrono sia delle foglie stesse sia di tutta la flora e la fauna che si trova su di esse.
Purtroppo però le praterie sono attualmente in regressione, a causa dei fattori più disparati: i danni più grossi sono causati dagli ancoraggi di imbarcazioni, che estirpano intere piante, dall’inquinamento costiero e dalle opere umane che aumentano i tassi di sedimentazione, riducendo la quantità di luce a disposizione delle piante.
Il fenomeno dell’erosione costiera, che sta portando alla riduzione delle spiagge, è parzialmente dovuto anche alla graduale scomparsa delle praterie vicino alla costa di Posidonia oceanica, la quale con i suoi rizomi stabilizza il sedimento evitando che le correnti lo portino via, e con le foglie riduce l’impatto del moto ondoso.
La vita vegetale, a partire dai primi batteri in grado di compiere la fotosintesi, si è sviluppata nel mare, da cui le piante primitive sono uscite per colonizzare la terraferma.
Oltre 150 milioni di anni fa, durante l’epoca dei dinosauri, alcune di esse hanno però effettuato il percorso inverso, tornando al mare che avevano abbandonato in epoche più remote, e adattandosi alla vita sommersa; queste piante erano le progenitrici delle attuali fanerogame marine, ossia della sessantina di specie che colonizzano molti mari tropicali e temperati.
Di queste, solo cinque vivono nel Mar Mediterraneo: Posidonia oceanica, Cymodocea nodosa, Zostera marina, Zostera noltii e Halophila stipulacea.
Sono tutte piuttosto simili tra loro (solo Halophila stipulacea è facilmente distinguibile dalle altre in immersione, in virtù delle foglie più corte) e nei confronti delle specie presenti in altri mari.
Ciò significa in primo luogo che tutte le specie attuali si sono evolute da pochi progenitori comuni, e pertanto la loro struttura anatomica di base è la stessa, e inoltre che il ritorno alla vita acquatica ha richiesto una serie di importanti adattamenti fisiologici che le ha modificate secondo criteri analoghi, facendo acquisire a tutte le specie gli stessi caratteri.
In particolare, Posidonia oceanica possiede un fusto legnoso, strisciante sul substrato, che prende il nome di rizoma; da esso si dipartono le radici, che hanno funzione di ancoraggio e di assorbimento dei nutrienti, e le foglie.
Il rizoma può accrescersi sia orizzontalmente (rizoma plagiotropo) sia verticalmente (rizoma ortotropo); in questo modo la pianta può accrescere la propria estensione ed evitare l’insabbiamento, adottando l’uno o l’altro dei due tipi di crescita.
Questo fenomeno determina un innalzamento della base delle praterie di circa un metro al secolo, e origina una formazione a terrazzo, chiamata con il termine francese "matte".
Le foglie sono nastriformi, larghe un centimetro e lunghe fino ad un metro, con venature parallele.
Il colore è in genere verde vivace.
Così come accade in molte parenti terrestri, anche Posidonia oceanica ha foglie caduche; in primavera spuntano le giovani foglie, che si accrescono fino al periodo estivo, per poi staccarsi durante il periodo invernale.
Le foglie staccate, macerate dall’acqua salmastra e sottoposte al movimento delle onde, formano aggregati sferici di fibre che prendono il nome di egagropile, e che si trovano spesso spiaggiati lungo le coste
.
Durante il periodo autunnale, compaiono i fiori, poco appariscenti (in mare non ci sono insetti da attirare!), ermafroditi, che vengono fecondati dal polline portato dalla corrente.
Da essi si sviluppano i frutti, che prendono il nome di "olive di mare" per la loro somiglianza con le olive terrestri, e che vengono rilasciati nella colonna d’acqua.
Lo strato oleoso che circonda il seme al momento del distacco dalla pianta permette la risalita in superficie ed il galleggiamento in balia delle correnti, fino a ché questa pellicola non si dissolve, favorendo la discesa del seme verso il fondo.
Le praterie di Posidonia oceanica si trovano da uno a circa trentacinque metri di profondità, su fondali sabbiosi; il limite inferiore di distribuzione dipende dalla quantità di luce che arriva al fondo.
Come già accennato in altri articoli, le praterie di Posidonia costituiscono un vero e proprio habitat per moltissime specie che vivono come epifiti sulle foglie, o si muovono fra i rizomi, e che passano tutto il loro ciclo vitale o parte di esso all’interno delle praterie.
Molti pesci, ad esempio, si rifugiano fra le fronde della Posidonia per accoppiarsi, deporre le uova, o passare la fase giovanile del proprio ciclo vitale.
Altri pesci, invece, si recano nei pressi delle praterie attirati dalla grande concentrazione di possibili prede.
Sono poi comuni diverse specie di granchi e paguri che, essendo detritivori, si nutrono del materiale in decomposizione prodotto dalle piante.
Le foglie offrono un substrato sopraelevato, utilizzato da molti organismi per alzarsi dal substrato ed avere un migliore accesso alle correnti, e così sulle foglie si trovano anche tante specie che si nutrono sia delle foglie stesse sia di tutta la flora e la fauna che si trova su di esse.
Purtroppo però le praterie sono attualmente in regressione, a causa dei fattori più disparati: i danni più grossi sono causati dagli ancoraggi di imbarcazioni, che estirpano intere piante, dall’inquinamento costiero e dalle opere umane che aumentano i tassi di sedimentazione, riducendo la quantità di luce a disposizione delle piante.
Il fenomeno dell’erosione costiera, che sta portando alla riduzione delle spiagge, è parzialmente dovuto anche alla graduale scomparsa delle praterie vicino alla costa di Posidonia oceanica, la quale con i suoi rizomi stabilizza il sedimento evitando che le correnti lo portino via, e con le foglie riduce l’impatto del moto ondoso.