lunedì 3 febbraio 2014

La nave fantasma carica di topi cannibali, costretti a mangiarsi a vicenda per sopravvivere


La nave Lyubov Orlova è alla deriva nell’Atlantico.
 A un certo punto si è ipotizzato che fosse affondata, ma nel marzo dello scorso anno la nave è stata avvistata al largo delle coste dell’Irlanda del Nord. 

 Attualmente, secondo un articolo del ‘Daily Mail’, la ‘nave fantasma’ si dirige verso la costa britannica, sollevando le preoccupazioni della Guardia Costiera. 
Questa nave da crociera lunga 100 metri, costruita 40 anni fa in Unione Sovietica, potrebbe essere spinta sulle coste del Regno Unito dalle tempeste che da qualche giorno agitano le acque della zona. 
 Secondo il quotidiano britannico, sulla nave gli unici «passeggeri» sono centinaia o addirittura migliaia di ratti affamati e probabilmente portatori di varie malattie, costretti a mangiarsi a vicenda per sopravvivere. 
 La nave fantasma naviga ormai da qualche tempo senza meta e senza essere localizzata lungo la costa britannica. In precedenza, i satelliti avevano rivelato un oggetto sufficientemente grande per essere una nave, ma gli aerei mandati in perlustrazione non trovarono nulla. 
 Sempre l’articolo riferisce che oltre alle autorità locali, anche i cacciatori di taglie stanno cercando la nave, da cui potrebbero ottenere quasi un milione di dollari grazie alla vendita delle parti riutilizzabili. 
 “Negli ultimi mesi abbiamo avuto alcuni temporali molto forti, ma non abbastanza per distruggere una grande nave di questa grandezza”, ha detto il direttore della Guardia Costiera irlandese, Chris Reynolds. “Dobbiamo essere vigili”, ha aggiunto. 

 La storia della nave fantasma

 La nave, che prende il nome dall’attrice sovietica Lyubov Orlova, è entrata in funzione nel 1976.
 Fino al 1999 ha fatto parte della Compagnia Navale dell’Estremo Oriente della Russia e fu poi venduta a Malta. 
Dal quel momento la nave da crociera portava i suoi passeggeri fino alla costa artica del Canada, dove nel 2010 è stata ceduta a causa dei debiti. 
 Nel corso dei due anni successivi la nave Lyubov Orlova è rimasta in porto e poi è stata acquistata per essere smantellata nella Repubblica Dominicana. 
Infine l’imprevisto, una fune spezzata durante il traino dal Canada, e la nave fantasma cominciò a navigare alla deriva,diventando così la casa per migliaia di topi cannibali. 



Maglioni in cachemire realizzati con peli di topo.



Maxi-sequestro delle Fiamme gialle
Li vendevano come capi di maglieria pregiata, alcuni con l'etichetta "puro cachemire", "lana merinos", "pashmina" e "seta".
In realtà golf, sciarpe e altri accessori erano realizzati con peli di topo e altri animali.
Lo hanno scoperto gli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Livorno che hanno sequestrato oltre un milione di prodotti di varie tipologie (esattamente 1.141.343 pezzi). A insospettire le Fiamme Gialle, il prezzo eccessivamente conveniente di alcuni capi riportanti nelle etichette la dicitura "in cachemire", rinvenuti in un negozio di Rosignano Marittimo, gestito da una coppia di origine cinese.  Sequestrati un milione di capi di "puro cachemire" realizzati con peli di topo
Le analisi effettuate dal Laboratorio chimico dell'Agenzia delle Dogane hanno infatti accertato che i tessuti delle maglie erano composti per lo più da un misto di acrilico, viscosa, poliestere, peli di topi ed altri animali.
Complessivamente, sono state denunciate 14 persone per frode in commercio, tra cui un importante grossista di Sesto Fiorentino, distributore in tutta l'Italia centrale di prodotti tessili importati dalla Cina.

Tratto da Il Sole 24 Ore

Italia maglia nera delle infrazioni, nel 2012 aperte 3 procedure al mese



Solo alcune delle infrazioni che ci costeranno milioni di euro di sanzioni Questi soldi non potrebbero andare a  risolvere alcuni grossi problemi degli italiani? (una voce a caso .....incentivi per il lavoro)
La domanda è:
Ma stanno al governo per fare le leggi o per litigarsi le poltrone???????  L’Italia, maglia nera europea con 99 procedure in corso – il numero più elevato – 36 infrazioni riscontrate nel solo 2012 – anche in questo caso si tratta di primato.
Mancato recepimento delle direttive, attuazione incompleta delle normative, inadempimenti e ritardi tra le cause che conferiscono al nostro Paese il non proprio ambito titolo di più indisciplinato.


Test sugli animali, Commissione chiede maxi-multa per l’Italia


Stufo dei ritardi nell’adempimento della direttiva, l’esecutivo Ue ci deferisce alla Corte di Lussemburgo. In caso di condanna la sanzione sarà di 150 mila euro per ogni giorno di violazione. Per il nostro Paese anche un rimprovero per la gestione delle acque

Moavero: “Infrazioni un macigno su nostra credibilità in vista del semestre di presidenza Ue”


Il ministro per gli Affari europei in audizione al Parlamento: “Se veniamo percepiti come bravi a parlare ma negligenti nell’agire e nel concretizzare, le nostre proposte andranno poco lontano”

Quote latte, per l’Ue l’Italia deve recuperare dai produttori 1,4 miliardi 


La Commissione mette in mora il nostro Paese per la mancata riscossione delle sanzioni agli allevatori che hanno sforato le quote assegnate: “Non adottate le misure opportune”

Rifiuti in Campania, multa da 30 milioni all’Italia e nuovo deferimento


Dalla prima sentenza, nel 2010, la regione non ha risolto il problema e non ha escluso “nuove emergenze”. Se le norme non saranno rispettate, la sanzione crescerà di 250 mila euro al giorno

L’Ue avverte l’Italia: su Telecom deve decidere l’Agcom


La Commissione minaccia una denuncia alla Corte di giustizia per la legge che toglie discrezionalità all’Autorità garante per le comunicazioni: “Deve poter agire con indipendenza”
per approfondimenti andare su 
http://www.eunews.it/tag/infrazioni

Breve storia della Groenlandia


Come entità storica, alla Groenlandia mancano le guerre sanguinose, i colonnelli, i tiranni da quattro soldi, le lotte di successione e le guerre.
 La mancanza di avvenimenti importanti e guerre sanguinose si può ascrivere a due fattori: l'esiguità della popolazione, sparpagliata su un territorio molto vasto, e lo sforzo di sopravvivere in condizioni climatiche ostili che ha sempre lasciato poco tempo per l'attivismo politico.
 La storia della Groenlandia è un qualcosa di inafferrabile: una miscela di saghe leggendarie, aneddoti, fatti scientificamente provati e supposizioni. 
Si pensa che 5000 anni fa essa fosse abitata da due distinte tribù, che con il tempo si fusero o si estinsero una dopo l'altra, anche se di loro non si sa poi molto. 
Queste due tribù furono seguite dai Saqqaq, di cui si sa qualcosa in più poiché lasciarono una miriade di manufatti che successivamente furono riportati alla luce e studiati dagli archeologi. 
Né le ipotesi né i dati scientifici sono finora riusciti a spiegare perché si estinsero anch'essi. 
Passò del tempo e finalmente nel X secolo la storia della Groenlandia si rimise in moto con la repentina comparsa della cultura thule, che si espanse rapidamente verso est.
 I thule erano relativamente avanzati e a loro si deve l'introduzione di due simboli della Groenlandia: il qajaq ('kayak') e la slitta trainata da cani. 
Furono probabilmente queste due invenzioni che li salvarono dalla stessa tragica fine cui andarono incontro le sventurate tribù che li precedettero.


La Groenlandia non ebbe contatti duraturi con gli europei finché Erik il Rosso, il leggendario vichingo, non vi trascorse sei anni in esilio. Fu proprio Erik il Rosso a battezzarla Groenlandia ('terra verde'), anche se il nome si rivelò più lirico che realistico; per gran parte dell'anno infatti la Groenlandia era tutto fuorché verde. Questo, però, non scoraggiò gli islandesi, che si precipitarono numerosi a colonizzare la Groenlandia e per un paio di secoli si dedicarono alla pastorizia, all'agricoltura e alla caccia, mentre il paese scivolava gradatamente nel suo abituale oblio. 
Nel 1621 la Groenlandia rinunciò alla sua indipendenza ed entrò a far parte dei possedimenti della Corona di Norvegia; 130 anni dopo il paese fu stretto dalla morsa del grande gelo e quando il mondo esterno riallacciò i contatti, dopo il disgelo, i coloni se n'erano andati, o completamente assorbiti o uccisi dai thule. 
La Groenlandia fu dimenticata per altri tre secoli, finché la possibilità di scoprire un passaggio tra l'Europa e l'estremo oriente, i guadagni che potevano derivare dalla caccia alla balena e lo zelo dei missionari non la rimisero al suo posto sulla cartina.
 Per i missionari luterani l'opera di conversione fu un gioco da ragazzi: qualsiasi religione che avesse punito i malfattori mandandoli in un clima caldo avrebbe avuto una grossa presa sugli inuit. 
Nel 1605, quando ormai la Norvegia aveva rinunciato alla Groenlandia, la Danimarca organizzò una spedizione per rivendicare il paese a nome del re e successivamente vi mandò lo zelante missionario Hans Egede come suo rappresentante. Poco dopo si scatenò la corsa alla conquista dell'estremo nord, che vide come protagonisti principali gli inglesi e gli americani. 
I libri di storia indicano l'esploratore americano Robert Peary come la prima persona che raggiunse il Polo Nord, ma non vi sono prove a sufficienza per confermare la veridicità del suo resoconto e quindi non si esclude la possibilità che Peary sia stato battuto da Frederick Cook.

Il mito di Selene


Dalla titanessa della luce, Teia (detta anche Tia o Tea o Theia oppure Euryphaessa) "colei che splende fin lontano” e dal fratello Iperione, identificato con la luminosità del cielo nacquero: Elios, il grande Sole, Selene, la splendida Luna, ed Eos, la luce dell'Aurora. La dea viene generalmente descritta come una bella donna con il viso pallido, che indossa lunghe vesti fluide bianche od argentate e che reca sulla testa una luna crescente ed in mano una torcia. 

" Da lei, dal suo immortale capo, un diffuso chiarore si spande sulla Terra e una sovrumana bellezza appare sotto la sua luce: l'aria buia si fa luminosa di fronte alla sua corona dorata, e i raggi splendono quando dall'Oceano, lavate le belle membra, indossata la veste lucente, la divina Selene, aggiogati i bianchi puledri dal collo robusto, lancia in avanti il cocchio splendente e appare, dopo il tramonto, al culmine del mese."


Luna al suo culmine, regina della notte, collegata alla natura ed al culto dei morti, Selene era anche la dea della fecondità.
 Per i greci la dea Selene, sorella di Elios e di Eos, guidava il carro lunare. 
I romani invece vedevano in essa la dea della caccia Diana mentre gli egizi la identificavano con Iside. 
 Selene è la personificazione della luna piena, insieme ad Artemide, la luna nuova, alla quale è a volte assimilata, ed a Ecate, la luna calante. 
 Selene, da Sèlas: “splendore”, era spesso raffigurata nel firmamento alla guida del carro lunare trainato dai candidi buoi che Pan le aveva donato per consolarla dell'inganno grazie al quale era riuscito a sedurla: 
"nascosto il pelo irsuto e nerastro sotto il vello di una bianca pecora, aveva potuto avvicinarla convincendola a salire sulla sua groppa per poi goderla, ormai consenziente" (Kâroly Kerênyi).
 Questo racconto cela probabilmente la traccia di un antico rito orgiastico, che aveva per scenario il chiaro di luna della magica notte di Calendimaggio, quando la regina della festa cavalcava in piedi un maschio prima di congiungersi con lui in un sacro amplesso.
 Un'altra versione racconta la travolgente passione del dio Pan, tanto brutto e oscuro quanto Selene era bella e splendente, ma Selene amava l'oscurità ricevendone l'abbraccio ogni notte.


Secondo il mito, ogni sera Elios adagiava la sua aurea quadriga sull'Oceano, dove sorgeva Selene, con la quale giaceva nella notte. Poi si salutavano e, mentre il dio solare dormiva nella coppa forgiata da Efesto aspettando l'arrivo della sorella Eos, Selene percorreva il cielo stellato in compagnia delle nove sacerdotesse che badavano al suo argenteo cocchio.
 Per venticinque giorni i due fratelli amanti s'incontravano, ma gli altri cinque Selene, all'insaputa di Elios, si recava dietro la catena montuosa del Latmo, in Asia Minore, per dedicarsi all'amato Endimione col quale giaceva per tre giorni (quelli del novilunio quando la Luna non è visibile). Il nome Endimione significa "colui che dimora dentro" e con "dentro" si intende il grembo della grotta, dove la dea lo vide per la prima volta, innamorandosene perdutamente.
 Così sdraiatasi al suo fianco, lo baciò sulle palpebre e da quel momento i suoi occhi non si riaprirono più, suggellando un sonno eterno. 
Non è univoca la spiegazione che si dà per questa condizione particolare: c'è chi dice essergli stata imposta proprio da Selene per poterlo ammirare e baciare liberamente ogni volta che lo desiderava; chi parla di un dono di Ipnos, il dio alato del sonno che, innamoratosi di questo bellissimo giovane, gli avrebbe consentito di vivere per sempre dormendo a occhi aperti; chi parla di un dono di Zeus su espressa richiesta di Endimione di cui Zeus era il padre. Infine c'è chi sostiene che si trattasse di una punizione voluta dallo stesso Zeus, per aver Endimione mancato di rispetto a Era, regina degli dei.

Racconti esilaranti di Prosdocimi



Prosdocimi è in chat insieme a Scalatore.
Gli nasconde di essere una cagnolina e accetta di scalare la montagna con lui indossando tacchi a spillo!

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Il falso documento della chiesa cattolica svelata da Lorenzo Valla



La cosiddetta Donazione di Costantino era il documento su cui per secoli la Chiesa di Roma aveva fondato la legittimazione del proprio potere temporale in Occidente.
Si attribuiva infatti all’imperatore Costantino la decisione di donare a Papa Silvestro I i domini dell’impero romano d’occidente. Bisognò attendere il XV secolo per “smascherare” a livello filologico quella presunta donazione.
Fu Lorenzo Valla che denunciò la falsità del documento con una memorabile dissertazione, il De falso credita et ementita Costantini donatione declamatio.
Con l’analisi linguistica e le argomentazioni di tipo storico Valla dimostra che l’atto era stato fatto nell’VIII secolo dalla stessa cancelleria pontificia.
La fama di Lorenzo Valla è dovuta principalmente al fatto che, dimostrando la falsità della “Donazione di Costantino”, egli ha “smascherato” la Chiesa, che con quel documento giustificava il proprio potere temporale e rivendicava privilegi nei confronti dell'Impero.
Quello di Valla non intende essere un lavoro esclusivamente di tipo filologico, ma anche un’analisi dell’epoca storica in questione. Importante l’atteggiamento di fondo che è quello di un uomo moralmente indignato di fronte alla menzogna e alla truffa durate per secoli.
L’argomentazione di Valla inizia sottolineando l'inverosimiglianza della donazione: quale sovrano, al posto di Costantino, l’avrebbe fatta, rinunciando a Roma e a tutto l’Occidente?
A quanti la giustificano perché l'imperatore era divenuto cristiano Valla risponde negando che il regnare fosse incompatibile con la religione cristiana, mentre per chi la sostiene spiegandola come segno di riconoscenza per la guarigione dalla lebbra la risposta è ancora più netta: questa è una favola derivata dalla storia biblica di Naaman, risanato da Eliseo, proprio come quella della leggenda del drago fatto morire dal profeta Daniele...
La donazione quindi non ha alcuna plausibilità e chi la sostiene offende Costantino, il senato e il popolo romano, Silvestro e il sommo pontificato.
La donazione è anche insostenibile dal punto di vista storico: infatti, per diversi secoli, nessun Papa ha mai preteso obbedienza da alcun sovrano, perché Roma e l’Italia erano sotto il dominio imperiale, come risulta tra l’altro da un’ampia e inoppugnabile documentazione storica.
Le fonti storiche più attendibili sono poi concordi nell’affermare che Costantino era cristiano fin da ragazzo e che l’imperatore donò il Palazzo Lateranense e alcuni terreni al predecessore di Silvestro, Melchiade, come attesta una lettera di questo pontefice.
Agli argomenti generali di ordine giuridico, psicologico e storico Valla fa seguire una lunga parte dedicata all’esame del documento, che conosce soltanto nella forma parziale trasmessa dal Decretum di Graziano.
Intanto – osserva con intuito il grande filologo – il testo della donazione è assente nelle copie più antiche dello stesso Decretum: non è quindi stato inserito da Graziano, che l’avrebbe coerentemente ricordato insieme al Pactum Ludovicianum.
Il Valla dimostra che la lingua della Donazione è un latino che già risente degli influssi barbarici e che i riferimenti dell’opera rimandano ad un momento nel quale Costantinopoli è già la nuova capitale dell’Impero Romano: la lingua è incompatibile con quella di un documento dell’età costantiniana e anzi barbarica.
Il volume di Valla si differenzia per le sue molteplici e violente espressioni contro il potere temporale del pontefice del suo tempo. In questo documento, in poche parole, Valla vuole far capire che Costantino non avrebbe mai e poi mai donato l’Occidente alla Chiesa, a maggior ragione Roma: città per antonomasia, sede della storia.
In primis perché sarebbe andato contro i suoi familiari e parenti e avrebbe adottato un atteggiamento a dir poco egoistico nei loro confronti. Infatti di ciò Valla ne spiega ponendo come esempio il dialogo da lui immaginato tra l’imperatore e Virgilio.
Poco dopo Valla vuole far capire ai Principi e al Papa che, anche se Costantino avesse donato i propri territori da lui conquistati, Papa Silvestro non sarebbe mai stato in grado di accettarli; questo per il semplice fatto che, come i buon samaritani fanno del bene senza voler ricevere nulla in cambio e preferiscono dare anziché ricevere, così il Papa, così il rappresentante di Gesù Cristo in terra.
Per avvalorare quanto sopra riporto di seguito una frase che mi ha molto colpito: “Imparate da me” dice il Signore “che sono mite e umile di cuore. Prendete il mio giogo e troverete riposo per le anime vostre. Il mio giogo infatti è agevole e il mio carico è leggero”. “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” Alla fine della prima parte del libro Valla fa riferimento anche al fatto che nella cosiddetta Donazione di Costantino si definisce la città di Costantinopoli con tale nome come una delle sedi patriarcali, quando ancora non era né patriarcale né una sede, né una città cristiana né si chiamava così né era stata fondata né la sua fondazione era stata decisa.
Questo rafforza e dimostra la falsità della “Donazione di Costantino”, scritta, secondo lo scrittore e critico, successivamente rispetto all’imperatore cristiano.
«A san Silvestro trasferiamo immediatamente il palazzo Lateranense del nostro impero; poi il diadema, cioè la corona del nostro capo e insieme il frigio e anche il superhumerale, cioè quella specie di fascia che suole circondare il collo dell’imperatore, ma anche la clamide di porpora e la tunica scarlatta e tutti gli indumenti imperiali o anche la dignità imperialium praesidentium equitum, conferendogli anche gli scettri imperiali e insieme tutte le insegne e bandiere e i diversi ornamenti imperiali e tutto ciò che procede dalla altezza della potenza imperiale e dalla gloria del nostro potere. Sanciamo che gli uomini di diverso ordine, i reverendissimi chierici che servono alla santa Chiesa romana, abbiano quel vertice di singolare potenza e distinzione, della cui gloria si adorna ora il senato, cioè siano fatti consoli e patrizi.
E abbiamo stabilito (promulgato) che essi siano adorni di tutte le altre dignità imperiali.
Abbiamo decretato che il clero della santa romana Chiesa sia adorno dello stesso decoro che circonda la milizia imperiale.
E come la potenza imperiale si fregia di diversi ufficiali, cubicularii, cioè, ostiarii, e di tutti i concubitores, così vogliamo che ne sia onorata la santa Chiesa romana.
Per far risplendere più largamente la gloria del pontificato stabiliamo che i santi chierici della stessa santa Chiesa cavalchino cavalli adorni di banderuole e coperti di tela bianca e, come il nostro senato, di calzari con udonibus, cioè bianche uose di tela; di tali ornamenti sia fornita la Chiesa terrena come la celeste a lode di Dio»
Da questo passo possiamo subito intendere come la "Donazione di Costantino", sia appunto falsa. Oltre al Palazzo Lateranense, verrà lasciato a Silvestro, il diadema, che qui viene descritto aureo e con pietre preziose, quando invece il diadema era di stoffa o di seta. Sottolinea più volte che siano di oro e pietre preziose, poiché non si pensi che Costantino abbia regalato cose di poco valore.
Inoltre, pensa forse, che sia di oro poiché i re usavano avere un cerchietto di oro, ma Costantino non era un re. Parla inoltre del lorum e lo intende come un cerchietto che adornava il collo dell’imperatore, solo che il lorum essendo di cuoio non si può pensare fosse al collo dell’imperatore, li avrebbe trasformati in cavalli o asini, dice Valla.
Parla inoltre di “clamide di porpora e tunica scarlatta”. Già gli evangelisti dissero che si trattava dello stesso colore, però forse lui, ancora ignorante, poteva pensare che la porpora fosse una seta bianca. Avrebbe donato anche gli scettri imperiali, le insigne e bandiere. Lo scettro è uno e poi che se ne doveva fare il papa con lo scettro, oppure delle signa (statue)? Queste sono tutte domande che Valla si pone riguardo alla falsificazione della Donazione. Soprattutto in questo passo, si nota, dice Valla, che il Latino è diverso dal Latino usato da Costantino ed è sicuramente un Latino successivo al periodo costantiniano.
Tu dici essere il sommo «singularis potentiae et praecellentiae» l’esser fatti «patricii consules».
Chi ha mai sentito dire che i senatori o altri uomini sono anche patrizi? Questi, sono eletti consoli, non patrizi, e vengono scelti o da case nobili, che sono dette senatorie, dall’ordine equestre o dai plebei, e, in ogni caso, è sempre più importante l’essere senatore che patrizio.
Senatore è uno scelto consigliere dello Stato; patrizio chi trae origine da una famiglia senatoria. L’essere senatore non portava a essere patrizio. Concubitore; sono quelli che dormono insieme e si congiungono: sarebbe come dire meretrici. Costantino gli dà quindi anche con chi dormire. Per finire dona alla Chiesa anche cavalli. Questi non erano sellati, ma avevano decorazioni bianche. Avevano mappula e linteamina, solo che le prime servono alle tavole da pranzo, le secondo ai letti. Dopo aver descritto così minuziosamente tutte queste cose superficiali, il falsario, per descrivere tutti i territori assegnati alla Chiesa, che erano la parte più importante, dice solo: “tutte le province, luoghi, città d’Italia e dell’Occidente”. Scrive solo questo, forse perché ignorava tutte le province del regno, tutti i luoghi e le popolazioni che appartenevano a questo e i confini dell’Occidente.
Sappiamo però per certo, che non tutti i popoli appartenevano al regno di Costantino.
Continua dicendo di aver trasferito la capitale e il suo regno in Oriente, a Bisanzio; Valla dice che se lui fosse davvero Costantino avrebbe dovuto argomentare questa scelta di spostare la capitale proprio lì, avendo perduto Roma.
«Ordiniamo che tutte queste cose fermamente stabilite con questa imperiale sacra scrittura e con altri divalia decreta restino intatte e immutabili sino alla consumazione del mondo».
Poco prima Costantino aveva detto di essere “terreno” , mentre ora si definisce “divino e sacro”. Dice di essere divino e vuole che le sue parole restino fino alla fine del mondo, senza però fare riferimento a ciò che vuole Dio.
«Se qualcuno, come non crediamo, oserà tuttavia temerariamente far ciò, soggiaccia condannato a eterne condanne e provi contrari a sé nella presente e nella futura vita i santi apostoli di Dio, Pietro e Paolo.
E che finisca bruciato con il diavolo e con tutti gli empi nell’inferno più profondo» In questa parte è presente una sorta di minaccia che il falsario farebbe, sempre a nome di Costantino.
Valla continua però a sostenere che non possa essere stato Costantino a dire queste parole, ma altri al posto suo. Pensa che le parole di questa minaccia, possano essere state di antichi sacerdoti ed ora della contemporanea ecclesia. Valla definisce chi dice queste parole, nascondendosi dietro la figura dell’imperatore un ipocrita: nascondere la propria persona dietro un’altra.
Oltre alle perplessità su tutto lo scritto della donazione, ci sono anche perplessità sul fatto che fosse cartacea o meno. Ad un certo punto Valla si interroga sul come possa Costantino aver scritto di un qualcosa accaduto dopo la sua morte.
Vorrebbe inoltre sapere lo studioso, in che modo ha firmato questa donazione, con una firma, o con il sigillo dell’imperatore, che avrebbe maggior valore.
Si crede che questa donazione sia stata depositata nella tomba di San Pietro in modo che nessuno potesse prenderla o modificarla. Valla si domanda poi, come possa essere giunta fino alla sua epoca e chi l’ha custodita, non potendo prenderla.
Un’altra incertezza riguarda la data; questa è datata 30 marzo del quarto consolato di Costantino.
A quel tempo la data si metteva quando una lettera doveva essere recapitata a qualcuno, in questo caso però sarebbe stata messa perché il falsario, come detto in precedenza, sarebbe stato un ignorante.
Alla fine Valla fa una riflessione abbastanza lunga su ciò che pensava della Chiesa di quel tempo, dicendo che anche se Silvestro fosse mai stato in possesso di una Donazione, non scritta da Costantino, non avrebbe dovuto accettare tutti i beni da lui donati. Dice che non c’è pontefice che abbia amministrato con fedeltà, ma che proprio il papa portava discordia e guerre tra i popoli tranquilli. Continua dicendo che il papa vuole ricchezza e che egli pensa di poterla strappare dalle mani di chi occupa ciò che Costantino ha donato, scaturendo così la voglia in tutti gli uomini, sia per fama che per bisogno, di fare come fa la massima istituzione.
Secondo lo studioso, non c’è più religione; nessuna cosa più è santa; non c’è più timore di Dio: tutti i malvagi scusano i loro delitti con l’esempio del papa.

http://it.wikipedia.org/wiki/Donazione_di_Costantino

L'orchidea che fiorisce di notte


Le orchidee sono molto amate per via della loro bellezza. Un fascino che da sempre si è espresso magnificamente nelle giornate più belle allo stato naturale, allietando lo sguardo negli ambienti come pochi fiori sanno fare.
 L’orchidea di per se stessa è già un fiore molto apprezzato. Di recente, a moltiplicare l’attenzione su questo fiore ha concorso un fatto: alcuni scienziati inglesi hanno scoperto l’esistenza di una orchidea che fiorisce solo di notte. 
 Chiamata dagli stessi Bulbophyllum nocturnum, questa pianta possiede dei fiori che si schiudono soltanto di notte. 
In natura non sono molte le piante a poter contare su questa particolarità. Abbiamo alcuni cactus, un particolare tipo di gelsomino, e in alcuni tipi di arbusti molto rari. 
Finora nelle orchidee, e parliamo di una famiglia di fiori che comprende almeno 25.000 specie, non era mai stato riscontrato un simile comportamento. Per questo motivo, sebbene esistano dei fiori di orchidea impollinati in natura dai lepidotteri principalmente al calare dell’oscurità, gli scienziati ritengono questa scoperta come “ragguardevole”, soprattutto perché l’orchidea in questione, a livello di fioritura, vive di una vita decisamente breve.

 Questa nuova specie, scoperta nelle foreste tropicali dell’isola di New Britain, è caratterizzata da un fiore la cui vita dura appena una notte. Una particolarità questa che la rende non solo speciale per via delle sue caratteristiche, ma la colloca di diritto tra quei fiori che acquistano un potere altamente evocativo. C’è chi nel descriverla si è spinto a metterla in contrapposizione con il gelsomino notturno: una pianta altrettanto bella e profumata ma che, a differenza di quest’orchidea recentemente scoperta , prolunga la sua fioritura per tutto il tempo che suo ciclo vitale glielo consente. 
 L’orchidea notturna al contrario può contare solo su una notte di vita, come vi abbiamo già anticipato. 
Sarà curioso vedere se gli scienziati saranno in grado col tempo di ricreare le stesse condizioni di crescita di questo fiore in cattività.

« Budapest è la più bella città del Danubio;



Le origini di Budapest si perdono nella notte dei tempi.
Già nel IV. e III. secolo a.C.
Era abitata da tribù celtiche. L’insediamento celtico chiamato Ak Ink (ricco d’acqua), in seguito all’occupazione dei romani avvenuta nel I secolo a.C,prese il  nome di Aquincum, e divenne la capitale della Pannonia Inferiore.
L'area fu occupata intorno all'anno 898 dal popolo dei Magiari (la principale delle sette tribù ungare), gli antenati degli odierni Ungheresi, che un secolo più tardi fondarono il Regno d'Ungheria.
Dopo la nascita del regno, avvenuta nell’anno mille per opera del re StefanoBuda cominciò ad imporsi come uno dei più importanti centri della vita religiosa, amministrativa e reale. Con la scomparsa della dinastia degli Árpád avvenuta il 1301, gli Angioini trasferirono la residenza da Alba Reale (Székesfehérvár) a Buda dove vi fecero costruire il Castello Reale, poi ampliato e, nel XV secolo ingrandito e rimaneggiato in stile rinascimentale da architetti italiani.  

Tra il XII e il XIV secolo, dopo l’invasione dei tartari, per motivi di difesa la città fu rafforzata con muri di pietra e sulla collina di Buda fu costruita una fortezza reale.
Sotto il regno di Mattia Corvino (1458-90) Buda conobbe la sua epoca d’oro. La presenza del palazzo reale attirò non solo i nobili ma anche ricchi borghesi, che fecero costruire chiese e palazzi. Pest, le cui origini risalgono al secolo XI, si conformava come centro commerciale ed era abita in prevalenza da mercanti.
Dopo la distruzione ad opera degli invasori Tartari nel 1241, Pest venne rapidamente ricostruita ma fu Buda, sede del Palazzo Reale fin dalla metà del XIII secolo, a diventare la capitale dell'Ungheria. Nel 1500 gran parte dell'Ungheria venne conquistata dai Turchi e sia Buda che Pest caddero in mano agli invasori. Buda diventò sede del governo Turco mentre Pest cadde in rovina fino alla riconquista, nel 1686, da parte delle truppe asburgiche.
La conquista da parte degli Austriaci dette un grande impulso alle attività economiche ed alla vita intellettuale.

Nel 1724 venne aperta la prima tipografia della città
Nel 1777 Maria Teresa d'Austria fece trasferire l'unica università ungherese da Nagyszombat a Buda, spostata poi a Pest dall'imperatore Giuseppe II.
Molte le istituzioni culturali di cui la città si arricchì nel tempo: il teatro ungherese di Pest, l'Accademia Ungherese delle Scienze, la Compagnia Kisfaludy, il Teatro Nazionale e tante altre.
Nel 1800 Pest era più grande di Buda e Óbuda messe insieme, e nel corso del secolo crebbe di venti volte fino a raggiungere i 600.000 abitanti.
La fusione delle tre città di Buda, Óbuda e Pest in un'unica amministrazione, dapprima messa in atto dal governo rivoluzionario Ungherese nel 1849, poi revocata dalla restaurata autorità asburgica, venne infine resa effettiva dal governo autonomo ungherese instaurato col "Compromesso" austro-ungarico del 1867. La popolazione totale della città unificata crebbe tra il 1840 e il 1900 fino a 730.000 abitanti.
Durante il ventesimo secolo la maggiore espansione demografica è avvenuta nei sobborghi cittadini.
Le gravi perdite umane e la riduzione di due terzi del territorio ungherese al termine della 1° Guerra mondiale provocarono un momentaneo rallentamento dello sviluppo, ma fecero di Budapest la capitale di uno stato più piccolo ma finalmente sovrano.
Nel 1930 la città giunse a contare un milione di abitanti, più altri 400.000 nei sobborghi.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, circa un terzo dei 250.000 abitanti di origine ebraica di Budapest vennero deportati nei campi di sterminio. Nonostante le gravissime perdite di vite umane, ancora oggi Budapest è la città europea con la maggior percentuale di popolazione ebraica.
Danneggiata gravemente durante l'assedio Sovietico del 1945, la città fu ricostruita nel dopoguerra.
Nel 1956 la città fu uno dei maggiori teatri della Rivolta d'Ungheria e dei conseguenti scontri tra la popolazione e le truppe sovietiche, che portarono alla sconfitta degli insorti ed alla dura repressione. Dopo la caduta del regime comunista (1989), Budapest è diventata il fulcro del tumultuoso passaggio al capitalismo dei paesi dell'est Europa. La sua massima espansione si è avuta nel 1989 con più di 2.000.000 di abitanti.

Budapest è la città più "bollente" d'Europa. 70 milioni di litri di acqua termale che vengono in superficie ogni giorno hanno dato vita alla creazione di oltre 30 stazioni termali cittadine con i loro 38 gradi (e oltre) di acqua sulfurea che alimentano queste Spa

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