mercoledì 15 ottobre 2014
Il dramma dello spiaggiamento dei cetacei, ecco perché avviene
Capita di assistere al triste spettacolo dello spiaggiamento di alcuni cetacei cui corpi rimangono agonizzanti sulle rive delle spiagge e che difficilmente riescono ad essere salvati.
L'ultimo, in ordine di tempo, in Italia è avvenuto lo scorso settembre in Toscana dove ben sei delfini sono stati ritrovati morti tra la spiaggia di Tre Ponti, in provincia di Livorno, e a Tirrenia, in provincia di Pisa. Raramente si tratta di un unico individuo, spesso sono anche gruppi interi che, una volta raggiunte le acque più basse, non riescono a tornare a largo.
Il fenomeno di cui stiamo parlando, ancora attualmente sotto attenti studi, caratterizza per lo più i cetacei odontoceti, detti anche cetacei dentati poiché, come è facile intuire, a differenza dei misticeti, si distinguono per la loro dentatura.
A questo sottordine di cetacei appartengono i delfini, i capodogli e le orche e si tratta di veri e propri cacciatori che si nutrono di pesci, di cefalopodi o di mammiferi marini.
Gli odontoceti comunicano tra loro grazie alle vocalizzazioni emesse che servono anche all’ecolocalizazzione.
Questo significa che attraverso l’emissione di suoni gli odontoceti riescono a comprendere le distanze tra loro e le loro prede.
Secondo quanto scoperto da uno studio effettuato dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr, i delfini per esempio parlerebbero tra loro attraverso un ‘dialetto’, una serie di segnali riconoscibili dal gruppo di appartenenza, che si differenziano tra suoni, con frequenza 20kHz detti vocalizzazioni, e ultrasuoni, con frequenza variabile tra i 20 e i 200 kHz, detti segnali sonar o ecolocalizzazione.
È proprio l'ecolocalizzazione, secondo alcuni studiosi, ad essere una delle principali cause che porta i cetacei a spiaggiarsi.
Si tratta di un vero e proprio sonar biologico che alcuni odontoceti utilizzano per stimare le distanze.
Come? Grazie alla matematica. Calcolando il tempo trascorso tra l’emissione del suono e il ritorno degli echi dall’ambiente.
Negli odontoceti il suono emesso utile al calcolo è un click ad alta frequenza.
‘Alla fin fine, l'ecolocalizzazione è ciò che permette a questi cetacei di nutrirsi e vivere.
Per loro è essenziale non solo localizzare i pesci, ma anche individuarli e scegliere tra un tipo di pesce e l'altro.
È una continua danza sottomarina tra preda e predatore. È naturale che ci sia bisogno di un qualche tipo di focalizzazione’, con queste parole la zoologa Kloepper, dell’Università delle Hawaii di Honululu spiega i risultati ottenuti da uno studio effettuato su una pseudorca addestrata di nome Kina che ha dato prove scientifiche delle capacità comunicative degli odontoceti.
Ecco perché c’è chi sostiene che le vibrazioni emesse dai nostri sonar siano la causa degli spiaggiamenti, o comunque di molti di essi.
Secondo alcune ipotesi i sonar sarebbero in grado di causare la morte delle balene per emorragie alle orecchie, altri studi dimostrerebbero che gli impulsi emessi sarebbero in grado di lacerare i tessuti intorno alle orecchie e al cervello dei cetacei. Questi danni fisici sono stati riscontrati solo in casi di spiaggiamenti successivi ad esercitazioni navali.
L’emissione di frequenze simili a quelle prodotte da questi mammiferi sarebbe anche in grado di modificare il comportamento di alcuni soggetti che potrebbero scambiare i suoni dei sonar per predatori o per messaggi di altri membri del gruppo.
Non tutti gli spiaggiamenti sono però causati dai sonar. Spesso infatti alcuni singoli cetacei arrivano a riva perché malati o feriti, non più in grado di vivere in mare aperto, altre volte le cause sono ambientali, come il mal tempo, ma anche l’anzianità o la caccia. Trattandosi di predatori, un’ipotesi attribuirebbe alla forte motivazione predatoria la causa della perdita dell’orientamento poiché presi dal tentativo di raggiungere un pesce, i cetacei non si accorgerebbero di aver raggiunto le coste, non essendo poi capaci di tornare indietro, finirebbero per morire.
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