giovedì 29 maggio 2014

La Setta degli HASHISHIN (assassini)

Hashashin! Con questo termine era indicata la famosa Setta che tanto fascino perverso suscitò sull’Occidente.
Il termine “Assassino” deriva proprio da Hashashin, che significa: consumatore di hashish, una droga ottenuta dalla canapa indiana.
Il nome originale della setta era Isma’iliti, dal nome del suo fondatore, l’emiro Isma’il ibu Gia’ far.



Isma’iliti… da non confondere con Ismaelita.
Isma’iliti erano i seguaci della Setta mentre, invece, Ismaeliti erano (e sono) i discendenti di Ismaele, figlio di Abramo e dell’egiziana Agar.
Come in ogni setta, anche in quella degli Isma’iliti esisteva una gerarchia con a capo il Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna” e con prerogative di Monarca assoluto.
Del “Veglio della Montagna” si tanto favoleggiato, in Occidente: fiumi d’inchiostro e chilometri di pellicola.
E non sempre a proposito. Si è sempre parlato della crudeltà della Setta, ma non si è mai… o quasi mai, fatto cenno alle ragioni delle sue origini.
Nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro.
Dai Cristiani, però.

Gli Isma’iliti erano gli avversari dei Templari e dei Teutonici, dunque.
Tra questi opposti Ordini di combattenti, però, c’era una sorta di cavalleresca intesa. Soprattutto con i Cavalieri Teutonici. Interessante notare anche quanto l’organizzazione dei due Ordini fosse simile sia gerarchicamente, che nel comportamento, duro ed intransigente fino alla crudeltà.
Gerarchicamente i Teutonici si presentavano con una piramide così composta: Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero; l’Ordine islamico invece era così costituito: Djebal, Sheik, Daiikebir, dais, ecc… Sia i Templari che i Teutonici, dunque, tennero con questa Setta ogni genere di rapporto e stipularono Trattati spesso senza tener conto delle disposizioni papali.
Vale per tutti l’esempio di Federico II di Germania.
L’imperatore tedesco, per una dozzina e più di anni, era riuscito a continuare a rimandare la sua Crociata (ogni Sovrano europeo aveva la sua bella Crociata), finendo per attirare sul suo capo la Scomunica Papale.
Finalmente, il Sovrano si decise a partire per la Terrasanta. Assistito dalla fortuna e soprattutto dalla sua capacità di guerriero e stratega, l’imperatore conseguì una straordinaria vittoria e non esitò a proclamarsi Re di Gerusalemme e ad auto-incoronarsi.
Amante dei fasti orientali (Federico possedeva perfino un harem), egli intrattenne rapporti cordiali con il “Veglio della Montagna”, l’emiro Al-Djebal, che invitò perfino alla sua tavola.
Si trattava di rapporti diplomatici, naturalmente, e il punto principale era il permesso ai Musulmani di praticare il proprio culto nella città santa di Gerusalemme, ma l’atmosfera era di reciproco rispetto.
La setta degli Isma’iliti, come ogni altra setta, era selettiva nella scelta dei propri adepti: giovani coraggiosi, atletici e con la vocazione all’obbedienza ed alla fedeltà più cieca ed assoluta; una volta entrati a farne parte, non era più possibile uscirne.
Si è sempre pensato ( e forse è anche vero) che alla base di tanta fedeltà al “Veglio”, ci fosse l’uso e l’abuso di sostanze come l’hashish, che schiavizzava i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti del Gran Maestro, come accadeva (sia pur con altri mezzi, ai Teutonici). Il caso, però, che li ha resi famosi, è legato soprattutto al sultano Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
Di lui si raccontava che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole.
Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta.
Passato l’effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell’infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel “Paradiso”. Perfino uccidere o uccidersi. Sempre a voler dar fede a questi racconti, il sultano, per dimostrare ai suoi ospiti occidentali la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante: ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall’alto della fortezza e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
Ordine che i giovani eseguivano con grida di gioia, convinti di “tornare” in Paradiso.

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