martedì 27 maggio 2014
Dendera – Nelle sale di Hathor
La località di Dendera, in antico egiziano Iwnet o Tantere, si trova a circa 60 chilometri a nord di Luxor.
Il tempio venne eretto ai piedi della cosiddetta Montagna Texana, sulla sponda sinistra del fiume.
Il complesso fu eretto subito prima della grande ansa che porta le imbarcazioni, sulla riva opposta, a cospetto degli enormi complessi architettonici tebani.
Il grande tempio venne dedicato a Hathor, la sposa del dio Horo, immagine ubiquitaria di fortuna e di fecondità: essa era la “Signora di Dendera”, nata sotto forma di rugiada miracolosa sulle palpebre del dio Ra, nel momento in cui egli era prodigiosamente emerso da un loto primordiale apertosi, nella luce, dalle scure acque del caos degli inizi.
Hathor viene comunemente raffigurata come una donna dalle orecchie di vacca o come una vacca celeste o mentre allatta il faraone.
Nelle sue manifestazioni terrifiche, invece, Hathor assumeva le forme di una feroce e devastante leonessa.
La figura della dea, nell’arte e nell’architettura del tempo, assiste costantemente il culto dei faraoni, garantendo loro così l’elisir dell’immortalità.
Essa era comunque soprattutto la dea dell’amore, in tutti suoi aspetti, la signora della gioia e la patrona della danza e della musica; il simbolo del suo grande volto, in ogni contesto, aveva il potere di allontanare le forze negative e richiamare quelle positive.
Il luogo di culto di Hathor, come molti altri grandi punti sacri di portata nazionale, meta di devozione e di pellegrinaggio per secoli e secoli, venne continuamente ingrandito e abbellito sino a subire, in epoca tolemaica e poi romana, delle trasformazioni di vasta scala.
Nella forma oggi visibile, il tempio di Hathor venne iniziato sotto il faraone Tolomeo XII Aulete (“Il flautista”), che regnò nella prima metà del I secolo a. C.; i lavori e le modifiche si protrassero fino al periodo dell’impero di Nerone (54 – 68 d.C.). tuttavia, malgrado i grandi investimenti, esso resto parzialmente incompiuto.
Il tempio della grande dea e altri edifici sacri minori, a Dendra, erano circondati da un massiccio muro di cinta in mattoni.
Un grande cortile precede la facciata del tempio vero e proprio, con le sue sei colonne.
L’accesso è rappresentato da un pronao sorretto da una fitta struttura di 18 colonne.
Il soffitto del pronao riproduce un cielo stellato, nel quale corrono il sole e la luna e sono tracciate le scansioni del calendario e le entità dello zodiaco.
Lungo lo sviluppo delle pareti, invece, si snoda il corpo deforme e sinuoso della dea Nut, la quale, secondo i dettami dell’iconografia religiosa egiziana, protrattasi per quasi due millenni, ingoiava l’astro solare al tramonto, e lo restituiva, rinnovato e trasformato, allo luce del mattino.
Superata l’entrata, si giunge al primo atrio ipostilo, o sala delle colonne.
Sulle pareti e sulle colonne di questa sala sono rappresentate alcune scene in cui il sovrano compie dei rituali o porge delle offerte a varie divinità.
Lasciato l’atrio ipostilo, si arriva alla “sala delle apparizioni”, o secondo atrio ipostilo, il cui tetto è sorretto da sei colonne.
Su ogni lato di questa sala si aprono tre stanze.
Tra di esse, si possono citare la sala del tesoro, sulle cui pareti sono incisi elenchi di prodotti preziosi e unguenti, la sala del calendario e la camera del Nilo, dove operavano i sacerdoti addetti a stabilire lo scandire del tempo, ossia il ritmo delle stagioni.
Dopo la “sala delle apparizioni”, si giunge alla prima sala delle offerte e poi alla “sala di centro”, infine si arriva al sancto sanctorum, che è la parte più sacra di tutto il tempio e dove la dea – secondo il credo egiziano di ogni epoca – viveva quasi fisicamente. Nel sancta santorum erano custodite la barca sacra della dea e un naos contenente la sua statua: era un tabernacolo – armadio di granito, con porte di bronzo incrostate d’oro.
Una volta all’anno la dea, o meglio la sua statua, saliva sulla sua barca e veniva portata in processione verso sud sino al tempio di Edfu, sede del suo sposo Horo, per celebrare le loro nozze divine.
Il sancta santorum di Dendera era inoltre circondato da un corridoio sul quale si aprivano ben undici cappelle, ognuna con un suo significato preciso.
Le cappelle era dedicate, partendo dal lato sinistro, innanzitutto ad Hathor, quindi a Iside, quindi a Sokar (una entità sacra di natura funeraria, contraddistinta dalla testa di falco, assimilata a Osiride); vi è poi la cappella di Harsomtus, “Horus che unisce le due terre”, considerato una emanazione di Hathor e di Horo; altre quattro cappelle, tutte dedicate alla principale dea di Dendera; una riservata al solo Horo, e infine altre due cappelle di Hathor.
Il tempio di Dendera presenta una curiosità: nello spessore del muro esterno sono infatti state ricavate dodici camere, lunghe e strette, poste su tre piani.
Queste dodici cripte, a cui si accedeva attraverso alcune aperture ricavate nelle mura o nel pavimento, servivano a custodire gli oggetti di culto sacri alla dea e gli archivi del tempio.
Sempre all’interno dello stesso muro, gli antichi architetti egiziani avevano ricavato anche delle scale che salgono sul tetto (o terrazza) del tempio.
Qui si trova un chiosco con dodici colonne, su ognuna delle quali campeggia l’immagine benigna della testa di Hathor, e sei cappelle divise in due gruppi distinti.
In questo punto, a cospetto delle solenni acque del Nilo, dall’alto di una costruzione che dominava l’intero complesso sacro, mentre gli sguardi abbracciavano le fertili sponde e le ombre del deserto libico, la statua della dea veniva portata una volta all’anno per essere esposta ai raggi di sole al fine di ricaricarla della più sacra e arcana energia del cosmo.
Sulla terrazza vi sono inoltre due cappelle consacrate al dio Osiride, nelle quali si svolgevano rituali relativi alla rinascita della divinità.
Sui muri, le iscrizioni geroglifiche descrivono in dettaglio la natura dei rituali di resurrezione: il corpo del dio veniva sagomato con una pasta di semi d’orzo, che veniva prima innaffiata di acqua sacra e poi lasciata a germogliare naturalmente, per essere infine seppellita, con tutti gli onori, in una delle cappelle superiori.
Al rito partecipavano esponenti del clero di ogni provincia del paese, intenti nell’invocare, in questo momento critico, la protezione di ogni genere di creature soprannaturali sulle proprie terre.
All’esterno del santuario di Hathor si trovava un lago sacro, dove si celebravano i misteri di Osiride.
Nel corso di queste celebrazioni, davanti a un ristretto numero di iniziati, si mettevano sull’acqua delle piccole imbarcazioni, che recavano delle statue di divinità che si supponeva andassero alla ricerca, una volta di più, del corpo della mistica divinità dei defunti. Dietro al tempio di Hathor venne costruito l’edificio sacro dedicato a Iside, sposa di Osiride.
Nei pressi del grande tempio si trovano due mammisi, uno di epoca romana, con i cartigli di Adriano e Antonino Pio, l’altro risalente dell’età tolemaica, costruito dal faraone Nectanebo I nella prima metà del IV secolo a.C.
In questo tipo di edifici si svolgevano delle feste dedicate alla nascita di Harsomtus in qualità di dio – figlio.
Vicino al tempio di Hathor si trovava un altro santuario in mattoni crudi, dove i malati si recavano per essere curati.
Questo genere di rito prevedeva che il malato, ad esmpio, dovesse bere delle acque sacre, o essere bagnato con l’acqua che era stata prima fatta scivolare sulla statua di divinità.
In alcuni casi, seguendo il tradizionale rituale sacro dell’incubazione, il paziente doveva passare la notte nel santuario, sperando di avere durante il sonno un sogno guaritore, o l’apparizione salvifica di una divinità.
I culti “medici” di questa natura ebbero grande fortuna negli ultimi secoli della storia dell’antico Egitto, giungendo persino a essere assimilati, nella cultura di età tolemaica, a quelli che i Greci avevano tributato a Esculapio, il dio ellenico della medicina e delle guarigioni.
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