martedì 25 marzo 2014
Il voto delle donne: un diritto conquistato dopo secoli di storia
Una delle rivoluzioni più grandi nella storia moderna è l’estensione del diritto di voto alle donne.
Un fenomeno inizialmente lento, ma che ha portato in seguito a conseguenze sempre più grandi: la donna non era più relegata a un ruolo di second’ordine e, con gli anni, ha acquistato sempre più la parità con il sesso maschile.
Intendiamoci, stiamo parlando del mondo occidentale, dove qualsiasi azione si ripercuote a domino su tutte le Nazioni.
Oggigiorno ci sono ancora Stati dove la donna deve «rimanere al suo posto», dove non ha diritti se non all’interno del suo focolare (e a volte nemmeno lì).
Ma noi occidentali non dobbiamo crederci “migliori” dal punto di vista della parità dei sessi, perché sono dovuti trascorrere secoli prima di raggiungere questo risultato. E dobbiamo tenere sempre presente che in passato, nei secoli antichi, ci sono stati popoli dove la donna era trattata con il dovuto rispetto o dove addirittura aveva un ruolo più importante rispetto all’esponente maschile (che ci crediate o no, il più antico culto religioso era quello della dea madre).
Mentalità ristretta, dicevamo, e per cambiarla le donne hanno dovuto ricorrere alle maniere forti. Letteralmente.
Le prime suffragiste (così si chiamarono, proprio per l’obiettivo di ottenere il diritto di voto) nacquero in Inghilterra e formarono un movimento di protesta pacifico, riunendosi in un’assocazione chiamata National Union of Women’s Suffrage Societies.
Le capeggiava Millicent Fawcett già nel 1897, una delle poche donne a quel tempo dotate di cultura, che rifiutava ogni forma di violenza.
Per alcune donne, però, non bastava, visto che i risultati tardavano a venire. Ecco allora che le suffragiste cambiarono nome in suffragette e fondarono la Women’s Social and Political Union nel 1903.
La loro leader era Emmeline Pankhurst: fu l’arresto di quest’ultima nel 1905 a segnare il passaggio dal movimento pacifico alle dimostrazioni violente.
Le suffragette si incatenavano alle ringhiere, rompevano finestre, appiccavano incendi e scrivevano sui muri. La violenza arrivò a far esplodere parte della casa del politico David Lloyd George, piuttosto influente al tempo.
Ci fu tra loro chi iniziò lo sciopero della fame in galera e il loro gesto portò infine a un risultato: il governo ordinò di nutrirle forzatamente per impedire che, morendo, diventassero delle martiri, e quest’azione rese il popolo poco entusiasta.
Dobbiamo aspettare però al 1918 per avere i primi risultati concreti, cioè quando il diritto di voto fu esteso alle donne sopra ai 30 anni che fossero capofamiglia.
La vittoria completa si ebbe il 2 luglio 1928: per legge, qualsiasi esponente femminile acquistò il diritto di esprimere il suo voto. Tutto questo in Inghilterra.
Ma movimenti come questi si estendono a macchia d’olio in tutto il mondo e anche gli Stati Uniti dovettero far fronte alle proteste femminili.
Nel 1917 la più attiva manifestante, Alice Paul, fu arrestata e per anch’essa iniziò lo sciopero della fame.
La differenza con l’Inghilterra è che bastarono tre anni per far passare la legge, perché già nel 1920 la donna acquistò il diritto di voto.
E in Italia? Lenti, come al solito.
La prima protesta partì già nel 1866: alcune donne presero d’assalto piazza San Marco a Venezia durante uno dei festeggiamenti che seguirono l’unione dell’Italia. Ma l’arrivo della Prima Guerra Mondiale inizialmente e del rigido fascismo in seguito costrinse i movimenti a spegnersi sul nascere.
Si trattava, però, di una bomba a orologeria, che esplose il 2 giugno del 1946: seguendo l’esempio dell’estero, l’Italia si ritrovò costretta a cedere e diede la possibilità anche alle donne di scegliere se mantenere la Monarchia o se passare alla Repubblica (come ben sappiamo, fu quest’ultima a prevalere, anche se per una manciata di voti).
Oggi la guerra per il diritto di voto non è finita e restano ancora delle battaglie da combattere, soprattutto in luoghi come l’Arabia Saudita dove la donna resta in secondo piano.
Le donne continuano a lottare anche in Paesi più democratici: un esempio recente lo abbiamo in Russia, dove il movimento Pussy Riot ha provocato un vero e proprio vespaio, arrivando a gesti piuttosto discutibili persino all’interno delle Chiese.
Resta un fatto che la parità dei sessi non è ancora completa in diverse parti del mondo.
C’è da credere che non sarà così per molto, perché fenomeni simili si allargano inevitabilmente.
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